POST HOC, ERGO PROPTER HOC?
Da giorni, i professionisti dell’informazione sono presi da un’iniziativa davvero energivora: dimostrare che la logica del post hoc, ergo propter hoc è fallace. Il fatto che si muoia “dopo” essersi sottoposti alla vaccinazione non prova che si sia morti “a causa della vaccinazione”. Occorre – dicono – valutare caso per caso. Mi pare un modo di procedere sensato, in effetti. A differenza dell’iniezione che si fa con la pena di morte, dove è difficilmente smentibile il post hoc, ergo propter hoc, nel caso dei vaccini è tutto da dimostrare caso per caso. Giustissima regola metodologica, quand’anche l’evidenza fattuale lasci davvero scarso margine alle interpretazioni (cfr. Covid, in Norvegia 23 morti “associate alla vaccinazione” tra persone anziane e fragili. Aifa: “Nessun allarme, massima attenzione”, “Il Fatto Quotidiano”, 16.1.2021). Eppure – non vi sarà sfuggito – si continua indefessamente a rubricare come morto “a causa di Covid” ogni decesso avvenuto “dopo” la contrazione del Coronavirus, in ossequio alla logica del post hoc, ergo propter hoc. Insomma, ogni morto “dopo” il vaccino non è morto necessariamente “a causa del” vaccino, ma ogni morto “dopo” aver contratto il Coronavirus è morto “a causa del” Coronavirus. Credo sia chiaro a tutti il non sequitur. E’ davvero arduo negare che questa palese “diversità di trattamento” per la suddetta logica del post hoc, ergo propter hoc rinvii a ragioni ermeneutiche che, comunque le si vogliano intendere, a) non sono fatti, ma schemi interpretativi di fatti e, per di più, b) connessi a una più o meno evidente ipotesi di lavoro biopoliticamente non neutra (worst case scenario come base per le politiche dei lockdown + vaccinazione di massa senza se e senza ma).