FILOSOFIA E ARTE
“L’arte ha la vocazione di svelare la verità nella forma di configurazione artistica sensibile”.
(G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio)
Nella prospettiva hegeliana, a partire soprattutto dalla Fenomenologia dello Spirito (1807), la verità filosofica è del tutto autonoma rispetto alla scienza. La religione e l’arte, dal canto loro, sono accomunate alla filosofia per quel che concerne l’oggetto (la verità dell’intero, l’Assoluto) ma ne sono separate dalla forma espressiva. Infatti, la forma depotenziata della “rappresentazione” (Vorstellung) religiosa e della “rappresentazione sensibile” operata dall’arte sono diverse e inferiori rispetto alla potenza del Begriff filosofico, il solo in grado di rendere conto della soggetto-oggettività. Soltanto la filosofia è, in senso pieno, “spirito pensante”, id est “la forma più alta, più libera e più sapiente” dello Spirito. Solo con il “concetto” (Begriff) il Soggetto e l’Oggetto sono momenti dello stesso Spirito: e il loro opporsi è, in verità, l’opporsi della Sostanza con se stessa. Con la potenza del concetto, pertanto, la filosofia supera e, insieme, invera arte e religione: l’oggettività dell’arte è ora affrancata dal sensibile, proprio come la soggettività della religione viene purificata in soggettività del pensiero puro. In quanto regno della Herrschaft des Begriffs, della “signoria del concetto”, la filosofia può, in tal maniera, definirsi come “superamento-conservazione” (Aufhebung) e dell’arte e della religione, dacché le supera, le toglie e le conserva, mantenendone i contenuti e, insieme, ponendoli nella superiore forma del Begriff. Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (§ 572), Hegel definisce la filosofia come “il concetto dell’arte e della religione conosciuto mediante il pensiero”. Così, del resto, per quel che riguarda l’arte come intuizione concreta dello Spirito assoluto nelle Vorlesungen sull’estetica, frutto dei quattro corsi tenuti tra Heidelberg (1818) e Berlino (1820-1821, 1823, 1826 e 1828-1829): “l’arte riconcilia entrambe gli estremi, è il termine medio che connette il concetto e la natura. Questa determinazione l’arte da un lato l’ha in comune con la religione e la filosofia; essa ha però il modo a lei peculiare nel fatto che presenta anche le cose più alte in maniera sensibile e perciò porta più vicino alla natura senziente”.
Più precisamente, “l’arte è limitata anche in base al suo contenuto, ha un materiale sensibile, e perciò solo un certo grado della verità è suscettibile di essere contenuto dell’arte”. L’opera d’arte pone infatti das Geistige, “lo spirituale”, nell’esistenza immediata per l’occhio e per l’orecchio. Poiché sorge e risorge dallo Spirito, “il bello artistico sta più in alto della natura (höher als Natur)”. L’arte non può essere intesa e praticata come mera imitazione della natura, ché con quest’ultima non può competere, pena il trovarsi nella condizione del “vermiciattolo che tenta di strisciare dietro a un elefante”.
È bensì vero che l’arte fa di ogni sua oggettivazione un Argo dai mille occhi, dacché opera in modo che in ogni punto del fenomeno si scorgano l’anima interna e la spiritualità: e, tuttavia, risulta essenzialmente inadeguata, giacché il sensibile è l’elemento meno appropriato per afferrare l’Assoluto. In particolare, il sensibile nell’opera d’arte è parvenza, è spiritualizzato, ché nella produzione artistica lo Spirito stesso si naturalizza e si dà in forma sensibile, nella propria alterità.
Inoltre, nella forma dell’arte si dà uno sbilanciamento a favore della soggettività dell’artista che impedisce la sintesi soggetto-oggettiva di cui la filosofia soltanto, in forma compiuta, è capace. L’opera d’arte, infatti, è per eccellenza il momento soggettivo: esiste “nella soggettività creatrice (schöpferische Subjektivität), nel genio e nel talento dell’artista”, secondo un tema che sarà centrale nella Filosofia dell’arte del Gentile. Non ci addentriamo, in questa sede, nella vexata quaestio della “morte dell’arte” in Hegel: formula che, comunque, non si trova nel suo testo, ove semplicemente si dice che l’arte è “un che di passato” (ein Vergangenes) e si sostiene, contestualmente, l’esigenza di salire verso “forme più elevate (höhere Formen) rispetto a quelle che l’arte è capace di offrire”.
