Francesco Guicciardini
DISCORSI POLITICI
I
[In favore della lega proposta da Massimiliano
alla repubblica di Venezia.]
Massimiano re de' romani, innanzi che fussi fatta la lega di Cambrai, nella dieta di Costanza, sotto titulo di rimettere Massimiano Sforza, ricercava e' viniziani di lega per venire in Italia per la corona dello imperio ed a' danni de' franzesi, allora signori di Milano, offerendo loro partiti grandi. Trattavasi nel senato suo quid agendum; fu parlato da uno senatore per la parte affermativa in questo modo:
Tutta la difficultá di questa consulta, onorevoli senatori, consiste in considerare se el re de' romani si unirá co' franzesi in caso che noi rifiutiamo le dimande sue; perché avendo noi ora pace piacevole ed onorevole ed anche assai sicura, nessuna ragione può essere bastante a farci pigliare una guerra di travaglio e spesa assai, ogni volta che noi non dubitiamo che loro si unischino. Ma se noi presuppognamo che sia pericolo di questa unione, non credo che sia nessuno che neghi che sia da prevenire, perché è sanza comparazione piú utile essere insieme coi re de' romani contro al re di Francia, che aspettare che l'uno e l'altro re sia insieme contro a noi. Fare ora questo iudicio del futuro è cosa incerta, pure se io non mi inganno, molto potente sono le ragione che ci consigliano a temerne. Principalmente non è dubio che el re de' romani sia per desiderarla, perché arde di voglia di venire in Italia, e questo non può fare o difficillimamente, se non ha lega co' franzesi o con noi. Però subito che noi lo escludiamo, fará el possibile per aderirsi a' franzesi, né gli odii o le diffidenzie che sono tra loro lo rimoveranno da questo, perché non potendo camminare a' disegni suoi per altra via, bisogna cammini per questa, ancora che totalmente la non gli piaccia. Fanno bene queste ragione che lui desideri piú la amicizia nostra, che quella del re di Francia, ma, escluso dalla nostra, bisogna si volti a quella.
Dal canto del re di Francia ci sono piú difficultá, ma non sono a giudicio mio tale che abbiamo a viverne sicuri, e le cagione possono essere dua: el sospetto e la ambizione, delle quali ciascuna per sé suole fare movimenti molto maggiori. Lui sa la instanzia che el re de' romani ci fa, ed ancora che lui ed ognuno abbia sempre veduto grandissime esperienzie della fede di questa republica, pure, misurando noi dalla natura sua, può dubitare che per cupiditá di accrescere lo stato nostro o per sospetto di non essere prevenuti, non prevegnamo. Ed ha causa di credere che noi abbiamo questo sospetto, perché sa che ci sono note le pratiche che ha tenuto coi re de' romani contro a noi, nonostante le capitulazioni che abbiamo insieme. Può ancora temere che la ambizione ci muova, perché sa esserci offerti partiti grandissimi, e che noi siamo uomini desiderosi, come sono tutti gli altri, di accrescere dominio; né ci è mezzo a assicurarlo da questo timore, perché voi sapete quanto gli stati sono sospettosi naturalmente, e quanta poca confidenzia è tra l'uno principato e l'altro. E tanto piú che faccendosi questa instanzia dal re de' romani sotto titulo di rimettere nello stato di Milano Massimiano Sforza, può credere che noi desideriamo piú per vicino uno signore debole che uno re sí potente, e che per questa ragione sola, quando cessassino tutte le altre, noi ci moviamo a aiutare una impresa, lo effetto della quale, quando riuscissi, sarebbe la sicurtá totale dello stato nostro.
Lo può muovere la ambizione per el desiderio di recuperare Cremona, a che è stimolato ogni dí da' milanesi e dalla vergogna di non possedere quello che possedeva Lodovico Sforza, massime che per el titulo ereditario che lui pretende in quello ducato, giudica se gli appartenga ancora Brescia, Bergamo e Crema, e tutto lo stato vecchio de' Visconti. E noi veggiamo tuttodí quanto e' principi grandi sono facili a imbarcarsi in simili imprese, e tanto piú quando alla speranza di acquistare el dominio è aggiunto qualche colore di ragione, e lo stimolo della vergogna, di che abbiamo piú da temere, perché sanza unione del re de' romani non può sperare di pervenire a questo disegno, atteso che la republica nostra è potente per sé medesima ed arebbe sempre la aderenzia della Magna, quando el re di Francia ci assaltassi sanza questa unione. Però per le pratiche che ha tenuto si vede che sempre ha desiderato di opprimerci, ma non ha mai ardito di farne impresa sanza questa amicizia, la quale essendo il cammino solo che lo conduce al fine desiderato, abbiamo a credere ragionevolmente che vi si metterá drento.
E se mi sará detto che noi non abbiamo a dubitare di questo, perché sarebbe mala deliberazione per el re di Francia, per acquistare una cittá o dua, mettere in Italia el re de' romani, di chi è inimico naturale, e da chi ará sempre alla fine guerre e travagli, e che mentre che ará amicizia seco, gli costerá infinita somma di danari, ed anche l'ará incerta, e però farsi piú per lui sanza comparazione la pace ed amicizia nostra, con la quale tiene sicure le cose sue di Italia, io risponderò che se ha el sospetto detto di sopra che noi non ci ristrignamo col re de' romani, non gli parrá entrare in pericolo a farlo lui, anzi assicurarsi, e non solo dalla unione che si potessi fare tra quello re e noi, ma ancora da' movimenti che in caso che noi stessimo a vedere, gli potessi fare contro lui, o con l'aiuto della Magna o con altre aderenzie ed occasione. Ed essendo prima questi pericoli che quelli che succedono poi che el re de' romani ará fatto piede in Italia, non sará da maravigliarsi che el re di Francia vi pensi prima, seguitando in questo la natura commune degli uomini, che spesso temono e' pericoli presenti e vicini piú che non debbono, sempre tengono manco conto de' futuri e lontani che non è da tenere, e vi sperano molti rimedi e dal tempo e dagli accidenti che spesso non riescono. Di poi quando bene sia vero che questo partito non sia utile per lui, non siamo però sicuri che non l'abbia a pigliare. Non sappiamo noi quanto ora el timore ora la ambizione acciecano gli uomini? non cognosciamo noi la natura dei franzesi leggiere a imprese nuove, e facile a sperare sanza modo quello che desidera? non ci sono noti gli stimuli e le offerte che ha da' milanesi, dal papa, da' fiorentini, dal duca di Ferrara, dal marchese di Mantova, bastanti a accendere ogni quieto animo? Gli uomini non sono tutti savi, anzi la maggiore parte non sono savi; e chi ha a fare pronostico delle deliberazione di altri, non debbe tanto andare con la misura di quello che ragionevolmente doverrebbe fare uno savio, quanto con la misura del cervello, natura ed altre condizione di chi ha a deliberare; e chi procede altrimenti spesso si inganna.
Però volendo giudicare che deliberazione piglierá el re di Francia, non bisogna avvertire tanto a quello che ragionevolmente doverrebbe fare, quanto ricordarsi che e' franzesi sono inquieti e leggieri, e soliti a pigliare spesso e' partiti con piú caldezza che prudenzia. Non sono le nature de' signori grandi simili alle nostre, né sono loro cosí facili a vincere gli appetiti suoi, come sono gli uomini privati; sono soliti a essere adorati da chi gli è intorno, ed essere intesi ed obediti a' cenni. Però non solo sono elati ed insolenti, ma non possono tollerare di non avere quello che gli pare ragionevole, ed ogni cosa gli pare ragionevole che gli viene in desiderio, e si persuadono potere con una parola spianare tutti li impedimenti e vincere la natura delle cose. Anzi si recono a vergogna, quando per qualche difficultá si ritirano da e' loro appetiti, e misurano communemente le cose maggiori con quelle regole con che sono consueti a procedere nelle minori, consigliandosi non con la prudenzia e con la ragione, ma con la voluntá e con la alterezza; e se nessuno vive cosí, e' franzesi sopra tutti gli altri.
Non vedemo noi frescamente lo esemplo del regno di Napoli, dove la ambizione e leggerezza sua fu tanta, che per avere mezzo quello regno lo indusse a consentire l'altro mezzo al re di Spagna, ed a mettere in Italia uno re potentissimo, e dove prima era unico tra noi altri, disporsi a averci uno compagno pari a lui? Ma che andiamo noi per conietture quando abbiamo la certezza? Non sappiamo noi che altra volta questi dua re hanno fatto insieme questa unione e che el re di Francia l'ha desiderata e sollecitata? E se per qualche difficultá che fu in quella capitulazione, non ebbe effetto, non abbiamo da dubitare che poi che erano d'accordo del verbo principale, troverranno qualche mezzo a queste difficultá, massime che el re de' romani, quando sará totalmente desperato della amicizia nostra, vi sará piú caldo che prima.
E certo, se noi potessimo stare in pace, a me piacerebbe sopra ogni cosa; ma a giudicio mio abbiamo a avere guerra, ed è officio di savi non si lasciare tanto ingannare dalla dolcezza della pace presente, che non consideriamo e' pericoli imminenti ed el carico ed infamia che ci risulterá apresso a tutto el mondo, che per non avere saputo bene discorrere permettiamo che altri si faccia gagliardo, a offesa nostra, di quelle arme che ci erano offerte a nostra sicurtá ed augumento; massime che, sendo noto a ognuno le pratiche che a danno nostro hanno tenuto questi re, non potreno essere imputati di mancare di fede a' franzesi, se ci armereno contro a chi ci ha voluto ingannare. Però sendo in queste necessitá debbiamo pensare quanto sia differenzia grande a muovere la guerra a altri, o aspettare che la sia mossa a noi; trattare di dividere lo stato di altri, o aspettare che sia diviso el nostro; essere accompagnati contra uno solo, o soli contro a molti compagni; perché se si fa unione tra costoro, vi concorrerá el papa per le terre di Romagna, el re di Spagna per e' porti del reame, e tutta Italia, chi per recuperare, chi per assicurarsi. In effetto io desidero la pace, ma credo che abbiamo a avere la guerra, e però desidero piú presto una guerra onorevole, sicura ed utile, che vergognosa, pericolosissima e dannosissima; e consiglio el collegarsi col re de' romani. Dio feliciti quello che voi deliberrete.
