Nature

SCOPO

“La maggior parte di coloro che hanno scritto sugli Affetti e sul modo di vivere degli uomini, sembra che trattino non di cose naturali, che seguono le comuni leggi della Natura, ma di cose che sono al di fuori della Natura. Sembra anzi che concepiscano l’uomo nella Natura come un impero nell’impero. Infatti credono che l’uomo sconvolga l’ordine della Natura, piú che seguirlo, e che abbia sulle proprie azioni un potere assoluto, e che non sia determinato da altro che da se stesso”.
(B. Spinoza, Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico)






A cura di Diego Fusaro

Che cos’è lo scopo? E quali sono le sue determinazioni essenziali? Nella lingua greca, dalla quale la nostra parola italiana deriva, skopòs significa, se tradotto alla lettera, “bersaglio”: termine che, a sua volta, deriva dal verbo skopèo, che vuol dire “fissare con lo sguardo”, “guardare”. Lo scopo è, dunque, nel suo senso più immediato, il fine ultimo o, se preferiamo, il bersaglio al quale tende il nostro agire. È, ancora, l’orientamento in nome del quale operiamo. “Mirando” ad esso, acquista un senso pieno ciò che facciamo: che, appunto, si compie allorché raggiunge il fine che ci eravamo proposti. Lo scopo, dunque, allude a un fine dell’agire che è, insieme, la sua fine, ossia il suo risultato ultimo, mediante il quale l’operare che avevamo intrapreso si compie e viene portato a termine. Il vocabolo “fine” esprime efficacemente la compresenza di questi due significato: dice, per l’appunto, “un fine” che è anche “una” fine, ossia uno scopo che è, in pari tempo, il termine dell’azione. Nella Metafisica, Aristotele individua nel concetto di fine una delle quattro figure fondamentali del concetto di causalità: la causa finale della statua costruita in marmo dallo scultore è, ad esempio, la venerazione degli dèi. A questo proposito, non è difficile riconoscere come il nostro agire sia sempre finalisticamente orientato a uno scopo o, come dicevate voi greci, “teleologico”, cioè indirizzato a un telos, a un “obiettivo”. A tal punto che, forse, senza esagerazioni, potremmo anche affermare che vivere significa dare a se stessi degli obiettivi e agire in vista del loro raggiungimento. Se inteso in questa dimensione propriamente esistenziale, legata alla vita del soggetto, lo scopo può più propriamente definirsi “progetto”: il progetto, come suggerisce la parola stessa, è un “gettare avanti”, ossia appunto uno sporgere senza tregua al di là di ciò che si è ora, nel presente, in vista di ciò che si potrà essere domani, realizzando gli obiettivi che ci siamo assegnati. Più difficile, invece, è stabilire se la natura e, in generale, il mondo oggettivo abbiano anch’essi un fine. O se, invece, attribuirglieli significa proiettare indebitamente le nostre aspirazioni soggettive su una realtà che, di per sé, non ha fini, scopi e obiettivi. Il tema della finalità del mondo oggettivo può, a questo proposito, riguardare sia la natura, sia la storia. Il mondo naturale è retto dal principio della causalità finale o procede, invece, unicamente sul fondamento delle cause meccaniche? È una questione su cui, da sempre, la filosofia si affatica, con esiti e prospettive assai differenti. Voglio solo, a tal riguardo, rievocare la disputa a distanza tra Aristotele e Anassagora. Il secondo sosteneva che l’uomo è l’animale più intelligente, perché è dotato delle mani. Il primo, in modo opposto, obiettava che se l’uomo è stato equipaggiato delle mani dalla natura, ciò dipende dal fatto che egli è il più intelligente tra i viventi. La prospettiva di Anassagora si fonda sulla causalità meccanica, e riconosce nella mano la causa che determina la maggiore intelligenza dell’uomo. La visione di Aristotele, invece, è incentrata sulla causa finale: e mostra come la natura abbia dotato l’uomo della mano affinché egli potesse essere il più intelligente tra gli animali. Per quel che concerne il fine nella realtà storica è soprattutto a partire dalla modernità che si comincia a pensare che gli eventi che accadono nel corso storico non siano accidentali, né scaturenti soltanto da cause meccaniche: essi deriverebbero, invece, da un fine in sé e per sé della storia, nella quale tutto accadrebbe in vista di uno scopo finale, fatto coincidere ora con la libertà di tutti, ora con l’umanità redenta, e così via. Il guaio del nostro tempo non è tanto la rinuncia alla finalità della natura e della storia che lo caratterizza. È, invece, soprattutto da porsi in relazione con la rinunzia allo scopo soggettivo: è come se i contemporanei avessero, in larga parte, abbandonato l’idea di un fine progettuale in nome del quale vivere e si fossero consegnati all’insensatezza, al vuoto di significato. In una parola, al nichilismo.

Citazioni

“Per quanto sia innegabile che in tutte le epoche coloro che erano in grado di elevarsi a un mondo ideale furono sempre una minoranza, mai come al giorno d’oggi, per ragioni che posso passare sotto silenzio, questa minoranza è stata così ristretta”. (J.G. Fichte, La missione del dotto)
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