Io so i nomi. Così disse, a suo tempo, Pasolini. I tempi sono cambiati, la violenza non ha smesso di mietere vittime. Lo si è visto, ancora una volta, con l’attentato di Bruxelles. Viviamo in tempi di incertezza: la precarietà è dappertutto, diceva Bourdieu. E, dal canto suo, il sociologo Beck da tempo è venuto ripetendo che la nostra può con diritto essere considerata la “società del rischio” (Risikogesellschaft). Dopo Bruxelles queste diagnosi infauste paiono confermate.
A differenza di Pasolini, io non so i nomi. Non so chi davvero abbia compiuto, meditato e organizzato l’attentato di Bruxelles. So però che, anche questa volta, la versione ufficiale è lacunosa e non convince, se non quelli che già sono convinti e i tanti che sono disposti a credere a quanto vedono sugli schermi televisivi, sulle pagine dei giornali e sugli altri organi della disinformazione di massa.
Come sempre, chiunque osi dubitare della versione ufficiale sarà silenziato come “complottista”, secondo l’usuale lemma della neolingua alleata del potere: chi critica il potere è disfattista, chi difende interessi che non siano quelli dell’èlite è populista, e chi mette in discussione la versione ufficiale è complottista.
Il pensiero unico domina incontrastato: induce gli oppressi ad amare gli oppressori e le catene e, con movimento simmetrico, a odiare gli altri oppressi, la demistificazione ed eventualmente anche i liberatori.
Non so i nomi. So, però, che i singoli terroristi che hanno compiuto il gesto efferato e criminale sono pedine di una macchina ben più grande: essi ne sono parte, sono esecutori di verdetti emessi altrove. Agiscono nell’ombra e con l’appoggio di qualcuno. Sono il momento terminale di una catena assai più lunga, che non sappiamo con precisione dove cominci.
Non so i nomi. So, però, chi, ancora una volta, trae giovamento dal terrorismo esploso a Bruxelles: a vincere è, una volta di più, quel potere che appena si è verificata la strage ha subito detto senza esitazioni ‘ci vuole più sicurezza, dunque meno libertà’; quel potere che mira a creare una situazione di tensione e di emergenza per controllarci meglio e renderci più disposti ad accettare in silenzio gli ordini, ossia per farci accettare ciò che, in condizioni normali, mai accetteremmo. Il dopo Twin Towers dovrebbe pur averci insegnato qualcosa.
Non so i nomi. So però che subito dopo l’efferata strage i leaders dei diversi Paesi dell’Unione Europea hanno rispolverato, proprio come dopo Charlie Hebdo e dopo il 13.11.2015, l’usuale formula “ci vuole più Europa”, con annesse altre parole magiche come “esercito unico europeo”, “intelligence unificata”, e così via.
Non so i nomi. Però posso dire di sapere questo: che ci attendono anni di reazione terroristica al terrorismo (bombardamenti etici, interventismi umanitari, embarghi terapeutici, ecc.); anni di militarizzazione e di restrizione della libertà sempre in nome della sicurezza.
Insomma, ancora una volta ha vinto il potere. Che, oltretutto, ha nuovamente spostato l’attenzione da sé: il nemico ora è diventato l’Islam, identificato tout court con il terrorismo. Della disoccupazione, della violenza economica e finanziaria, delle generazioni occidentali senza futuro e a tempo determinato, nessuno parlerà più per i prossimi mesi.