II
[Sullo stesso argomento.]
In contrario per la opinione negativa che prevalse.
Io confesso, onorevoli senatori, essere officio vostro e di tutti e' governatori delle republiche, ancora che la pace sia cosa santissima e desideratissima, non però lasciarsi tanto abbagliare dalla dolcezza sua, che per paura di non la perdere si entri in maggiori guerre e pericoli, che non sarebbe entrato chi non l'avessi amata troppo; e nondimanco ricordo che per ogni timore o sospetto non si debbe pigliare le arme, e per ogni paura di non avere guerra, entrare nella guerra, perché chi fa cosí, spesso, per fuggire pericolo, sanza bisogno entra in pericolo; e non essendo mai pace alcuna tanto sicura, né tanto ferma che manchi di qualche timore di guerra, chi procedessi con questa regola non starebbe mai in pace; anzi entrando di guerra in guerra per desiderio di avere la pace, non la arebbe mai. Però meritano essere laudate quelle republiche, che, quando veggono pericolo manifesto di guerra, non lasciano per la dolcezza della pace di fare le provisioni che convengono; ma non manco biasimate quelle che entrano in guerra per temere piú che bisogni la guerra.
Adunche, avendo noi a consultare sopra quello che è stato proposto, è necessario esaminare diligentemente che pericolo ci sia di guerra in caso che noi non accettiamo le offerte del re de' romani, e sopra questo fondare le nostre resoluzione; e perché non si può fare giudicio certo delle cose future, bisogna da uno canto pesare le ragione che minacciano la guerra, da altro quelle che persuadono el contrario, e pesato quali siano piú e piú potente, fondare el punto nostro come se sapessimo certo avere a essere quello che ci si mostra piú verisimile. A me, quanto piú ci penso, non può per conto alcuno essere capace che el re di Francia, o per sospetto di non essere prevenuto da noi, o per cupiditá di recuperare e' membri antichi dello stato di Milano, si accordi col re de' romani a farlo venire in Italia a' danni nostri; perché e' pericoli e danni che gli seguiterebbono del metterlo in Italia, sono sanza dubio maggiori che non è el pericolo della unione nostra, o che non sono e' guadagni che può sperare di questa deliberazione; perché oltre alle inimicizie ed ingiurie gravissime che sono tra loro, le quali non si possono cancellare per alcuno accidente, vi è la concorrenzia della degnitá e degli stati, la quale suole generare odii tra quegli che sono amicissimi. Però che el re di Francia chiami in Italia el re de' romani, non vuole dire altro che chiamarci uno re inimicissimo suo; non vuole dire altro che in luogo di una republica quieta, e che sempre è stata in pace seco, e che non pretende con lui alcuna differenzia, volere per vicino uno re ingiuriato, inquietissimo, e che ha mille cause di contendere seco di autoritá, di stato e di vendetta.
Né sia chi dica che per essere el re de' romani povero, disordinato e male fortunato, el re di Francia non temerá la sua vicinitá; perché per la memoria delle antiche fazioni ed inclinazioni di Italia, le quali sono ancora verde, spezialmente nello stato di Milano, non può avere piede in Italia uno imperadore che non sia grande, e costui piú che gli altri per avere stato notabile contiguo a Italia, e per avere seco Massimiano Sforza; sanza che, in ogni guerra che avessi col re di Francia, può sperare di avere l'aderenzia del re di Spagna inimicissimo ancora lui ed emulatore de' franzesi, e che ha coniunzione col re de' romani almanco perché tutt'a dua hanno una medesima successione. Sa pure lui quanto è potente la Magna; e quando sará giá aperto lo adito in Italia e la speranza della preda sará presente, sará piú facile che si unisca o tutta o parte alle imprese di Italia che non è ora. E non abbiamo noi veduto che el re di Francia ha temuto sempre e' moti de' tedeschi, e di questo re cosí povero e disordinato come è? E molto piú lo temerebbe se lo vedessi in Italia, perché sarebbe certo di avere con lui o guerra pericolosa o pace fastidiosa e di grandissima spesa.
Che abbia voglia e stimulo di recuperare Cremona e le altre terre è verisimile, ma non con modo che sia maggiore la perdita che el guadagno; ed in questo caso io voglio piú presto credere che si governi con la ragione, che indovinare che abbia a fare una pazzia; massime che se noi consideriamo bene la natura di questo re, è stata sempre di fare le cose sue sicuramente, e gli errori che si dice avere fatti, sono stati piú presto per volere procedere con troppa sicurtá che con troppa caldezza. Questa fu la causa per che divise el regno di Napoli, per levarsi gli ostaculi e le difficultá, la quale deliberazione io non dico che fussi savia, ma dico che non nacque dalle cagione che è stato detto; e per la medesima cagione consentí smembrare Cremona e darla a noi, per potere con la unione nostra pigliare el resto sanza colpo di spada. Però s'ha a credere che governandosi con la ragione e governandosi come è consueto nelle altre imprese, non vorrá, per recuperare Cremona, mettere in tanto pericolo lo stato suo; massime che per questo non resterá fuora di speranza di poterla recuperare a altro tempo con piú sicurtá e con migliore occasione, le quali spesso vengono, ed agli uomini ancora è facile el promettersele piú che el conveniente. E chi è uso alle faccende e maneggi grandi, ed ha travagliato a' suoi dí assai come lui, non può desperare di non vedere varietá nelle cose del mondo, perché le sono use a variare pure troppo spesso.
Né ci debbono a mio giudicio spaventare le pratiche tenute altra volta tra loro e le capitulazione che si dicono fatte, perché è natura de' principi de' tempi nostri cercare di aggirare l'uno l'altro, e tôrsi tempo con queste arte e simulazione; e lo effetto ha mostro che le sono state fizione, perché sono continuate tanti anni, che bisogna confessare che siano pratiche vane, o almanco che vi è qualche difficultá che non si può resolvere. Non abbiamo adunche, se io non mi inganno, causa di temere che el re di Francia per desiderio di acquistare si metta in tanto precipizio, e manco per sospetto che abbia di noi; perché oltre che ha veduto esperienzia lunga che non abbiamo mai mancato alle capitulazione fatte seco, ancora che abbiamo avuti molti stimuli e molte occasione, ed oltre che sa che la natura della republica nostra è di osservare la fede e non pigliare volentieri guerre, le ragione medesime che assicurano noi di lui, possono assicurare lui di noi; e questo è che al nostro stato non potrebbe essere piú pernizioso che el re de' romani abbia piede in Italia, sí per la autoritá dello imperio, lo augumento del quale è sempre stato alieno da' progressi nostri, sí per conto della casa di Austria, la quale pretende ragione in molti luoghi che noi tegnamo, sí per la vicinitá della Germania, le inundazione della quale, se avessi aperta la via ed avessi el ricetto in Italia, sono troppo pericolose al nostro dominio. Massime che quello che si dice, di volere lo stato di Milano per Massimiano Sforza, è uno sogno; perché riuscendo la impresa, o el re de' romani lo attribuirá a sé, o se pure vi metterá lui, sará tanto debole e con sí potenti inimici che per avere la sua protezione bisognerá gli stia sempre sotto; ma piú credibile è che pensi a quello ducato per sé. Sono questi gli inganni e le arte de' principi: cercare di mutare gli stati sotto nome de' fuorusciti che vi hanno parte, e poi, riuscite le imprese, attribuire gli effetti della vittoria a sé.
Però non è conveniente che el re di Francia creda sí facilmente che noi, che abbiamo nome di maturare le cose nostre e piú presto errare in tarditá che in troppa prestezza, facciamo una deliberazione sí precipitosa. E se pure noi ci potessimo assicurare facilmente dal sospetto che pretendono questi che consigliano che noi ci uniamo col re de' romani, io sarei forse di quegli che ci conscenderei, parendomi cosa laudabile assicurarsi da' sospetti eziandio non necessari, quando l'uomo può farlo con facilitá; ma io credo che chi penserá bene ci vedrá drento molte difficultá. Principalmente questa guerra bisogna che si cominci e si sostenga co' danari nostri, co' quali areno a supplire non solo alle necessitá che ricerca questa impresa, ma ancora a tutte le prodigalitá e disordini del re dei romani, al quale non si può dare uno curatore che spenda bene e' danari che noi gli dareno, e speso che ará quelli a che ci sareno obligati, sareno necessitati a dargliene degli altri, altrimenti si accorderá cogli inimici, o si ritirerá nella Magna, lasciando a noi soli tutti e' pesi ed e' pericoli. Di poi la impresa s'ha a pigliare contro a uno re di Francia potentissimo, e che è duca di Milano e di Genova, copioso di danari, abondante di gente d'arme e di artiglierie; ha con seco e' svizzeri, la virtú e fama de' quali vi è nota, e che in questa impresa lo serviranno meglio che in nessuna altra, perché hanno per male ogni augumento degli imperadori e della casa di Austria. E' popoli dello stato di Milano gli sono amici ed inimici a noi, né desiderranno mai che vinca quella parte, per la vittoria della quale dubitino che noi abbiamo a smembrare un altro pezzo di quello ducato; e questo potrá piú che la inclinazione di quelli che amano Massimiano Sforza, tanto piú che ognuno cognoscerá che gli ará a essere una ombra in quello stato.
