Nature

DIZIONARIO FILOSOFICO

“… così tra questa infinità s’annega il pensier mio: e ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”. (Giacomo Leopardi)



Qui trovate un piccolo dizionario filosofico, con cui vengono spiegate le parole più significative del lessico filosofico.


BREVE INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA



ABITUDINE

Dal latino habitudo , traduzione del greco ἔθος: indica il meccanismo psicologico in base al quale l’uniforme ripetizione di determinati atti o determinate esperienze rende più facile l’esecuzione degli stessi comportamenti e più probabile l’aspettativa degli stessi avvenimenti. Il concetto è diffuso nella filosofia moderna specialmente da Hume, che lo collega alla sua concezione associazionistica della conoscenza. Accanto a questa valenza psicologica, nel pensiero novecentesco la nozione di abitudine viene ripresa in chiave metafisica nell’ambito dello spiritualismo. Bergson distingue tra la memoria pura, che coincide con la durata reale della coscienza, e la memoria-abitudine, che rappresenta invece la funzione biologica attraverso cui alcuni contenuti della prima forma di memoria vengono riportati alla superficie traducendosi in atti ripetitivi.

AFORISMA

Dal greco ἀφορισμός, “ciò che è delimitato”: termine usato originariamente per indicare le brevi formule, nelle quali erano compendiati i precetti estrapolati dagli scritti di medicina attribuiti ad Ippocrate. Di qui il termine è stato esteso a significare ogni proposizione che espone in forma concisa un insegnamento o una massima.

ALIENAZIONE

Il termine (che in ambito giuridico designa il cedere un possesso ad un’altra persona) fa la sua comparsa sullo scenario filosofico nel seicento, con il maturare delle filosofie politiche; in particolare, si parla di alienazione quando un gruppo di uomini cede (aliena) parte dei propri diretti per costituire una società civile. Il termine viene stravolto nel suo significato da Hegel: “alienazione” significa smarrimento della propria essenza (spirituale) nella materia; in particolare è il lavoro materiale che fa sì’ che l’uomo smarrisca la propria essenza spirituale nella materia, con la conseguenza che per Hegel il lavoro è alienante. Con Marx la parola si colora di nuovi significati: è’ l a riduzione a oggetto del lavoratore salariato nell’ambito della società capitalistica. Secondo i Manoscritti , l’operaio è alienato rispetto: 1. al prodotto della sua attività; 2. alla sua stessa attività orientata a fini estranei; 3. alla sua essenza libera e creativa; 4. al prossimo col quale entra in rapporti di conflitto. Per Marx (ispirato, a differenza di Hegel, da un marcato materialismo) il lavoro in sé non è alienante, ma è anzi l’attività in cui meglio si realizza l’uomo, che riesce così ad estendere il proprio dominio alla natura; il lavoro diventa alienante quando si presenta come sfruttamento (e questo avviene nel regime capitalistico), quando cioè il frutto del lavoro viene brutalmente strappato all’operaio.

ANIMA

Con questo termine (in greco ψυχή) si indica convenzionalmente il principio dell’attività cosciente dell’uomo e, più in generale, il principio della vita di ogni vivente. PLATONE intende l’anima come un principio di natura diversa dai corpi, affine al mondo delle idee, preesistente al corpo e immortale. Stessa concezione hanno i padri della Chiesa, in particolare AGOSTINO che la definisce una sostanza dotata di ragione e destinata a reggere il corpo. L’anima è quindi indipendente dal corpo e non muore con esso, ma continua a vivere nell’attesa di ricongiungersi ad esso dopo la resurrezione. ARISTOTELE invece intende l’anima come enteleceia del corpo, ossia come principio che lo specifica e lo determina, dandogli anche vita e presiedendo alle sue funzioni. L’anima si distinguerà dunque in: vegetativa (presiede alla generazione, nutrizione e crescita), sensitiva (presiede all’attività sensitiva e al movimento) e intellettiva o razionale (presiede alla conoscenza e alla scelta). Le tre anime più che separate sono distinte, ma se ARISTOTELE risolve il problema del dualismo dell’uomo, ne pone un altro: in che rapporto sta l’anima intellettiva con le altre? L’intelletto è il principio per cui l’uomo conosce e riflette ed è per natura immortale e divino, ma non è chiaro se sia individuale o no e in che rapporti stia con le parti sensibili. Alcuni aristotelici sottolineano la strettissima unione tra corpo e anima e negano perciò l’immortalità dell’anima del singolo uomo (ALESSANDRO D’AFRODISIA, AVERROÈ), altri rivendicano l’immortalità personale (AVICENNA). TOMMASO D’AQUINO, nella sua sistemazione di tutta la dottrina aristotelica, definisce l’anima l’unica forma sostanziale dell’uomo e l’unico principio del suo essere. L’anima intellettiva è perfetta e può assolvere anche le funzioni di quella sensitiva e vegetativa, che pertanto non esistono. L’anima, inoltre, è anche una sostanza spirituale ed è sussistente, perciò immortale rispetto al corpo. Nel RINASCIMENTO emergono due posizioni antagoniste: i PLATONICI sostengono la spiritualità e l’immortalità dell’anima, gli ARISTOTELICI la negano. Nella filosofia moderna abbiamo un rinnovato dualismo CARTESIO parla di corpo-res extensa e anima-res cogitans, principi separati che agiscono e sussistono indipendentemente l’una dall’altra. HUME critica questo dualismo parlando dell’anima come un fascio di fatti o eventi psichici in perpetuo movimento o flusso. Nel novecento si è spesso parlato dell’anima come di un principio vitale, non puramente spirituale-razionale ma inconsapevole.

ANIMA DEL MONDO

Nozione che passa dalle antiche cosmologie mitiche orientali al pensiero greco, attraverso il Timeo di Platone: secondo Platone, infatti, perfino l’universo, nel suo insieme, ha un’anima. Gli STOICI parlano dell’anima del mondo come di Dio, immanente al mondo, mentre per PLOTINO essa sta tra l’Intelletto e il mondo materiale a cui da’ ordine. Presente in alcuni autori del medioevo quest’idea ebbe diffusione soprattutto nel pensiero magico del Rinascimento: Giordano BRUNO la porrà al cuore del suo pensiero. Ultima eco avrà nella filosofia romantica della natura (SCHELLING), come principio animatore e vivificatore del mondo.

ANTROPOMORFISMO

Attribuzione di sembianze fisiche umane, di caratteri personali, di comportamenti morali a fenomeni naturali, ad animali e a divinità. Concenzioni antropologiche della divinità sono testimoniate fin dalla remota antichità da reperti archeologici, a cui si affiancano successivamente opere letterarie, come i poemi di Omero e di Esiodo. Contro la tendenza dell’antropomorfismo insorge fin dai suoi inizi la filosofia: con Senofane, poi con i filosofi posteriori (ad eccezione degli epicurei) e, in particolar modo, con il cristianesimo. In epoca moderna, il problema dell’antropomorfismo nella religione è stato affrontato con decisione e rigore da Spinoza, dagli illuministi e, nell’Ottocento, da Feuerbach.

APOLLINEO-DIONISIACO

Nella filosofia di Nietzsche, si tratta di impulsi dualistici che caratterizzano radicalmente lo spirito della grecità antica e poi attraversano con il loro gioco dialettico l’intera cultura umana, l’apollineo è l’impulso solare della forma armoniosa, il dionisiaco è l’impulso vitale e caotico dell’ebbrezza creativa. Si manifestano inoltre quali impulsi alla base dell’esperienza artistica. Apollo è il Dio della luminosa razionalità, Dionisio è il Dio della vitalità passionale e istintiva.

APORIA

Termine che significa “strada senza uscita” (dal greco ἀπορία) e in filosofia indica l’irrisolvibilità di un problema per la presenza di soluzioni parimenti sostenibili: molti dialoghi giovanili platonici offrono conclusioni aporetiche. Nella filosofia moderna il termine indica una difficoltà insolubile.

ARCHE’

Dal greco ἀρχή, traducibile con “principio” inteso come la fonte (ciò da cui), la foce (ciò verso cui) e il sostegno (la sostanza) della realtà; poiché nei filosofi naturalisti la realtà si riduce a quella sensibile, l’arché principio finisce per identificarsi con la natura. Dal momento che l’arché si configura come il fondamento del tutto, che tutto abbraccia e tutto governa, viene a coincidere con il divino.

ASSERTO-BASE

Asserto-base Nella filosofia di Popper, l’asserto-base è la proposizione affermativa che deve risultare controllabile da soggetti diversi sulla base dell’osservazione di oggetti rilevabili. Ogni teoria stabilisce una distinzione fra gli asserti-base permessi a quelli non permessi, ma che divengono i potenziali falsificatori della teoria stessa.

ASSIOMA

Dal greco ἄξιος, “degno”, significa letteralmente “ciò che merita considerazione”: termine usato da Aristotele per indicare i princìpi comuni alle varie scienze, dotati di evidenza immediata e quindi non bisognosi di dimostrazione, ma punti di partenza per le dimostrazioni. A partire dalle geometrie non-euclidee gli assiomi hanno cessato di essere considerati verità auto-evidenti e son passati a designare in generale proposizioni o regole assunte come premesse. La scelta degli assiomi è ritenuta convenzionale, determinata da ragioni di comodità, opportunità o semplicità, ma non è arbitraria, poichè deve rispettare criteri di non contradditorietà, di completezza e di indipendenza reciproca tra i vari assiomi.

ASSOLUTO

E’, specialmente nella filosofia hegeliana, l’unità di soggettivo e oggettivo mediata dal processo dialettico, è lo Spirito, o intero, che ritorna a sé nelle forme dell’arte, della religione e della filosofia.

