“… così tra questa infinità s’annega il pensier mio: e ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”. (Giacomo Leopardi)
Qui trovate un piccolo dizionario filosofico, con cui vengono spiegate le parole più significative del lessico filosofico.
ABITUDINE
Dal latino habitudo , traduzione del greco ἔθος: indica il meccanismo psicologico in base
al quale l’uniforme ripetizione di determinati atti o determinate esperienze
rende più facile l’esecuzione degli stessi comportamenti e più probabile
l’aspettativa degli stessi avvenimenti. Il concetto è diffuso nella filosofia
moderna specialmente da Hume, che lo collega alla sua concezione
associazionistica della conoscenza. Accanto a questa valenza psicologica, nel
pensiero novecentesco la nozione di abitudine viene ripresa in chiave
metafisica nell’ambito dello spiritualismo. Bergson distingue tra la memoria
pura, che coincide con la durata reale della coscienza, e la memoria-abitudine,
che rappresenta invece la funzione biologica attraverso cui alcuni contenuti
della prima forma di memoria vengono riportati alla superficie traducendosi in
atti ripetitivi.
AFORISMA
Dal greco ἀφορισμός, “ciò che è delimitato”: termine usato
originariamente per indicare le brevi formule, nelle quali erano compendiati i
precetti estrapolati dagli scritti di medicina attribuiti ad Ippocrate. Di qui
il termine è stato esteso a significare ogni proposizione che espone in forma
concisa un insegnamento o una massima.
ALIENAZIONE
Il termine (che in ambito giuridico designa il
cedere un possesso ad un’altra persona) fa la sua comparsa sullo scenario
filosofico nel seicento, con il maturare delle filosofie politiche; in
particolare, si parla di alienazione quando un gruppo di uomini cede (aliena)
parte dei propri diretti per costituire una società civile. Il termine viene
stravolto nel suo significato da Hegel: “alienazione” significa
smarrimento della propria essenza (spirituale) nella materia; in particolare è
il lavoro materiale che fa sì’ che l’uomo smarrisca la propria essenza
spirituale nella materia, con la conseguenza che per Hegel il lavoro è
alienante. Con Marx la parola si colora di nuovi significati: è’ l a riduzione
a oggetto del lavoratore salariato nell’ambito della società capitalistica.
Secondo i Manoscritti , l’operaio è alienato rispetto: 1. al prodotto
della sua attività; 2. alla sua stessa attività orientata a fini estranei; 3.
alla sua essenza libera e creativa; 4. al prossimo col quale entra in rapporti
di conflitto. Per Marx (ispirato, a differenza di Hegel, da un marcato
materialismo) il lavoro in sé non è alienante, ma è anzi l’attività in cui
meglio si realizza l’uomo, che riesce così ad estendere il proprio dominio alla
natura; il lavoro diventa alienante quando si presenta come sfruttamento (e
questo avviene nel regime capitalistico), quando cioè il frutto del lavoro
viene brutalmente strappato all’operaio.
ANIMA
Con questo termine (in greco ψυχή) si indica convenzionalmente il principio
dell’attività cosciente dell’uomo e, più in generale, il principio della vita
di ogni vivente. PLATONE intende l’anima come un principio di natura diversa
dai corpi, affine al mondo delle idee, preesistente al corpo e immortale.
Stessa concezione hanno i padri della Chiesa, in particolare AGOSTINO che la
definisce una sostanza dotata di ragione e destinata a reggere il corpo.
L’anima è quindi indipendente dal corpo e non muore con esso, ma continua a
vivere nell’attesa di ricongiungersi ad esso dopo la resurrezione. ARISTOTELE
invece intende l’anima come enteleceia
del corpo, ossia come principio che lo specifica e lo determina, dandogli anche
vita e presiedendo alle sue funzioni. L’anima si distinguerà dunque in:
vegetativa (presiede alla generazione, nutrizione e crescita), sensitiva
(presiede all’attività sensitiva e al movimento) e intellettiva o razionale
(presiede alla conoscenza e alla scelta). Le tre anime più che separate sono
distinte, ma se ARISTOTELE risolve il problema del dualismo dell’uomo, ne pone
un altro: in che rapporto sta l’anima intellettiva con le altre? L’intelletto è
il principio per cui l’uomo conosce e riflette ed è per natura immortale e
divino, ma non è chiaro se sia individuale o no e in che rapporti stia con le
parti sensibili. Alcuni aristotelici sottolineano la strettissima unione tra
corpo e anima e negano perciò l’immortalità dell’anima del singolo uomo
(ALESSANDRO D’AFRODISIA, AVERROÈ), altri rivendicano l’immortalità personale
(AVICENNA). TOMMASO D’AQUINO, nella sua sistemazione di tutta la dottrina
aristotelica, definisce l’anima l’unica forma sostanziale dell’uomo e l’unico
principio del suo essere. L’anima intellettiva è perfetta e può assolvere anche
le funzioni di quella sensitiva e vegetativa, che pertanto non esistono.
L’anima, inoltre, è anche una sostanza spirituale ed è sussistente, perciò
immortale rispetto al corpo. Nel RINASCIMENTO emergono due posizioni
antagoniste: i PLATONICI sostengono la spiritualità e l’immortalità dell’anima,
gli ARISTOTELICI la negano. Nella filosofia moderna abbiamo un rinnovato
dualismo CARTESIO parla di corpo-res extensa e anima-res cogitans, principi separati
che agiscono e sussistono indipendentemente l’una dall’altra. HUME critica
questo dualismo parlando dell’anima come un fascio di fatti o eventi psichici
in perpetuo movimento o flusso. Nel novecento si è spesso parlato dell’anima
come di un principio vitale, non puramente spirituale-razionale ma
inconsapevole.
ANIMA DEL MONDO
Nozione che passa dalle antiche cosmologie mitiche
orientali al pensiero greco, attraverso il Timeo di Platone: secondo Platone,
infatti, perfino l’universo, nel suo insieme, ha un’anima. Gli STOICI parlano
dell’anima del mondo come di Dio, immanente al mondo, mentre per PLOTINO essa
sta tra l’Intelletto e il mondo materiale a cui da’ ordine. Presente in alcuni
autori del medioevo quest’idea ebbe diffusione soprattutto nel pensiero magico
del Rinascimento: Giordano BRUNO la porrà al cuore del suo pensiero. Ultima eco
avrà nella filosofia romantica della natura (SCHELLING), come principio
animatore e vivificatore del mondo.
ANTROPOMORFISMO
Attribuzione di sembianze fisiche umane, di
caratteri personali, di comportamenti morali a fenomeni naturali, ad animali e
a divinità. Concenzioni antropologiche della divinità sono testimoniate fin
dalla remota antichità da reperti archeologici, a cui si affiancano
successivamente opere letterarie, come i poemi di Omero e di Esiodo. Contro la
tendenza dell’antropomorfismo insorge fin dai suoi inizi la filosofia: con
Senofane, poi con i filosofi posteriori (ad eccezione degli epicurei) e, in
particolar modo, con il cristianesimo. In epoca moderna, il problema
dell’antropomorfismo nella religione è stato affrontato con decisione e rigore
da Spinoza, dagli illuministi e, nell’Ottocento, da Feuerbach.
APOLLINEO-DIONISIACO
Nella filosofia di Nietzsche, si tratta di impulsi
dualistici che caratterizzano radicalmente lo spirito della grecità antica e
poi attraversano con il loro gioco dialettico l’intera cultura umana,
l’apollineo è l’impulso solare della forma armoniosa, il dionisiaco è l’impulso
vitale e caotico dell’ebbrezza creativa. Si manifestano inoltre quali impulsi
alla base dell’esperienza artistica. Apollo è il Dio della luminosa
razionalità, Dionisio è il Dio della vitalità passionale e istintiva.
APORIA
Termine che significa “strada senza
uscita” (dal greco ἀπορία) e in
filosofia indica l’irrisolvibilità di un problema per la presenza di soluzioni
parimenti sostenibili: molti dialoghi giovanili platonici offrono conclusioni
aporetiche. Nella filosofia moderna il termine indica una difficoltà
insolubile.
ARCHE’
Dal greco ἀρχή, traducibile con “principio” inteso come la fonte (ciò da cui), la
foce (ciò verso cui) e il sostegno (la sostanza) della realtà; poiché nei
filosofi naturalisti la realtà si riduce a quella sensibile, l’arché principio
finisce per identificarsi con la natura. Dal momento che l’arché si configura
come il fondamento del tutto, che tutto abbraccia e tutto governa, viene a
coincidere con il divino.
ASSERTO-BASE
Asserto-base Nella filosofia di Popper,
l’asserto-base è la proposizione affermativa che deve risultare controllabile
da soggetti diversi sulla base dell’osservazione di oggetti rilevabili. Ogni
teoria stabilisce una distinzione fra gli asserti-base permessi a quelli non
permessi, ma che divengono i potenziali falsificatori della teoria stessa.
ASSIOMA
Dal greco ἄξιος, “degno”, significa letteralmente “ciò che merita
considerazione”: termine usato da Aristotele per indicare i princìpi
comuni alle varie scienze, dotati di evidenza immediata e quindi non bisognosi
di dimostrazione, ma punti di partenza per le dimostrazioni. A partire dalle
geometrie non-euclidee gli assiomi hanno cessato di essere considerati verità
auto-evidenti e son passati a designare in generale proposizioni o regole
assunte come premesse. La scelta degli assiomi è ritenuta convenzionale, determinata
da ragioni di comodità, opportunità o semplicità, ma non è arbitraria, poichè
deve rispettare criteri di non contradditorietà, di completezza e di
indipendenza reciproca tra i vari assiomi.
ASSOLUTO
E’, specialmente nella filosofia hegeliana, l’unità
di soggettivo e oggettivo mediata dal processo dialettico, è lo Spirito, o
intero, che ritorna a sé nelle forme dell’arte, della religione e della
filosofia.
