SCHOPENHAUER, LA VOLONTÀ
[Il mondo come volontà e interpretazione, I, 18]
In effetti, il senso tanto cercato del mondo, che mi sta unicamente dinanzi come mia rappresentazione, oppure il passaggio da esso, come pura rappresentazione del soggetto conoscente, a quel che può essere ancora oltre di ciò, non si potrebbe assolutamente mai trovare, se l’indagatore medesimo non fosse nient’altro che il puro soggetto conoscente (alata testa di angelo senza corpo). Ma in quel mondo egli ha le proprie radici, vi si trova, cioè, come individuo, ossia il suo conoscere, che è la condizione dell’esistenza del mondo intero come rappresentazione, si opera però sempre mediante un corpo, le cui affezioni, come si è mostrato, sono per l’intelletto il punto di partenza dell’intuizione di quel mondo. Per il puro soggetto conoscente, in quanto tale, questo corpo è una rappresentazione come tutte le altre, un oggetto fra oggetti: i suoi movimenti, le sue azioni non sono, sotto questo aspetto, conosciute da lui diversamente dalle modificazioni di tutti gli altri oggetti intuitivi: esse gli sarebbero egualmente estranee e incomprensibili, se il loro senso non gli fosse per avventura svelato in un modo del tutto diverso. Altrimenti, vedrebbe svilupparsi la propria azione con la costanza di una legge naturale sui motivi che le si offrono, proprio come le modificazioni degli altri oggetti sono regolate da cause, stimoli, motivi. Ma non comprenderebbe l’influsso dei motivi piú di quanto comprenda il nesso di ogni altro effetto, che gli appaia, con la rispettiva causa. Egli continuerebbe allora a chiamare una forza, una qualità, un carattere a piacere, l’intima, per lui incomprensibile essenza di quelle manifestazioni ed operazioni del suo corpo e non spingerebbe oltre lo sguardo. Ma le cose non stanno cosí: al soggetto del conoscere, che appare come individuo, è data la parola dell’enigma: e questa parola è volontà. Questa, e questa sola, gli dà la chiave per comprendere il suo proprio fenomeno, gli manifesta il significato, gli mostra l’intimo meccanismo del suo essere, del suo agire, dei suoi movimenti. Al soggetto della conoscenza, il quale per la sua identità col corpo si presenta come individuo, questo corpo è dato in due modi del tutto diversi: è dato come rappresentazione nella intuizione dell’intelletto, come oggetto fra oggetti, e sottomesso alle leggi di questi; ma è dato contemporaneamente anche in un modo tutto diverso, ossia come quel qualcosa direttamente conosciuto da ciascuno, che la parola volontà esprime. Ogni vero atto della sua volontà è immediatamente e immancabilmente anche un moto del suo corpo: egli non può volere realmente l’atto, senza accorgersi insieme che esso appare come moto del corpo. L’atto volitivo e l’azione del corpo non sono due diversi stati oggettivamente conosciuti e collegati dal legame di causalità, non stanno tra di loro nella relazione di causa ed effetto: sono invece un tutto unico, ma si danno in due modi affatto diversi: nell’uno direttamente, e nell’altro mediante l’intuizione per l’intelletto. L’azione del corpo non è altro se non l’atto del volere oggettivato, ossia penetrato nell’intuizione.
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"La Filosofia non è qualcosa che sia presente originariamente e per natura al nostro spirito senza bisogno di alcuna attività da parte di questo; ma essa è invece opera della libertà. Essa è per ciascuno soltanto ciò che egli fa; e perciò anche l’idea della Filosofia è soltanto risultato della Filosofia stessa, la quale, in quanto è una scienza infinita, è insieme la scienza di se stessa". (F.W.J. Schelling, "Introduzione alle Idee per una filosofia della natura")
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