Nature

TRASCENDENZA

“Fummo d’accordo con lui e ammettemmo che ogni Idea ha una sua esistenza reale e che tutte le cose sensibili, partecipando di queste Idee, ne prendono il nome”.
(Platone, Fedone)






A cura di Diego Fusaro

Il termine trascendenza è tra i più importanti del vocabolario della filosofia ed è per questo che mi pare degno di una pur rapida analisi in questa mia lettera. “Trascendenza” deriva dall’unione di due parole latine, “trans” e “ascendere”. Se tradotto alla lettera, significa “ciò che sale al di là”: per estensione, indica ciò che sta al di là, ciò che rinvia a qualcosa di altro rispetto a quel che sta dinanzi a noi. Per comprendere al meglio il significato del concetto, può essere utile richiamarsi, per contrasto, al suo opposto: la trascendenza, infatti, si contrappone all’“immanenza”, ossia a ciò che è nel puro piano delle cose sensibili che stanno dinanzi a noi. In maniera diametralmente opposta, la trascendenza rinvia a un piano ulteriore, che sta al di là rispetto a quello immediatamente visibile e che, insieme, risulta superiore rispetto ad esso. Trascendenti sono, ad esempio, le idee di Platone, a cui già abbiamo fatto cenno: esse, infatti, non sono nel piano dell’immanenza, ma sono collocate in una dimensione ulteriore, che, appunto, trascende quella del sensibile e presenta maggiore valore rispetto ad essa. Alla prospettiva di Platone, replica il suo allievo Aristotele. Questi, alla trascendenza delle idee platoniche, risponde con l’immanenza assoluta delle “forme”: l’idea di cavallo, come sappiamo, per Platone rinvia alla trascendenza di un mondo ulteriore, a un piano superiore a quello sensibile, che al tempo stesso fa sì che il sensibile esiste nella forma specifica con cui lo percepiamo. Al contrario, ad avviso di Aristotele, l’idea di cavallo non esiste come ente trascendente: è tutta proiettata nell’immanenza del mondo sensibile. In altri termini, non è – come in Platone – l’idea trascendente a determinare la concreta esistenza dei cavalli empirici (che ad essa si ispirerebbero, parteciopandone e imitandola): è, al contrario, dal concreto mondo immanente dei cavalli che realmente sono che noi ricaviamo, per astrazione, la forma del cavallo. Sarà il cristianesimo, dopo Platone, a riprendere e a rinnovare profondamente l’idea di trascendenza. Per la teologica cristiana, come per la filosofia platonica, il mondo sensibile non esaurisce il senso ultimo delle cose: è, invece, un segno che rinvia a una superiore dimensione di trascendenza: se Platone la chiamava “iperuranio”, i cristiani la definiscono “paradiso”. Al netto delle pur importantissime differenze, il movimento di pensiero resta il medesimo: ciò che c’è, non è tutto, giacché il sensibile rimanda a un sovrasensibile che sta “sopra” e “al di là” del sensibile stesso. In questa prospettiva, potremmo dire che la trascendenza fa valere una concezione di tipo dualistico: infatti, contrappone al mondo sensibile quello sovrasensibile, duplicando, per così dire, la realtà. Al grado più basso, v’è quella empirica, di cui facciamo esperienza con i nostri sensi. A un livello più elevato, si colloca quella sovrasensibile, che non può essere percepita per il tramite dei sensi: sta, invece, agli “occhi” della mente e del pensiero raggiungerla. In modo opposto, l’immanenza prospetta una visione di ordine monistico: non si dà altra realtà rispetto a quella che concretamente percepiamo con i nostri sensi. Per questo, dal punto di vista degli immanentisti, il mondo è soltanto uno ed è quello in cui quotidianamente ci muoviamo. A rigore, si potrebbe dire che può anche esistere, forse come eccezione, un tipo di trascendenza immanente: sembra un paradosso, ma non lo è. Questo particolare tipo di trascendenza immanente è quella del futuro, inteso come una dimensione diversa e superiore, in nome della quale agire nel presente. La modernità, generalmente, tende a sostituire alla fede nella trascendenza del paradiso quella nella trascendenza immanente di un futuro diverso e migliore. L’uomo stesso, per sua essenza, può a tratti definirsi come l’ente che per natura è portato alla trascendenza: se non necessariamente a quella di tipo religioso, sicuramente a quella di tipo immanente, legata, come dicevo, alla ricerca di un futuro migliore. Il dispositivo di pensiero è, nonostante tutto, lo stesso: ciò che c’è non è tutto, perché quel che esiste rinvia a qualcosa di diverso e di superiore. Quest’ultimo, però, dal punto di vista della trascendenza immanente, coincide con un altrove inteso nel tempo più che nello spazio. Queste considerazioni mi permettono di riflettere su quanto la nostra epoca abbia negato ogni genere di trascendenza: nel suo complesso, ha abbandonato sia la fede in un al di là più grande, sia in un domani migliore. Si è, così, consegnata alla disincantata accettazione di ciò che c’è, perché non è più in grado di contrapporgli qualcosa di più grande in cui sperare e nel nome del quale adoperarsi quotidianamente.

Citazioni

"Tutto il dolore umano deriva da questa incapacità di riconoscere nell’oggetto noi stessi, e di sentire perciò la nostra libertà infinita". (G. Gentile, "La riforma dell’educazione")
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