ATARASSIA
dal greco ἀταραξία, letteralmente “mancanza di turbamento”. È un
termine che, nella storia della filosofia, troviamo citato da Epicuro accanto
al termine ἀπονία (mancanza di dolore). La
filosofia, come un farmaco, libera l’uomo dalla sofferenza e rende sopportabile
la vita, previa un ferreo controllo delle passioni e dei piaceri. Infatti solo
il calcolo dei piaceri può far si che l’uomo non sia schiavo dei bisogni, solo
così si raggiunge l’imperturbabilità dell’anima e l’assenza di ogni dolore.
L’intero impianto filosofico di Epicuro (ma anche degli Scettici, seppure per
vie diverse) tende al conseguimento dell’atarassia.
ATEISMO
E’ la negazione dell’esistenza e di ogni forma di
conoscenza di Dio. Per l’ateo (dal greco ἄθεος) non esiste alcun Dio: si possono citare come filosofi atei
Nietzsche, Marx e molti altri.
ATOMISMO
E’ la dottrina secondo cui la realtà è composta da
atomi (dal greco ἄτομον, “che non si può
tagliare”), ovvero di particelle indivisibili che costituiscono gli
elementi ultimi in cui essa può venire suddivisa. Nell’antichità, furono
atomiste le filosofie di Democrito e di Epicuro; ma Leibniz, nel Seicento, mise
alla berlina il concetto di atomo fisico, facendo notare come una particella,
per quanto piccola, sia pur sempre (almeno concettualmente) ulteriormente
divisibile. Russell introduce la nozione di atomo logico per indicare la teoria
secondo cui esistono atomi logici, ovvero proposizioni elementari (o atomiche)
alle quali si perviene attraverso l’analisi di proposizioni complesse (o
molecolari).
BASE EMPIRICA
Tipico concetto di Popper, è l’insieme di
proposizioni derivabili all’interno di una teoria scientifica che ne consentono
il controllo sperimentale. In un’epoca determinata c’è generalmente accordo tra
i ricercatori sulla base empirica, benché questa possa sempre essere rivista
conformemente a un nuovo accordo tra i ricercatori.
CAPITALISMO
E’, marxianamente, la formazione economico-sociale
contraddistinta dal rapporto capitalista- salariato: la classe detentrice dei
capitali mantiene la proprietà privata dei mezzi i di produzione e utilizza a
proprio profitto la forza lavoro dei salariati. Chi detiene i mezzi di
produzione è capitalista e ottiene il proprio profitto sfruttando la
forza-lavoro di chi è privo di tali mezzi e non può far altro che farsi
sfruttare o morir di fame.
COMUNISMO
“Non è uno stato di cose che debba essere
instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo
il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”, dimettendo il
regime del consumo e del possesso e superando così l’ambito della proprietà
privata: questo è ciò che intende Marx per comunismo. Tuttavia è bene ricordare
che già Platone, per dirne uno, aveva ipotizzato una società caratterizzata dal
comunismo integrale (comunismo ancora più accentuato di quello marxiano) in cui
cioè tutto è di tutti (donne comprese).
CONTRADDIZIONE
E’, nella filosofia di Hegel, il momento negativo
razionale della dialettica, quello in cui viene in luce l’impossibilità per
ogni singola determinazione di sussistere separatamente dalle altre. E’ dalla
contraddizione che scatta il superamento dialettico.
CREAZIONE
In senso filosofico generale è l’atto del porre in
essere, del produrre materia, del dare forma e ordine ad un qualcosa privo di
identità. L’azione dell’uomo si configura più correttamente come produzione,
cioè come potenza non creatrice ma plasmatrice di ciò che è già. La creazione
umana, intesa allora come la messa in opera di un oggetto da parte di un agente
individuale o collettivo, si caratterizza per la contemporanea presenza di tre
elementi: 1) l’unicità dell’oggetto che viene prodotto; 2) l’espressività, cioè
la trasposizione di interiorità o spiritualità in un’azione effettuale; 3) la
rottura, più o meno marcata, con le modalità espressive tipiche di un’epoca.
Questo concetto generale di creazione può applicarsi a svariati domini
spirituali, ma senz’altro nell’arte trova la sua resa concreta più esplicita,
come l’ambito privilegiato dell’espressività dell’io che ricostruisce, un
essere tratto non dalla natura ma dalla propria interiorità.
DEDUZIONE
Dal latino deduco , “tiro giù”,
indica il rapporto di derivazione di una conclusione dalle premesse in un
ragionamento. Aristotele l’identifica col sillogismo e, in quanto ragionamento
che va dall’universale al particolare, la distingue dall’induzione (che invece
va dal particolare all’universale). Nel pensiero moderno, essa rimane alla base
dell’atteggiamento razionalistico, anche se spesso non viene più identificata
col sillogismo, bensì col modello di procedura della matematica. Nell’Ottocento
la deduzione sillogistica fu bersagliata da John Stuart Mill, che vide in essa
un circolo vizioso, poichè la conclusione (Socrate è mortale) è già contenuta
nella premessa (tutti gli uomini sono mortali).
DEISMO
Credenza nell’esistenza di Dio fondata su basi
esclusivamente razionali e fiorita in età illuministica, nel clima di
rivalutazione delle facoltà razionali. Rifiutando ogni forma di rivelazione, di
autorità divina, di culto e di mistero, ammette solo quei principi religiosi e
morali cui l’uomo può giungere con la ragione e attraverso lo studio della
natura: ” il Dio dei filosofi e degli scienziati ” definiva
Pascal il Dio dei deisti, per distinguerlo dal Dio-persona ( ” Dio di
Abramo, Isacco e Giacobbe “) delle religioni rivelate. Il Dio dei
deisti non è un Dio persona da pregare, è più un “robot” che
garantisce l’ordine fisico del mondo. Deista convinto fu, ad esempio, Voltaire.
DIALETTICA
La parola fu usata per la prima volta da Zenone di
Elea e designa un dialogo in movimento, un confronto di posizioni (dal greco διαλεκτική). Con Hegel si riveste di nuovi significati: da buon
idealista, convinto che realtà e pensiero siano la stessa cosa, è evidente che
per Hegel le leggi che presiedono all’andamento del pensiero e all’andamento
della realtà siano le stesse. Fu Platone il primo ad usare una dialettica della
realtà, un richiamo reciproco di quelle che lui chiamava ‘idee’. Per Hegel è la
stessa cosa: ‘dialettica’ è sì il modo in cui la ragione opera, ma è anche il
modo in cui funziona la realtà. Dunque è la legge della ragione umana, la quale
riproduce nel pensiero le opposizioni che si danno nella realtà, e insieme il
principio immanente di sviluppo della realtà stessa. In senso specifico, è il
momento della negazione della determinazione immediata, cioè astratta e
separata dello Spirito. Ma in senso ampio è il processo logico-ontologico in cui
la determinazione astratta viene dapprima posta (la cosiddetta
“tesi”), poi negata nella sua separatezza (la cosiddetta
“antitesi”) e infine positivamente ricompressa in una unità più
profonda (la cosiddetta “sintesi”).
DISTOPIA
E’ un termine che solo apparentemente viene
utilizzato come opposto, contrario, a quello di “utopia”; infatti
viengono usate, con la medesima funzione, anche le espressioni
“anti-utopia” o “contro-utopia”. E’ accreditato oramai il
fatto che la scelta semantica presuppone una scelta di ampio raggio: definire
significa prendere una precisa posizione metodologica e filosofica. Infatti, se
vengono scelti ed adoperati termini “contro-utopia” o
“anti-utopia” si metterà in evidenza il senso di opposizione e di esclusione
tra i due concetti. Ma l’utopia non esclude di fatto la distopia: ecco perché è
più corretto utilizzare quest’ultimo termine. Infatti tra l’utopia e la
distopia non c’è un rapporto di contraddizione; tutt’altro. Innanzitutto la
distopia e l’utopia, secondo un’interpretazione letteraria di questi due
fenomeni, appartengono entrambe ad un particolare filone della fantascienza a
sfondo sociale, che descrive tanto luoghi immaginari dove regna il benessere e
la felicità (utopia), quanto terribili ipotesi di mondi futuri invivibili
(distopia). Ma l’utopia e la distopia sono legate anche a livello filosofico;
l’immagine della città nuova vagheggiata dagli utopisti si unisce alla
narrazione della società perversa della distopia, componendosi del medesimo
slancio. In altre parole alla base di questi due atteggiamenti c’è la denuncia
di una realtà avvertita come dolorosa e oppressiva e la sollecitazione
costruttiva a porvi rimedio attraverso l’esercizio della ragionevolezza.
Ovviamente ci sono delle differenze: l’utopia recide i legami col passato e con
il luogo presente, opera una cesura incolmabile tra la storia reale e lo spazio
riservato alla progettazione utopica; la distopia invece intende collocarsi in
continuità con il processo storico amplificando e rendendo tangibili quelle
tendenze negative operanti nel presente che, se non vengono smascherate e
ostacolate, condurranno alle società perverse da essa tratteggiate. Ma l’utopia
così come la distopia ci invitano a mantenere un’approccio critico con la
realtà che ci circonda, ci insegnano a essere attenti e vigili e a non essere
pessimisti, a non ripiegarci in noi stessi: un altro mondo è possibile. Ci sono
da segnalare però, riguardo a quest’ultimo concetto, dei tentativi da parte di
alcuni autori che intendono metterci in guardia dall’utopia stessa; anzi,
autori come Huxley e Berdjaev insistono sulla pericolosità della realizzazione
materiale, concreta, delle utopie; ma è simbolico il fatto che proprio Huxley
qualche tempo dopo si dedica alla descrizione di una utopia. Esempi di celebri
distopie del novecento: Evgenij Zamjatin “Noi” (1922), Aldous Huxley
“Il Mondo Nuovo” (1932), George Orwell “1984” (1984).
EDONISMO
E’ una dottrina che afferma che il bene è il
piacere e che il piacere è il criterio della scelta morale. Può essere
attribuito, per certi aspetti, ai sofisti e in modo più compiuto ai cireanici e
agli epicurei. La dottrina viene ripresa da autori neoepicurei della prima età
moderna, quali L. Valla, P. Gassendi, M. Montaigne. Un presupposto psicologico
edonista sta alla base di dottrine etiche più complesse, come il
convenzionalismo di T. Hobbers o certe forme di utilitarismo in primo luogo
quello di J. Bentham.