Peraltro, sia detto qui per inciso, sostenere che l’arte è ein Vergangenes può plausibilmente voler dire – in coerenza con lo stesso impianto hegeliano – che essa è “un passato” anche nel senso che essa, in rapporto al concetto filosofico, è sempre stata e sempre sarà una realtà che lo precede. Dal punto di vista dello Hegel, nell’epoca odierna ormai la soggettività dell’artista si trova al di sopra della sua materia e della sua produzione: “il pensiero e la riflessione hanno oltrepassato la bella arte”. Ciò segna effettivamente un mutamento di prospettiva rispetto ai tempi del giovanile Systemprogramm, ove si teorizzava il futuro primato dell’arte, con risoluzione delle scienze nell’arte stessa. Le mature Lezioni sull’estetica tematizzano invece l’esaurimento storico della funzione dell’arte nel moderno. Con ciò si vuol dire che l’arte non svolgerà più la funzione fondamentale di veicolo della verità rivestita in passato, precipuamente nella Grecia classica.
Si rinviene, invece, nell’opera hegeliana, la tesi della morte di Dio: in Fede e sapere, Hegel scrive, infatti, che il sentimento su cui riposa la religione dei moderni si cristallizza nella formula “Dio stesso è morto” (Gott selbst ist tot). Ad avviso dell’Heidegger degli Holzwege, si tratterebbe, peraltro, della prima ricorrenza registrata di tale formula – ben prima di Nietzsche – nella storia del pensiero occidentale. In ogni caso, in quanto forma dello Spirito assoluto, l’arte mantiene, alla stregua della religione e della filosofia, una sua insopprimibile potenza veritativa, che nella Fenomenologia Hegel esprime sostenendo che der Geist ist Künstler, “lo Spirito è artista” e che, nell’Enciclopedia (§ 560), diversamente formula asserendo che “l’artista è il mastro che padroneggia Dio”.
In quanto Erscheinen sensibile del divino (e non il divino quale si è rivelato nel cristianesimo come vero Dio e quale ha raggiunto forma concettuale in ultimo nel pensiero speculativo), l’arte è, insomma, per Hegel esperienza di verità ed è per questa ragione che rientra appieno tra le figure dello Spirito assoluto: das Reich der schönen Kunst ist das Reich des absoluten Geistes, “il regno della bella arte è il regno dello Spirito assoluto”.
Nelle Lezioni sull’estetica, dopo aver esaminato l’essenza dell’arte e la sua relazione con la filosofia e la religione, lo Hegel affronta, come sappiamo, il “sistema delle singole arti”, secondo una gradazione che spazia da quella massimamente sensibile a quella più spiritualizzata, in cui già si prepara il passaggio a superiori figure dello Spirito. L’architettura – soprattutto quella dei babilonesi e degli egizi – è l’incipit dell’arte. In essa, l’Assoluto è colto in materiali e forme non appropriate, che coincidono con la pura spazialità: “la cifra fondamentale dell’architettura è la forma d’arte simbolica”, con cui si appronta lo spazio sensibile esterno per la presenza del dio, come accade con le “costruzioni magnifiche” delle piramidi o dei templi.
A un gradino superiore rispetto all’architettura sta, per Hegel, la scultura. Essa coglie l’individualità spirituale come ideale classico. Ancora si fa ricorso alla materia, cogliendo però la vitalità reale dello Spirito nella la figura umana. Sotto un certo profilo, la scultura figura come “l’arte massimamente imperfetta” (die unvollständigste Kunst), dacché pone lo spirituale e la figura umana nell’elemento della materia grezza e si rivela mera “dimensione preparatoria”. È tipica dell’arte simbolica, che allude e prepara.
