TOMMASO, L’ENTE E L’ESSENZA
[De ente et essentia ]
Vi è una realtà, e cioè Dio, la cui essenza è lo stesso suo essere; per questa ragione alcuni filosofi dicono che Dio non possiede quiddità o essenza, perché la sua essenza non rientra in un genere, perché tutto ciò che rientra in un genere ha necessariamente la quiddità distinta dal suo essere; infatti la quiddità o natura del genere o della specie non è diversa, quanto al significato della natura, in quelle realtà di cui è genere o specie; laddove l’essere è diverso nelle diverse realtà.
D’altra parte, se diciamo che Dio è essere soltanto, non cadiamo necessariamente nell’errore di coloro i quali dissero che Dio è quell’essere universale con cui è costituita formalmente ciascuna realtà. Infatti quell’essere, che è Dio, è tale che non possa ammettere alcuna aggiunta; conseguentemente, proprio in base alla sua stessa purezza, è un essere distinto da ogni altro essere. Perciò nel commento della IX Proposizione del Libro sulle Cause si dice che l’individuazione della Causa Prima, che è essere soltanto, si ha mediante la sua pura bontà. Invece l’essere comune, come nel suo concetto non include alcuna aggiunta, cosí neppure include nel suo concetto l’espulsione di un’aggiunta; perché, se cosí fosse, non si potrebbe pensare alcuna realtà, in cui fare un’aggiunta all’essere.
b) Essenza ed esistenza negli spiriti finiti
In un secondo modo l’essenza si trova nelle sostanze spirituali create, nelle quali l’essere è distinto dalla loro essenza, benché l’essenza sia senza la materia. Quindi il loro essere non è sussistente, ma ricevuto e perciò limitato e finito secondo la capacità della natura che lo riceve; però la loro natura o quiddità è sussistente, non ricevuta in alcuna materia. Perciò nel Libro sulle Cause si dice che i puri spiriti sono illimitati nei confronti di quel che è ad essi inferiore e limitati da un punto di vista superiore: sono difatti limitati quanto al loro essere, che ricevono da una realtà superiore, ma sono illimitati di fronte ad una realtà inferiore, perché le loro forme non vengono limitate dalla capacità di una materia che le riceva. Pertanto in tali sostanze non si trova una pluralità d’individui in un’unica specie, come si è detto, salvo che nell’anima umana a causa del corpo, cui essa si unisce.
L’individuazione dell’anima proviene occasionalmente dal corpo, quanto al suo inizio, perché essa non acquista un essere individuato se non nel corpo, di cui è atto. Non è tuttavia necessario che, dissolto il corpo, quell’individuazione venga meno, giacché l’anima, avendo un essere sussistente, in base al quale essa ha acquisito un essere individuato dal momento che è diventata forma di un corpo concreto, quell’essere rimane sempre individuato. Di qui dice Avicenna che l’individuazione-moltiplicazione delle anime proviene dal corpo quanto all’inizio, se non quanto al termine.
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“L’Io stesso fa l’oggetto, mediante il proprio agire; la forma del suo agire è essa stessa l’oggetto, e non si deve pensare a nessun altro oggetto. Ciò il cui modo di agire diventa necessariamente un oggetto, è un Io, e l’Io stesso non è nient’altro che ciò il cui mero modo di agire diventa un oggetto”.
(J.G. Fichte, "Fondamento del diritto naturale")
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