EPISTEMOLOGIA
Etimologicamente deriva dalle parole greche ἐπιστήμη (scienza) e λόγος (discorso) con cui si indica quella parte
della Teoria Generale della Conoscenza che si occupa della filosofia della
scienza, cioè dei fondamenti, della natura, dei limiti e della validità del
sapere scientifico, sia delle scienze esatte (logica e matematica) che delle
scienze empiriche (fisica, chimica, psicologia, sociologia etc.) .
EPOCHE’
Termine greco con cui si indica la sospensione
dell’assenso. Di fronte ad una sensazione, gli Stoici dicono che si pià dare
l’assenso, negarlo oppure sospenderlo: da qui prendono le mosse gli Scettici.
E’ da loro usato per designare la condizione di dubbio o incertezza, derivante
dal “peso uguale delle tesi” che si contrappongono in una discussione
in opposizione all’atteggiamento assertorio dei dogmatici. Nel pensiero
contemporaneo il termine viene ripreso da E. Husserl: l’epoché o
“riduzione” consiste nel “sospendere” o “mettere tra
parentesi” le credenze quotidiane per poter cogliere i modi essenziali del
reale. A differenza di quella scettica, l’epoché fenomenologia non intende
mettere in dubbio il mondo esterno, semplicemente non vuole farne alcun uso in
sede di ricerca speculativa. Anche in Heidegger il termine ritorna, ma con un
nuovo significato: ogni “epoca” è diversa dalle altre perché in ogni
epoca l’essere si manifesta diversamente, rimanendo in sospeso (epoch) tra l’uscir fuori e il restar nascosto.
ESPERIMENTO
Evento ripetibile messo in atto da un osservatore
allo scopo di controllare una teoria o un’ipotesi scientifica. Nel pensiero
antico medievale gli esperimenti sono rarissimi. La sperimentazione inizia a
svolgere una funzione importante nella costruzione del sapere solo alla fine
del sec XVI. Francesco Bacone nella sua filosofia esalta il ruolo dell’esperimento
nella produzione di conoscenza. Decisiva è l’azione di Galilei, per il quale
l’esperimento assume procedure rigorose e predeterminate che permettono un
controllo numerico di ipotesi quantitative. Quando tutti i fattori di disturbo
non possono essere eliminati concretamente, Galilei ricorre a
“ideali” pratiche di laboratorio immaginate, i cui risultati sono
ottenuti attraverso il ragionamento. Dalle ricerche sperimentali di Newton
sulla natura della luce in poi lo sperimentalismo diviene un indirizzo di
enorme rilievo, da molti identificato con il metodo scientifico nel suo
complesso. Nel positivismo l’esperimento diviene la sola fonte lecita di
conoscenza, in quanto fondamento oggettivo e indubitabile per la scienza: i
“fatti sperimentali” sono contrapposti alle ipotesi, alle
teorizzazioni, considerate incerte e soggettive. La critica del
convenzionalismo ha tuttavia dimostrato che in ogni esperimento intervengono
inevitabilmente presupposti ipotetici, convinzioni teoriche, e dunque è
sbagliato considerare l’esperimento come contrapposto alla teorizzazione.
ESPIAZIONE
L’effetto curativo della
pena. Platone considerò l’espiazione come il mezzo per guarire l’anima dalle
sue proprie malattie; e ritenne che come l’economia libera dalla povertà e la
medicina dalla malattia, così la giustizia libera dall’intemperanza e
dall’ingiustizia (Gorgia, 478 a).
ESPLICITO
Espresso o chiaramente
espresso. “Rendere esplicito” (o anche talvolta
“esplicitare”) il significato di un termine o di una proposizione:
esprimerlo o riesprimerlo più chiaramente. Il termine opposto
“implicito” significa quindi ciò che non è espresso, ma soltanto
suggerito; o non è espresso chiaramente.
ESPONIBILE
Nella Logica medievale
“exponibilia” erano proposizioni oscure a causa del fatto che pur
avendo la forma grammaticale di proposizioni semplici, in realtà celano una
composizione, la cui analisi (expositio) ne risolve l’oscurità. In Kant
“esposizione” conserva un senso analogo ma più specifico, di
proposizione consistente di un’affermazione con una negazione celata che
l’esposizione rende evidente (Logica).
ESPOSIZIONE
1. L’analisi di un concetto o il suo
chiarimento. Kant chiama l’ E.trascendentale“la
definizione di un concetto come principio dal quale si possa scorgere la
possibilità di conoscenze sintetiche a priori” (Critica R.
Pura). In questo senso, l’esposizionetrascendentale del concetto di
spazio mostrerà la possibilità delle conoscenze a priori che
possono discendere da tale concetto, cioè la possibilità della geometria.
2. Nella logica terministica
medievale, è la prova di un sillogismo di terza figura mediante un sillogismo
della stessa figura nel quale un termine medio singolare fa la funzione che nel
primo era fatta da un termine medio comune. Per es., il sillogismo “Qualche
uomo è dotato di virtù, Ogni uomo è animale, Qualche animale è dotato di
virtù” può essere esposto così: “Socrate è dotato di virtù,
Socrate è animale, Qualche animale è dotato di virtù” (Ockham, Summa
Log.; Jungius, Log.)
ESSENZIALE
Questo aggettivo riveste,
oltre ai due significati relativi ad essenza, quello più comune e generico di
” importante”. Tale è il significato del termine in espressioni come
“carattere essenziale”, “qualità essenziale”, ecc., che il
più delle volte non fanno riferimento ai significati specifici di
“essenza” ma intendono solo sottolineare l’importanza che un
carattere, una qualità, ecc., possiede da un certo punto di vista.
ESSENZIALISMO
Popper ha chiamato
“essenzialismo metodologico” “la corrente di pensiero introdotta
e difesa da Aristotele, la quale sostiene che la ricerca scientifica deve
penetrare sino all’essenza delle cose per poterle spiegare”.
ETERNO RITORNO
Concezione elaborata dagli Stoici e ripresa da
Nietzsche: è l’idea che nega il procedere del tempo in modo lineare verso un
fine, per affermare invece la pienezza di ogni suo attimo, che è in sé carico
di senso: questa idea porta l’uomo a “dire di sì alla vita” così
com’è, in eterna ripetizione.
FALSIFICABILITA’
Nella filosofia di Popper, è la caratteristica per
cui le teorie sono valide solo fino alla loro smentita, devono essere cioè
falsificabili. “le teorie non sono mai verificate empiricamente”,
giacché non è possibile desumere asserzioni universali dall’osservazione di
singoli fatti, per essere provata scientificamente, una teoria deve essere
controllabile di principio, cioè deve essere tale che si possano derivare da
essa asserti, che si possono controllare nei fatti, cioè che si possono
dimostrare falsi.
FENOMENO
Dal greco φαίνομαι, “appaio”, il fenomeno è un concetto tipico della
filosofia kantiana: è infatti l’oggetto dell’esperienza sensibile, concluso
mediante le forme a priori della sensibilità (spazio e tempo) e dell’intelletto
(le 12 categorie). L’uomo non può percepire le cose come esse sono in sè, ma le
percepisce come appaiono a lui, ovvero fenomenicamente.
FILOSOFIA
letteralmente “amore per la conoscenza”
(in greco φίλος = amore, σοφία = conoscenza). Inizialmente il termine è
stato utilizzato come aggettivo: filosofoV = amico della filosofia (vedi Eraclito e Pitagora). Solo in
seguito designerà un modo di pensare e non solo una qualità. I Greci sono stati
i primi autori di filosofia, coloro che hanno “creato” il modo di
pensare filosofico, i primi impegnati in un’indagine critica e razionale sull’uomo
e la natura che lo circonda. Gli orientalisti però sottolineano come nelle
civiltà pre-greche ci fossero già le più grandi filosofie religiose come la
corrente dell’Induismo, Buddismo, Taoismo, Confucianesimo. Per concludere, la
filosofia greca si concentra sulla conoscenza della natura e delle sue forze;
la speculazione orientale si concentra su problemi esistenziali e religiosi.
FORZE
PRODUTTIVE
Concetto tipicamente marxista, le forze produttive
sono costituite dai lavoratori che producono, il modo nel quale producono e i
mezzi di cui si servono. Nella società capitalistica i lavoratori sono i
salariati, il modo di produzione è industriale e i mezzi di produzione sono
prevalentemente i nuovi macchinari resi disponibili all’interno delle fabbriche.
GIUDIZIO
La facoltà del giudizio è, nella filosofia
kantiana, la forza che pensa il particolare quale contenuto dell’universale e
così facendo giudica. Il giudizio può essere determinante, sussumendo il
particolare sotto una legge a priori (giudizio conoscitivo o morale), o
riflettente, se dal particolare accede all’universale (giudizio estetico o
finalistico). In altri termini, il giudizio determinante determina l’oggetto,
mentre quello riflettente riflette ed esprime giudizi di gusto sull’oggetto
determinato in precedenza.
IDEA
Il termine deriva dal greco εἶδος, traducibile con forma, figura, aspetto.
A differenza del significato assunto in epoca moderna, ovvero di contenuto
della mente e risultato del pensiero (così è appunto da Cartesio in poi),
nell’antichità era considerata (da Platone) un’entità perfetta e immutabile, di
carattere divino, e con esistenza propria, quindi non era generata
dall’intelletto. Il concetto di idea è stato introdotto da Platone, secondo il
quale tutto ciò che appartiene al mondo delle cose sensibili è un tentativo di
imitazione delle idee, immutabili, eterne e perfette (corrispondenti al vero
essere). Queste infatti sarebbero “paradigma” di tutti gli oggetti o
le azioni. Le idee di Platone vivono in un mondo a parte, detto Mondo delle
Idee o Iperuranio e inoltre, nel dualismo gnoseologico platonico corrispondono
all’episthmh, cioè la conoscenza immutabile e perfetta. Le idee
esistono secondo Platone indipendentemente dall’essere pensate. Plotino,
invece, farà un passo avanti: esistono nella misura in cui sono pensate da Dio.