L’arte classica, per parte sua, coglie la corporeità vivente dello Spirito nella scultura (“l’ideale classico perviene alla sua realtà adeguata per mezzo della scultura”). A differenza della pittura, ove gli antichi non diedero il meglio, la loro scultura, con la sua “bellezza ineguagliabile”, riesce a raffigurare il divino nella sua olimpica compostezza e nella sua infinita quiete. Essa è connessa alla libera individualità, afferrata nella sua vivente spiritualità, ossia come “Spirito che è per sé solo nel proprio organismo corporeo”. Se l’architettura allestisce lo spazio nel quale il dio dimora, la scultura, dal canto suo, erge questo dio nella sua plastica bellezza.
Con l’arte romantica, poi, si giunge alla massima spiritualità colta nel sensibile. Essa è “elevazione dello spirito verso di sé” o, se si preferisce, è lo Spirito che si procura da sé la propria obiettività. A tal riguardo, con la pittura ci si libera dal sensibile spaziale e resta solo la superficie. V’è ancora la figura come mezzo tramite il quale l’Intiero si mostra, ma già si vede la soggettività particolare, con una magia di colori che, tuttavia, resta ancora spazialmente configurata.
L’esteriorità reale della figura degrada verso l’apparenza del colore e pone al centro l’espressione dell’anima, cogliendo l’interno mediante l’uso della parvenza dei colori. Con la musica, invece, ci si affranca ancora più marcatamente dal sensibile. Essa presenta l’interiore qua talis. Il soggettivo diviene forma e contenuto e, in tal guisa, vi è la Aufhebung des Räumlichen, il “superamento della componente spaziale”.
Infatti, il sensibile rinunzia alla propria staticità ed entra in movimento, vibrando e producendo il suono. Quest’ultimo è il materiale proprio della musica. Esso è un’esteriorità sui generis, giacché “si elimina nel proprio sorgere”: non appena l’orecchio l’ha colto, già si estingue e si interiorizza. In altri termini, il suono sparisce come elemento esteriore immediatamente e si interiorizza, come eco nel più profondo dell’anima. Nella musica, allora, non risuona l’oggettività, ma “l’Io più intimo” (das innerste Selbst). E, per questo, essa è arte dell’animo che immediatamente si volge verso se stesso: il suono della musica scioglie l’ideale “dalla sua prigionia nel materiale” e afferra la soggettività spirituale nella sua unità soggettiva immediata.
A differenza della scultura e dell’architettura, che sono risultati stabili per sé oggettivamente esistenti, l’opera d’arte musicale necessita, per esistere, dell’esecuzione, ossia dello “stesso reale produrre artistico”. Nel sostenere ciò, ovviamente, Hegel pensa alla personalità vivente dell’artista in azione e non può avere in mente l’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.
Infine, al sommo grado dell’arte, Hegel colloca la poesia, “la più ricca, più illimitata” delle realizzazioni artistiche, dove il sensibile quasi sparisce. “Arte della parola” (redende Kunst), la poesia segna il passaggio dal suono della musica alla parola esprimente pensieri: essa “esprime immediatamente lo Spirito come Spirito”. E già tende a trapassare nel concetto filosofico. Con la musica, la poesia ha in comune il fatto che il materiale sensibile usato è il medesimo (il suono). Ma la musica si esaurisce nel conferire forma al suono in quanto suono. Per parte sua, la poesia, il cui materiale è la fantasia, si rivolge precipuamente all’anima con il proprio risuonare nel modo più intimo. Parola e suono figurano, allora, come mezzi per lo spirituale, che ora si pone finalmente in primo piano assoluto: l’oggetto reale della poesia non sono, infatti, il sole e le montagne, né i nervi e i muscoli, bensì geistige Interessen, “interessi spirituali”.
In ciò riposa la funzione specifica della poesia, il suo condurre alla piena consapevolezza le potenze spirituali. Per questo, la poesia è stata ed è ancora “la maestà più universale e diffusa per il genere umano” (die allgemeinste und ausgebreiteteste Lehrerin des Menschengeschlechts). In tal maniera, si chiude il sistema delle arti particolari: l’arte, che è inizialmente arte esteriore dell’architettura, superata poi dall’arte oggettiva della scultura, è portata a compimento da quella soggettiva della pittura, della musica e, infine, della poesia, con cui già principia a prendere forma il transito al superiore livello dello Spirito assoluto rappresentato dal concetto filosofico.