ATARASSIA

dal greco ἀταραξία, letteralmente “mancanza di turbamento”. È un termine che, nella storia della filosofia, troviamo citato da Epicuro accanto al termine ἀπονία (mancanza di dolore). La filosofia, come un farmaco, libera l’uomo dalla sofferenza e rende sopportabile la vita, previa un ferreo controllo delle passioni e dei piaceri. Infatti solo il calcolo dei piaceri può far si che l’uomo non sia schiavo dei bisogni, solo così si raggiunge l’imperturbabilità dell’anima e l’assenza di ogni dolore. L’intero impianto filosofico di Epicuro (ma anche degli Scettici, seppure per vie diverse) tende al conseguimento dell’atarassia.

ATEISMO

E’ la negazione dell’esistenza e di ogni forma di conoscenza di Dio. Per l’ateo (dal greco ἄθεος) non esiste alcun Dio: si possono citare come filosofi atei Nietzsche, Marx e molti altri.

ATOMISMO

E’ la dottrina secondo cui la realtà è composta da atomi (dal greco ἄτομον, “che non si può tagliare”), ovvero di particelle indivisibili che costituiscono gli elementi ultimi in cui essa può venire suddivisa. Nell’antichità, furono atomiste le filosofie di Democrito e di Epicuro; ma Leibniz, nel Seicento, mise alla berlina il concetto di atomo fisico, facendo notare come una particella, per quanto piccola, sia pur sempre (almeno concettualmente) ulteriormente divisibile. Russell introduce la nozione di atomo logico per indicare la teoria secondo cui esistono atomi logici, ovvero proposizioni elementari (o atomiche) alle quali si perviene attraverso l’analisi di proposizioni complesse (o molecolari).

BASE EMPIRICA

Tipico concetto di Popper, è l’insieme di proposizioni derivabili all’interno di una teoria scientifica che ne consentono il controllo sperimentale. In un’epoca determinata c’è generalmente accordo tra i ricercatori sulla base empirica, benché questa possa sempre essere rivista conformemente a un nuovo accordo tra i ricercatori.

CAPITALISMO

E’, marxianamente, la formazione economico-sociale contraddistinta dal rapporto capitalista- salariato: la classe detentrice dei capitali mantiene la proprietà privata dei mezzi i di produzione e utilizza a proprio profitto la forza lavoro dei salariati. Chi detiene i mezzi di produzione è capitalista e ottiene il proprio profitto sfruttando la forza-lavoro di chi è privo di tali mezzi e non può far altro che farsi sfruttare o morir di fame.

COMUNISMO

“Non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”, dimettendo il regime del consumo e del possesso e superando così l’ambito della proprietà privata: questo è ciò che intende Marx per comunismo. Tuttavia è bene ricordare che già Platone, per dirne uno, aveva ipotizzato una società caratterizzata dal comunismo integrale (comunismo ancora più accentuato di quello marxiano) in cui cioè tutto è di tutti (donne comprese).

CONTRADDIZIONE

E’, nella filosofia di Hegel, il momento negativo razionale della dialettica, quello in cui viene in luce l’impossibilità per ogni singola determinazione di sussistere separatamente dalle altre. E’ dalla contraddizione che scatta il superamento dialettico.

CREAZIONE

In senso filosofico generale è l’atto del porre in essere, del produrre materia, del dare forma e ordine ad un qualcosa privo di identità. L’azione dell’uomo si configura più correttamente come produzione, cioè come potenza non creatrice ma plasmatrice di ciò che è già. La creazione umana, intesa allora come la messa in opera di un oggetto da parte di un agente individuale o collettivo, si caratterizza per la contemporanea presenza di tre elementi: 1) l’unicità dell’oggetto che viene prodotto; 2) l’espressività, cioè la trasposizione di interiorità o spiritualità in un’azione effettuale; 3) la rottura, più o meno marcata, con le modalità espressive tipiche di un’epoca. Questo concetto generale di creazione può applicarsi a svariati domini spirituali, ma senz’altro nell’arte trova la sua resa concreta più esplicita, come l’ambito privilegiato dell’espressività dell’io che ricostruisce, un essere tratto non dalla natura ma dalla propria interiorità.

DEDUZIONE

Dal latino deduco , “tiro giù”, indica il rapporto di derivazione di una conclusione dalle premesse in un ragionamento. Aristotele l’identifica col sillogismo e, in quanto ragionamento che va dall’universale al particolare, la distingue dall’induzione (che invece va dal particolare all’universale). Nel pensiero moderno, essa rimane alla base dell’atteggiamento razionalistico, anche se spesso non viene più identificata col sillogismo, bensì col modello di procedura della matematica. Nell’Ottocento la deduzione sillogistica fu bersagliata da John Stuart Mill, che vide in essa un circolo vizioso, poichè la conclusione (Socrate è mortale) è già contenuta nella premessa (tutti gli uomini sono mortali).

DEISMO

Credenza nell’esistenza di Dio fondata su basi esclusivamente razionali e fiorita in età illuministica, nel clima di rivalutazione delle facoltà razionali. Rifiutando ogni forma di rivelazione, di autorità divina, di culto e di mistero, ammette solo quei principi religiosi e morali cui l’uomo può giungere con la ragione e attraverso lo studio della natura: ” il Dio dei filosofi e degli scienziati ” definiva Pascal il Dio dei deisti, per distinguerlo dal Dio-persona ( ” Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe “) delle religioni rivelate. Il Dio dei deisti non è un Dio persona da pregare, è più un “robot” che garantisce l’ordine fisico del mondo. Deista convinto fu, ad esempio, Voltaire.

DIALETTICA

La parola fu usata per la prima volta da Zenone di Elea e designa un dialogo in movimento, un confronto di posizioni (dal greco διαλεκτική). Con Hegel si riveste di nuovi significati: da buon idealista, convinto che realtà e pensiero siano la stessa cosa, è evidente che per Hegel le leggi che presiedono all’andamento del pensiero e all’andamento della realtà siano le stesse. Fu Platone il primo ad usare una dialettica della realtà, un richiamo reciproco di quelle che lui chiamava ‘idee’. Per Hegel è la stessa cosa: ‘dialettica’ è sì il modo in cui la ragione opera, ma è anche il modo in cui funziona la realtà. Dunque è la legge della ragione umana, la quale riproduce nel pensiero le opposizioni che si danno nella realtà, e insieme il principio immanente di sviluppo della realtà stessa. In senso specifico, è il momento della negazione della determinazione immediata, cioè astratta e separata dello Spirito. Ma in senso ampio è il processo logico-ontologico in cui la determinazione astratta viene dapprima posta (la cosiddetta “tesi”), poi negata nella sua separatezza (la cosiddetta “antitesi”) e infine positivamente ricompressa in una unità più profonda (la cosiddetta “sintesi”).

DISTOPIA

E’ un termine che solo apparentemente viene utilizzato come opposto, contrario, a quello di “utopia”; infatti viengono usate, con la medesima funzione, anche le espressioni “anti-utopia” o “contro-utopia”. E’ accreditato oramai il fatto che la scelta semantica presuppone una scelta di ampio raggio: definire significa prendere una precisa posizione metodologica e filosofica. Infatti, se vengono scelti ed adoperati termini “contro-utopia” o “anti-utopia” si metterà in evidenza il senso di opposizione e di esclusione tra i due concetti. Ma l’utopia non esclude di fatto la distopia: ecco perché è più corretto utilizzare quest’ultimo termine. Infatti tra l’utopia e la distopia non c’è un rapporto di contraddizione; tutt’altro. Innanzitutto la distopia e l’utopia, secondo un’interpretazione letteraria di questi due fenomeni, appartengono entrambe ad un particolare filone della fantascienza a sfondo sociale, che descrive tanto luoghi immaginari dove regna il benessere e la felicità (utopia), quanto terribili ipotesi di mondi futuri invivibili (distopia). Ma l’utopia e la distopia sono legate anche a livello filosofico; l’immagine della città nuova vagheggiata dagli utopisti si unisce alla narrazione della società perversa della distopia, componendosi del medesimo slancio. In altre parole alla base di questi due atteggiamenti c’è la denuncia di una realtà avvertita come dolorosa e oppressiva e la sollecitazione costruttiva a porvi rimedio attraverso l’esercizio della ragionevolezza. Ovviamente ci sono delle differenze: l’utopia recide i legami col passato e con il luogo presente, opera una cesura incolmabile tra la storia reale e lo spazio riservato alla progettazione utopica; la distopia invece intende collocarsi in continuità con il processo storico amplificando e rendendo tangibili quelle tendenze negative operanti nel presente che, se non vengono smascherate e ostacolate, condurranno alle società perverse da essa tratteggiate. Ma l’utopia così come la distopia ci invitano a mantenere un’approccio critico con la realtà che ci circonda, ci insegnano a essere attenti e vigili e a non essere pessimisti, a non ripiegarci in noi stessi: un altro mondo è possibile. Ci sono da segnalare però, riguardo a quest’ultimo concetto, dei tentativi da parte di alcuni autori che intendono metterci in guardia dall’utopia stessa; anzi, autori come Huxley e Berdjaev insistono sulla pericolosità della realizzazione materiale, concreta, delle utopie; ma è simbolico il fatto che proprio Huxley qualche tempo dopo si dedica alla descrizione di una utopia. Esempi di celebri distopie del novecento: Evgenij Zamjatin “Noi” (1922), Aldous Huxley “Il Mondo Nuovo” (1932), George Orwell “1984” (1984).