Per noi moderni, invece, le idee esistono se e quando le pensiamo noi.
IMPERATIVO
Dal latino impero “comando”, è,
nell’ambito della filosofia kantiana, un’espressione della necessità oggettiva
di un’azione. L’imperativo categorico è il comando incondizionato della legge
morale che ha in se stesso il proprio fine. L’imperativo ipotetico è un comando
relativo ai mezzi da utilizzare per ottenere un determinato scopo.
INDUZIONE
E’ il risalire da casi singoli all’universale (è il
contrario della deduzione). Una o più affermazioni (dette premesse) ne
implicano induttivamente un’altra (detta conclusione) se la verità delle prime
rende più o meno probabile che quest’ultima sia vera . L’inferenza da
“nessun cane che io conosca è vizioso” a “assolutamente nessun
cane è vizioso” è un’inferenza induttiva perché la verità della prima
affermazione rende probabile che la seconda sia vera ma non lo garantisce. A
dubitare in qualche modo della validità dell’induzione saranno Bacone e,
successivamente, Mill; nel ‘900, Popper le negherà ogni valore.
INTELLETTUALISMO ETICO
La
filosofia di Socrate si basava sui due cosiddetti “paradossi
socratici”, ovvero che il bene era conoscenza (e il male ignoranza) e che
chi conosceva il bene non poteva commettere il male. Queste sue posizioni sono
state definite intellettualismo etico, ma è un termine che va rivalutato.
Infatti Socrate non intendeva proclamare la supremazia della ragione astratta e
teorica sulle emozioni e sulla volontà, ma semplicemente dire che la conoscenza
ha un orientamento pratico ed esistenziale, e ciò implica un’educazione ad
agire correttamente. Socrate intende che la filosofia è quasi uno stile di vita
e che col ragionamento si può giungere a trovare la giusta strada e soluzione.
IO PENSO
E’, nella filosofia di Kant, la funzione
trascendentale in grado di unificare i dati della sensibilità e
dell’intelletto. Ancor prima che sull’oggetto percepito operino le 12
categorie, l’Io penso già ha operato riconducendo le varie componenti
dell’oggetto sotto quell’unico denominatore che mi permette di dire che sono
mie percezioni.
IPERURANIO
Termine introdotto
da Platone nel “Fedro”, deriva dal greco uper(oltre),
eouranoV (cielo).
Nella filosofia platonica, designa il mitico luogo al di là del cielo e delle
cose sensibili, dove si trovano le idee eterne e perfette. E’ impossibile
descrivere in modo esatto e degno questo luogo, in quanto può essere raggiunto
solo dall’anima, che avendo la stessa natura divina delle idee, comprende la
loro perfezione. Questo posto è abitato solo dalla conoscenza vera e pura. E’
nell’iperuranio che risiedono le idee ed è lì che si spingono le anime
disincarnate dai corpi, salvo poi ricadere in altri corpi.
IPOTESI
In epistemologia, indica la premessa non
necessariamente vera di una dimostrazione. Newton usa dapprima il termine
ipotesi per designare sia i ” principi”, cioè gli enunciati riguardo
alle “vere cause” dei fenomeni ancora bisognosi di prova, sia
congetture assai dubitabili scambiate per verità incontestabili. Il suo famoso
detto “hypotheses non fingo” (non invento ipotesi) vuole escludere,
in quanto prematura, l’introduzione di congetture sulle proprietà ultime che
stanno alla base della gravitazione. La rinuncia alle “ipotesi” non
vuole quindi rappresentare la scienza come accumulazione di fatti empirici
senza formulazione “ipotetica” di leggi generali, ma intende
respingere tutte quelle costruzioni arbitrarie, prive di rapporti con i
fenomeni reali.
IRONIA
In generale l’atteggiamento che consiste nel dare
un’importanza assai minore del giusto (o di quella che si ritiene tale) a se stessi
o alla propria condizione o situazione o a cose o persone che hanno stretto
rapporto con se stessi. La storia della filosofia conosce due forme
fondamentali d’Ironia: 1° l’Ironia socratica; 2° l’Ironia romantica. 1°
L’Ironia socratica è la sottovalutazione che Socrate fa di se stesso nei
confronti degli avversari con cui discute. Quando nella discussione sulla
giustizia Socrate dichiara: “Io ritengo che l’indagine è al di là delle
nostre possibilità e che voi che siete bravi dovete aver pietà di noi piuttosto
che arrabbiarvi con noi”, Trasimaco risponde:” Ecco la solita I. di
Socrate ” (Rep., I, 336 e-337 a). Aristotele non fa che enunciare
genericamente questo atteggiamento socratico quando vede nell’I. uno degli
estremi nell’atteggiamento di fronte alla verità. Il veritiero è nel giusto
mezzo; chi esagera la verità è il millantatore e chi invece tenta di diminuirla
è l’ironico. L’I., dice Aristotele, è, sotto questo aspetto, simulazione (Et.
Nic., II, 7, 1108 a 22). Cicerone si rifaceva a questo concetto affermando che
“Socrate spesso nella disputa abbassava se stesso ed alzava coloro che
voleva confutare; e così, parlando diversamente da come pensava, adoperava
volentieri quella simulazione che i Greci chiamano I.” (Acad., IV, 5, 15).
E a questo concetto del termine faceva riferimento S. Tommaso che la esamina
come un forma (lecita) di menzogna (S. Th., II, 2, q. 113, a. 1). 2° L’Ironia
romantica poggia sul presupposto dell’attività creatrice dell’Io assoluto.
Identificandosi con l’Io assoluto, il filosofo o il poeta (che molto spesso
coincidono, per i Romantici) è portato a considerare ogni realtà più salda come
un’ombra o un gioco dell’Io: è portato cioè a sottovalutare l’importanza della
realtà, a non prenderla sul serio. Secondo Federico Schlegel, l’I. è la libertà
assoluta di fronte a qualsiasi realtà o fatto. “Trasferirsi
arbitrariamente ora in questa ora in quella sfera come in un altro mondo, non
solo con l’intelletto e con l’immaginazione ma con tutta l’anima; rinunciare
liberamente ora a questa ora a quella parte del proprio essere, e limitarsi
completamente a un’altra; cercare e trovare il proprio uno e tutto ora in
questo, ora in quell’individuo e dimenticare volutamente tutti gli altri:
questo può solo uno spirito che contiene in sé come una pluralità di spiriti e
tutto quanto un sistema di persone, e nel cui intimo l’universo che, come si
dice, è in germe in ogni mondo, s’è dispiegato ed è pervenuto alla sua
maturità” (Fragmente, 1798, § 121). Queste notazioni sull’I. trovarono una
sistemazione concettuale nell’opera di C. G. F. Solger, Erwin (1815) nella
quale l’I. veniva interpretata dal punto di vista della soggettività che
comprende se stessa come cosa suprema e che perciò abbassa a un puro nulla
tutte le altre cose, anche ciò che c’è di più alto. Pur polemizzando contro
qualche particolare, definito ” platonico ” della dottrina di Solger,
Hegel la faceva sua nel descrivere l’I. nel modo seguente: “Prendete una
legge, e schiettamente qual è in sé e per sé: io ne sono perciò anche al di là
e posso fare così e così. Non la cosa è superiore, ma sono io superiore e sono
il padrone, che al di sopra della legge e della cosa, scherza con esse come con
il suo piacere e in questa coscienza ironica, nella quale lascio perire il
Sommo, godo soltanto di me ” (Fil. del dir., § 140). L’I. così intesa,
come coscienza della Soggettività assoluta, la quale, come tale, è tutto e di
fronte alla quale perciò tutte le altre cose sono nulla e pertanto come
coscienza dell’assoluto arbitrio di tale soggettività è, secondo Hegel, un
risultato della filosofia di Fichte quale è stata intesa e interpretata da
Federico Schlegel (FU. del dir., § 140, Zusatz). “Qui il soggetto si sa in
sé medesimo come l’Assoluto e non da alcun peso a tutto il resto: esso sa
distruggere sempre di nuovo tutte le determinazioni che esso stesso si dà del
giusto e del bene. Esso può dare a intendere a sé ogni cosa ma non mostra altro
che vanità, ipocrisia, sfrontatezza. L’I. sa di dominare qualsiasi contenuto:
essa non prende nulla sul serio, scherza con tutte le forme ” (Geschichte
der Phil., III, sez. 3, C, 3; trad. ital.. III, 2, pag. 370-71). Quel concetto
è rimasto a contrassegnare uno degli aspetti fondamentali del romanticismo
tedesco. Di esso Kierkegaard ha dato un’interpretazione attenuata o metaforica,
da un lato concependo l’I. socratica come la superiorità di Socrate sopra la
nequizia del mondo (Diario, X3, A, 254); dall’altro lato intendendo in generale
l’I. come “l’infinitizzazione dell’interiorità dell’io” ma come
infinitizzazione ” interiore “, in un significato che non ha più la
portata che Fichte attribuiva all’infinità stessa. “Cos’è l’I.? egli
scrive. L’unità di passione etica, che accentua in interiorità il proprio io
infinitamente, e di educazione la quale nel suo esteriore (nel commercio con
gli uomini) astrae infinitamente dal proprio io. L’astrazione fa sì che nessuno
s’accorga della prima unità vissuta ed in ciò sta l’arte per la vera
infinitizzazione dell’interiorità” (Diario, VI, A, 38, trad. Fabro).
Poiché l’infinità dell’io è qui soltanto un’infinità ” interiore “,
cioè l’accentuazione all’infinito del valore dell’io nella coscienza, ma non è
l’infinità effettiva e creativa dell’Io assoluto dei romantici, l’I. non ha più
il suo significato romantico: è solo il contrasto tra la coscienza esaltata che
l’io ha di sé e la modestia delle sue manifestazioni esterne.