Però costoro che si propongono tanta facilitá, non so dove se la fondino; massime che tutti quelli di Italia che pretendono che noi gli occupiamo el suo, e tutti quelli che temono la nostra grandezza si uniranno con lui, parte per speranza di recuperare el suo con la vittoria sua, parte per assicurarsi dalla potenzia nostra. Ed el papa sará el primo, perché oltre a' rispetti sopradetti, non può mai a alcuno papa piacere la venuta dello imperadore in Italia, sendo tra la Chiesa e lo imperio una inimicizia naturale, né avendo uno pontefice da temere di altri principi che del turco che gli è inimico nello spirituale, e dello imperadore che sempre fu e sempre gli sará inimico nel temporale. El pelago adunche in che si entrerrebbe è grandissimo, e forse non minore che quello di che si teme, della unione di tutti contro a noi. Perché dove si accompagnano piú principi grandi e che pretendono la equalitá, quanti piú sono insieme, piú sono le difficultá che sono tra loro; né ci mancherebbe mai in uno simile frangente, trovare modo di accordarsi con qualcuno di loro e rompere quella unione di che abbiamo tanta paura.
Ultimamente io vi ricordo che, doppo la capitulazione che facemo col re di Francia contro a Lodovico Sforza, lui non ha mai fatto con effetto cosa alcuna, per la quale possiamo dire con veritá che ci abbia mancato. Però, pigliandogli ora la guerra contro, non so come ci potreno scusare di non gli rompere la fede, della quale sapete che questa republica ha fatto sempre capitale assai; e per l'onore e per la utilitá de' maneggi che abbiamo a avere tuttodí con gli altri principi, non debbiamo sanza grande causa volerci tirare adosso questa infamia, ed augumentare ogni dí el sospetto che communemente s'ha di noi, che noi aspiriamo alla monarchia di Italia. Volessi Dio che per el passato fussimo andati piú temperati in questo, perché la maggiore parte de' sospetti che noi abbiamo, è per avere offesi troppi; né è la via di assicurarsi, lo accrescere inconvenienti ed aggiugnersi inimici nuovi, ma piú presto fermarci un poco, né entrare ogni dí in imprese nuove sanza grande necessitá o occasione. Forse che chi fu autore di fare venire in Italia el re di Francia per sbattere Lodovico Sforza, o lo movessi el desiderio di assicurarsi da' sospetti vani, o la cupiditá di acquistare Cremona, arebbe meglio consigliato alla nostra republica, se l'avessi consigliata andarsi temporeggiando in quelle difficultá, né si lasciare traportare tanto o dallo sdegno o dalla cupiditá o dal timore, che in luogo di uno principe minore di noi ci mettessino a' confini uno re sí potente. In effetto a me non pare che per uno sospetto di guerra incerta debbiamo pigliare una guerra certissima, né per desiderio di guadagnare debbiamo entrare in infinite spese e pericoli, né sanza manifesta necessitá mancare alla fede nostra e crescere ogni dí la opinione che siamo troppo ambiziosi e cupidi di occupare quello di altri.
III
[Delle condizioni d'Italia dopo la giornata di Ravenna.]
Questo moto che si vede principiato tra tanti principi cristiani, papa, Francia, el Catolico, Inghilterra e viniziani, è di tanto momento e per produrre sí grandi effetti, e di tanto interesse a tutta la cristianitá, che chi va pensando al fine suo non è da biasimare come curioso, ma piú tosto da riprendere come negligente chi non vi pensa. E per questa cagione debbe essere lecito anche a noi consumare qualche tempo in tale cura, con tutto che queste cose, per dependere da infinite cause, vanno tanto variando fuori della opinione degli uomini, che eziandio e' giudíci de' savi sono quasi sempre fallaci. E certo la potenzia del re di Francia è grandissima per el regno di Francia grande, populato, pieno di terre fortissime, e del quale lui trae somma grande di danari: ha milizia buona, molti signori ed infinita nobilitá, de' quali lui è piú assoluto principe e piú interamente ne dispone, che non fa principe o re alcuno cristiano nel regno suo. Aggiugnesi li stati che lui tiene in Italia di Milano e di Genova, colla aderenzia di Ferrara, Bologna, e queste terre ultimamente acquistate in Romagna, e quello che si vale de' fiorentini; la riputazione sua antica, con la nuova di avere dagli 11 di febbraio agli 11 di aprile difesa Bologna da uno esercito potentissimo del papa e re Catolico, contro alla opinione di molti, recuperata Brescia con ultimo esterminio della armata viniziana, ed ultimamente rotto in Romagna lo esercito del papa e spagnuolo. Per le quali cose si può conchiudere che el re di Francia sia di tanta potenzia di dominio e di arme, di tanta ricchezza e di tanta riputazione, che chi ha fatto impresa di abassarlo, ha fatto impresa molto difficile.
Da altro canto, se bene ciascuno di questi principi che gli sono collegati contro è di meno potenzia da per sé che lui, pure tutti insieme lo eccedono; perché né a Spagna manca gente, né a Inghilterra danari; el papa e viniziani sono di considerazione, ed a quello in che l'uno patisce difetto, supplisce lo altro; in modo che congiunta la potenzia di tutti insieme, debbe ragionevolmente essere a Francia molto formidabile. Hanno oportunitá di offenderlo in molti luoghi: in Italia le gente del papa e Catolico, quando saranno insieme per la via di Romagna e Bologna; e' viniziani verso lo stato di Milano, e' quali se bene hanno speso assai e si truovano oggi molto deboli, e piú di gente che di danari, pure aggiunti agli altri danno qualche disturbo; fuori di Italia li spagnuoli ed inghilesi con grande esercito per la via di Baiona o di Navarra; li inghilesi per la via di Calese in Normandia. Doverrá questo re mandare e' sussidi che trarrá del regno di Aragona a Perpignano, almeno per tenere Francia in qualche sospetto piú; in modo che pare molto difficile che quel re, con tutto sia potentissimo, possi tenersi bene guardato e sicuro da tante bande.
Questa varietá di ragione debbe tenere sospeso ognuno ed in grandissima ambiguitá; nondimeno per cominciare a venire in qualche discorso piú particulare, è cosa certa che se la potenzia che è in tutti questi inimici di Francia fussi in uno solo, verbigrazia nel Catolico, che el Cristianissimo non potria resistere, perché lo avanzerebbe di gran lunga di danari, di gente e di ogni oportunitá della guerra; e potendo maneggiarla uno solo tutta a arbitrio suo, e co' modi e tempi li paressino, sarebbe cosa inespugnabile. Valsi di questo molto el re di Francia che tutta la sua potenzia è in lui solo, né ha a aspettare consigli o deliberazione di altri, e però la difesa che lui fa, la fa con tutte le sua forze. Cosí pare da potere affermare, che se questa potenzia cosí divisa fussi usata in uno tempo medesimo, che el re di Francia saria inferiore; perché se a uno tempo medesimo lo battessino in Italia el papa, viniziani e le gente spagnuole che col Gran Capitano saranno in Italia, di qua el Catolico e li inghilesi per Ghienna e Normandia, non potria stare in tanti luoghi alla campagna e forse in nessuno. Ridurrebbesi a difesa delle terre, e saria impossibile che in qualche luogo non perdessi.
Di questo vedemo lo esempio el verno passato, quando lo esercito del papa e Catolico vennono a Bologna, nel quale tempo lo stato che el Cristianissimo tiene in Italia si ridusse in pericolo, e si trovorono le cose tanto bilanciate, che si hanno avuto a decidere con uno fatto di arme. E se allora si fussi aggiunta la guerra di qua, bisogna confessare che el re di Francia si saria trovato in grandissimo travaglio. Ha voluto la fortuna sua che premendolo le cose di Italia, fussi vacuo di qua; ora che sará infestato da queste bande, quelle di lá non lo stringono, perché innanzi a ognisanti non può trovarsi in campagna el Gran Capitano; nel quale tempo sará lo impeto per Ghienna e Normandia. Di questo si può conoscere quanto beneficio li abbi portato e quanto li fussi necessaria la vittoria di Ravenna, e quanto fussi savia deliberazione quella del re di Francia in commettere a Fois che facessi ogni opera di fare giornata; la quale pare che mostri che lui medesimo si diffidassi di potere in uno tempo resistere a tanti inimici.
Stando adunche le cose in questi termini, e volendo entrare piú adrento nel giudicare, mi pare da considerare che se oltre agli inimici di Francia che oggi sono scoperti, si aggiugnessino lo imperadore e svizzeri, come ci è chi ha opinione, succumberebbe el re verisimilmente, né saria quasi possibile che in tanti luoghi e contro a tanti inimici resistessi, e che non patissi almeno nello stato di Italia, che è quello che cerca chi gli ha suscitato contro tanto travaglio. Anzi, lasciato lo imperadore, se e' svizzeri soli lo offendessino, è di grande importanza, perché li hanno tanta oportunitá di scendere nello stato di Milano, che el re saria necessitato a tenervi grossa banda di gente, e tanto piú deboli rimarrebbono le cose sue di qua; altrimenti in quello ducato seguirebbe disordine, come si vedde questo verno quando gli scesono con gran danno di Milano e con pericolo di natura che se in uno tempo medesimo avessino li spagnuoli battuto a Bologna, si giudicò communemente che el re aria perduto Milano. Rimane adunche el caso in maggiore dubio, quando si presupponga che lo imperadore stia in aria come ha fatto insino a qui, e che e' svizzeri non sieno contro a Francia, e la guerra rimanga solo tra lui ed e' principi detti di sopra. Il che se fussi, tutta la considerazione per ora si riduce di qua e massime da questa banda di Baiona; perché se bene li inghilesi andranno per Calese, nondimeno sendo sanza cavalli, non pare possino fare molto momento, trovando al rincontro terre fortissime e bene guardate e verisimilmente qualche cento di lance franzese.