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Nella prospettiva hegeliana, a partire soprattutto dalla Fenomenologia dello Spirito (1807), la verità filosofica è del tutto autonoma rispetto alla scienza. La religione e l’arte, dal canto loro, sono accomunate alla filosofia per quel che concerne l’oggetto (la verità dell’intero, l’Assoluto) ma ne sono separate dalla forma espressiva. Infatti, la forma depotenziata della “rappresentazione” (Vorstellung) religiosa e della “rappresentazione sensibile” operata dall’arte sono diverse e inferiori rispetto alla potenza del Begriff filosofico, il solo in grado di rendere conto della soggetto-oggettività. Soltanto la filosofia è, in senso pieno, “spirito pensante”, id est “la forma più alta, più libera e più sapiente” dello Spirito. Solo con il “concetto” (Begriff) il Soggetto e l’Oggetto sono momenti dello stesso Spirito: e il loro opporsi è, in verità, l’opporsi della Sostanza con se stessa. Con la potenza del concetto, pertanto, la filosofia supera e, insieme, invera arte e religione: l’oggettività dell’arte è ora affrancata dal sensibile, proprio come la soggettività della religione viene purificata in soggettività del pensiero puro. In quanto regno della Herrschaft des Begriffs, della “signoria del concetto”, la filosofia può, in tal maniera, definirsi come “superamento-conservazione” (Aufhebung) e dell’arte e della religione, dacché le supera, le toglie e le conserva, mantenendone i contenuti e, insieme, ponendoli nella superiore forma del Begriff. Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (§ 572), Hegel definisce la filosofia come “il concetto dell’arte e della religione conosciuto mediante il pensiero”. Così, del resto, per quel che riguarda l’arte come intuizione concreta dello Spirito assoluto nelle Vorlesungen sull’estetica, frutto dei quattro corsi tenuti tra Heidelberg (1818) e Berlino (1820-1821, 1823, 1826 e 1828-1829): “l’arte riconcilia entrambe gli estremi, è il termine medio che connette il concetto e la natura. Questa determinazione l’arte da un lato l’ha in comune con la religione e la filosofia; essa ha però il modo a lei peculiare nel fatto che presenta anche le cose più alte in maniera sensibile e perciò porta più vicino alla natura senziente”.
Più precisamente, “l’arte è limitata anche in base al suo contenuto, ha un materiale sensibile, e perciò solo un certo grado della verità è suscettibile di essere contenuto dell’arte”. L’opera d’arte pone infatti das Geistige, “lo spirituale”, nell’esistenza immediata per l’occhio e per l’orecchio. Poiché sorge e risorge dallo Spirito, “il bello artistico sta più in alto della natura (höher als Natur)”. L’arte non può essere intesa e praticata come mera imitazione della natura, ché con quest’ultima non può competere, pena il trovarsi nella condizione del “vermiciattolo che tenta di strisciare dietro a un elefante”.
È bensì vero che l’arte fa di ogni sua oggettivazione un Argo dai mille occhi, dacché opera in modo che in ogni punto del fenomeno si scorgano l’anima interna e la spiritualità: e, tuttavia, risulta essenzialmente inadeguata, giacché il sensibile è l’elemento meno appropriato per afferrare l’Assoluto. In particolare, il sensibile nell’opera d’arte è parvenza, è spiritualizzato, ché nella produzione artistica lo Spirito stesso si naturalizza e si dà in forma sensibile, nella propria alterità.
Inoltre, nella forma dell’arte si dà uno sbilanciamento a favore della soggettività dell’artista che impedisce la sintesi soggetto-oggettiva di cui la filosofia soltanto, in forma compiuta, è capace. L’opera d’arte, infatti, è per eccellenza il momento soggettivo: esiste “nella soggettività creatrice (schöpferische Subjektivität), nel genio e nel talento dell’artista”, secondo un tema che sarà centrale nella Filosofia dell’arte del Gentile. Non ci addentriamo, in questa sede, nella vexata quaestio della “morte dell’arte” in Hegel: formula che, comunque, non si trova nel suo testo, ove semplicemente si dice che l’arte è “un che di passato” (ein Vergangenes) e si sostiene, contestualmente, l’esigenza di salire verso “forme più elevate (höhere Formen) rispetto a quelle che l’arte è capace di offrire”.