LOGOS
Il termine deriva dal greco λέγειν, che significa
“raccogliere”, “contare” o anche “trascegliere” e
in greco classico “raccontare”, “parlare”. Lógos, indica il
mondo dell’intelligenza o della conoscenza intellettiva; è, infatti, sia
l’intelligenza (nella sua valenza intuitiva, cioè come intelletto, e nella sua
valenza discorsiva, cioè come ragione), sia l’oggetto dell’intelligenza (il
concetto, il giudizio e il ragionamento), sia l’espressione dell’oggetto
dell’intelligenza (la parola o il termine, la proposizione, l’argomentazione e,
in generale, il discorso).
MAIEUTICA
In
greco τέχνη μαιευτική, “arte della
levatrice”. Socrate si paragonava alla madre Fenarete, che operava come
ostetrica, identificandosi con colui che fa “partorire” la verità
agli uomini: ciascuno di noi è gravido della verità e Socrate si propone di
farcela partorire. Sosteneva infatti che essa fosse nascosta nell’animo di
ognuno e che, attraverso domande e risposte opportune, sarebbe venuta fuori.
Socrate credeva di essere investito della missione divina di aiutare l’uomo
onesto a conoscere se stesso. Se infatti si è a conoscenza di ciò che è bene,
non si può commettere il male.
MATERIA-FORMA
Si tratta di una coppia di concetti relativi,
perché la materia è il principio di indeterminazione, il sostrato comune che
viene organizzato e strutturato dal principio di determinatezza, o forma. La
forma non è una sostanza separata (come le idee platoniche), ma è l’essenza
intrinseca, la sostanza fondamentale delle cose sensibili. La coppia
materia-forma traduce, a livello fisico, la dottrina metafisica della potenza e
dell’atto.
METAFISICA
Dal greco τὰ μετὰ τὰ φυσικά, “le cose al di là delle cose fisiche”: il
termine fu coniato nell’antichità per indicare i libri aristotelici che nel
corpus delle sue opere venivano dopo quelli concernenti la filosofia della
natura (fisica) oppure le questioni riguardanti ciò che va oltre quest’ambito.
Nella filosofia moderna esso è usato nel senso (anch’esso aristotelico) di
“scienza prima”, di disciplina filosofica fondamentale che sta alla
base di ogni altra ricerca. In questo senso la metafisica può significare due
cose: per un verso essa continua a indicare la ricerca filosofica sui princìpi
costitutivi della realtà e dell’essere; per altro verso può indicare la ricerca
preliminare sulle possibilità della conoscenza e sulla struttura generale del
sapere: quest’uso riceve la sua formulazione più chiara in Kant, per il quale
la metafisica è lo studio di quei princìpi (da Kant chiamate “forme”)
che, essendo intrinseci alla costituzione stessa della mente umana,
condizionano ogni forma di conoscenza. Con Hegel la metafisica torna ad essere
scienza della realtà e, poichè quest’ultima coincide con la razionalità, per
lui metafisica e logica coincidono. Il valore ontologico della metafisica viene
recuperato anche da Bergson seguendo però la strada opposta: egli svincola la
metafisica da ogni fondamento intellettuale/razionale e vede nell’intuizione
l’unica facoltà conoscitiva adatta a penetrarne i problemi. Heidegger ha
dapprima concepito la metafisica come ontologia, volta a chiarire il problema
del senso dell’essere a partire da quell’ente particolare che è l’esserci, per
il quale è costitutivo porsi questo problema. In seguito, egli ha considerato
la metafisica come il contrassegno di un’epoca che va da Platone fino a
Nietzsche ed è caratterizzata dall’oblìo dell’essere: ciò è dovuto al fatto che
la metafisica pensa l’essere alla stregua di un ente, cioè come un qualcosa di
presente e, quindi, di controllabile e dominabile; ma in tal modo smarrisce la
verità dell’essere, che è disvelamento, ossia manifestarsi, ma insieme anche
sempre nascondersi nel corso del tempo. Nell’ambito del neoempirismo, per
esempio da parte di Carnap, la metafisica è invece intesa come un insieme di
proposizione prive di significato, in quanto non riconducibili nè a tautologie
nè ad asserzioni empiriche verificabili.
METEMPSICOSI
Credenza nella trasmigrazione dell’anima da un
corpo all’altro in esistenze che si succedono nel tempo. Il termine significa,
letteralmente, “passaggio dell’anima” (dal greco μετά e ψυχή) e designa una dottrina
assai diffusa nell’antichità greca e orientale. La metempsicosi è elemento
essenziale dell’Orfismo ed è oggetto dell’insegnamento di Pitagora. Anche
Empedocle ne parla nelle Purificazioni , mentre in Platone se ne trovano
ben due diverse interpretazioni come destino dell’anima per eccessivo
attaccamento alla vita corporea (nel Fedone ) e come prospettiva propria
di tutte le anime che, terminato il ciclo millenario della vita ultraterrena,
devono tornare ad incarnarsi (nella Repubblica , mito di Er). In età
rinascimentale, sulle orme di Bruno e di Telesio, molti pensatori
reinterpretano la metempsicosi come principio della filosofia naturale.
L’induismo e il buddhismosi fondano su di essa.
MISERIA
DELLO STORICISMO
Titolo di un’opera di Popper ed espressione chiave
della sua filosofia, della storia; lo storicismo nasconde una metafisica
infondata, che presuppone in senso univoco e oggettivo delle vicende storiche e
implica una concezione deterministica e totalitaria della realtà umana, come
fosse governata da leggi fisse e invariabili, mentre si danno soltanto tendenze
storiche interpretabili esclusivamente in base a ipotesi soggettive e
variabili.
MONADE
Termine greco (da μόνος, “solo”) indicante l’unità da cui si originano
i numeri e le cose. Talora fu usato per designare il principio divino come
unità suprema. Leibniz lo usa per indicare l’atomo di forza (giacchè quello
materiale a suo avviso è inconcepibile), ovvero la sostanza individuale che sta
alla base della sua metafisica pluralistica.
MORALE
Etimologicamente deriva dal latino
“(philosophia) moralis” col quale Cicerone tradusse il termine greco τὰ ἠθικά. Entrambi questi termini
si riferiscono ai costumi, alle abitudini: in generale ai comportamenti umani ed
in particolare alle regole di condotta e alla loro giustificazione. Cioè
innanzitutto la Morale appare come il sistema delle regole che l’uomo segue (o
deve seguire) nella sua vita tanto personale quanto sociale. Hegel distingue
tra “morale” ed “etica”: la morale (che trova in Kant il
suo campione) è qualcosa di interno, a livello di coscienza; l’etica, invece,
(che Hegel di gran lunga preferisce) è qualcosa di più esterno, che implica il
comportamento contestualizzato nella collettività.
NECESSITA’
Dal latino necessitas , è la
“modalità” contrapposta alla possibilità. Necessario è ciò che non
può non essere o ciò che non può essere (in questo senso coincide con
l’impossibile). Leibniz distingue tre generi di necessità: 1)la necessità geometrica
(o logica) stabilisce una connessione ineludibile tra antecedente e conseguente
sulla base del principio di non contraddizione: così, necessario è ciò che è
vero in tutti i mondi possibili; 2)la necessità fisica costituisce l’ordine
immutabile della natura; 3)la necessità morale discende dal dovere di scegliere
il meglio (cioè è ciò che fonda l’obbligazione morale). Anche Wolff e Kant
riprendono, con poche varianti, questa distinzione; per Hegel, invece, la
necessità caratterizza la dialettica e, pertanto, investe tanto la realtà
quanto il pensiero: tutto ciò che è razionale è reale, e quindi necessario.
Secondo Wittgenstein esiste propriamente solo la necessità logica, quale è
esibita dalle tautologie e dalle contraddizioni, che sono rispettivamente
sempre vere e sempre false, a differenza delle asserzioni empiriche (come
quelle delle teorie fisiche) le quali sono contingenti e possono essere vere o
false. A partire da Carnap è stata ripescata la nozione leibniziana di
necessità come verità in tutti i mondi possibili.
NICHILISMO
Il “nichilismo europeo” è, nella
filosofia di Nietzsche, la svalutazione di tutti i valori operata dalla morale
cristiana, che si è proposta e diffusa per secoli come l’unica interpretazione
del mondo, terminando con il privarlo di ogni fine e di ogni valore vitali,
riducendolo a nulla e decadenza. A questo nichilismo passivo e decadente
Nietzsche contrappone il nichilismo attivo che smaschera i valori della
tradizione e ne annuncia di nuovi. L’idea del nichilismo si afferma per la
prima volta con l’opera “Padri e figli” di Turgenev e trova in
Nietzsche la sua più completa trasposizione.
NOUMENO
Dal greco νοούμενoν, “pensato”, è nella filosofia di Kant l’oggetto com’è
nella sua integralità e come tale inconoscibile dall’intelletto umano,
strutturalmente vincolato all’apparenza fenomenica dell’oggetto nella
rappresentazione intellettuale. L’uomo non può conoscere le cose noumenicamente
(ovvero come esse sono in sé) ma solo fenomenicamente, ovvero come gli
appaiono.
OLISMO
Nell’interpretazione di Popper, l’olismo (dal greco
ὅλος, “tutto”) è la
concezione, da lui respinta nettamente, per la quale la realtà storico-sociale
viene intesa come un insieme che trascende la mera somma delle sue componenti
empirico-individuali. Per Quine il confronto con l’esperienza non può assumere
come unità minima di significato la singola proposizione, ma riguarda il
linguaggio nel suo complesso: in ciò consiste l’ olismo di Quine, secondo cui
le nostre conoscenze e le nostre credenze non sono pure somme di proposizioni,
ma sistemi più o meno organizzati.