El punto adunche è da questa banda di Baiona; in che volendo potere dare buono giudicio, bisognerebbe intendere che provisione facci el re di Francia, e se lui è per mettere tanta gente insieme da potere stare alla campagna; e benché qui si dica di no, nondimeno, presupposto che e' sia sanza paura de' svizzeri, pare duro a credere che uno tanto re non possi farlo, perché oltre alla gente che gli ha in Francia, doverrebbe potere cavare di Italia almeno seicento lance, e riducendosi a campagna, quando si mettessi a ridosso delle terre, le difenderebbe facilmente e forse verrebbe a giornata; la quale sarebbe pericolosa, perché di gente d'arme è sanza dubio superiore a costoro, e di bontá e di numero. Sono milledugento lance franzese una grossa banda, che contano almeno tre cavalli utili per lancia e forse quattro; gli uomini d'arme di qua si numerano uno cavallo solo da fazione per uno, e non ne metteranno in campo oltre a milletrecento, e se bene abbino molti cavalli leggieri, non sono in una giornata di grande momento, e massime alla guisa di qua, che non hanno balestrieri a cavallo. Sarieno adunche e' franzesi superiori di cavalli; di fanterie sono migliore queste di qua che le franzese, perché quegli guasconi e piccardi sono uomini di mala pruova; li spagnuoli sono piú destri, curano meno la morte, sono esercitati nelle arme e vi hanno una grande inclinazione naturale; li inghilesi ancora sono buoni uomini; e però sarieno e' franzesi inferiori di fanterie, se giá non si potessino valere de' navarri, e' quali sono buoni fanti come li spagnuoli, o veramente de' svizzeri, e' quali se non saranno contro a Francia, saria facile lo servissino di qualche migliaia di fanti; ed in questo caso essendo el re di Francia superiore di cavalli ed almeno pari di peditato alli inimici, la vittoria in una giornata saria verisimilmente sua, e pare da credere che, dove lui vedessi la speranza della vittoria grande, che lui lo apiccherebbe.
Ma quando e' venissi alla campagna, e nondimeno le forze dell'uno e lo altro esercito fussino pari, io non so se el re di Francia venissi a giornata volentieri, perché el perderla li metteria questo ducato di Ghienna in grandissimo pericolo; e si vede da altro canto che el tôrre tempo agli inimici li porta alle cose di qua grandissimo beneficio, e massime perché potendo stare a ridosso di qualche terra, saria sicuro di non le perdere; e però pare ragionevole che lui non abbi a volere giornata, se giá non lo muove o una speranza molto grande di vincere o el volere espedire queste cose di qua prima che el Gran Capitano sia in Italia, per non si avere a ridurre colla guerra adosso in uno tempo di qua e di lá. Questo discorso mi occorre quando el re di Francia metta tanto esercito insieme da potere di qua stare alla campagna; ma quando la opinione che costoro mostrano fussi vera, cioè che non possa venire alla campagna e si abbi a ridurre a difesa delle terre, è da considerare che la impresa di Baiona è molto pericolosa, quando costoro non sieno bene sicuri che el re di Navarra stia neutrale; e questa sicurtá non si debbe potere avere colle parole, essendo quello re franzese, avendo el padre e stato in Francia, ed essendo per la morte di Fois levata ogni causa di discordia tra lui ed el Cristianissimo. E però veduto in quanto pericolo si metterebbono, rispetto al sito del paese, sanza questa sicurtá, è da credere che non la avendo romperanno per via di Navarra, il che sarà beneficio al re di Francia, perché el primo impeto della guerra non sará a casa sua, ed inoltre si potrá valere de' navarri, che sono buoni uomini alla guerra.
Giudicare quello che seguissi in questo caso è difficile: el paese di Navarra insino a' monti Pirenei è paese montuoso e forte, benché io non ho notizia che vi sia alcuna terra particulare molto munita; da questa altra banda è Baiona, cittá assai forte di sito, e molto piú per accidente, avendo avuto el Cristianissimo tempo a fortificarla con fossi ed artiglierie, e di mettervi drento quelle gente che lui ará volute. Ha quivi, secondo si intende, lo amore de' popoli; perché se bene altra volta sieno stati sotto li inghilesi, è cosa tanto antica che forse non vi vive chi ne abbi memoria, ed inoltre naturalmente sono piú franzesi che inghilesi, e per el sito dove sono posti e per la lingua che è franzese; e ragionevolmente li spagnoli non possono né debbono passare innanzi se prima non la' spugnano.
Queste ragione persuadono in favore del re di Francia; da altra banda la esperienzia mostra tuttogiorno che la difesa delle terre è fallace, e piú sono quelle che si perdono benché munite, che quelle che si difendono. Porrá el Catolico atorno uno grosso esercito con molte artiglierie, ed oltre al numero ordinario de' soldati, si varrá di quanti sussidi li saranno bisogno, de' luoghi vicini di Biscaia; e pure hanno fama li spagnoli di vincere bene le terre, perché e' fanti loro sono atti a combatterle forse piú che altra fanteria, ed anche si sogliono valere di ingegno di cave e fuochi lavorati. Vincendo Baiona, se ne andrebbono a Bordeus, cittá vicina a trenta leghe vel circa e non molto forte e di via tutta piana; e se li espugnassino ancora questa, hanno aperta la via di correre insino in sulle porte di Parigi: ed in effetto in queste dua cittá consiste la vittoria.
El giudicio è difficile per molti rispetti; e se costoro vincono ne' primi congressi Baiona o qualche luogo forte simile, si truovano con grande vantaggio; e cosí, e converso, se questi loro princípi non succedono, si truova questa impresa con molte difficultá. Perché considerando le cose di qua da per loro, si vede che la dilazione del tempo importa molto: principalmente el paese dove si ridurrá lo esercito è sterilissimo, né si possono nutrire di quello che nasce quivi; hanno a avere le vettovaglie di altro luogo; e se bene el re Catolico ne abbi fatto provisione grandissime, e continuamente ne facci venire della Andolosia per mare, nondimeno avendo a durare qualche mese a nutrire uno esercito grosso, di vettovaglie portate di altronde, pare quasi impossibile, perché se ne consumerá grande quantitá e piú che non si è disegnato, che simili conti non mai riescono; e massime che li inghilesi, sendo in casa altri e naturalmente prodighi, ne strazieranno assai, ed ogni poco che mancassi loro faria disordine. Minore difficultá si ará negli spagnoli, perché oltre allo avere propinquo el re, sono naturalmente uomini soliti a vivere con poco e facilmente patiscono ogni necessitá.
La lunghezza adunche di qualche mese potria fare disordine rispetto alle vettovaglie, né può el re Catolico reggere a lungo andare una spesa sí grande; potria partorire ancora molte discordie e tra' capitani e tra gli eserciti, sendo di dua nazione diverse e che naturalmente non sono amiche, e li inghilesi uomini bestiali, ed essendo venuti con speranza e persuasi di avere la vittoria in mano, la quale quando non succeda cosí presto, cominceranno a murmurare e straccarsi. E tanto piú se la guerra si riducessi nel reame di Navarra, el quale avendo, quando si guadagnassi, a apartenere a Castiglia, parria loro durare fatica per altri, dove sono stati chiamati sotto nome di avere a recuperare le cose loro. Vedesi tuttogiorno dove sono diverse nazione e piú capi, partorire dissensione nelli eserciti; e dove saria necessario per contenerli uno valentissimo capitano, ha voluto la sorte che sia el duca di Alva, el quale secondo el giudicio universale vale poco ed è in piccola riputazione apresso a tutti e' soldati, il che importa molto ancora nelle fazione che loro avessino a fare, perché nessuna cosa dá loro piú animo che l'avere fede in chi li guida.
Aggiugnesi che questa impresa contro a Francia è come uno carro che si sostiene in su piú ruote, di quali se una manca si ferma el carro; cosí essendo questa impresa commune di piú potentati, uno che ne mancassi, massime di questi tre, papa, Spagna ed Inghilterra, saria la impresa conquassata; e nella dilazione del tempo può facilmente venire qualche accidente o di mutazione di animo, o di morte o di altro caso, che perturberebbe ogni cosa, sí che per ogni rispetto, in quanto alle cose di qua, el prolungare dá gran beneficio al re di Francia. Aggiugnesi che el Catolico non è re naturale di Castiglia, ma governatore; e se bene insino a qui ha la obbidienzia piena e lo amore de' popoli, perché rispetto a' tempi vecchi ci si fa buona giustizia e non ci è grandi di qualitá che possino molto alzare el capo, nondimeno non pare abbi a potere maneggiare questi regni come se fussi re, massime quando la cosa durassi, ed e' successi non fussino prosperi; e quando lo potessi fare, pare ragionevole che lui nel maneggiarli procederà con qualche rispetto piú che se fussi re. Veggonsi adunche le cose molto dubie, se giá non vogliamo dire essere di momento che el re di Francia, procurando la divisione della Chiesa, offenda Dio, e per questo che li effetti li abbino a succedere secondo la giustizia della causa, la quale ragione è spesso fallace. E certo el re di Francia si mosse giustamente nel principio contro al papa, perché lui sotto pretesto di pigliare Ferrara come cosa apartenente alla Chiesa, non si moveva a altro fine che di cacciare e' franzesi di Italia, ma ha di poi passato el modo collo occuparli Bologna, benché questo si può forse giustificare, e col farsi capo ed autore di uno concilio falso e procurare la scisma e divisione della Chiesa contro al nome del Cristianissimo e contro a uno antico instituto della casa sua, la quale oltre a tutti li altri príncipi ha sempre tenuto una particulare protezione della Chiesa, e difesala contro a chi l'ha voluta oppressare.