EDONISMO

E’ una dottrina che afferma che il bene è il piacere e che il piacere è il criterio della scelta morale. Può essere attribuito, per certi aspetti, ai sofisti e in modo più compiuto ai cireanici e agli epicurei. La dottrina viene ripresa da autori neoepicurei della prima età moderna, quali L. Valla, P. Gassendi, M. Montaigne. Un presupposto psicologico edonista sta alla base di dottrine etiche più complesse, come il convenzionalismo di T. Hobbers o certe forme di utilitarismo in primo luogo quello di J. Bentham.

EPISTEMOLOGIA

Etimologicamente deriva dalle parole greche ἐπιστήμη (scienza) e λόγος (discorso) con cui si indica quella parte della Teoria Generale della Conoscenza che si occupa della filosofia della scienza, cioè dei fondamenti, della natura, dei limiti e della validità del sapere scientifico, sia delle scienze esatte (logica e matematica) che delle scienze empiriche (fisica, chimica, psicologia, sociologia etc.) .

EPOCHE’

Termine greco con cui si indica la sospensione dell’assenso. Di fronte ad una sensazione, gli Stoici dicono che si pià dare l’assenso, negarlo oppure sospenderlo: da qui prendono le mosse gli Scettici. E’ da loro usato per designare la condizione di dubbio o incertezza, derivante dal “peso uguale delle tesi” che si contrappongono in una discussione in opposizione all’atteggiamento assertorio dei dogmatici. Nel pensiero contemporaneo il termine viene ripreso da E. Husserl: l’epoché o “riduzione” consiste nel “sospendere” o “mettere tra parentesi” le credenze quotidiane per poter cogliere i modi essenziali del reale. A differenza di quella scettica, l’epoché fenomenologia non intende mettere in dubbio il mondo esterno, semplicemente non vuole farne alcun uso in sede di ricerca speculativa. Anche in Heidegger il termine ritorna, ma con un nuovo significato: ogni “epoca” è diversa dalle altre perché in ogni epoca l’essere si manifesta diversamente, rimanendo in sospeso (epoch) tra l’uscir fuori e il restar nascosto.

ESPERIMENTO

Evento ripetibile messo in atto da un osservatore allo scopo di controllare una teoria o un’ipotesi scientifica. Nel pensiero antico medievale gli esperimenti sono rarissimi. La sperimentazione inizia a svolgere una funzione importante nella costruzione del sapere solo alla fine del sec XVI. Francesco Bacone nella sua filosofia esalta il ruolo dell’esperimento nella produzione di conoscenza. Decisiva è l’azione di Galilei, per il quale l’esperimento assume procedure rigorose e predeterminate che permettono un controllo numerico di ipotesi quantitative. Quando tutti i fattori di disturbo non possono essere eliminati concretamente, Galilei ricorre a “ideali” pratiche di laboratorio immaginate, i cui risultati sono ottenuti attraverso il ragionamento. Dalle ricerche sperimentali di Newton sulla natura della luce in poi lo sperimentalismo diviene un indirizzo di enorme rilievo, da molti identificato con il metodo scientifico nel suo complesso. Nel positivismo l’esperimento diviene la sola fonte lecita di conoscenza, in quanto fondamento oggettivo e indubitabile per la scienza: i “fatti sperimentali” sono contrapposti alle ipotesi, alle teorizzazioni, considerate incerte e soggettive. La critica del convenzionalismo ha tuttavia dimostrato che in ogni esperimento intervengono inevitabilmente presupposti ipotetici, convinzioni teoriche, e dunque è sbagliato considerare l’esperimento come contrapposto alla teorizzazione.

ESPIAZIONE

L’effetto curativo della pena. Platone considerò l’espiazione come il mezzo per guarire l’anima dalle sue proprie malattie; e ritenne che come l’economia libera dalla povertà e la medicina dalla malattia, così la giustizia libera dall’intemperanza e dall’ingiustizia (Gorgia, 478 a).

ESPLICITO

Espresso o chiaramente espresso. “Rendere esplicito” (o anche talvolta “esplicitare”) il significato di un termine o di una proposizione: esprimerlo o riesprimerlo più chiaramente. Il termine opposto “implicito” significa quindi ciò che non è espresso, ma soltanto suggerito; o non è espresso chiaramente.

ESPONIBILE

Nella Logica medievale “exponibilia” erano proposizioni oscure a causa del fatto che pur avendo la forma grammaticale di proposizioni semplici, in realtà celano una composizione, la cui analisi (expositio) ne risolve l’oscurità. In Kant “esposizione” conserva un senso analogo ma più specifico, di proposizione consistente di un’affermazione con una negazione celata che l’esposizione rende evidente (Logica).

ESPOSIZIONE

1. L’analisi di un concetto o il suo chiarimento. Kant chiama l’ E. trascendentale “la definizione di un concetto come principio dal quale si possa scorgere la possibilità di conoscenze sintetiche a priori” (Critica R. Pura). In questo senso, l’esposizione trascendentale del concetto di spazio mostrerà la possibilità delle conoscenze a priori che possono discendere da tale concetto, cioè la possibilità della geometria.

2. Nella logica terministica medievale, è la prova di un sillogismo di terza figura mediante un sillogismo della stessa figura nel quale un termine medio singolare fa la funzione che nel primo era fatta da un termine medio comune. Per es., il sillogismo “Qualche uomo è dotato di virtù, Ogni uomo è animale, Qualche animale è dotato di virtù” può essere esposto così: “Socrate è dotato di virtù, Socrate è animale, Qualche animale è dotato di virtù” (Ockham, Summa Log.; Jungius, Log.)

ESSENZIALE

Questo aggettivo riveste, oltre ai due significati relativi ad essenza, quello più comune e generico di ” importante”. Tale è il significato del termine in espressioni come “carattere essenziale”, “qualità essenziale”, ecc., che il più delle volte non fanno riferimento ai significati specifici di “essenza” ma intendono solo sottolineare l’importanza che un carattere, una qualità, ecc., possiede da un certo punto di vista.

ESSENZIALISMO

Popper ha chiamato “essenzialismo metodologico” “la corrente di pensiero introdotta e difesa da Aristotele, la quale sostiene che la ricerca scientifica deve penetrare sino all’essenza delle cose per poterle spiegare”.

ETERNO RITORNO

Concezione elaborata dagli Stoici e ripresa da Nietzsche: è l’idea che nega il procedere del tempo in modo lineare verso un fine, per affermare invece la pienezza di ogni suo attimo, che è in sé carico di senso: questa idea porta l’uomo a “dire di sì alla vita” così com’è, in eterna ripetizione.

FALSIFICABILITA’

Nella filosofia di Popper, è la caratteristica per cui le teorie sono valide solo fino alla loro smentita, devono essere cioè falsificabili. “le teorie non sono mai verificate empiricamente”, giacché non è possibile desumere asserzioni universali dall’osservazione di singoli fatti, per essere provata scientificamente, una teoria deve essere controllabile di principio, cioè deve essere tale che si possano derivare da essa asserti, che si possono controllare nei fatti, cioè che si possono dimostrare falsi.

FENOMENO

Dal greco φαίνομαι, “appaio”, il fenomeno è un concetto tipico della filosofia kantiana: è infatti l’oggetto dell’esperienza sensibile, concluso mediante le forme a priori della sensibilità (spazio e tempo) e dell’intelletto (le 12 categorie). L’uomo non può percepire le cose come esse sono in sè, ma le percepisce come appaiono a lui, ovvero fenomenicamente.

FILOSOFIA

letteralmente “amore per la conoscenza” (in greco φίλος = amore, σοφία = conoscenza). Inizialmente il termine è stato utilizzato come aggettivo: filosofoV = amico della filosofia (vedi Eraclito e Pitagora). Solo in seguito designerà un modo di pensare e non solo una qualità. I Greci sono stati i primi autori di filosofia, coloro che hanno “creato” il modo di pensare filosofico, i primi impegnati in un’indagine critica e razionale sull’uomo e la natura che lo circonda. Gli orientalisti però sottolineano come nelle civiltà pre-greche ci fossero già le più grandi filosofie religiose come la corrente dell’Induismo, Buddismo, Taoismo, Confucianesimo. Per concludere, la filosofia greca si concentra sulla conoscenza della natura e delle sue forze; la speculazione orientale si concentra su problemi esistenziali e religiosi.

FORZE PRODUTTIVE

Concetto tipicamente marxista, le forze produttive sono costituite dai lavoratori che producono, il modo nel quale producono e i mezzi di cui si servono. Nella società capitalistica i lavoratori sono i salariati, il modo di produzione è industriale e i mezzi di produzione sono prevalentemente i nuovi macchinari resi disponibili all’interno delle fabbriche.

GIUDIZIO

La facoltà del giudizio è, nella filosofia kantiana, la forza che pensa il particolare quale contenuto dell’universale e così facendo giudica. Il giudizio può essere determinante, sussumendo il particolare sotto una legge a priori (giudizio conoscitivo o morale), o riflettente, se dal particolare accede all’universale (giudizio estetico o finalistico). In altri termini, il giudizio determinante determina l’oggetto, mentre quello riflettente riflette ed esprime giudizi di gusto sull’oggetto determinato in precedenza.

IDEA

Il termine deriva dal greco εἶδος, traducibile con forma, figura, aspetto. A differenza del significato assunto in epoca moderna, ovvero di contenuto della mente e risultato del pensiero (così è appunto da Cartesio in poi), nell’antichità era considerata (da Platone) un’entità perfetta e immutabile, di carattere divino, e con esistenza propria, quindi non era generata dall’intelletto. Il concetto di idea è stato introdotto da Platone, secondo il quale tutto ciò che appartiene al mondo delle cose sensibili è un tentativo di imitazione delle idee, immutabili, eterne e perfette (corrispondenti al vero essere). Queste infatti sarebbero “paradigma” di tutti gli oggetti o le azioni. Le idee di Platone vivono in un mondo a parte, detto Mondo delle Idee o Iperuranio e inoltre, nel dualismo gnoseologico platonico corrispondono all’episthmh, cioè la conoscenza immutabile e perfetta. Le idee esistono secondo Platone indipendentemente dall’essere pensate. Plotino, invece, farà un passo avanti: esistono nella misura in cui sono pensate da Dio. Per noi moderni, invece, le idee esistono se e quando le pensiamo noi.