ONTOLOGIA
Questo
termine letteralmente significa discorso sull’essere (dal greco τὸ ὄν = l’essere e λόγος = discorso). È
uno sviluppo della filosofia avvenuto grazie a Parmenide ed esattamente lo studio
dell’essere in quanto essere nei suoi caratteri universali. L’essere è, secondo
Parmenide, tutto ciò che esiste e che quindi è. Al contrario il non-essere non
è, cioè non esiste e non solo: è impensabile e indicibile. L’essere ha
caratteristiche precise: è uno, immutabile, immobile, finito (nella mentalità
era come dire perfetto), ingenerato (perché il passato è considerato cio che non
è più), imperituto (in quanto il futuro è visto come ciò che non è ancora)
ed eterno. L’essere non è. Platone però – nel “Sofista” – corregge
Parmenide, compiendone un “parricidio”: egli introduce il
“non-essere” nel senso di “essere diversamente”, cosicchè
sarà possibile dire “la penna non è il libro” non nel senso che la
penna è il non essere, ma nel senso che essa è diversa dal libro. Ancora
Aristotele, confuta Parmenide, aggirando le sue prescrizioni, attraverso la
coppia di nozioni “atto” e “potenza”, il non essere come
“non essere ancora”. Nel Novecento, è Heidegger a riaccostarsi al
problema ontologico, caduto per secoli nell’oblio: ponendo in esergo ad
“Essere e Tempo” un’espressione del Sofista platonico, egli nota come
tutti siamo certi di sapere cosa significhi “essente” ma di fatto non
lo sappiamo. Siamo erroneamente convinti che i singoli enti siano l’essere,
quando in realtà essi sono solo enti (la differenza ontologica: gli enti sono
enti, e non l’essere).
ORGANISMO
Dal greco organon , “strumento”: designa il corpo vivente contrapposto
a ciò che non ha vita propria. Nella filosofia moderna si distinguono due
concezioni dell’organismo: la prima, divulgata da Cartesio, riconduce
l’organismo ad una macchina e spiega in termini di rigorosa causalità meccanica
il movimento, la crescita, la riproduzione e, in generale, tutte le attività
dell’organismo. La seconda concezione, introdotta da Kant, ritiene invece che
la nozione di organismo, irriducibile alla categoria della causalità meccanica
(anche un organismo semplicissimo come un verme non può essere spiegato con la
causalità, dice Kant), possa essere compresa solo facendo riferimento al
concetto di fine, cioè intendendo l’organismo come un essere fornito di un
principio e uno scopo interno che presiede al suo sviluppo e alla sua
riproduzione. Questa concezione viene ripresa da Schelling e dai Romantici,
estendendo tuttavia la concezione organicistica dall’ambito naturale alla
realtà intera, compresa la sfera politica: per Hegel (e per i Fascisti),
perfino lo Stato è una sorta di organismo pulsante in cui i singoli individui,
se non inquadrati nel tutto, perdono di significato. Nella filosofia
contemporanea il concetto di organismo o la metafora bio-organica sono spesso
utilizzati sia nell’ambito dell’evoluzionismo, sia nelle interpretazioni
vitalistiche della realtà in generale (per Bergson la realtà ha carattere organico
perchè è il risultato di quello che lui chiama “slancio vitale”) e di
quella sociale in particolare (Splenger assimila le diverse civiltà ad
organismi biologici).
PANTEISMO
Dal greco πάν + θεῖον, “tutto divino”: termine coniato nell’ambito della discussione
sul deismo per indicare la concezione che identifica Dio e il mondo; per i
panteisti Dio non è un qualcosa di trascendente, ma è, al contrario, qualcosa
che permea il mondo dal di dentro. Sostenuto in modo pienamente esplicito solo
in età postmedioevale (sebbene già Plotino avesse aperto spiragli in quella
direzione) ha avuto come rappresentanti più noti Giordano Bruno, Spinoza ( Deus
sive natura , “Dio ovvero la natura”), gli idealisti (in
particolare Hegel, mentre Fichte e soprattutto Schelling se ne allontanarono
per riapprodare a una visione teistica).
PENSIERO
DEBOLE
Si tratta di un concetto emerso nella seconda metà
del Novecento e reso celebre dalla filosofia del pensatore torinese Gianni
Vattimo, per il quale il passaggio dal moderno al post-moderno si configura
come un passaggio da un pensiero forte ad un pensiero debole. Per pensiero
forte (o metafisico) Vattimo intende un pensiero che parla in nome della
verità, dell’unità e della totalità, ossia un tipo di pensiero illusoriamente proteso
a fornire “fondazioni” assolute del conoscere e dell’agire. Per
pensiero debole (o post-metafisico) intende un tipo di pensiero che rifiuta le
categorie forti e le fondazioni ultime: ” la debolezza del pensiero nei
confronti del mondo, e dunque anche della società è probabilmente solo un
aspetto della impasse in cui il pensiero si è venuto a trovare alla fine della
sua avventura metafisica. Ciò che conta adesso è ripensare il senso di quella
avventura ed esplorare le vie per andare oltre: appunto, attraverso la
negazione […] dei tratti metafisici del pensiero, prima fra tutti la
“forza” che esso ha sempre creduto di doversi attribuire in nome del
suo accesso privilegiato all’essere come fondamento ” (“Il pensiero
debole”). Con la fine dei “pensieri forti” (il marxismo, il
cattolicesimo della Verità assoluta, l’illuminismo) si dissolve la certezza che
la verità sia una e che chi la possiede sia autorizzato ad imporla agli altri:
nella mancanza di una verità unica e nel proliferare di tante verità, si attua
un processo emancipativo che dà voce anche a chi è sempre stato tacciato (neri,
donne, omosessuali).
PERCEZIONE
ESTETICA
In ambito estetico, la percezione s’intende
radicata in criteri dotati di valore proprio, determinato dalla cultura
dell’epoca, e legati, come voleva Kant, alla facoltà dell’immaginazione. Questa
forma di percezione non riflette solo un passato, ma tende essa stessa a
diventare creazione di valori.
PESSIMISMO
E’ la credenza secondo cui nel mondo il male
prevale sul bene. Esso risale alla discussione conseguente al terremoto di
Lisbona (1755) e alla polemica contro l’ottimismo leibniziano (Leibniz diceva
che ” viviamo nel migliore dei mondi possibili “): il
principale esponente del pessimismo nell’era dell’illuminismo fu Voltaire, che
alla concezione leibniziana, contrappose quella secondo cui ” viviamo
nel peggiore dei mondi possibili “. Nell’Ottocento il pessimismo fu
strenuamente difeso da Schopenhauer, in contrapposizione all’esasperato
ottimismo di Hegel (secondo cui tutto ciò che avviene è giusto che avvenga,
perchè espressione di una razionalità profonda). Schopenhauer sostiene che il
mondo è governato da una volontà irrazionale e fortemente negativa (si è
parlato di pandemonismo schopenhaueriano); anche Leopardi si fa latore di
posizioni anti-ottimistiche, facendo però notare che il male non è insito nel
mondo, ma nella condizione umana. Nella filosofia novecentesca, alcuni
pensatori hanno rifiutato tanto il pessimismo quanto l’ottimismo, sostituendoli
col il “migliorismo”, secondo cui il miglioramento del mondo è una
possibilità che dipende dall’impegno dei singoli uomini.
PHUSIS
Dal greco φύσις,comunemente tradotto con “natura” nel pensiero
antico designa la totalità delle cose nella loro originaria generazione. I
presocratici creano il concetto filosofico di phýsis e per questo sono detti
anche “fisici”. Per essi la phýsis è il principio vitale della
totalità, delle cose che si generano e crescono. Con gli eleati l’orizzonte
della phýsis subisce una determinazione di tipo ontologico: il principio è
l’essere. Con Eraclito, Anassagora e Diogene di Apollonia la problematica della
phýsis si apre alle questioni connesse ai temi del lògos, dell’intelligenza e
della legalità del reale. Platone parla di phýsis riferendosi alle idee, cioè
all’essere intellegibile e metaempirico. Aristotele, fissando la distinzione
tra “filosofia prima” e “filosofia seconda”, definisce la
differenza tra l’ambito metafisico e quello fisico: la phýsis non designa più
la totalità del reale, ma l’ambito circoscritto della natura sensibile. Per gli
stoici la phýsis è anche lògos secondo una triplice valenza; è principio
fisico-teologico, fondamento dell’etica e principio di crescita. Per Plotino la
phýsis rientra nella produzione del mondo fisico da parte dell’Anima: deriva
dalla contemplazione produttiva dell’Anima ed è essa stessa contemplazione.
PLUSVALORE
Concetto tipicamente marxiano (espresso nel
“Capitale”): all’interno del ciclo economico del capitalismo, in cui
la produzione è finalizzata essenzialmente all’accumulazione di denaro, il
valore delle merci prodotte dal lavoratore è superiore a quello che gli viene
corrisposto in salario. Questa differenza di cui si appropria il capitalista
come profitto costituisce il plusvalore. L’operaio infatti produce 10x, ma in
busta paga si trova solo 5x, sicchè il capitalista ruba all’operaio 5x, ovvero
l’operaio lavora di più di quel che gli viene effettivamente retribuito: tale
lavoro in più è il pluslavoro e genera per il capitalista un plusvalore.
POTENZA-ATTO
E’ una coppia di concetti correlativi, perché la
potenza è l’essere nella sua condizione imperfetta, cioè come possibilità non
ancora realizzata che tende all’atto come il suo fine specifico. L’atto è la
forma perfetta di un ente che ha realizzato pienamente la propria potenza.
PREDESTINAZIONE
in teologia si indica la possibilità che Dio abbia
destinato alcuni uomini al Paradiso già dalla fondazione del mondo o prima
della loro nascita (quindi indipendentemente dal loro comportamento). È un concetto
ampiamente utilizzato dal Calvinismo, lontano dalla mentalità cattolica che si
fonda sul libero arbitrio (la salvezza eterna è concessa solo a color che
l’hanno meritata in seguito al loro corretto comportamento). Quest’ultima
concezione religiosa ha creato spesso dibattiti che hanno giocato sulle
contraddizioni che scaturiscono dalle attribuzioni che il cattolicesimo da a
Dio: onnipotente, (e quindi può decidere a suo piacimento in merito alla
salvezza o alla dannazione di un uomo, a prescindere dalla sua condotta
effettiva, conferendo la grazia?) infinitamente buono (cioè non può desiderare
il male, quindi non poteva creare un uomo capace di fare del male – si limita
la sua onnipotenza), onnisciente (che sa tutto, quindi a priori sapeva già che
cosa accadrà nel mondo nel momento stesso che l’ha creato). Il Calvinismo ha
risolto (almeno in parte) queste controversie ammettendo che una vita giusta
non necessariamente garantisce il Paradiso e che Dio, secondo il suo
insindacabile giudizio, è libero di concedere la grazia eterna. Questa
concezione ha spinto gli uomini a ricercare nel loro operato quotidiano
(successo lavorativo, capacità di vivere rettamente) i segni della loro
predestinazione, favorendo l’iniziativa professionale. (Si veda per es. “L’etica
protestante e lo spirito del capitalismo” di Weber).