È difficile dare giudicio del fine, e piú facilmente si può conoscere la guerra avere a essere molto lunga, se li inghilesi in questo principio pigliano qualche terra di importanza, perché male si troverrá sesto di pace; conciosiaché insino a tanto non sia necessitá estrema, né bisogno, non vorranno restituirle, pretendendo che di ragione le sieno loro, né e' franzesi lasciarle loro, avendole possedute tanto tempo, e quadrando tanto bene al loro dominio, perché con queste terre confinano col mare. Sará lunga guerra e di grandissima spesa e noia, e credo che li effetti mostreranno al re di Inghilterra, che meglio era avere seguito el savio consiglio di suo padre, che si dice alla morte averli ricordato che non entrassi in guerra co' franzesi, che essersi lasciato sollevare dal suocero.
Ma per tornare al proposito primo e fare qualche conclusione, benché el giudicare sia molto difficile, ed ancora, come mostra la esperienzia, molto fallace, pare da dire che le cose di Francia sarieno in mali termini, quando in uno tempo medesimo avessi a combattere contro a tutti li inimici sua, o che oltre a questi che ora sono scoperti, si aggiugnessino lo imperadore ed e' svizzeri, o almeno e' svizzeri soli. Ma quando non li abbi contro, e si potessi valere de' svizzeri come soldati, pare che le cose sue sieno molto gagliarde e da potere venire animosamente a ogni giornata; levati e' svizzeri di giuoco, el caso rimane dubio, e nondimeno tutto agosto o al piú settembre ne daranno sentenzia. Perché se in detto tempo costoro espugnano e' luoghi importanti delle frontiere, rimangono al disopra; non li espugnando, si vede che la dilazione del tempo è per offenderli per tanti versi, che questa impresa porta pericolo di non si risolvere. E liberandosi el re di Francia per ora da questo assalto, rimane sicuro insino a nuova primavera, ed in questo mezzo potranno nascere tanti accidenti e variare tanto le cose, che si ará a fare giudicio di altre occorrenzie e di altra maniera.
IV
[Sulle mutazioni seguite dopo da battaglia di Ravenna.]
Se bene el desiderio di sapere le cose future, massime quando sono di molta importanzia, è tanto naturale a tutti li omini, che continuamente li sprona andarle investigando e cercando di conietturarle, da altro canto le vanno sí variando fuori della opinione di tutti, che li è piú tosto da maravigliarsi di quelli che mossi dallo appetito della natura le vanno curiosamente ricercando, che di coloro che per desperazione di poterle aggiugnere ne levano ogni pensiero. Di questo, se cosa alcuna ne fa fede, mi pare che sopra tutte le altre la faccia el considerare quanto sieno state spesse, grande e mirabile le variazione dallo aprile proxime passato insino al presente mese di gennaio, dove non è, né in Italia né fuori, rimasto piú cosa alcuna che si ricognosca.
Trovavasi in quel tempo el re di Francia vittorioso in Italia collo stato di Milano e di Genova; aderivali Bologna e Ferrara; Romagna sotto nome del concilio pisano era sua, ed avendo vinta la giornata di Ravenna con tanta fuga delli spagnoli, non si vedeva pure dove fussi uno cavallo da poterli resistere, e si giudicava che quello solo non avessi ad essere suo, dove e' non voltassi le gente. Mutossi in uno subito la fortuna, e si trovò cacciato di Italia tutta, a tempo che si credeva fussi ogni giorno per correre insino a Roma e Napoli; né perdé solo Milano e Genova, cose guadagnate nuovamente, ma ancora Asti suo avito ed antico patrimonio. El medesimo re era in dubio e pericolo grande delle cose di qua, per la lega fatta tra el re di Aragona e di Inghilterra, e per lo scendere delli inghilesi nel ducato di Ghianna, dove si stimava che congiunti colle gente spagnole avessino a fare qualche processo grande; la quale opinione fu tanto discosto dal vero che non solo li inghilesi non veddono el terreno suo, ma si partirono bruttamente, e venuti in diffidenzia tra loro e questa maestá; ed el re di Francia, in cambio di avere a difendere el suo, ha avuto animo e forze da offendere altri, e mandato uno poderoso esercito nel regno di Navarra.
Non potrebbono ancora da quel tempo in qua essere piú variate le cose del re don Ferrando: dubitava avere perduto Napoli, quando ebbe la nuova della rebellione di Milano; acquistò nel medesimo tempo sanza arme e colla reputazione solo delli inghilesi el regno di Navarra, di che salì in tanta autoritá, che pareva, oltre al giudicarsi securissimo, che da lui dependessi el governo di tutta la cristianitá. Partironsi in uno tratto li inghilesi, e lui che aveva disegnato avere a fare la guerra co' franzesi, accompagnato dalle forze di tutta Italia ed Inghilterra, si trovò solo ed imparato avere addosso le arme di tutta Francia; dalle quale se bene si defendessi, e piú tosto per la stagione del tempo e per la ignoranzia delli avversari suoi che per altro respetto, non è però che al presente non si trovi in grande laberinto, vedendosi inimicato con Francia, non sapendo quanto possi disegnare di Inghilterra, trovandosi in poco amore e diffidenzia col papa e viniziani, e congiunto con uno imperadore el quale lui non è atto a mantenere, né può sanza periculo alienarlo da sé.
Quanto anche da quello tempo in qua sieno alterate le cose di Italia, per la mutazione di signore in Milano e Genova, uno stato nuovo in Firenze, una agitazione grande sopra Ferrara, lo essere tutta Lombardia ita in preda de' svizzeri, e la lega, la quale stando unita volgeva a suo modo Italia, essere cominciata a disunirsi, è facile a discernere; in modo che ritornando a' primi principi, el passato è ito tanto variando che con grandissima difficultá si può fare giudicio del futuro; e nondimeno la voglia del sapere, lo interesse che l'uomo ha in questi movimenti è tanto, che non si può astenersi dal farne qualche discorso, considerato ancora che trovandomi in molto ozio in questa mia legazione al Catolico re, questo esercizio non può passare se non con utile e piacere.
Le cose di Italia si possono male giudicare da per sé, sí perché le sono in sé molto mutabile, e si vede che in pochi mesi variano assai, sí perché le dependono in grandissima parte da quello che fará lo imperadore, el re Catolico, Inghilterra ed e' svizzeri. Vedesi el re Cristianissimo tanto danaroso e potente e presto a fare le sue provisioni, che non è dubio che quando e' si trovi sicuro dalle bande di qua, e' possa facilmente ritornare nel ducato di Milano, sendo quello stato debole ed Italia tutta conquassata, in modo che sanza la unione di tutti sarebbe impossibile defenderlo. E la unione si vede rotta, se e' viniziani non abracciono questo accordo concluso ultimamente in Roma tra el papa e Gurgensis, perché se si troverranno esclusi dalla confederazione delli altri, pare verisimile che abbino a fare nuova coniunzione con Francia, la quale se si facessi, io non so che remedio si avessino le cose di Italia; e quando pure li entrino in questo accordo, non si vede quanto frutto o fortezza possi arrecare questa unione, se el re di Francia mandassi eserciti nuovi in Italia, perché in ogni caso la sará una unione adentellata, sendosi scoperta tanta diffidenzia tra questi potentati, papa, Catolico e viniziani; in modo che quando si aranno a ristrignere a una impresa, pare da temere si abbi a fare debole e con freddezza.
Trovonsi e' viniziani con non molte gente d'arme; dello imperadore non è in Italia altro che el nome; el papa si presuppone oramai stracco dal lungo spendere; l'esercito del re Catolico non si può mantenere sanza e' danari de' collegati, ed avendosi a fare nuova contribuzione a questo effetto, sará difficile per e' sospetti che si sono avuti delli spagnoli, e' quali si è dubitato che non abbino voluto convertire in utilitá propria la vittoria acquistata co' danari e fatiche di altri. Lo stato di Milano, quando venga nel figliolo del Moro, è da per sé sí debole, sendo quello signore giovane, nuovo, sanza arme, sanza danari, el ducato esausto e taglieggiato, e trovandosi co' franzesi messer Gian Iacopo da Triulci, che ragionevolmente debbe avere in Milano amici e credito. Valersi de' svizzeri ha difficultá, perché a muoverli bisogna danari assai, e trovandosi el re di Francia con piú attitudine allo spendere, e loro sendo uomini mutabili e sanza fede, è da dubitare non piglino qualche partito con Francia; e massime che a proposito loro non è che le cose si fermino, anzi si aprofitteranno sempre di ogni mutazione, di che hanno gustato el frutto, avendo la state passata taglieggiata e predata, si può dire, tutta Lombardia; ed in questo caso quando e' fussino con Francia, lui sanza dubio recuperrebbe lo stato di Milano; e massime che li spagnoli sono oggi in Italia con sí poca grazia di tutti e' populi, che hanno da pensare come si possino ritirare salvi nel reame. Puossi adunche conchiudere, che se el re di Francia fussi espedito a potere attendere in Italia, che quelle cose portino pericolo, perché o e' viniziani o e' svizzeri che sieno con lui, la vittoria è sua certa; quando e' non si ristringhi seco alcuno di questi, non mancherá che fare, perché se la lega non si ristrigne di nuovo non vi ará contradizione, ed al ristrignersi sono le difficultá dette di sopra; in modo che si può risolvere questa conclusione, che le cose di Italia dependino per questo anno in gran parte da quello che si tratterá o fará per questi principi oltramontani.
