POSSIBILITÀ
“Più in alto della realtà sta la possibilità”.
(M. Heidegger, Essere e tempo)
A cura di Diego Fusaro Che cosa significa sostenere che una cosa è “possibile”? E che cos’è, nella sua essenza, la possibilità? Essa esiste o non dobbiamo, al contrario, ammettere che tutto è retto dalla più rigida necessità? Mi paiono domande della massima importanza, dalle quali non possiamo esimerci dal provare a fornire una risposta. In prima approssimazione, potremmo sostenere che il possibile, nella sua determinazione più generale, si colloca a metà strada tra il reale e l’irreale, tra ciò che è e ciò che non è. Il possibile, infatti, non è reale, perché ancora non è giunto alla pienezza d’essere che contraddistingue gli enti reali, i quali effettivamente sono. Ma non è neppure irreale, poiché al possibile non è negata la possibilità di raggiungere lo statuto proprio degli enti reali. Insomma, per sua essenza, il possibile ha a che fare con un essere che non è ancora in senso pieno, ma che potrebbe diventare tale, senza che vi sia nulla di necessario in tale passaggio. In ciò si misura la differenza specifica tra la possibilità e il suo opposto, la necessità. Nella sua accezione più larga, è necessario ciò che non può non essere o ciò che non può essere (in questo senso, il necessario coincide, paradossalmente, con l’impossibile). Ordunque, a differenza della necessità, per la quale le cose sono in una maniera e non potrebbero essere altrimenti, la possibilità si fonda su un modo d’essere che rovescia ogni rigido determinismo: il possibile, infatti, non è necessario, ma neppure impossibile. Ora, nel suo senso più generale, ritengo che la possibilità sia il vero fondamento della realtà o, per lo meno, della realtà legato al mondo umano, cioè alla società, all’economia, alla politica. Forse nell’ambito della natura prevale la necessità, come molti filosofi hanno variamente sostenuto: la pietra lasciata cadere precipita necessariamente verso il suolo. Ma nell’ambito umano credo che il modo d’essere fondamentale sia il possibile. In particolare, la realtà non è data, semplicemente, dalle cose che sono, ma dalla somma di queste più le cose che, a partire da loro, potrebbero essere. Le cose come le vediamo, in effetti, non sono realtà inerti, che stanno ferme nella loro pura presenza data: al proprio interno, ospitano possibilità di sviluppo che, in molti casi, nemmeno riusciamo a immaginare. Questo non vuol dire che, da quelle cose, debbano necessariamente seguirne altre. Vuol semplicemente dire che, in quelle cose, vi sono tutte le condizioni fondamentali perché possano scaturirne sviluppi che, proprio in quanto possibili e non necessari, non possono essere previsti. È solo una prospettiva di questo tipo, cioè fondata sul possibile più che sul necessario, a dare un senso compiuto alla nostra esistenza, alle nostre azioni quotidiane, grandi o piccole che siano. Che senso avrebbe, infatti, agire, soffrire, battersi, impegnarsi se tutto procedesse in modo necessario? Se, cioè, tutto fosse già scritto – in natura o chissà dove – e se noi non fossimo altro che marionette inconsapevoli, programmate per agire secondo il destino della necessità? Insomma, è solo alla luce della possibilità che la nostra esistenza acquista un senso compiuto: la realtà ha al suo interno tutta una serie di possibilità che sta al nostro agire, al nostro impegno e alla nostra volontà tradurre in atto, facendo sì che da possibili diventino, appunto, reali in senso pieno. Dove prevale una visione del mondo centrata sull’idea di necessità, crolla ogni possibile agire morale, si spegne ogni volontà creatrice e tramonta ogni responsabilità: se tutto avviene secondo necessità, infatti, non resta alcuno spazio per la libertà d’azione del soggetto. |