ESPERIENZA
“Senza l’esperienza niente può essere conosciuto sufficientemente”.
(F. Bacone, Opus maius)
A cura di Diego Fusaro La nostra epoca non è più in grado di fare esperienza e, dunque, fatica notevolmente a intendere che cosa l’esperienza sia. Il tempo del real time e del digitale, di internet e della connessione costante ci ha, in fondo, privati della capacità di fare, sedimentare e trasmettere esperienze. Il virtuale attutisce il reale e, di più, lo sostituisce sempre più. Tutto si succede sempre più rapidamente e, come usa dire, le notizie invecchiano all’istante. Con la conseguenza che si eclissa il tratto più specifico dell’esperienza, ossia la lenta e graduale acquisizione di consapevolezza che scaturisce dal nostro contatto con la realtà. I tedeschi, per dire “esperienza”, usano un termine che, forse, ci può aiutare a svelare l’essenza del concetto: la chiamano Erfahrung; termine che ha in sé il richiamo al “viaggiare” (fahren). L’esperienza, in effetti, si presenta come una sorta di viaggio che si compie nel tempo e nello spazio e che, anche mediante i momenti negativi e laceranti, ci porta, alla fine, a essere più consapevoli e più saggi di quanto non fossimo all’inizio, prima che il viaggio cominciasse. Nell’odierna società sempre connessa del real time pare che, davvero, non vi sia più tempo per alcuna esperienza, spesso nemmeno per dormire o per amare. Oltre che con l’avventura del viaggio, la dimensione dell’esperienza è connessa a quella del mettersi alla prova o, più precisamente, di un “provare” che è, insieme, un “essere provati”: lo suggerisce chiaramente il verbo latino experiri, che rinvia a un’esposizione al reale e a una reazione riflessiva che il soggetto opera al cospetto di tale esposizione. Fare esperienza significa, dunque, mettere alla prova se stessi e le proprie conoscenze, esponendosi alla realtà del mondo, cioè saggiandola e saggiandosi. Per comprendere la dimensione del “viaggio” propria dell’esperienza ci aveva soccorso la lingua tedesca: ora, per decifrare questa seconda accezione – legata allo sperimentare – ci vengono in aiuto i greci. I quali chiamano l’esperienza con il nome di empeiria, che letteralmente vuol dire “prova” (peira) “interna” (en). E, in epoche successive, prenderanno il nome di “empiristi” quanti, tra i filosofi, riterranno che l’empiria, ossia l’esperienza, costituisca la base ineludibile di ogni conoscenza. Il nostro sapere, infatti, si verrebbe costituendo sulla base dei dati che derivano dal nostro fare esperienza del mondo esterno: il quale, per così dire, lascia sulla nostra mente, attraverso i sensi, i segni che determinano il conoscere. Per comprendere al meglio questo punto, v’è un paragone efficace del quale possiamo avvalerci: la nostra mente è come un foglio bianco, su cui l’esperienza scrive le proprie tracce, così determinando il nostro conoscere. Uno dei motti prediletti dagli empiristi è quello in accordo con il quale non v’è nulla nella nostra testa, che prima non sia passato per i nostri sensi. Mediante questo presupposto, che si può poi declinare variamente ma che sempre ha come tratto comune l’assunzione dell’esperienza come fondamento della conoscenza, gli empiristi si contrappongono a quelli che vengono usualmente definiti come gli “innatisti”: i quali, in maniera opposta rispetto agli empiristi, ritengono che le conoscenze non derivino interamente dall’esperienza che facciamo del mondo sensibile. Pensano, invece, che si diano idee e rappresentazioni che, lungi dall’essere acquisite per esperienza, già rechiamo in noi fin dalla nascita e che, appunto per questo, sono dette “innate”. Se, per gli empiristi, conoscere è fare esperienza, per gli innatisti – penso qui specialmente a Platone – la conoscenza si risolve nel ricordare: ossia nel richiamare alla memoria quelle idee e quei saperi che sono innati e che, dunque, senza saperlo già abbiamo in noi. Solo si tratta di richiamarli alla memoria. Forse v’è del vero anche nel discorso degli innatisti, almeno per quel che concerne, in generale, l’impossibilità di risolvere per intero la conoscenza nell’esperienza. E, tuttavia, anche gli empiristi hanno, nel loro argomentare, una parte di ragione: conoscere del tutto astraendo dall’esperienza è impossibile. Anche su questo dovremmo tornare a riflettere, nel nostro tempo delle scarse esperienze e della eccessiva virtualità. |