Quel che si possa sperare de' svizzeri è detto abastanza, perché se bene per loro faccia da uno canto piú, che in Milano sia uno duca particulare che uno re di Francia, conciosiaché quanto el signore di quello stato sará piú debole, piú lo potranno maneggiare, pure da altro canto pare che sia molto a loro proposito el fare ogni dí mutazione e rivolte, ed inoltre a volerli levare bisognerá danari, e ragionevolmente saranno con chi ne dará loro maggiore somma. Lo imperadore anche è in poca considerazione da per sé, per essere povero e disordinato, e mancarli tanto el modo ad eseguire, quanto li abonda la invenzione a disegnare; né è da sperare che la voglia del recuperare el ducato di Borgogna muova lo stato di Fiandra a sovvenirlo perché e' facci quell'impresa, essendo per la poca etá di quel signore e disordini di quello stato, necessario el consenso de' populi, e' quali vivono assai di industria e mercantie, e si intende essere al tutto vòlti a stare in pace; e però volendo che lo imperadore facessi movimento, bisognerebbe che el re di Inghilterra lo suvvenissi di danari come si ragionò la state passata; il che ancora non farebbe frutto certo, rispetto a' disordini e prodigalitá sua, se non si li dessino molto ordinatamente, verbigrazia ponendo in campo chi pagassi a' tempi le gente, sanza lasciare a lui facultá di porre le mani in su' danari, cose piú facile a dire che fare. Rimane adunche lo imperadore quanto a sé inutile e forse piú tosto di danno, per essere consueto el re di Francia a pascerlo; il che non si faccendo da questi altri, potrebbe la natura ed e' bisogni sua farlo forse ritornare in amicizia co' franzesi, e forse aderire al concilio pisano.
Veduto adunche quanto poco si possi fare fondamento in sullo imperadore e svizzeri, resta considerare di questi dua re, Catolico ed Inghilterra; e per cominciare da Inghilterra, lo essere costui giovane, inimico naturale de' franzesi, e trovarsi con grandissima copia di danari, lo intendersi ogni giorno che e' fa molti apparati ed è volto tutto alle arme, fanno credere che lui abbi in ogni modo a tempo nuovo a fare la guerra potentemente con Francia. Il che quando segua, pare di grande momento, perché ne' tempi antichi è stato molto odio fra quelle due nazione: hanno li inghilesi corso piú volte in Francia, preso Parigi, debellato quasi tutto el regno, in modo che gli è certo essere temuti da' franzesi, nondimeno e' termini di oggi sono assai diversi da quelli tempi. Allora teneva el re di Inghilterra la Ghianna e Normandia; nelle guerre che e' faceva con Francia era aiutato da' duchi di Brettagna e di Borgogna. Ora la Normandia e Ghianna è in mano del re di Francia; tiene per conto della dota di sua moglie la Brettagna; usurpò doppo la morte del duca Carlo la Borgogna; morto el re Rinieri gli venne in mano la Provenza; in forma che avendo lui, si può dire, duplicata la potenzia, ed Inghilterra diminuita, bisogna in su questo caso fare giudicio con altra coniettura che delle cose passate.
La guerra per la piú naturale e commoda via che possino fare li inghilesi a Francia, è per Calese o, ponendo, in Brettagna; dalla quale banda pare verisimile che el re di Francia si possi defendere con poche forze, perché li inghilesi sono sanza alcuno cavallo e combattono tutti a piede; hanno, per quello si intende, mancamento di artiglierie ed altri instrumenti per la guerra; sono stati lungamente in pace, e però poco esercitati alle arme; sono naturalmente uomini bestiali e precipitosi e da disordinarsi facilmente; ed avendo a espugnare terre forte, trovando al rincontro qualche numero di lance franzese, pare che possino piú tosto infestare Francia col correre, che col pigliarvi piede, perché non si vede vi possino venire con forze superiori a loro, e la riputazione non doverrebbe essere tanta quanta soleva essere, considerate le ragione sopradette. Ed inoltre lo avere veduto lo anno passato li inghilesi venire a Fonterabia collegati con tutta Spagna, esservi stati piú di quattro mesi sanza fare uno minimo movimento, doverrebbe ragionevolmente avere in qualche parte riassicurati li animi de' franzesi.
Queste difficultá sendo conosciute, hanno forse fatto che Inghilterra e Francia sieno stati in pace lungamente, e sanza dubio furono causa che questo nuovo re, con tutto che volonteroso, non si movessi alle arme se non colla lega di Spagna, e che disegnandosi lo anno passato per quale via si avessi a rompere la guerra, fussi resoluto in Inghilterra di mandare gente a Fonterabia a unirsi collo esercito del re Catolico, disegnando che el fondamento della guerra avessi ad essere da questa banda e con queste forze, e servirsi per Cales e Brettagna piú tosto per infestare Francia e darli diversione, che perché quivi avessi ad essere el luogo principale della guerra. E però a volere che la offesa di Inghilterra fussi potente e percotessi nel vivo, bisognerebbe andare drieto a questo primo disegno, in che sarebbe necessario el consenso di questo re ed el coniungere le forze sue; cosa che non può essere non abbi e dall'una banda e dall'altra di molte difficultá, perché el sito di Ghianna è lontano da Inghilterra, e la distanzia del luogo getta tante incommoditá, che da loro medesimi non la possono fare sì gagliardamente come per Cales. E però è necessario, riducendosi a farla di qua, che e' si assicurino che el re Catolico procedi con la massima caldezza, in che io non so come e' sieno per prestare fede alle parole e promesse, rispetto a' processi della state passata; dove avendo quello re mandati a Fonterabia nove o diecimila uomini con grande speranza e prontezza e buone provisione di danari, la consumorono sanza fare faziona alcuna. Veddono questa maestá attendere per sé propria allo acquisto di Navarra, e si persuasono che la non volessi procedere piú oltre contro a Francia, e si partirono molto male contenti e con grandissima suspizione.
La cosa considerata da sé medesima, e le relazione che verisimilmente ará fatte chi fu di qua, potrebbono essere causa che quella maestá non si resolvessi facilmente a mandare di nuovo gente in Spagna; e quando pure in lei potessino piú le giustificazione ed astute parole di questo re, lo odio suo naturale contro a Francia, la giovanezza e la accesa voluntá di questa guerra, io non so come el Catolico re sia per acconsentire che di nuovo tornino gente inghilese a Fonterabia. Toccossi con mano la state passata che le dilazione sua a muovere le gente, el tenerle di poi piú tempo in Navarra che non era di bisogno allo acquisto di quello regno, e tutto el procedere suo fu per consumare la state sanza avere a rompere guerra al re di Francia; ed in effetto parse che lui usassi tutti e' termini possibili perché li inghilesi cominciassino a fare pensiero di partire, se bene in sul fatto poi, vedendo voltare tutta la guerra adosso a sé, io credo che gli arebbe desiderato che e' non fussino partiti. La causa potrebbe essere perché lui, come si dirá di sotto, non volessi la guerra di qua; ed inoltre quando bene la volessi, che e' pensi che di questa coniunzione tra spagnoli ed inghilesi in uno esercito medesimo non si possi trarre molto frutto.
Sono le nature molto diverse: li spagnoli omini temperati e maturi e pazientissimi di ogni disagio; li inghilesi bestiali, disordinati, non atti a durare lungamente fatica, e consumatori di molte vettovaglie. Se ne venissi poco numero non sarebbono di molto utile; gli assai, è da credere che uniti con questi altri genererebbono disordine e confusione; lo essere cominciato a nascere diffidenzia e sospetto, farebbe che ogni piccolo accidente li disunirebbe. Li inghilesi, giudicando la impresa essere loro propria, con difficultá si partirebbono per consiglio delli spagnoli dalle loro sfrenate voluntá, né questa maestá vorrebbe a posta di uomini temerari e bestiali precipitare e mettere in pericolo lo stato suo; e tanto piú che avendo guadagnato el regno di Navarra, tutte le vittorie ed acquisti che si avessino ora, sarieno delli inghilesi, le ruine e perdite tornerebbono adosso a lui. Per queste ragione si può facilmente credere che questa maestá abbi male volentieri a acconsentire che li inghilesi tornino di qua; se giá el vedere che el re di Francia sia per fare assolutamente a tempo nuovo la impresa di Navarra, non lo movessi, per trovarsi qua alla difesa con piú gente e piú potente, a avere caro che e' venissino. Ma in ogni caso io credo che e' non si abbi a contentare di uno numero grande, e quando e' venissino grossi, che e' non se n'abbi a valere molto.
Sarebbeci uno altro modo di offendere Francia, e questo è che el re di Inghilterra rompessi per via di Cales o di Brettagna, dove e' può per la vicinitá percuotere con piú forze e maggiore commoditá, ed el Catolico re colle gente sue rompessi la guerra in questo ducato di Ghianna; e cosí pare che insino a non molti giorni fa si trattassi, e che questa maestá ne confortassi el re di Inghilterra, el quale non so come sia per resolvervisi, ma sará facile cosa se ne accordi. La difficultá è come questa maestá lo mettessi poi in atto, perché presupponendo, come è detto di sopra, che el re di Francia con una grossa armata di mare e con non molte forze per terra si possa facilmente defendere da quella banda, verrebbe tutto el pondo della guerra a voltarsi dalla parte di questo re, il che non pare verisimile che lui voglia in modo alcuno e tirarsi la guerra adosso; e che tale abbi ad essere la voluntá sua lo persuade la esperienzia e la ragione. La esperienzia, perché a' tempi passati, vivente etiam la regina duenna Elisabel, si vedde che mai volsono rompere guerra con Francia di qua, e se bene alcuna volta la mostrassino, non mai la feciono. Veddesi quando el re Carlo passò in Italia, che se bene si collegassino allora con lo imperadore, papa, viniziani e Milano per cavarlo di Napoli, respetto al dubio aveano della grandezza sua, ed avessinne dato intenzione alla lega che li confortava, nondimeno non lo feciono mai. Veddesi nella guerra che gli ebbono col presente Luigi re di Francia a Napoli, che contenti di avere difesa Sals, non vollono seguire piú oltre, con tutto che e' franzesi fussino attriti in modo da sperare qualche successo, anzi cupidamente abracciorono uno accordo con lui particulare per le cose di qua da' monti. Èssi veduto molto piú chiaramente in questa maestá, la quale avendo chiamati li inghilesi, sperando forse che questa paura conducessi el re di Francia a qualche concordia sanza avere a usare le arme, come e' furono venuti, e si intese che el re di Francia uscito di Italia voltava tutte le sue forze nel ducato di Ghianna, il che lui non avea creduto da principio, andò raffreddando, né volle dare occasione alcuna che el fuoco avessi a essere vicino a questi regni.