IMPERATIVO

Dal latino impero “comando”, è, nell’ambito della filosofia kantiana, un’espressione della necessità oggettiva di un’azione. L’imperativo categorico è il comando incondizionato della legge morale che ha in se stesso il proprio fine. L’imperativo ipotetico è un comando relativo ai mezzi da utilizzare per ottenere un determinato scopo.

INDUZIONE

E’ il risalire da casi singoli all’universale (è il contrario della deduzione). Una o più affermazioni (dette premesse) ne implicano induttivamente un’altra (detta conclusione) se la verità delle prime rende più o meno probabile che quest’ultima sia vera . L’inferenza da “nessun cane che io conosca è vizioso” a “assolutamente nessun cane è vizioso” è un’inferenza induttiva perché la verità della prima affermazione rende probabile che la seconda sia vera ma non lo garantisce. A dubitare in qualche modo della validità dell’induzione saranno Bacone e, successivamente, Mill; nel ‘900, Popper le negherà ogni valore.

INTELLETTUALISMO ETICO

La filosofia di Socrate si basava sui due cosiddetti “paradossi socratici”, ovvero che il bene era conoscenza (e il male ignoranza) e che chi conosceva il bene non poteva commettere il male. Queste sue posizioni sono state definite intellettualismo etico, ma è un termine che va rivalutato. Infatti Socrate non intendeva proclamare la supremazia della ragione astratta e teorica sulle emozioni e sulla volontà, ma semplicemente dire che la conoscenza ha un orientamento pratico ed esistenziale, e ciò implica un’educazione ad agire correttamente. Socrate intende che la filosofia è quasi uno stile di vita e che col ragionamento si può giungere a trovare la giusta strada e soluzione.

IO PENSO

E’, nella filosofia di Kant, la funzione trascendentale in grado di unificare i dati della sensibilità e dell’intelletto. Ancor prima che sull’oggetto percepito operino le 12 categorie, l’Io penso già ha operato riconducendo le varie componenti dell’oggetto sotto quell’unico denominatore che mi permette di dire che sono mie percezioni.

IPERURANIO

Termine introdotto da Platone nel “Fedro”, deriva dal greco uper (oltre), e ouranoV (cielo). Nella filosofia platonica, designa il mitico luogo al di là del cielo e delle cose sensibili, dove si trovano le idee eterne e perfette. E’ impossibile descrivere in modo esatto e degno questo luogo, in quanto può essere raggiunto solo dall’anima, che avendo la stessa natura divina delle idee, comprende la loro perfezione. Questo posto è abitato solo dalla conoscenza vera e pura. E’ nell’iperuranio che risiedono le idee ed è lì che si spingono le anime disincarnate dai corpi, salvo poi ricadere in altri corpi.

IPOTESI

In epistemologia, indica la premessa non necessariamente vera di una dimostrazione. Newton usa dapprima il termine ipotesi per designare sia i ” principi”, cioè gli enunciati riguardo alle “vere cause” dei fenomeni ancora bisognosi di prova, sia congetture assai dubitabili scambiate per verità incontestabili. Il suo famoso detto “hypotheses non fingo” (non invento ipotesi) vuole escludere, in quanto prematura, l’introduzione di congetture sulle proprietà ultime che stanno alla base della gravitazione. La rinuncia alle “ipotesi” non vuole quindi rappresentare la scienza come accumulazione di fatti empirici senza formulazione “ipotetica” di leggi generali, ma intende respingere tutte quelle costruzioni arbitrarie, prive di rapporti con i fenomeni reali.

IRONIA

In generale l’atteggiamento che consiste nel dare un’importanza assai minore del giusto (o di quella che si ritiene tale) a se stessi o alla propria condizione o situazione o a cose o persone che hanno stretto rapporto con se stessi. La storia della filosofia conosce due forme fondamentali d’Ironia: 1° l’Ironia socratica; 2° l’Ironia romantica. 1° L’Ironia socratica è la sottovalutazione che Socrate fa di se stesso nei confronti degli avversari con cui discute. Quando nella discussione sulla giustizia Socrate dichiara: “Io ritengo che l’indagine è al di là delle nostre possibilità e che voi che siete bravi dovete aver pietà di noi piuttosto che arrabbiarvi con noi”, Trasimaco risponde:” Ecco la solita I. di Socrate ” (Rep., I, 336 e-337 a). Aristotele non fa che enunciare genericamente questo atteggiamento socratico quando vede nell’I. uno degli estremi nell’atteggiamento di fronte alla verità. Il veritiero è nel giusto mezzo; chi esagera la verità è il millantatore e chi invece tenta di diminuirla è l’ironico. L’I., dice Aristotele, è, sotto questo aspetto, simulazione (Et. Nic., II, 7, 1108 a 22). Cicerone si rifaceva a questo concetto affermando che “Socrate spesso nella disputa abbassava se stesso ed alzava coloro che voleva confutare; e così, parlando diversamente da come pensava, adoperava volentieri quella simulazione che i Greci chiamano I.” (Acad., IV, 5, 15). E a questo concetto del termine faceva riferimento S. Tommaso che la esamina come un forma (lecita) di menzogna (S. Th., II, 2, q. 113, a. 1). 2° L’Ironia romantica poggia sul presupposto dell’attività creatrice dell’Io assoluto. Identificandosi con l’Io assoluto, il filosofo o il poeta (che molto spesso coincidono, per i Romantici) è portato a considerare ogni realtà più salda come un’ombra o un gioco dell’Io: è portato cioè a sottovalutare l’importanza della realtà, a non prenderla sul serio. Secondo Federico Schlegel, l’I. è la libertà assoluta di fronte a qualsiasi realtà o fatto. “Trasferirsi arbitrariamente ora in questa ora in quella sfera come in un altro mondo, non solo con l’intelletto e con l’immaginazione ma con tutta l’anima; rinunciare liberamente ora a questa ora a quella parte del proprio essere, e limitarsi completamente a un’altra; cercare e trovare il proprio uno e tutto ora in questo, ora in quell’individuo e dimenticare volutamente tutti gli altri: questo può solo uno spirito che contiene in sé come una pluralità di spiriti e tutto quanto un sistema di persone, e nel cui intimo l’universo che, come si dice, è in germe in ogni mondo, s’è dispiegato ed è pervenuto alla sua maturità” (Fragmente, 1798, § 121). Queste notazioni sull’I. trovarono una sistemazione concettuale nell’opera di C. G. F. Solger, Erwin (1815) nella quale l’I. veniva interpretata dal punto di vista della soggettività che comprende se stessa come cosa suprema e che perciò abbassa a un puro nulla tutte le altre cose, anche ciò che c’è di più alto. Pur polemizzando contro qualche particolare, definito ” platonico ” della dottrina di Solger, Hegel la faceva sua nel descrivere l’I. nel modo seguente: “Prendete una legge, e schiettamente qual è in sé e per sé: io ne sono perciò anche al di là e posso fare così e così. Non la cosa è superiore, ma sono io superiore e sono il padrone, che al di sopra della legge e della cosa, scherza con esse come con il suo piacere e in questa coscienza ironica, nella quale lascio perire il Sommo, godo soltanto di me ” (Fil. del dir., § 140). L’I. così intesa, come coscienza della Soggettività assoluta, la quale, come tale, è tutto e di fronte alla quale perciò tutte le altre cose sono nulla e pertanto come coscienza dell’assoluto arbitrio di tale soggettività è, secondo Hegel, un risultato della filosofia di Fichte quale è stata intesa e interpretata da Federico Schlegel (FU. del dir., § 140, Zusatz). “Qui il soggetto si sa in sé medesimo come l’Assoluto e non da alcun peso a tutto il resto: esso sa distruggere sempre di nuovo tutte le determinazioni che esso stesso si dà del giusto e del bene. Esso può dare a intendere a sé ogni cosa ma non mostra altro che vanità, ipocrisia, sfrontatezza. L’I. sa di dominare qualsiasi contenuto: essa non prende nulla sul serio, scherza con tutte le forme ” (Geschichte der Phil., III, sez. 3, C, 3; trad. ital.. III, 2, pag. 370-71). Quel concetto è rimasto a contrassegnare uno degli aspetti fondamentali del romanticismo tedesco. Di esso Kierkegaard ha dato un’interpretazione attenuata o metaforica, da un lato concependo l’I. socratica come la superiorità di Socrate sopra la nequizia del mondo (Diario, X3, A, 254); dall’altro lato intendendo in generale l’I. come “l’infinitizzazione dell’interiorità dell’io” ma come infinitizzazione ” interiore “, in un significato che non ha più la portata che Fichte attribuiva all’infinità stessa. “Cos’è l’I.? egli scrive. L’unità di passione etica, che accentua in interiorità il proprio io infinitamente, e di educazione la quale nel suo esteriore (nel commercio con gli uomini) astrae infinitamente dal proprio io. L’astrazione fa sì che nessuno s’accorga della prima unità vissuta ed in ciò sta l’arte per la vera infinitizzazione dell’interiorità” (Diario, VI, A, 38, trad. Fabro). Poiché l’infinità dell’io è qui soltanto un’infinità ” interiore “, cioè l’accentuazione all’infinito del valore dell’io nella coscienza, ma non è l’infinità effettiva e creativa dell’Io assoluto dei romantici, l’I. non ha più il suo significato romantico: è solo il contrasto tra la coscienza esaltata che l’io ha di sé e la modestia delle sue manifestazioni esterne.