PROGRAMMA
DI RICERCA METAFISICA
Nell’ultima filosofia di Popper, programma che
indica “la direzione in cui si possono trovare teorie della scienza
adeguatamente esplicative e rende possibile una valutazione della profondità di
una teoria”.
PROLETARIATO
E’ la classe dei lavoratori, tipica del modo di
produzione capitalistico; i proletari non posseggono i mezzi di produzione ì,
ma soltanto la propria forza lavoro, che il capitalista compera pagandola con
il salario. Si chiama proletariato perché la ricchezza dei suoi membri (i
proletari) si basa esclusivamente (oltre che sulla propria forza lavoro) sul
fatto di avere una prole da mandare a lavorare in fabbrica.
RAGIONE
Da Kant in poi, la ragione coglie l’infinito,
l’intelletto coglie il finito: la contrapposizione tra intelletto e ragione si
configura allora come contrapposizione tra finito e infinito. Se il puntare
all’infinito della ragione per Kant è del tutto illegittimo (poichè implica un
salto metafisico illegittimo agli occhi di Kant) , esso diventa legittimo per i
Romantici e, soprattutto, per Hegel: riconoscendo legittimo (a differenza di
Kant) il puntare all’infinito, la ragione sarà decisamente superiore rispetto
all’intelletto, il quale non si spinge oltre il finito.
RAPPORTI
DI PRODUZIONE
E’, nella filosofia marxiana, l’insieme dei
rapporti che costituiscono la struttura economica della società e
“corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze
produttive materiali”. I rapporti di produzione determinano anche le
rappresentazioni che gli uomini inseriti necessariamente in quei rapporti, si
fanno della realtà. Nella società medioevale le forze produttive si diedero
come organizzazione sociale (ovvero come rapporto di produzione) il servilismo;
tuttavia le forze di produzione migliorano a dismisura e finiscono per trovarsi
ingabbiate dai rapporti di produzione: ne consegue che occorre abbatterli per
crearne di nuovi. A questo è servita la Rivoluzione francese.
RETORICA
Il termine
significa “arte del corretto uso della parola”, e ciò si può capire
dalla radice greca -re che corrisponde in italiano al nostro dire. La
retorica era un’arte, e coloro che volevano ottenere successo nell’ambito
politico dovevano esserne padroni. Essa infatti consisteva nell’abilità di
trattare un qualunque argomento (specialmente di carattere politico e
umanistico) in modo da convincere chi ascoltava che la propria idea era giusta.
Quindi, al fine di giungere a questo punto, per esser bravi oratori era
necessario conoscere a fondo il lessico, la sintassi, la grammatica, ma anche
la fonetica e la mimica, che pur avendo un ruolo minore avevano la loro
importanza. La retorica, ad esempio, era essenziale ad Atene dove, a causa di
varie problematiche, molti cittadini venivano portati in tribunale. Qui, non
avendo la possibilità di essere rappresentati, dovevano sapere esporre le
proprie ragioni nel modo più convincente possibile e magari (usando
un’espressione sofista) “rendere forte il discorso debole”. Ad
Atene si assiste ad una straordinaria diffusione di scuole dell’arte
oratoria, tra le quali è bene ricordare quella del grande maestro Isocrate.
Quest’ultimo credeva vi fosse una speciale relazione tra pensiero e parola e
che “il parlare bene è per noi la prova più sicura del pensarebene“.
RISENTIMENTO
Nella filosofia di Nietzsche, è lo stato d’animo
dell’uomo che impotente a creare nuovi valori e ad affermarsi sulle sofferenze
della vita “dice di no” alla vita stessa asservendosi alla
“morale degli schiavi”, odiando ciò che non può essere o non può
avere e limitandosi, utilitaristicamente a difendere la qualità del
“gregge”.
SILLOGISMO
Dal greco συλλογισμός, “concatenazione di ragionamenti”, con Aristotele
designa la forma perfetta di deduzione, ” un discorso in cui, poste
talune cose, altre ne seguono di necessità “. Esso è composto di 3
proposizioni categoriche (costituite cioè di soggetto e predicato) e
precisamente di due premesse e una conclusione. In ciascuna delle due premesse
compare uno stesso termine (detto “medio”) il quale consente di
connettere gli altri due termini nella conclusione: “tutti gli animali
sono mortali, l’uomo è un animale, dunque l’uomo è mortale” ; il termine
medio è “animale”, che mi consente di allacciare tra loro le due
premesse per avere la conclusione. Nella prima premessa il termine medio funge
da soggetto, nella seconda da predicato. Se le premesse sono vere anche la
conclusione è necessariamente vera. Proprietà del sillogismo è infatti la
trasmissione della verità dalle premesse alla conclusione. Se il
“medio” fosse solo predicato o solo soggetto in tutte e due le
premesse non potremmo trarre conclusioni così semplici : se per esempio
avessimo queste due premesse “tutti i vegetali sono verdi ” e
“tutte le rane sono verdi” finiremmo per dire “tutte le rane
sono vegetali” : il medio (rane) è soggetto in tutte e due le proposizioni
. In questo caso teoricamente non lo si può neanche chiamare termine medio.
SOCIETA’ APERTA
I due modelli alternativi di convivenza umana,
secondo Popper, sono la società aperta e la società chiusa; la prima è una
società di tipo liberale e democratico, in cui sono “aperte” le
direzioni di ricerca intellettuale e sociale, la seconda è una società di tipo
autoritario e totalitario, governata da una legge o un potere assoluto: società
chiuse sono quelle delineate da Platone, Hegel e Marx, nemici del liberalismo e
della società aperta, pluralistica e libera.
SOGGETTO
Dal latino subiectum che traduce il greco ὑποκείμενον, ossia “ciò che soggiace”. Per Aristotele il soggetto è anzitutto
la materia come presupposto della forma e quindi ipostasi, substantia.
Ma soggetto è anche l’individuo come punto di supporto dei suoi attributi o
accidenti. Questa struttura ontologica trova un corrispettivo nella struttura
logica del giudizio laddove il soggetto è ciò di cui si predica qualcosa, non
potendo egli stesso mai diventare predicato di qualcos’altro. Dunque il
soggetto è ciò che permane alla base di ogni possibile predicazione. La filosofia scolastica fece propria questa
impostazione aristotelica, intendendo però l’ “essere soggettivo” come
ciò che designa l’esistenza reale, mentre l’ “essere oggettivo”
nomina l’esistenza delle cose nella mente. Queste premesse preparano la
rivoluzione soggettivistica della modernità che si inaugura con Cartesio.
Questi, da un lato resta fedele all’uso scolastico del termine soggetto come
sostanza, dall’altro apre la via al tema moderno del valore delle rappresentazioni.
Il “cogito”, come sostanza pensante, concepisce se stesso e il mondo
attraverso quegli attributi che sono le idee, il cui grado di evidenza e
il cui valore di verità diventano fondamentali. Attraverso Hobbes, Locke, Leibniz e Hume il
termine soggetto si identificherà sempre più con l’attività senziente e
pensante dell’io, e questo processo culminerà in Kant, per il quale il soggetto
è l’ “io penso” o coscienzatrascendentale,
mentre l’oggetto è la realtà in sé delle cose e del mondo. Nel successivo sviluppo idealistico da Fichte
a Hegel, da Croce fino a Husserl, la realtà oggettiva viene in vario modo
ricondotta o assimilata ad attività del soggetto o spirito, sicché
l’identificazione tra soggetto e coscienza pensante diviene il caposaldo della
filosofia, sia idealistica e spiritualistica che dell’empirismo positivistico,
che al soggetto trascendentale oppone il soggetto empirico della psicologia e
delle scienze umane. Recentemente però la preminenza del soggetto
e la sua identificazione con la coscienza sono state rifiutate: emblematico il decentramento
del soggetto di M. Foucault. Questi esiti sono stati preparati in parte
dalla critica marxista della coscienza come sovrastruttura ideologica, dalla
freudiana scoperta dell’inconscio, dalla linguistica e dall’etnologia
strutturali di Lévi Strauss e F. de Saussure. In questo caso il soggetto
diventa una specie di effetto-superficie, dominato da leggi e strutture ignote
alla coscienza. Ricordiamo
infine Nietzsche, che con il suo prospettivismo demolisce la sovranità
del cogito definendo soggetto e coscienza maschere di impulsi vitali più
profondi e Merleau-Ponty, che intreccia in un’unità ambigua e irresolubile
mondo e coscienza.
SOVRASTRUTTURA
Tipica della filosofia marxista: è costituita dai
rapporti giuridici delle dottrine politiche- ma anche dalla dottrine
filosofiche, etiche, religiose, estetiche – che si sviluppano in una struttura
economica, di cui esprimono i rapporti di produzione e le corrispondenti forme
della coscienza sociale.
SPIRITO
E’, in Hegel, l’assoluto, presente nelle varie
manifestazioni storiche della vita. Non è un ente a sé stante, trascendente, ma
il principio della razionalità delle cose o, in altri termini, il graduale
auto-comprendersi della realtà di cui fa parte e costituisce la coscienza.
STRUTTURA
Concetto marxiano, la struttura è costituita
insieme dalle forze produttive e dai rapporti di produzione da cui dipende la
sovrastruttura ideale. E’ il fattore determinante della trasformazione storica.