Il che se si è fatto pel passato, pare che molto piú si debbi fare ora, avendo questa maestá al presente piú difficultá a defendersi, respetto a questo regno di Navarra acquistato nuovamente, e dove e' franzesi aranno sempre a posta loro, come si vedde lo ottobre passato, la entrata aperta o per Maia o per Roncisvalle o per Val di Roncales, e dove venendo per rimettere el re don Giovanni e la reina Caterina regina naturale, hanno la inclinazione ed el favore della piú parte de' populi. Aggiugnesi che questa maestá non è re di Castiglia, ma governatore; e se bene comanda insino a oggi questi regni assolutamente, per non ci essere troppi di questi grandi che abbino molto reputazione e seguito, e non avere subietto a chi si possino volgere rispetto alla pazzia della reina duenna Giovanna e la poca etá del principe don Carlo, ed inoltre perché el governo suo viene giustamente e si aparteneva a lui proprio per essere el piú coniunto, per esserne tanti anni stato vero re e per essere governo savio ed ordinato e di qualitá che è di grandissimo beneficio a queste provincie, non è però che questa ragione non lo abbi a fare procedere piú freddo alla guerra. Perché avendosi nella guerra a valere, come di sotto si dirá, delli aiuti e sussidi del regno, pare conveniente che li abbi a maneggiare con piú respetto che se e' fussi re. È da considerare ancora che e' pensi che quando lui avessi qualche cattivo successo, che e' potrebbe seguire maggiore disordine, perché questi grandi non vivono molto contenti di lui, mossi non tanto dal bene publico de' regni, quanto forse dalli appetiti loro privati; e quando si trovassi in declinazione, ogni alterazione o disubidienzia che nascessi di alcuno di loro, metterebbe questa sua governazione in grave pericolo; e tanto piú che a' castigliani non piace la guerra con Francia, né hanno inimicizia naturalmente con franzesi, e massime parendo loro che la guerra non sia presa a beneficio o per causa di Castiglia, ma per conto di Napoli e delli interessi sua particulari.
La esperienzia adunche del tempo passato, corroborata colli argumenti detti di sopra, mostra che se questo re potrá scusarsi dal rompere con Francia di qua, lo abbi a fare volentieri, ma e' non ci sono le ragioni meno vive. È el re di Francia tanto poderoso per molti respetti, che e' non si può disegnare la guerra avere ad essere facile, ma che e' bisogni farla con uno potente esercito e con sforzo grande, el quale ordinare e congregare non è di molta facilitá a questo re; perché se bene Castiglia abbi nome di avere gente assai atta alle arme a piè ed a cavallo, la difficultá del danaio ci si intende essere tanta che el provedere uno esercito grosso intero colla borsa sola del re sarebbe assai, e però è el costume loro, avendo guerra di qua, che oltre a quelli che el re chiama delle ordinanze ed accostamenti sua, e quelli che conduce lui proprio, richiedere molte communitá le quali a spese loro lo servono di alcuno numero di fanterie; richiedere e' grandi, e' quali tenendo communemente accostamenti, lo servono di qualche numero di cavalli e di fanterie, conducendole ordinariamente a spese loro insino in campo, benché alcuno di piú qualitá li paghi per qualche mese, di che si vale el re rispiarmando el tempo che corre al condursi in campo; ed inoltre a' cavalli non paga di suo la provisione intera, ma sbattene quello che gli hanno di accostamento; ed inoltre quando non li pagassi cosí bene ed a tempo, questi grandi, presupponendo che sia lo onore loro el conservarsi la sua gente, non mancono di porgervi la mano.
Questo modo di fare esercito si vedde che el re tenne non solo quando li inghilesi vennono, ma ancora quando e' franzesi entrorono in Navarra; nel quale tempo trovandosi in pericolo grande e dello onore e dello stato, è da credere che li usassi tutte quelle provisioni che e' poteva piú vive. Lo avere adunche a fare gran parte dello esercito colle forze de' signori e de' populi, li dá difficultá, perché li bisogna richiedere, inclinarsi ed obligarsi ad altri, e questo straccarli non può fare effetti buoni; e mi ha detto messer Gian Baduero oratore viniziano, che ci fu anche a tempo della reina per stimularli a rompere guerra al re di Francia, che lei un giorno li disse non la volere fare, allegando che mentre stavano in pace erano signori di ognuno, durante la guerra stavano con tutti e' signori del regno; la quale ragione debbe piú militare ora, che non faceva allora che gli erano re. Fatto lo esercito, è molto maggiore difficultá a conservarlo respetto alla difficultá del danaio, per il che si vede che a lungo andare non può reggere tanta spesa; e se bene l'ordinario de' pagamenti loro sia scarso, pure in uno esercito grosso multiplica molto; ed anche e' pagamenti stretti fanno effetti mali, perché assai si fuggono, li altri servono male volentieri. Né ci è speranza che la guerra abbi a essere breve, avendo a fare con uno re tanto potente, e col quale confina per lunghissimo spazio di paese; e tanto piú che se quel re vorrá ire temporeggiando e ridursi a una guerra guerriabile, consumerá sanza dubio costoro collo spendere, il che a lui per essere ricchissimo non dá noia. Né si può sperare avere a terminarla con una giornata, perché li eventi delle battaglie sono dubii e pericolosi; ed inoltre quando venghino tutt'a dua grossi alla campagna, si vede piú tosto el re di Francia avere vantaggio, presupponendo che si vaglia di qualche migliaio di fanti alamanni.
Non possono costoro in modo alcuno essere pari di uomini d'arme a' franzesi, ogni volta che loro abbino una banda di mille lance, perché in Spagna è pochi uomini d'arme, sonvi male assueti ed hanno cavalli malissimi; in modo che sempre mille cavalli franzesi urteranno millecinquecento di questi o piú, per la qualitá de' cavalli e per non saperli costoro maneggiare. Aggiugnesi che costoro vanno in campo sanza cavalli da carriaggi, né hanno per uomo di arme altro che uno cavallo, del quale avendo a servirsi in ogni fazione di qualunque sorte, si vengono a consumare e straccare; guastali lo stare lungamente alla campagna, non avendo tende ed essendo el paese di qua voto di case, in modo che bisogna el fare alloggi allo scoperto. Saranno sempre costoro ancora inferiori di gran lunga di artiglierie, perché non hanno molte, né hanno la destrezza e la attitudine dei maneggiarle come e' franzesi, il che confessono ancora loro medesimi, ed io ho udito el re don Fernando commendarli molto di gente d'arme e di artiglierie.
Sono questi dua membri grandi per una giornata; succedono le fanterie che sono di somma importanza, in che costoro pretendono essere benissimo forniti; e veramente questi loro fanti sono molto atti alla guerra, per avervi communemente una applicazione ed inclinazione naturale, avervi accommodata la agilitá del corpo, ed essere al pari di ogni altra nazione pazienti di qualunque disagio. Nondimeno oggidí in Spagna sono pochissimi fanti veterani ed esercitati alle arme: quegli che ci erano buoni o sono morti in Italia, o vi militano oggidí; assai ne perderono alle Gelbe sotto don Garzia figliolo del duca di Alva, e Petro Navarro; quegli pochi che ci erano pratichi, della compagnia di Villalba, si consumorono in gran parte lo ottobre passato in Navarra, e massime quando fu morto el capitano Baldese. Oltre a questo, e' fanti che ci sono hanno insino a ora pochissime arme, e la maggiore parte, anzi quasi tutti, non portano altro che una picca e la spada; e però quando nel campo franzese sia una ordinanza di cinque o seimila alamanni, la quale facci spalle e sostenga la fanteria piccarda e guascone, è da credere che e' possino respondere alle fanterie di costoro. E massime che questi alamanni hanno qui reputazione, che si vede per il parlare che se ne faceva lo anno passato, e perché costoro si ingegnano imitarli in queste ordinanze, e vanno cercando di capitani e di fanti alamanni. Quanta superioritá abbino costoro si è ne' cavalli leggieri, de' quali ci è grandissima copia: hanno buoni cavalli e sono assueti a questa spezie di milizia. El quale vantaggio non è in una fazione stretta di molto momento; danno piú tosto, nel continuarsi la guerra, impedimento al venire le vettovaglie, a disturbare una levata del campo, straccare ed infestare li inimici ogni dí insino in sullo alloggiamento, che e' faccino frutto grande in una giornata; in modo che esaminato tutto, si può conchiudere che questo re abbi con grande fatica a mettere insieme uno esercito grosso, con grandissima a conservarlo, né sia per alcuno modo da essere tale che e' sia superiore alla campagna co' franzesi.