LOGOS

Il termine deriva dal greco λέγειν, che significa “raccogliere”, “contare” o anche “trascegliere” e in greco classico “raccontare”, “parlare”. Lógos, indica il mondo dell’intelligenza o della conoscenza intellettiva; è, infatti, sia l’intelligenza (nella sua valenza intuitiva, cioè come intelletto, e nella sua valenza discorsiva, cioè come ragione), sia l’oggetto dell’intelligenza (il concetto, il giudizio e il ragionamento), sia l’espressione dell’oggetto dell’intelligenza (la parola o il termine, la proposizione, l’argomentazione e, in generale, il discorso).

MAIEUTICA

In greco τέχνη μαιευτική, “arte della levatrice”. Socrate si paragonava alla madre Fenarete, che operava come ostetrica, identificandosi con colui che fa “partorire” la verità agli uomini: ciascuno di noi è gravido della verità e Socrate si propone di farcela partorire. Sosteneva infatti che essa fosse nascosta nell’animo di ognuno e che, attraverso domande e risposte opportune, sarebbe venuta fuori. Socrate credeva di essere investito della missione divina di aiutare l’uomo onesto a conoscere se stesso. Se infatti si è a conoscenza di ciò che è bene, non si può commettere il male.

MATERIA-FORMA

Si tratta di una coppia di concetti relativi, perché la materia è il principio di indeterminazione, il sostrato comune che viene organizzato e strutturato dal principio di determinatezza, o forma. La forma non è una sostanza separata (come le idee platoniche), ma è l’essenza intrinseca, la sostanza fondamentale delle cose sensibili. La coppia materia-forma traduce, a livello fisico, la dottrina metafisica della potenza e dell’atto.

METAFISICA

Dal greco τὰ μετὰ τὰ φυσικά, “le cose al di là delle cose fisiche”: il termine fu coniato nell’antichità per indicare i libri aristotelici che nel corpus delle sue opere venivano dopo quelli concernenti la filosofia della natura (fisica) oppure le questioni riguardanti ciò che va oltre quest’ambito. Nella filosofia moderna esso è usato nel senso (anch’esso aristotelico) di “scienza prima”, di disciplina filosofica fondamentale che sta alla base di ogni altra ricerca. In questo senso la metafisica può significare due cose: per un verso essa continua a indicare la ricerca filosofica sui princìpi costitutivi della realtà e dell’essere; per altro verso può indicare la ricerca preliminare sulle possibilità della conoscenza e sulla struttura generale del sapere: quest’uso riceve la sua formulazione più chiara in Kant, per il quale la metafisica è lo studio di quei princìpi (da Kant chiamate “forme”) che, essendo intrinseci alla costituzione stessa della mente umana, condizionano ogni forma di conoscenza. Con Hegel la metafisica torna ad essere scienza della realtà e, poichè quest’ultima coincide con la razionalità, per lui metafisica e logica coincidono. Il valore ontologico della metafisica viene recuperato anche da Bergson seguendo però la strada opposta: egli svincola la metafisica da ogni fondamento intellettuale/razionale e vede nell’intuizione l’unica facoltà conoscitiva adatta a penetrarne i problemi. Heidegger ha dapprima concepito la metafisica come ontologia, volta a chiarire il problema del senso dell’essere a partire da quell’ente particolare che è l’esserci, per il quale è costitutivo porsi questo problema. In seguito, egli ha considerato la metafisica come il contrassegno di un’epoca che va da Platone fino a Nietzsche ed è caratterizzata dall’oblìo dell’essere: ciò è dovuto al fatto che la metafisica pensa l’essere alla stregua di un ente, cioè come un qualcosa di presente e, quindi, di controllabile e dominabile; ma in tal modo smarrisce la verità dell’essere, che è disvelamento, ossia manifestarsi, ma insieme anche sempre nascondersi nel corso del tempo. Nell’ambito del neoempirismo, per esempio da parte di Carnap, la metafisica è invece intesa come un insieme di proposizione prive di significato, in quanto non riconducibili nè a tautologie nè ad asserzioni empiriche verificabili.

METEMPSICOSI

Credenza nella trasmigrazione dell’anima da un corpo all’altro in esistenze che si succedono nel tempo. Il termine significa, letteralmente, “passaggio dell’anima” (dal greco μετά e ψυχή) e designa una dottrina assai diffusa nell’antichità greca e orientale. La metempsicosi è elemento essenziale dell’Orfismo ed è oggetto dell’insegnamento di Pitagora. Anche Empedocle ne parla nelle Purificazioni , mentre in Platone se ne trovano ben due diverse interpretazioni come destino dell’anima per eccessivo attaccamento alla vita corporea (nel Fedone ) e come prospettiva propria di tutte le anime che, terminato il ciclo millenario della vita ultraterrena, devono tornare ad incarnarsi (nella Repubblica , mito di Er). In età rinascimentale, sulle orme di Bruno e di Telesio, molti pensatori reinterpretano la metempsicosi come principio della filosofia naturale. L’induismo e il buddhismosi fondano su di essa.

MISERIA DELLO STORICISMO

Titolo di un’opera di Popper ed espressione chiave della sua filosofia, della storia; lo storicismo nasconde una metafisica infondata, che presuppone in senso univoco e oggettivo delle vicende storiche e implica una concezione deterministica e totalitaria della realtà umana, come fosse governata da leggi fisse e invariabili, mentre si danno soltanto tendenze storiche interpretabili esclusivamente in base a ipotesi soggettive e variabili.

MONADE

Termine greco (da μόνος, “solo”) indicante l’unità da cui si originano i numeri e le cose. Talora fu usato per designare il principio divino come unità suprema. Leibniz lo usa per indicare l’atomo di forza (giacchè quello materiale a suo avviso è inconcepibile), ovvero la sostanza individuale che sta alla base della sua metafisica pluralistica.

MORALE

Etimologicamente deriva dal latino “(philosophia) moralis” col quale Cicerone tradusse il termine greco τὰ ἠθικά. Entrambi questi termini si riferiscono ai costumi, alle abitudini: in generale ai comportamenti umani ed in particolare alle regole di condotta e alla loro giustificazione. Cioè innanzitutto la Morale appare come il sistema delle regole che l’uomo segue (o deve seguire) nella sua vita tanto personale quanto sociale. Hegel distingue tra “morale” ed “etica”: la morale (che trova in Kant il suo campione) è qualcosa di interno, a livello di coscienza; l’etica, invece, (che Hegel di gran lunga preferisce) è qualcosa di più esterno, che implica il comportamento contestualizzato nella collettività.

NECESSITA’

Dal latino necessitas , è la “modalità” contrapposta alla possibilità. Necessario è ciò che non può non essere o ciò che non può essere (in questo senso coincide con l’impossibile). Leibniz distingue tre generi di necessità: 1)la necessità geometrica (o logica) stabilisce una connessione ineludibile tra antecedente e conseguente sulla base del principio di non contraddizione: così, necessario è ciò che è vero in tutti i mondi possibili; 2)la necessità fisica costituisce l’ordine immutabile della natura; 3)la necessità morale discende dal dovere di scegliere il meglio (cioè è ciò che fonda l’obbligazione morale). Anche Wolff e Kant riprendono, con poche varianti, questa distinzione; per Hegel, invece, la necessità caratterizza la dialettica e, pertanto, investe tanto la realtà quanto il pensiero: tutto ciò che è razionale è reale, e quindi necessario. Secondo Wittgenstein esiste propriamente solo la necessità logica, quale è esibita dalle tautologie e dalle contraddizioni, che sono rispettivamente sempre vere e sempre false, a differenza delle asserzioni empiriche (come quelle delle teorie fisiche) le quali sono contingenti e possono essere vere o false. A partire da Carnap è stata ripescata la nozione leibniziana di necessità come verità in tutti i mondi possibili.

NICHILISMO

Il “nichilismo europeo” è, nella filosofia di Nietzsche, la svalutazione di tutti i valori operata dalla morale cristiana, che si è proposta e diffusa per secoli come l’unica interpretazione del mondo, terminando con il privarlo di ogni fine e di ogni valore vitali, riducendolo a nulla e decadenza. A questo nichilismo passivo e decadente Nietzsche contrappone il nichilismo attivo che smaschera i valori della tradizione e ne annuncia di nuovi. L’idea del nichilismo si afferma per la prima volta con l’opera “Padri e figli” di Turgenev e trova in Nietzsche la sua più completa trasposizione.

NOUMENO

Dal greco νοούμενoν, “pensato”, è nella filosofia di Kant l’oggetto com’è nella sua integralità e come tale inconoscibile dall’intelletto umano, strutturalmente vincolato all’apparenza fenomenica dell’oggetto nella rappresentazione intellettuale. L’uomo non può conoscere le cose noumenicamente (ovvero come esse sono in sé) ma solo fenomenicamente, ovvero come gli appaiono.

OLISMO

Nell’interpretazione di Popper, l’olismo (dal greco ὅλος, “tutto”) è la concezione, da lui respinta nettamente, per la quale la realtà storico-sociale viene intesa come un insieme che trascende la mera somma delle sue componenti empirico-individuali. Per Quine il confronto con l’esperienza non può assumere come unità minima di significato la singola proposizione, ma riguarda il linguaggio nel suo complesso: in ciò consiste l’ olismo di Quine, secondo cui le nostre conoscenze e le nostre credenze non sono pure somme di proposizioni, ma sistemi più o meno organizzati.