Struttura è tutto ciò che riguarda l’economia; e la storia è appunto economia,
sono i rapporti economici a fare la storia, per cui l’economia è struttura.
SUPERUOMO
Superuomo o oltreuomo è, nella filosofia di
Nietzsche, l’uomo che, accettato il gioco di forze dell’essere, si fa capace di
costruire un’esistenza colma di vita e di senso, attimo per attimo. E’ figura
della nuova moralità e dell'”affermazione della vita” che stanno
“oltre” il nichilismo passivo, in fedeltà alla terra e allo spirito
dionisiaco. Il superuomo sarà un essere libero, che agirà per realizzare se
stesso. E’ un essere che ama la vita, che non si vergogna dei propri sensi e
vuole la gioia e la felicità. E’ un essere “fedele alla terra”, alla
propria natura corporea e materiale, ai propri istinti e bisogni. La
“fedeltà alla terra” è fedeltà alla vita e al vivere con pienezza, è
esaltazione della salute e sanità del corpo, è altresì affermazione di una
volontà creatrice che istituisce valori nuovi (ecco il vero significato della
volontà di potenza). Non più “tu devi”, ma “io voglio”. Il
superuomo è inoltre un essere socievole, rappresentato da Zarathustra che
balla. Egli ha abbandonato ogni fede, ogni desiderio di certezza, per reggersi
“sulle corde leggere di tutte le possibilità”. La sua massima è:
“Diventa ciò che sei”. La libertà del superuomo è una ricchezza di
possibilità diverse, da qui appunto la rinuncia ad ogni certezza assoluta e da
qui anche la profondità tipica del superuomo, l’impossibilità di definire e
giudicare la vita interiore, dalla quale non si attinge altro che la maschera
(“Tutto ciò che è profondo, ama mascherarsi”). Il superuomo è il
filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per poter insegnare ad
amare la ricchezza e la transitorietà del mondo. Con la sua “diversità di
sguardo”, egli cerca di rendere più degno il pensiero della vita, di dare
al mondo un altro valore, un’altra verità: la verità non è qualcosa da
riconoscere ma da creare. Con la libertà che nasce dall’abbandono delle vecchie
illusioni e certezze, egli osa “spostare le pietre di confine” e
aprire alla ricerca nuovi orizzonti.
SUPERAMENTO
Nella filosofia hegeliana, è un’operazione tipica
della ragione che riconosciuta la dialetticità intrinseca del pensiero e della
realtà, non annulla le loro opposizioni costitutive, ma mentre le
“toglie”, le “mantiene” in una superiore unità. Come i
camosci, per salire dalle pareti rocciose a strapiombo, rimbalzano da una
parete all’altra salendo a zig zag, così rimbalzando da una parte all’altra con
affermazioni e negazioni non si resta ad un livello stazionario, non si torna
di volta in volta al punto di partenza, bensì si sale un poco alla volta. E la
posizione di Platone risulta più matura rispetto a quella dei Presocratici
grazie alle critiche mosse dai Sofisti: è una sorta di processo circolare, ma a
spirale poichè non si torna mai al punto di partenza, bensì ad ogni spira il
livello è salito di un pò. Questo gioco per cui si sale un pò alla volta è ben
espresso dall’uso hegeliano di una parola tedesca: Aufhebung , che potremmo
tradurre con ‘superamento’, ma che può essere tradotto ancora più adeguatamente
dal ‘tollere’ latino, nella sua duplice accezione di ‘togliere’ e di
‘sollevare’. Infatti, il superamento è il processo per cui, nello sviluppo
dialettico della realtà, ogni cosa viene tolta e conservata, ovvero tolta e
sollevata (cioè riproposta ad un livello più alto).
TEISMO
In generale, indica ogni dottrina religiosa o
filosofica che ammette un Dio unico personale e trascendente e in quanto tale,
si contrappone all’ ateismo (che nega l’esistenza di Dio) e al deismo (che
ammette un Dio dimostrabile dalla ragione). E’ tipico delle tre grandi
religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, Islam. Filosofo teista fu, ad
esempio, Pascal.
TEODICEA
Termine coniato da Leibniz come titolo di una sua
opera, relativa alla dimostrazione della giustizia divina e al problema della
conciliazione di tale giustizia con l’esistenza del male nel mondo. Da allora
il termine è adoperato per designare questi problemi, indipendentemente
dall’opera leibniziana.
TEORIA
SCIENTIFICA
Con la nascita della scienza moderna il termine
teoria, che nell’antichità era sinonimo di contemplazione (dal greco qeaomai “contemplo”),
assume il significato di ipotesi, deduzione ed esperimento. Per la dottrina
“convenzionalistica” di P. Duhem una teoria scientifica consiste in
un’insieme di ipotesi e ha il suo unico criterio di verità nell’accordo con
l’esperienza, ossia nella conferma delle ipotesi, che a loro volta condizionano
l’osservazione dei fenomeni. Secondo Popper il convenzionalismo di Duhem ha
” contribuito a chiarificare le relazioni tra teoria ed esperimento
“. Popper sostituisce al principio di verificazione dei neopositivisti il criterio
di falsicabilità , ossia un criterio di demarcazione tra asserti
scientifici e asserti non-scientifici: una teoria è scientifica solo se è
falsicabile, cioè solo se può essere confutata dall’esperienza.
TRASCENDENTALE
Nella filosofia kantiana, è ciò che riguarda le
condizioni di conoscibilità a priori degli oggetti e dunque è condizione di
possibilità dell’esperienza e della conoscenza. Trascendentali sono le 12
categorie: esse esulano dall’esperienza, ma sono applicabili legittimamente
esclusivamente all’esperienza; ecco perché sono trascendentali e non
trascendenti.
UTOPIA
Dal greco οὐ + τόπος, “non-luogo” e, al contempo, da εὖ + τόπος “luogo felice”:
è il titolo di una celebre opera di Tommaso Moro; Utopia è un’isola immaginaria
in cui regna (a differenza che nella realtà) la giustizia e il bene. Da allora
il termine designa qualsiasi progetto politico, sociale o pedagogico che si
prefigga la realizzazione di condizioni ideali, elaborate concettualmente o
anche soltanto immaginate, che ancora non trovano (o non potranno mai trovare)
riscontro empirico nella realtà. La Repubblica di Platone è un ottimo esempio
di utopia; così anche La Città del Sole di Tommaso Campanella e La Nuova
Atlantide di Bacone; lo stesso comunismo di Marx è stato più volte inteso come
utopia. Sorel contrappone l’utopia al mito: il mito è rappresentazione unitaria
e intuitiva che muove immediatamente la volontà, l’utopia è piuttosto un
progetto analizzabile razionalmente e scomponibile nelle sue parti ma proprio
per questo incapace di promuovere l’azione. Dal termine utopia derivano due
aggettivi: “utopico” è ciò che esula dalla realtà ma che sarebbe un
bene si concretizzasse; “utopistico” è ciò che esula dalla realtà ma
che sarebbe un male si realizzasse. Il termine “utopia” è stato
spesso utilizzato per designare l’irreale o l’impossibile, la fuga della
fantasia di fronte a situazioni difficoltose; in tal modo vengono accentuati i
motivi irrazionali e sognatori delle produzioni utopiche. Ma con il passare del
tempo, grazie ad una nuova consapevolezza, abbiamo avuto modo di assistere ad
un allargamento semantico del termine: ora si parla di atteggiamento utopico
che ha come caratteristica l’istanza creativa e l’intento critico e che ha alla
base una preoccupazione e un’ansia più che reali. Quindi, l’utopista non è
colui che fugge dal suo tempo o dal suo contesto; egli propone semplicemente e
soprattutto realisticamente, un “dover essere” che si scontra
dialetticamente con la realtà presente. Inoltre è utile sottolineare la
vicinanza e il parallelismo presente tra l’utopia e l’ucronia: entrambe
ripropongono il valore di una categoria ben precisa: quella della possibilità.
Infatti la possibilità è ciò che contraddistingue la coscienza insieme alla
intenzionalità; Melchiorre parla appunto proprio di coscienza utopica, la quale
realizza e sperimenta su di sé l’esperienza della tensione fra reale e
possibile. L’utopista non ripropone il reale, non lo giustifica; egli oppone al
reale non l’irreale, quanto il possibile e l’auspicabile. Nelle utopie
troviamo, evocate per contrasto, le analisi razionali, tutt’altro che
superficiali, della situazione e del contesto contemporaneo all’autore. Per
Mannheim la mentalità utopica si trova in contraddizione con la realtà presente
e ha lo scopo di spezzare l’ordine esistente. Mannheim per mostrare la tensione
tra l’elaborazione utopica e il contesto dal quale essa stessa muove, si avvale
di due concetti, tra di loro antitetici: utopia e ideologia. L’ideologia è un
complesso di idee e concetti volti a giustificare il reale stato di cose
esistente; l’utopia si contrappone ad essa, squarciando i presupposti sui quali
si basa. Ma si tratta di un’antinomia apparente: l’utopia, una volta realizzata
e accreditata, si capovolge dialetticamente nel suo opposto, dando luogo ad una
nuova, ma paradossalmente sempre la stessa, ideologia.
VERIFICAZIONE
E’ un processo di definizione della verità o
falsità di una determinata proposizione. Il processo di verificazione implica
solitamente il reperimento di una “prova” che sancisca il contenuto
della proposizione. Tale prova può essere di tipo empirico (ricorso ai fatti
dell’esperienza esterna o interna), di tipo intuitivo (ricorso all’evidenza
immediata) o di tipo dimostrativo (ricorso all’argomentazione rigorosamente
fondata). E’ col neopositivismo che il principio di verificazione si è
affermato in campo filosofico: tale principio secondo i neopositivisti consente
di distinguere gli enunciati di carattere scientifico dalle proposizioni vaghe
e quindi prive di significato conoscitivo.
Citazioni
“In generale, il carattere che distingue chi sa rispetto a chi non sa, è l’essere incapace di insegnare”.
(Aristotele, "Metafisica", I, 981 b 7)