DIRITTI FONDAMENTALI E DIRITTI PATRIMONIALI


 

 

Luigi Ferrajoli pone al centro della sua riflessione i “diritti fondamentali”, tema imprescindibile se, come dice Norberto Bobbio, quella in cui ci troviamo a vivere è l’“età dei diritti”, i quali si diffondono su scala universale. La “rivoluzione” dei diritti c’è indubbiamente stata: e tuttavia ci rendiamo sempre più conto che questa “età dei diritti” si configura sempre più come età dei conflitti di diritti. Come esempio di questa affermazione, basterà assumere la sentenza di qualche anno fa nella quale un immigrato musulmano, avente regolare permesso di lavoro e una regolare residenza in Italia, era tornato in patria, s’era sposato con due mogli ed era tornato con loro nel nostro Paese. Qui aveva richiesto l’assegno per entrambe le mogli a carico, senza sapere che per l’ordinamento giuridico italiano la bigamia è reato: per questo motivo, venne processato e il giudice (di origine ebraica) studiò il caso in modo approfondito, arrivando alla conclusione che non solo era legittimo avere due mogli, ma che addirittura era legittima la richiesta del doppio assegno. Ma allora – ci chiediamo – bisognerà riconoscere che questo provvedimento è valido anche per gli Italiani, a meno che non si voglia tornare al diritto “per nationes” tipico del Medioevo.

Dalla vicenda che abbiamo appena esposto risulta evidente il conflitto di diritti del quale dicevamo. Oggi è viva la consapevolezza (rigorosamente tematizzata da Ferrajoli) della distinzione tra “diritti fondamentali” e “diritti patrimoniali”: come è noto, nei suoi Due trattati sul governo, John Locke esprimeva la convinzione che la libertà riguardasse il potere di disporre, senza intrusioni esterne, del proprio corpo e delle sue attività, tra le quali c’è il lavoro, tramite il quale si genera la proprietà privata; quest’ultima è l’esternalizzazione della libertà. Ben si vede, in Locke, la connessione tra “diritto fondamentale” e “diritto patrimoniale” per eccellenza (la proprietà). Tuttavia, oggi non è più così: questi due elementi (“diritto fondamentale” e “diritto patrimoniale”) si sono scissi, con la conseguenza che abbiamo a che fare con due diversi liberalismi: ciò appare evidente soprattutto negli U.S.A., ove per “liberal” si intende chi (come Rawls e Dworkin) si preoccupa dei “diritti fondamentali”, mentre per “anarco-liberale” si intende chi è liberale non perché gli interessino i diritti fondamentali, bensì perché gli interessa la proprietà. In questa galassia del liberalismo, il quale è diventato il “pensiero unico” dell’età della globalizzazione, abbiamo a che fare con questi due diversi liberalismi: il primo (del “liberal”) è il “liberalismo dei diritti” pensati sotto specie di costituzionalizzazione (sono i diritti di un ordine positivo espresso nella costituzione e avente una genesi politica), mentre il secondo (dell’“anarco-liberale”) è il “liberalismo del mercato” e ha a che fare coi diritti intesi come frutto del mercato e dell’economia. Questa divaricazione tra i due tipi di liberalismo ha trovato espressione teorica in questa dicotomia che Ferrajoli ha posto nei termini di “diritti fondamentali” e di “diritti patrimoniali”.

 

“Sono diritti fondamentali tutti quei diritti soggettivi che spettano universalmente a tutti gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone o di cittadini o di persone capaci di agire, inteso per diritto soggettivo qualunque aspettativa positiva a prestazioni o negativa a non-lesioni ascritta ad un soggetto da una norma giuridica”.  

 

Ferrajoli propone un’opposizione tra questo tipo di diritti e quelli patrimoniali (opposizione che Locke non avrebbe mai potuto accettare, dato che egli li teneva saldamente uniti) e fonda tale opposizione su differenze categoriali: infatti, i diritti fondamentali sono universali (sono cioè diritti di tutti, in egual forma e misura), mentre i diritti patrimoniali sono singolari (per ciascuno di essi esiste solo un titolare determinato: si pensi alla proprietà privata, che astrattamente è un diritto universale, ma che in concreto è tutt’altro che universale). In secondo luogo, i diritti fondamentali sono indisponibili (cioè inalienabili e inviolabili) e invariati (non si può diventare più liberi), mentre i diritti patrimoniali sono disponibili (la proprietà privata è infatti negoziabile ed alienabile) e variabili (si può diventare più ricchi). In terzo luogo, i diritti fondamentali hanno titolo nella legge (sono cioè diritti ex lege, ossia conferiti tramite norme generali che di solito sono norme costituzionali), mentre i diritti patrimoniali hanno titolo nella negoziabilità (sono cioè predisposti e regolati da norme senza essere essi stessi norme). Infine, i diritti fondamentali sono verticali (implicano un rapporto tra il soggetto e il potere e sono di tipo pubblicistico), mentre i diritti patrimoniali sono orizzontali (riguardano cioè transazioni tra soggetti posti sullo stesso piano e sono di tipo privatistico).

Tra i due ambiti dei diritti fondamentali e dei diritti patrimoniali c’è oggi divaricazione, ma non esclusione reciproca. Questa teoria di Ferrajoli ha incontrato un forte consenso, specialmente nel filone costituzionalista, ma anche molte obiezioni da parte di autori che hanno rilevato che questa distinzione tra diritti fondamentali e diritti patrimoniali, pur essendo teoricamente chiarissima, presenta forti difficoltà di applicazione nella realtà concreta. S’è in particolar modo insistito sul fatto che tale teoria sottovaluta che i principi costituzionali possono essere tra loro incompatibili e dunque non possono essere congiuntamente tutelati. Infatti, non è vero – s’è notato – che vige una geometria dei diritti e che la confusione nasce solo dall’empiria, come se i diritti fondamentali fossero un Olimpo armonico e quelli patrimoniali fossero un Ade di soggetti conflittuali. Un’altra obiezione riguarda il fatto che Ferrajoli sbaglia a credere che i diritti fondamentali siano universali: anch’essi finiscono nella pratica per non essere universali, come ha messo bene in luce Enrico Diciotti. Questi ha attaccato la tesi di Ferrajoli partendo dall’articolo 16 della nostra costituzione, articolo che teorizza la circolabilità universale sul suolo italiano: tale diritto universale di circolazione è limitato dal fatto che – nota Diciotti –, per goderne, bisogna essere maggiorenni, avere la patente, non avere condanne penali che limitino la circolabilità, ecc. E poi – nota ancora Diciotti – non necessariamente i diritti di libertà sono sempre indisponibili, ma possono essere condizionati da transazioni economiche (ad esempio della libertà di circolazione faccio uso se ho vetture adatte: se non ho vetture, la mia libertà è già fortemente limitata, se non azzerata).           

 

 


INDIETRO