ONTOLOGIA

Questo termine letteralmente significa discorso sull’essere (dal greco τὸ ὄν = l’essere e λόγος = discorso). È uno sviluppo della filosofia avvenuto grazie a Parmenide ed esattamente lo studio dell’essere in quanto essere nei suoi caratteri universali. L’essere è, secondo Parmenide, tutto ciò che esiste e che quindi è. Al contrario il non-essere non è, cioè non esiste e non solo: è impensabile e indicibile. L’essere ha caratteristiche precise: è uno, immutabile, immobile, finito (nella mentalità era come dire perfetto), ingenerato (perché il passato è considerato cio che non è più), imperituto (in quanto il futuro è visto come ciò che non è ancora) ed eterno. L’essere non è. Platone però – nel “Sofista” – corregge Parmenide, compiendone un “parricidio”: egli introduce il “non-essere” nel senso di “essere diversamente”, cosicchè sarà possibile dire “la penna non è il libro” non nel senso che la penna è il non essere, ma nel senso che essa è diversa dal libro. Ancora Aristotele, confuta Parmenide, aggirando le sue prescrizioni, attraverso la coppia di nozioni “atto” e “potenza”, il non essere come “non essere ancora”. Nel Novecento, è Heidegger a riaccostarsi al problema ontologico, caduto per secoli nell’oblio: ponendo in esergo ad “Essere e Tempo” un’espressione del Sofista platonico, egli nota come tutti siamo certi di sapere cosa significhi “essente” ma di fatto non lo sappiamo. Siamo erroneamente convinti che i singoli enti siano l’essere, quando in realtà essi sono solo enti (la differenza ontologica: gli enti sono enti, e non l’essere).

ORGANISMO

Dal greco organon , “strumento”: designa il corpo vivente contrapposto a ciò che non ha vita propria. Nella filosofia moderna si distinguono due concezioni dell’organismo: la prima, divulgata da Cartesio, riconduce l’organismo ad una macchina e spiega in termini di rigorosa causalità meccanica il movimento, la crescita, la riproduzione e, in generale, tutte le attività dell’organismo. La seconda concezione, introdotta da Kant, ritiene invece che la nozione di organismo, irriducibile alla categoria della causalità meccanica (anche un organismo semplicissimo come un verme non può essere spiegato con la causalità, dice Kant), possa essere compresa solo facendo riferimento al concetto di fine, cioè intendendo l’organismo come un essere fornito di un principio e uno scopo interno che presiede al suo sviluppo e alla sua riproduzione. Questa concezione viene ripresa da Schelling e dai Romantici, estendendo tuttavia la concezione organicistica dall’ambito naturale alla realtà intera, compresa la sfera politica: per Hegel (e per i Fascisti), perfino lo Stato è una sorta di organismo pulsante in cui i singoli individui, se non inquadrati nel tutto, perdono di significato. Nella filosofia contemporanea il concetto di organismo o la metafora bio-organica sono spesso utilizzati sia nell’ambito dell’evoluzionismo, sia nelle interpretazioni vitalistiche della realtà in generale (per Bergson la realtà ha carattere organico perchè è il risultato di quello che lui chiama “slancio vitale”) e di quella sociale in particolare (Splenger assimila le diverse civiltà ad organismi biologici).

PANTEISMO

Dal greco πάν + θεῖον, “tutto divino”: termine coniato nell’ambito della discussione sul deismo per indicare la concezione che identifica Dio e il mondo; per i panteisti Dio non è un qualcosa di trascendente, ma è, al contrario, qualcosa che permea il mondo dal di dentro. Sostenuto in modo pienamente esplicito solo in età postmedioevale (sebbene già Plotino avesse aperto spiragli in quella direzione) ha avuto come rappresentanti più noti Giordano Bruno, Spinoza ( Deus sive natura , “Dio ovvero la natura”), gli idealisti (in particolare Hegel, mentre Fichte e soprattutto Schelling se ne allontanarono per riapprodare a una visione teistica).

PENSIERO DEBOLE

Si tratta di un concetto emerso nella seconda metà del Novecento e reso celebre dalla filosofia del pensatore torinese Gianni Vattimo, per il quale il passaggio dal moderno al post-moderno si configura come un passaggio da un pensiero forte ad un pensiero debole. Per pensiero forte (o metafisico) Vattimo intende un pensiero che parla in nome della verità, dell’unità e della totalità, ossia un tipo di pensiero illusoriamente proteso a fornire “fondazioni” assolute del conoscere e dell’agire. Per pensiero debole (o post-metafisico) intende un tipo di pensiero che rifiuta le categorie forti e le fondazioni ultime: ” la debolezza del pensiero nei confronti del mondo, e dunque anche della società è probabilmente solo un aspetto della impasse in cui il pensiero si è venuto a trovare alla fine della sua avventura metafisica. Ciò che conta adesso è ripensare il senso di quella avventura ed esplorare le vie per andare oltre: appunto, attraverso la negazione […] dei tratti metafisici del pensiero, prima fra tutti la “forza” che esso ha sempre creduto di doversi attribuire in nome del suo accesso privilegiato all’essere come fondamento ” (“Il pensiero debole”). Con la fine dei “pensieri forti” (il marxismo, il cattolicesimo della Verità assoluta, l’illuminismo) si dissolve la certezza che la verità sia una e che chi la possiede sia autorizzato ad imporla agli altri: nella mancanza di una verità unica e nel proliferare di tante verità, si attua un processo emancipativo che dà voce anche a chi è sempre stato tacciato (neri, donne, omosessuali).

PERCEZIONE ESTETICA

In ambito estetico, la percezione s’intende radicata in criteri dotati di valore proprio, determinato dalla cultura dell’epoca, e legati, come voleva Kant, alla facoltà dell’immaginazione. Questa forma di percezione non riflette solo un passato, ma tende essa stessa a diventare creazione di valori.

PESSIMISMO

E’ la credenza secondo cui nel mondo il male prevale sul bene. Esso risale alla discussione conseguente al terremoto di Lisbona (1755) e alla polemica contro l’ottimismo leibniziano (Leibniz diceva che ” viviamo nel migliore dei mondi possibili “): il principale esponente del pessimismo nell’era dell’illuminismo fu Voltaire, che alla concezione leibniziana, contrappose quella secondo cui ” viviamo nel peggiore dei mondi possibili “. Nell’Ottocento il pessimismo fu strenuamente difeso da Schopenhauer, in contrapposizione all’esasperato ottimismo di Hegel (secondo cui tutto ciò che avviene è giusto che avvenga, perchè espressione di una razionalità profonda). Schopenhauer sostiene che il mondo è governato da una volontà irrazionale e fortemente negativa (si è parlato di pandemonismo schopenhaueriano); anche Leopardi si fa latore di posizioni anti-ottimistiche, facendo però notare che il male non è insito nel mondo, ma nella condizione umana. Nella filosofia novecentesca, alcuni pensatori hanno rifiutato tanto il pessimismo quanto l’ottimismo, sostituendoli col il “migliorismo”, secondo cui il miglioramento del mondo è una possibilità che dipende dall’impegno dei singoli uomini.

PHUSIS

Dal greco φύσις,comunemente tradotto con “natura” nel pensiero antico designa la totalità delle cose nella loro originaria generazione. I presocratici creano il concetto filosofico di phýsis e per questo sono detti anche “fisici”. Per essi la phýsis è il principio vitale della totalità, delle cose che si generano e crescono. Con gli eleati l’orizzonte della phýsis subisce una determinazione di tipo ontologico: il principio è l’essere. Con Eraclito, Anassagora e Diogene di Apollonia la problematica della phýsis si apre alle questioni connesse ai temi del lògos, dell’intelligenza e della legalità del reale. Platone parla di phýsis riferendosi alle idee, cioè all’essere intellegibile e metaempirico. Aristotele, fissando la distinzione tra “filosofia prima” e “filosofia seconda”, definisce la differenza tra l’ambito metafisico e quello fisico: la phýsis non designa più la totalità del reale, ma l’ambito circoscritto della natura sensibile. Per gli stoici la phýsis è anche lògos secondo una triplice valenza; è principio fisico-teologico, fondamento dell’etica e principio di crescita. Per Plotino la phýsis rientra nella produzione del mondo fisico da parte dell’Anima: deriva dalla contemplazione produttiva dell’Anima ed è essa stessa contemplazione.

PLUSVALORE

Concetto tipicamente marxiano (espresso nel “Capitale”): all’interno del ciclo economico del capitalismo, in cui la produzione è finalizzata essenzialmente all’accumulazione di denaro, il valore delle merci prodotte dal lavoratore è superiore a quello che gli viene corrisposto in salario. Questa differenza di cui si appropria il capitalista come profitto costituisce il plusvalore. L’operaio infatti produce 10x, ma in busta paga si trova solo 5x, sicchè il capitalista ruba all’operaio 5x, ovvero l’operaio lavora di più di quel che gli viene effettivamente retribuito: tale lavoro in più è il pluslavoro e genera per il capitalista un plusvalore.

POTENZA-ATTO

E’ una coppia di concetti correlativi, perché la potenza è l’essere nella sua condizione imperfetta, cioè come possibilità non ancora realizzata che tende all’atto come il suo fine specifico. L’atto è la forma perfetta di un ente che ha realizzato pienamente la propria potenza.

