Quella del sistema digitalizzato può essere intesa come una prigione smart o, se si preferisce, come un Panopticon virtuale, una sorta di “villaggio globale” in cui i sudditi non fanno altro che condividere informazioni, parlare di sé e donare dati all’ordine dominante. Ma, soprattutto, non hanno alcuna consapevolezza della reale portata del loro modo ordinario di agire: essi, per un verso, condannano le forme di “spionaggio” e di controllo imperfetto che caratterizzavano i totalitarismi precedenti e, insieme, accettano con stolta letizia le nuove forme di sorveglianza che, infinitamente più evolute sul piano tecnico, si proiettano sulla loro esistenza, vivendole semplicemente come comfort e come opportunità.
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