LA COSTITUZIONALIZZAZIONE |
Eravamo partiti dalla constatazione che quella in cui stiamo vivendo è un’epoca in cui il diritto pare essere entrato in crisi, non nel senso di una diminuzione della produzione del diritto (che è anzi aumentata), ma piuttosto nel senso di un mutamento di natura del diritto prodotto. Abbiamo analizzato questo punto soffermandoci sul tema del “diritto mite” proposto da Gustavo Zagrebelsky e sull’idea di “esplosione del potere giudiziario”. Su quest’ultimo tema dobbiamo ora concentrarci maggiormente, soffermandoci soprattutto sulle tre radici di tale esplosione.
La prima radice è la costituzionalizzazione degli ordinamenti giuridici; la seconda è la nascita di un ordinamento giuridico transnazionale (la cosiddetta “lex mercatoria”); la terza è infine l’estensione dell’attività giudiziaria ad ambiti che prima le erano preclusi (è in questo senso che deve ad esempio essere letta la nascita del diritto penale internazionale, il quale ha a che fare coi crimini internazionali, i crimini contro l’umanità come le guerre e i genocidi).
1) La costituzionalizzazione degli ordinamenti giuridici: la grande novità dei sistemi giuridici odierni è di essere “Stati costituzionali di diritti”. Cosa significa ciò in concreto? La definizione più corrente presso i giuristi (ad esempio Louis Favoreau) è che parliamo di costituzionalizzazione di un ordinamento quando tale ordinamento è totalmente impregnato delle norme costituzionali. È evidente che la cosituzionalizzazione è un processo e, in forza di ciò, si ha a che fare con un continuum che può salire e scendere. Le condizioni di costituzionalizzazione sono:
a) che ci sia una costituzione rigida, non flessibile e protetta contro la legislazione ordinaria (per poter modificare le norme, ci vuole una maggioranza): dove la costituzione non è scritta (si pensi all’Inghilterra), nascono seri problemi in tal senso.
b) Che ci sia una garanzia giurisdizionale della costituzione: deve cioè esserci un controllo sulla costituzionalità delle leggi, le quali devono armonizzarsi coi dettati della costituzione. Tale controllo può avvenire secondo due modalità diverse: il controllo a posteriori e il controllo a priori. Partiamo dal secondo. Un ordinamento giuridico è altamente costituzionalizzato se ha un organo che stabilisce a priori se le leggi emanate corrispondono alla costituzione: tale organo, quando l’organo legislativo si appresta ad emanare le leggi, esamina che esse siano compatibili con la costituzione e, qualora non lo siano, ne blocca la promulgazione. È questo il modello oggi vigente in Francia: ma la forma prevalsa nella maggior parte dei Paesi è quella del controllo a posteriori, nelle due varianti americana ed europea. Le leggi sono emanate dal parlamento e, dopo di che, fanno la loro strada: può poi capitare che un giudice si accorga che una data norma non sia costituzionale e, a quel punto, egli rimanda a un organo superiore che la riveda. È questo il controllo a posteriori. Oltre a questi due, ci sono molti altri indicatori del controllo. Tra questi, merita di essere ricordata la forza vincolante della costituzione. Ogni norma costituzionale, indipendentemente dalla sua struttura e dal suo contenuto normativo, è una genuina norma giuridica e pertanto è vincolante e produttrice di effetti giuridici. Ogni norma, anche quando non ha la forma di una norma determinata nei suoi contenuti ma di un principio di giustizia e di invito rivolto al legislatore affinché compia certe scelte, è vincolante per il sistema giuridico. Oltre a dividersi in rigide e flessibili, le costituzioni si dividono in “costituzioni garanzia” e in “costituzioni indirizzo”. Le prime sono le classiche costituzioni liberali che offrono garanzie ai cittadini, proteggendoli dalle interferenze esterne del potere pubblico; le seconde suggeriscono invece al legislatore una certa direzione da assumere al fine di eliminare la disuguaglianza e ciò che la favorisce (è di questo genere la costituzione italiana e, in misura ancora maggiore, quella brasiliana o quella messicana).
Altra condizione sine qua non affinché avvenga la costituzionalizzazione è la sovrainterpretazione della costituzione: un ordinamento è altamente costituzionalizzato quando delle norme si dà un’interpretazione estensiva, tale cioè da colmare le lacune dell’ordinamento a partire dai principi della costituzione. In ciò, sembra riaffiorare l’idea hegeliana di totalità etica. Così la costituzione italiana si sofferma sull’idea di libertà di pensiero ma non dice nulla circa la libertà dell’informazione, che però può essere dedotta ermeneuticamente da altri principi.
Altro criterio di costituzionalizzazione è l’applicazione delle norme costituzionali: la costituzione non serve soltanto a limitare il potere politico, ma deve anche modellare la società e, per questo motivo, dev’essere applicata anche in alcuni ambiti che non riguardano il rapporto tra l’individuo e il potere politico, ossia nella sfera interpersonale (ad esempio la violenza nelle coppie, ecc).
Altro criterio è l’interpretazione adeguatrice della legge: ogni norma è suscettibile di più interpretazioni, come dicono i Postmodernisti; o, meglio, come dicono i più moderati, ci sono più interpretazioni delle leggi ma non tutte ugualmente valide: ve ne sono alcune più coerenti e plausibili, cosicché il giudice deve scegliere l’interpretazione della norma che si armonizza con la costituzione. A contare è, in questo senso, l’adeguatezza della norma ai principi della costituzione.
Un altro criterio di costituzionalizzazione è l’influenza esercitata dalla costituzione nei rapporti politici: un ordinamento giuridico è altamente costituzionalizzato quando v’è un organo che risolve i conflitti di competenza tra gli altri organi dello Stato e dunque decide su controversie politiche. L’appello alla ragionevolezza (centrale in John Rawls) è un tipico argomento addotto per giustificare la politicità della valutazione. Se guardassimo all’evoluzione giuridico-costituzionale recente in Europa e negli U.S.A., pur non essendo messe in discussione le condizioni fondamentali suddette, si assiste a processi nei quali tali condizioni vengono considerate anti-democratiche: le democrazie populiste, ad esempio, mettono in discussione tale tipo di cultura costituzionale. Si tratta dunque di un processo di decostituzionalizzazione: tuttavia, l’elemento che più modifica i rapporti è la dimensione transnazionale della sfera giuridica, nel senso che i sistemi contemporanei della globalizzazione assistono al nascere di ordinamenti giuridici spontanei (non prodotti dagli Stati) che hanno dalla loro la capacità di produrre regole e principi che sono ben diversi da quelli costituzionali (coi quali spesso contrastano). A produrre principi è il diritto privato, il diritto commerciale: con la conseguenza che abbiamo a che fare con un arcipelago di fenomeni in movimento, con una creatività in cui si creano norme a favore del grande commercio e dei grandi soggetti dell’economia transnazionale, che producono diritto per i loro scopi. È esattamente questa la “lex mercatoria”, la legge dei mercati, che era tipica di parecchi secoli fa e che oggi sembra essere tornata attualissima: in essa è visibilissima l’osmosi diritto-economia. Se il diritto torna ad essere ciò, ci si deve chiedere quali prospettive di costituzionalizzazione possa esso avere, nella misura in cui la costituzione è figlia di quello Stato moderno che pare tramontare con la globalizzazione.