PREDESTINAZIONE

in teologia si indica la possibilità che Dio abbia destinato alcuni uomini al Paradiso già dalla fondazione del mondo o prima della loro nascita (quindi indipendentemente dal loro comportamento). È un concetto ampiamente utilizzato dal Calvinismo, lontano dalla mentalità cattolica che si fonda sul libero arbitrio (la salvezza eterna è concessa solo a color che l’hanno meritata in seguito al loro corretto comportamento). Quest’ultima concezione religiosa ha creato spesso dibattiti che hanno giocato sulle contraddizioni che scaturiscono dalle attribuzioni che il cattolicesimo da a Dio: onnipotente, (e quindi può decidere a suo piacimento in merito alla salvezza o alla dannazione di un uomo, a prescindere dalla sua condotta effettiva, conferendo la grazia?) infinitamente buono (cioè non può desiderare il male, quindi non poteva creare un uomo capace di fare del male – si limita la sua onnipotenza), onnisciente (che sa tutto, quindi a priori sapeva già che cosa accadrà nel mondo nel momento stesso che l’ha creato). Il Calvinismo ha risolto (almeno in parte) queste controversie ammettendo che una vita giusta non necessariamente garantisce il Paradiso e che Dio, secondo il suo insindacabile giudizio, è libero di concedere la grazia eterna. Questa concezione ha spinto gli uomini a ricercare nel loro operato quotidiano (successo lavorativo, capacità di vivere rettamente) i segni della loro predestinazione, favorendo l’iniziativa professionale. (Si veda per es. “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Weber).

PROGRAMMA DI RICERCA METAFISICA

Nell’ultima filosofia di Popper, programma che indica “la direzione in cui si possono trovare teorie della scienza adeguatamente esplicative e rende possibile una valutazione della profondità di una teoria”.

PROLETARIATO

E’ la classe dei lavoratori, tipica del modo di produzione capitalistico; i proletari non posseggono i mezzi di produzione ì, ma soltanto la propria forza lavoro, che il capitalista compera pagandola con il salario. Si chiama proletariato perché la ricchezza dei suoi membri (i proletari) si basa esclusivamente (oltre che sulla propria forza lavoro) sul fatto di avere una prole da mandare a lavorare in fabbrica.

RAGIONE

Da Kant in poi, la ragione coglie l’infinito, l’intelletto coglie il finito: la contrapposizione tra intelletto e ragione si configura allora come contrapposizione tra finito e infinito. Se il puntare all’infinito della ragione per Kant è del tutto illegittimo (poichè implica un salto metafisico illegittimo agli occhi di Kant) , esso diventa legittimo per i Romantici e, soprattutto, per Hegel: riconoscendo legittimo (a differenza di Kant) il puntare all’infinito, la ragione sarà decisamente superiore rispetto all’intelletto, il quale non si spinge oltre il finito.

RAPPORTI DI PRODUZIONE

E’, nella filosofia marxiana, l’insieme dei rapporti che costituiscono la struttura economica della società e “corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali”. I rapporti di produzione determinano anche le rappresentazioni che gli uomini inseriti necessariamente in quei rapporti, si fanno della realtà. Nella società medioevale le forze produttive si diedero come organizzazione sociale (ovvero come rapporto di produzione) il servilismo; tuttavia le forze di produzione migliorano a dismisura e finiscono per trovarsi ingabbiate dai rapporti di produzione: ne consegue che occorre abbatterli per crearne di nuovi. A questo è servita la Rivoluzione francese.

RETORICA

Il termine significa “arte del corretto uso della parola”, e ciò si può capire dalla radice greca -re che corrisponde in italiano al nostro dire. La retorica era un’arte, e coloro che volevano ottenere successo nell’ambito politico dovevano esserne padroni. Essa infatti consisteva nell’abilità di trattare un qualunque argomento (specialmente di carattere politico e umanistico) in modo da convincere chi ascoltava che la propria idea era giusta. Quindi, al fine di giungere a questo punto, per esser bravi oratori era necessario conoscere a fondo il lessico, la sintassi, la grammatica, ma anche la fonetica e la mimica, che pur avendo un ruolo minore avevano la loro importanza. La retorica, ad esempio, era essenziale ad Atene dove, a causa di varie problematiche, molti cittadini venivano portati in tribunale. Qui, non avendo la possibilità di essere rappresentati, dovevano sapere esporre le proprie ragioni nel modo più convincente possibile e magari (usando un’espressione sofista) “rendere forte il discorso debole”. Ad Atene si assiste ad una straordinaria diffusione di scuole dell’arte oratoria, tra le quali è bene ricordare quella del grande maestro Isocrate. Quest’ultimo credeva vi fosse una speciale relazione tra pensiero e parola e che “il parlare bene è per noi la prova più sicura del pensare bene“.

RISENTIMENTO

Nella filosofia di Nietzsche, è lo stato d’animo dell’uomo che impotente a creare nuovi valori e ad affermarsi sulle sofferenze della vita “dice di no” alla vita stessa asservendosi alla “morale degli schiavi”, odiando ciò che non può essere o non può avere e limitandosi, utilitaristicamente a difendere la qualità del “gregge”.

SILLOGISMO

Dal greco συλλογισμός, “concatenazione di ragionamenti”, con Aristotele designa la forma perfetta di deduzione, ” un discorso in cui, poste talune cose, altre ne seguono di necessità “. Esso è composto di 3 proposizioni categoriche (costituite cioè di soggetto e predicato) e precisamente di due premesse e una conclusione. In ciascuna delle due premesse compare uno stesso termine (detto “medio”) il quale consente di connettere gli altri due termini nella conclusione: “tutti gli animali sono mortali, l’uomo è un animale, dunque l’uomo è mortale” ; il termine medio è “animale”, che mi consente di allacciare tra loro le due premesse per avere la conclusione. Nella prima premessa il termine medio funge da soggetto, nella seconda da predicato. Se le premesse sono vere anche la conclusione è necessariamente vera. Proprietà del sillogismo è infatti la trasmissione della verità dalle premesse alla conclusione. Se il “medio” fosse solo predicato o solo soggetto in tutte e due le premesse non potremmo trarre conclusioni così semplici : se per esempio avessimo queste due premesse “tutti i vegetali sono verdi ” e “tutte le rane sono verdi” finiremmo per dire “tutte le rane sono vegetali” : il medio (rane) è soggetto in tutte e due le proposizioni . In questo caso teoricamente non lo si può neanche chiamare termine medio.

SOCIETA’ APERTA

I due modelli alternativi di convivenza umana, secondo Popper, sono la società aperta e la società chiusa; la prima è una società di tipo liberale e democratico, in cui sono “aperte” le direzioni di ricerca intellettuale e sociale, la seconda è una società di tipo autoritario e totalitario, governata da una legge o un potere assoluto: società chiuse sono quelle delineate da Platone, Hegel e Marx, nemici del liberalismo e della società aperta, pluralistica e libera.

SOGGETTO

Dal latino subiectum che traduce il greco ὑποκείμενον, ossia “ciò che soggiace”. Per Aristotele il soggetto è anzitutto la materia come presupposto della forma e quindi ipostasi, substantia. Ma soggetto è anche l’individuo come punto di supporto dei suoi attributi o accidenti. Questa struttura ontologica trova un corrispettivo nella struttura logica del giudizio laddove il soggetto è ciò di cui si predica qualcosa, non potendo egli stesso mai diventare predicato di qualcos’altro. Dunque il soggetto è ciò che permane alla base di ogni possibile predicazione. La filosofia scolastica fece propria questa impostazione aristotelica, intendendo però l’ “essere soggettivo” come ciò che designa l’esistenza reale, mentre l’ “essere oggettivo” nomina l’esistenza delle cose nella mente. Queste premesse preparano la rivoluzione soggettivistica della modernità che si inaugura con Cartesio. Questi, da un lato resta fedele all’uso scolastico del termine soggetto come sostanza, dall’altro apre la via al tema moderno del valore delle rappresentazioni. Il “cogito”, come sostanza pensante, concepisce se stesso e il mondo attraverso quegli attributi che sono le idee, il cui grado di evidenza e il cui valore di verità diventano fondamentali. Attraverso Hobbes, Locke, Leibniz e Hume il termine soggetto si identificherà sempre più con l’attività senziente e pensante dell’io, e questo processo culminerà in Kant, per il quale il soggetto è l’ “io penso” o coscienza trascendentale, mentre l’oggetto è la realtà in sé delle cose e del mondo. Nel successivo sviluppo idealistico da Fichte a Hegel, da Croce fino a Husserl, la realtà oggettiva viene in vario modo ricondotta o assimilata ad attività del soggetto o spirito, sicché l’identificazione tra soggetto e coscienza pensante diviene il caposaldo della filosofia, sia idealistica e spiritualistica che dell’empirismo positivistico, che al soggetto trascendentale oppone il soggetto empirico della psicologia e delle scienze umane. Recentemente però la preminenza del soggetto e la sua identificazione con la coscienza sono state rifiutate: emblematico il decentramento del soggetto di M. Foucault. Questi esiti sono stati preparati in parte dalla critica marxista della coscienza come sovrastruttura ideologica, dalla freudiana scoperta dell’inconscio, dalla linguistica e dall’etnologia strutturali di Lévi Strauss e F. de Saussure. In questo caso il soggetto diventa una specie di effetto-superficie, dominato da leggi e strutture ignote alla coscienza. Ricordiamo infine Nietzsche, che con il suo prospettivismo demolisce la sovranità del cogito definendo soggetto e coscienza maschere di impulsi vitali più profondi e Merleau-Ponty, che intreccia in un’unità ambigua e irresolubile mondo e coscienza.

SOVRASTRUTTURA

Tipica della filosofia marxista: è costituita dai rapporti giuridici delle dottrine politiche- ma anche dalla dottrine filosofiche, etiche, religiose, estetiche – che si sviluppano in una struttura economica, di cui esprimono i rapporti di produzione e le corrispondenti forme della coscienza sociale.

SPIRITO

E’, in Hegel, l’assoluto, presente nelle varie manifestazioni storiche della vita. Non è un ente a sé stante, trascendente, ma il principio della razionalità delle cose o, in altri termini, il graduale auto-comprendersi della realtà di cui fa parte e costituisce la coscienza.