Peraltro, sia detto qui per inciso, sostenere che l’arte è ein Vergangenes può plausibilmente voler dire – in coerenza con lo stesso impianto hegeliano – che essa è “un passato” anche nel senso che essa, in rapporto al concetto filosofico, è sempre stata e sempre sarà una realtà che lo precede. Dal punto di vista dello Hegel, nell’epoca odierna ormai la soggettività dell’artista si trova al di sopra della sua materia e della sua produzione: “il pensiero e la riflessione hanno oltrepassato la bella arte”. Ciò segna effettivamente un mutamento di prospettiva rispetto ai tempi del giovanile Systemprogramm, ove si teorizzava il futuro primato dell’arte, con risoluzione delle scienze nell’arte stessa. Le mature Lezioni sull’estetica tematizzano invece l’esaurimento storico della funzione dell’arte nel moderno. Con ciò si vuol dire che l’arte non svolgerà più la funzione fondamentale di veicolo della verità rivestita in passato, precipuamente nella Grecia classica.
Si rinviene, invece, nell’opera hegeliana, la tesi della morte di Dio: in Fede e sapere, Hegel scrive, infatti, che il sentimento su cui riposa la religione dei moderni si cristallizza nella formula “Dio stesso è morto” (Gott selbst ist tot). Ad avviso dell’Heidegger degli Holzwege, si tratterebbe, peraltro, della prima ricorrenza registrata di tale formula – ben prima di Nietzsche – nella storia del pensiero occidentale. In ogni caso, in quanto forma dello Spirito assoluto, l’arte mantiene, alla stregua della religione e della filosofia, una sua insopprimibile potenza veritativa, che nella Fenomenologia Hegel esprime sostenendo che der Geist ist Künstler, “lo Spirito è artista” e che, nell’Enciclopedia (§ 560), diversamente formula asserendo che “l’artista è il mastro che padroneggia Dio”.
In quanto Erscheinen sensibile del divino (e non il divino quale si è rivelato nel cristianesimo come vero Dio e quale ha raggiunto forma concettuale in ultimo nel pensiero speculativo), l’arte è, insomma, per Hegel esperienza di verità ed è per questa ragione che rientra appieno tra le figure dello Spirito assoluto: das Reich der schönen Kunst ist das Reich des absoluten Geistes, “il regno della bella arte è il regno dello Spirito assoluto”.
Nelle Lezioni sull’estetica, dopo aver esaminato l’essenza dell’arte e la sua relazione con la filosofia e la religione, lo Hegel affronta, come sappiamo, il “sistema delle singole arti”, secondo una gradazione che spazia da quella massimamente sensibile a quella più spiritualizzata, in cui già si prepara il passaggio a superiori figure dello Spirito. L’architettura – soprattutto quella dei babilonesi e degli egizi – è l’incipit dell’arte. In essa, l’Assoluto è colto in materiali e forme non appropriate, che coincidono con la pura spazialità: “la cifra fondamentale dell’architettura è la forma d’arte simbolica”, con cui si appronta lo spazio sensibile esterno per la presenza del dio, come accade con le “costruzioni magnifiche” delle piramidi o dei templi.
A un gradino superiore rispetto all’architettura sta, per Hegel, la scultura. Essa coglie l’individualità spirituale come ideale classico. Ancora si fa ricorso alla materia, cogliendo però la vitalità reale dello Spirito nella la figura umana. Sotto un certo profilo, la scultura figura come “l’arte massimamente imperfetta” (die unvollständigste Kunst), dacché pone lo spirituale e la figura umana nell’elemento della materia grezza e si rivela mera “dimensione preparatoria”. È tipica dell’arte simbolica, che allude e prepara.