STRUTTURA

Concetto marxiano, la struttura è costituita insieme dalle forze produttive e dai rapporti di produzione da cui dipende la sovrastruttura ideale. E’ il fattore determinante della trasformazione storica. Struttura è tutto ciò che riguarda l’economia; e la storia è appunto economia, sono i rapporti economici a fare la storia, per cui l’economia è struttura.

SUPERUOMO

Superuomo o oltreuomo è, nella filosofia di Nietzsche, l’uomo che, accettato il gioco di forze dell’essere, si fa capace di costruire un’esistenza colma di vita e di senso, attimo per attimo. E’ figura della nuova moralità e dell'”affermazione della vita” che stanno “oltre” il nichilismo passivo, in fedeltà alla terra e allo spirito dionisiaco. Il superuomo sarà un essere libero, che agirà per realizzare se stesso. E’ un essere che ama la vita, che non si vergogna dei propri sensi e vuole la gioia e la felicità. E’ un essere “fedele alla terra”, alla propria natura corporea e materiale, ai propri istinti e bisogni. La “fedeltà alla terra” è fedeltà alla vita e al vivere con pienezza, è esaltazione della salute e sanità del corpo, è altresì affermazione di una volontà creatrice che istituisce valori nuovi (ecco il vero significato della volontà di potenza). Non più “tu devi”, ma “io voglio”. Il superuomo è inoltre un essere socievole, rappresentato da Zarathustra che balla. Egli ha abbandonato ogni fede, ogni desiderio di certezza, per reggersi “sulle corde leggere di tutte le possibilità”. La sua massima è: “Diventa ciò che sei”. La libertà del superuomo è una ricchezza di possibilità diverse, da qui appunto la rinuncia ad ogni certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica del superuomo, l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non si attinge altro che la maschera (“Tutto ciò che è profondo, ama mascherarsi”). Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà del mondo. Con la sua “diversità di sguardo”, egli cerca di rendere più degno il pensiero della vita, di dare al mondo un altro valore, un’altra verità: la verità non è qualcosa da riconoscere ma da creare. Con la libertà che nasce dall’abbandono delle vecchie illusioni e certezze, egli osa “spostare le pietre di confine” e aprire alla ricerca nuovi orizzonti.

SUPERAMENTO

Nella filosofia hegeliana, è un’operazione tipica della ragione che riconosciuta la dialetticità intrinseca del pensiero e della realtà, non annulla le loro opposizioni costitutive, ma mentre le “toglie”, le “mantiene” in una superiore unità. Come i camosci, per salire dalle pareti rocciose a strapiombo, rimbalzano da una parete all’altra salendo a zig zag, così rimbalzando da una parte all’altra con affermazioni e negazioni non si resta ad un livello stazionario, non si torna di volta in volta al punto di partenza, bensì si sale un poco alla volta. E la posizione di Platone risulta più matura rispetto a quella dei Presocratici grazie alle critiche mosse dai Sofisti: è una sorta di processo circolare, ma a spirale poichè non si torna mai al punto di partenza, bensì ad ogni spira il livello è salito di un pò. Questo gioco per cui si sale un pò alla volta è ben espresso dall’uso hegeliano di una parola tedesca: Aufhebung , che potremmo tradurre con ‘superamento’, ma che può essere tradotto ancora più adeguatamente dal ‘tollere’ latino, nella sua duplice accezione di ‘togliere’ e di ‘sollevare’. Infatti, il superamento è il processo per cui, nello sviluppo dialettico della realtà, ogni cosa viene tolta e conservata, ovvero tolta e sollevata (cioè riproposta ad un livello più alto).

TEISMO

In generale, indica ogni dottrina religiosa o filosofica che ammette un Dio unico personale e trascendente e in quanto tale, si contrappone all’ ateismo (che nega l’esistenza di Dio) e al deismo (che ammette un Dio dimostrabile dalla ragione). E’ tipico delle tre grandi religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, Islam. Filosofo teista fu, ad esempio, Pascal.

TEODICEA

Termine coniato da Leibniz come titolo di una sua opera, relativa alla dimostrazione della giustizia divina e al problema della conciliazione di tale giustizia con l’esistenza del male nel mondo. Da allora il termine è adoperato per designare questi problemi, indipendentemente dall’opera leibniziana.

TEORIA SCIENTIFICA

Con la nascita della scienza moderna il termine teoria, che nell’antichità era sinonimo di contemplazione (dal greco qeaomai “contemplo”), assume il significato di ipotesi, deduzione ed esperimento. Per la dottrina “convenzionalistica” di P. Duhem una teoria scientifica consiste in un’insieme di ipotesi e ha il suo unico criterio di verità nell’accordo con l’esperienza, ossia nella conferma delle ipotesi, che a loro volta condizionano l’osservazione dei fenomeni. Secondo Popper il convenzionalismo di Duhem ha ” contribuito a chiarificare le relazioni tra teoria ed esperimento “. Popper sostituisce al principio di verificazione dei neopositivisti il criterio di falsicabilità , ossia un criterio di demarcazione tra asserti scientifici e asserti non-scientifici: una teoria è scientifica solo se è falsicabile, cioè solo se può essere confutata dall’esperienza.

TRASCENDENTALE

Nella filosofia kantiana, è ciò che riguarda le condizioni di conoscibilità a priori degli oggetti e dunque è condizione di possibilità dell’esperienza e della conoscenza. Trascendentali sono le 12 categorie: esse esulano dall’esperienza, ma sono applicabili legittimamente esclusivamente all’esperienza; ecco perché sono trascendentali e non trascendenti.

UTOPIA

Dal greco οὐ + τόπος, “non-luogo” e, al contempo, da εὖ + τόπος “luogo felice”: è il titolo di una celebre opera di Tommaso Moro; Utopia è un’isola immaginaria in cui regna (a differenza che nella realtà) la giustizia e il bene. Da allora il termine designa qualsiasi progetto politico, sociale o pedagogico che si prefigga la realizzazione di condizioni ideali, elaborate concettualmente o anche soltanto immaginate, che ancora non trovano (o non potranno mai trovare) riscontro empirico nella realtà. La Repubblica di Platone è un ottimo esempio di utopia; così anche La Città del Sole di Tommaso Campanella e La Nuova Atlantide di Bacone; lo stesso comunismo di Marx è stato più volte inteso come utopia. Sorel contrappone l’utopia al mito: il mito è rappresentazione unitaria e intuitiva che muove immediatamente la volontà, l’utopia è piuttosto un progetto analizzabile razionalmente e scomponibile nelle sue parti ma proprio per questo incapace di promuovere l’azione. Dal termine utopia derivano due aggettivi: “utopico” è ciò che esula dalla realtà ma che sarebbe un bene si concretizzasse; “utopistico” è ciò che esula dalla realtà ma che sarebbe un male si realizzasse. Il termine “utopia” è stato spesso utilizzato per designare l’irreale o l’impossibile, la fuga della fantasia di fronte a situazioni difficoltose; in tal modo vengono accentuati i motivi irrazionali e sognatori delle produzioni utopiche. Ma con il passare del tempo, grazie ad una nuova consapevolezza, abbiamo avuto modo di assistere ad un allargamento semantico del termine: ora si parla di atteggiamento utopico che ha come caratteristica l’istanza creativa e l’intento critico e che ha alla base una preoccupazione e un’ansia più che reali. Quindi, l’utopista non è colui che fugge dal suo tempo o dal suo contesto; egli propone semplicemente e soprattutto realisticamente, un “dover essere” che si scontra dialetticamente con la realtà presente. Inoltre è utile sottolineare la vicinanza e il parallelismo presente tra l’utopia e l’ucronia: entrambe ripropongono il valore di una categoria ben precisa: quella della possibilità. Infatti la possibilità è ciò che contraddistingue la coscienza insieme alla intenzionalità; Melchiorre parla appunto proprio di coscienza utopica, la quale realizza e sperimenta su di sé l’esperienza della tensione fra reale e possibile. L’utopista non ripropone il reale, non lo giustifica; egli oppone al reale non l’irreale, quanto il possibile e l’auspicabile. Nelle utopie troviamo, evocate per contrasto, le analisi razionali, tutt’altro che superficiali, della situazione e del contesto contemporaneo all’autore. Per Mannheim la mentalità utopica si trova in contraddizione con la realtà presente e ha lo scopo di spezzare l’ordine esistente. Mannheim per mostrare la tensione tra l’elaborazione utopica e il contesto dal quale essa stessa muove, si avvale di due concetti, tra di loro antitetici: utopia e ideologia. L’ideologia è un complesso di idee e concetti volti a giustificare il reale stato di cose esistente; l’utopia si contrappone ad essa, squarciando i presupposti sui quali si basa. Ma si tratta di un’antinomia apparente: l’utopia, una volta realizzata e accreditata, si capovolge dialetticamente nel suo opposto, dando luogo ad una nuova, ma paradossalmente sempre la stessa, ideologia.

VERIFICAZIONE

E’ un processo di definizione della verità o falsità di una determinata proposizione. Il processo di verificazione implica solitamente il reperimento di una “prova” che sancisca il contenuto della proposizione. Tale prova può essere di tipo empirico (ricorso ai fatti dell’esperienza esterna o interna), di tipo intuitivo (ricorso all’evidenza immediata) o di tipo dimostrativo (ricorso all’argomentazione rigorosamente fondata). E’ col neopositivismo che il principio di verificazione si è affermato in campo filosofico: tale principio secondo i neopositivisti consente di distinguere gli enunciati di carattere scientifico dalle proposizioni vaghe e quindi prive di significato conoscitivo.


 

Citazioni

“In generale, il carattere che distingue chi sa rispetto a chi non sa, è l’essere incapace di insegnare”. (Aristotele, "Metafisica", I, 981 b 7)
(Visualizzazioni 297 > oggi 3)