L’arte classica, per parte sua, coglie la corporeità vivente dello Spirito nella scultura (“l’ideale classico perviene alla sua realtà adeguata per mezzo della scultura”). A differenza della pittura, ove gli antichi non diedero il meglio, la loro scultura, con la sua “bellezza ineguagliabile”, riesce a raffigurare il divino nella sua olimpica compostezza e nella sua infinita quiete. Essa è connessa alla libera individualità, afferrata nella sua vivente spiritualità, ossia come “Spirito che è per sé solo nel proprio organismo corporeo”. Se l’architettura allestisce lo spazio nel quale il dio dimora, la scultura, dal canto suo, erge questo dio nella sua plastica bellezza.
Con l’arte romantica, poi, si giunge alla massima spiritualità colta nel sensibile. Essa è “elevazione dello spirito verso di sé” o, se si preferisce, è lo Spirito che si procura da sé la propria obiettività. A tal riguardo, con la pittura ci si libera dal sensibile spaziale e resta solo la superficie. V’è ancora la figura come mezzo tramite il quale l’Intiero si mostra, ma già si vede la soggettività particolare, con una magia di colori che, tuttavia, resta ancora spazialmente configurata.
L’esteriorità reale della figura degrada verso l’apparenza del colore e pone al centro l’espressione dell’anima, cogliendo l’interno mediante l’uso della parvenza dei colori. Con la musica, invece, ci si affranca ancora più marcatamente dal sensibile. Essa presenta l’interiore qua talis. Il soggettivo diviene forma e contenuto e, in tal guisa, vi è la Aufhebung des Räumlichen, il “superamento della componente spaziale”.
Infatti, il sensibile rinunzia alla propria staticità ed entra in movimento, vibrando e producendo il suono. Quest’ultimo è il materiale proprio della musica. Esso è un’esteriorità sui generis, giacché “si elimina nel proprio sorgere”: non appena l’orecchio l’ha colto, già si estingue e si interiorizza. In altri termini, il suono sparisce come elemento esteriore immediatamente e si interiorizza, come eco nel più profondo dell’anima. Nella musica, allora, non risuona l’oggettività, ma “l’Io più intimo” (das innerste Selbst). E, per questo, essa è arte dell’animo che immediatamente si volge verso se stesso: il suono della musica scioglie l’ideale “dalla sua prigionia nel materiale” e afferra la soggettività spirituale nella sua unità soggettiva immediata.
A differenza della scultura e dell’architettura, che sono risultati stabili per sé oggettivamente esistenti, l’opera d’arte musicale necessita, per esistere, dell’esecuzione, ossia dello “stesso reale produrre artistico”. Nel sostenere ciò, ovviamente, Hegel pensa alla personalità vivente dell’artista in azione e non può avere in mente l’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.
Infine, al sommo grado dell’arte, Hegel colloca la poesia, “la più ricca, più illimitata” delle realizzazioni artistiche, dove il sensibile quasi sparisce. “Arte della parola” (redende Kunst), la poesia segna il passaggio dal suono della musica alla parola esprimente pensieri: essa “esprime immediatamente lo Spirito come Spirito”. E già tende a trapassare nel concetto filosofico. Con la musica, la poesia ha in comune il fatto che il materiale sensibile usato è il medesimo (il suono). Ma la musica si esaurisce nel conferire forma al suono in quanto suono. Per parte sua, la poesia, il cui materiale è la fantasia, si rivolge precipuamente all’anima con il proprio risuonare nel modo più intimo. Parola e suono figurano, allora, come mezzi per lo spirituale, che ora si pone finalmente in primo piano assoluto: l’oggetto reale della poesia non sono, infatti, il sole e le montagne, né i nervi e i muscoli, bensì geistige Interessen, “interessi spirituali”.
In ciò riposa la funzione specifica della poesia, il suo condurre alla piena consapevolezza le potenze spirituali. Per questo, la poesia è stata ed è ancora “la maestà più universale e diffusa per il genere umano” (die allgemeinste und ausgebreiteteste Lehrerin des Menschengeschlechts). In tal maniera, si chiude il sistema delle arti particolari: l’arte, che è inizialmente arte esteriore dell’architettura, superata poi dall’arte oggettiva della scultura, è portata a compimento da quella soggettiva della pittura, della musica e, infine, della poesia, con cui già principia a prendere forma il transito al superiore livello dello Spirito assoluto rappresentato dal concetto filosofico. |