Considerato adunque tutto questo discorso, pare da fermare el punto che questa maestá, quando non sia necessitata ad avere la guerra a' confini sua di qua, non sia per volerla in alcuno modo. Anzi discorrendo piú oltre, io credo generalmente che lo essere in guerra con Francia, da qualunque banda, li pesi assai e lo tenga in gravissimi pensieri, perché lui solo non può né co' danari né colle forze reggere tanto peso; la guerra di qua lo tiene aviluppato non sanza pericolo di questo suo governo di Castiglia, e lo essere impegnato di qua lo tiene in gran suspizione del regno di Napoli dove ha quelle forze e benivolenzia che ogni uomo sa. Trovasi collegato e ristretto collo imperadore, uomo el quale a volerlo tenere bene contento bisogna pascerlo continuamente con danari e grosse somme, di che lui non li può dare, ed in ogni maggiore unione che li abbi seco non ne trae frutto alcuno. E quando lo imperadore si alienassi da lui, non li potrebbe se non nuocere, perché el re di Francia ne accrescerebbe riputazione, e forse sendo congiunti li farebbono qualche disegno adosso in su questa governazione di Castiglia, in che lo imperadore potrebbe operare assai, e basterebbe solo el disporre lo stato di Fiandra valendosi massime della riputazione e forze di Francia. Della lega di Italia credo speri poco, conoscendo la natura del papa e la sua mala contentezza, la diffidenzia che sará ragionevolmente venuta tra' viniziani e lui, e considerando che ogni dí possa nascervi nuove divisione, di qualitá che el re di Francia vi ritorni facilmente. Non può sanza e' danari di altri nutrire lo esercito che vi si trova al presente, e risolvendolo vi viene a rimanere, si può dire, a discrezione, ed in ogni caso vede che è in potestá de' svizzeri soli rimettere el re di Francia nel ducato di Milano, e credo li paia strano avere a essere sottoposto alla poca fede e mala natura loro. Conosce che se el re di Francia persevera inimico suo, che gli è necessario o che non torni in Milano, o che lui esca di Napoli, perché el re di Francia non fermerá a Milano, ma vorrá per sua securtá cavare costui interamente di Italia.
Sono questi frangenti grandi e da farlo misurare bene e' casi sua; ne' quali el piú pronto e maggiore sussidio che e' possa avere è quello di Inghilterra, che nondimeno per quello che è detto di sopra, non manca di molte difficultá, ed è di assai considerazione; in forma che, esaminato tutto bene, io sono di opinione che quando questo re trovassi pace con Francia, nella quale fussi la conservazione del regno di Navarra e qualche sicurtá sua, che egli, sanza avere respetto a alcuna altra cosa, la accetterebbe volentieri. Non intendo giá come e' possi avere questa sicurtá, perché con Francia non ha modo di pace se non lasciandolo rientrare nello stato di Milano, e quando recuperi Milano, non so come si possa fidare che non lo cavi di Napoli, perché oramai fra loro si sono tante volte rotte le capitulazione, li accordi ed e' parentadi, che le parole e promesse sole non bastano. Potendo adunche avere la pace massime per le cose di qua, io sono di opinione che la piglierebbe; non la potendo avere, bisogna fare altri disegni, ed el periculo del regno di Navarra, e che el re di Francia non torni potente in Italia, pare che lo sforzi a strignersi colli inghilesi e fare potentemente la guerra da queste bande, se giá e' non disegnassi, quasi alla similitudine dello anno passato, chiamare li inghilesi, e col tôrre loro co' modi indiretti tempo, e colle preparazione sole e mostrare la guerra, assicurarsi che e' franzesi non lo offendino di qua, e tenerli anche sospesi e divertiti da non potere attendere alle cose di Italia.
V
Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa
di Italia.
Io non mi maraviglio piú che nelle cose dubie si truovino tante questione e contrarietá di opinione tra gli antichi scrittori, poi che io veggo che e' non manca chi vogli in una cosa tanto chiara mettere disputa. Tutti gli amici vostri, poi che voi tornasti da Napoli, si sono sempre doluti che la altezza del re vi abbi tenuto in ocio, ed è loro dispiaciuto che la abbi in guerre tanto importanti adoperato altri capitani e voluto piú tosto con suo danno detrarre alla gloria vostra, che con sua utilitá darli augumento. Questo medesimo dolore abbiamo creduto essere stato nel petto vostro e ragionevolmente, perché nessuno dispiacere può essere maggiore negli uomini grandi e che si conoscono virtuosi, che non avere facultá di mostrare quello che e' sono, e che con danno di altri le virtú loro stieno oscure. Né ha anche la natura dati tanti ornamenti a uno uomo perché li stieno sepulti, ma perché con quelli giovi alli altri; e però chi si tiene sufficiente e non si vuole mostrare quando ne ha commoditá, manca non solo a sé medesimo, ma a tutta la generazione umana, ed è da essere comparato a uno avaro che tiene e' sua tesori occulti nella cassa sanza profittarne a sé o a altri. Ora doppo molto tempo vi è dato facultá tornare alle faccende, la quale vi debbe essere tanto piú grata, quanto piú è stata desiderata, e con quanto maggiore gloria vostra vi si offerisce, perché avendo sua altezza provati altri capitani sanza successo, ed ora per necessitá ricorrendo a voi, si mostra quanta differenzia sia da voi alli altri.
Lo accettare questa espedizione, considerate, Gran Capitano, che vi porta tutte quelle cose che sono stimate dagli uomini: gloria grandissima, perché ritornando voi nel corso delle arme, che è la propria professione vostra, nelle azione grande, a espedizione preclare, in una provincia dove la fama vostra è maggiore che nella patria, contro a una nazione ed eserciti che triemano del vostro nome per avervi altra volta provato con tanto loro danno, ed e' quali se voi vincesti in uno tempo che voi non li conoscevi né loro aveano provato voi, in tempo che voi eri solo, loro colli aiuti e forze di tutta Italia, quando li aveano capitani veterani e buoni, chi può dubitare che ora voi non li abbiate a vincere, quando voi siate accompagnato da tanti aiuti, loro soli; voi colla esperienzia avete imparato el modo di vincerli, loro per tante rotte triemono della vostra virtú; voi capitano veterano e migliore che allora, loro con capi nuovi e giovani e che non hanno nome o esperienzia; questa vittoria quanta fama vi abbi a dare chi non lo sa? E se bene la gloria vostra è grandissima da potersene contentare, è anche grande lo animo e generoso, e non si truova che nelli animi generosi fussi mai sazietá di gloria.
La utilitá quanta sia non voglio darne altra ragione, se non che voi misuriate quale erano le ricchezze vostre innanzi alla guerra, quale sia oggi doppo le vittorie lo stato e la rendita che voi tenete; e ricordatevi che gli è maggiore difficultá venire di uno grado basso a uno mediocre, che non è da uno mediocre venire a uno sommo, e che non può essere maggiore carico a' savi che non sapere seguitare la fortuna sua, la quale ha forse per questa via destinato di condurvi a uno stato equale alle vostre virtú. E benché la soglia essere mutabile, nondimeno questo non vi debbe ritirare, perché e' savi se ne sogliono difendere, e non si potendo ottenere le cose grande sanza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura. E se non vi muove lo appetito della gloria e grandezza, parendovi averne a sufficienzia, considerate piú lá, Gran Capitano, che rifiutando questa impresa si viene a diminuire la gloria acquistata da voi insino a oggi; perché chi non vede che stando voi in ocio, in pace, con veste lunghe ed abiti civili, alla ombra la fama vostra invecchia tuttogiorno, manca uno certo vigore fresco, ed el nome vostro si regge non in sul fulgore delle cose presenti, ma in sulla riputazione delle passate, come di Pompeio a comparazione di Cesare dicevano li antichi scrittori? El tempo e lo ozio vi logora. Ma quello che è piú, recusando questa amministrazione, date causa di credere a' populi che lo animo vi manchi e che voi medesimo diffidiate di voi; di che può nascere disputa quale abbi potuto piú nelle azione vostre passate o la fortuna o la virtú. Finalmente per conchiudere in una cosa tanto chiara, vogliate piú tosto le faccende di Cesare che el brutto ocio di Lucullo, ed eleggete piú tosto la occasione di crescere in infinito la gloria e lo stato vostro, vivendo in Italia ed in Napoli come re, che voluntariamente invecchiarla e diminuirla stando in Castiglia come suddito.
VI
[Sullo stesso argomento.]
In contrario.
Le diversitá delle opinioni, Gran Capitano, e le dispute che vi si fanno, sogliono piacere a chi ha a fare la resoluzione, perché chi ode le ragione contrarie suole meglio discernere la veritá, né anche debbono dispiacere alle parte, quando la sorte dá loro prudente giudice e che le si oppongono non per proprio interesse, ma principalmente per amore del vero. E se in nessuna quistione fu mai bisogno di savio giudice, e che considerassi lo intrinseco delle cose, è di bisogno in questa, dove è necessario che la prudenzia sia tale che con solida elezione vinca e' vani appetiti, e seguiti piú tosto la utilitá nascosta drento, che lo splendore apparente di fuora. Io confesso che accettando questa impresa e vincendo, ne risulterá verisimilmente grande augmento alle cose vostre; ed anche credo che secondo le considerazione che si possono fare de' futuri eventi delle guerre, voi vi possiate promettere la vittoria, quanto mai potessi alcuno capitano che andassi in guerra. Ma io so anche che nessuna cosa è tanto incerta, quanto li esiti delle guerre, sulle quali ogni leggiere disordine, ogni minimo caso suole qualche volta essere di momento grandissimo. Né si può promettere la vittoria chi ha la giustizia della causa, vedendosi ogni dí vincere chi combatte per la ingiustizia; né si può el capitano assicurare in sulla sapienzia sua, la quale se è bene di gran momento non opera el tutto, perché tutte le azioni della guerra non sono riposte in lui solo, anzi la maggiore parte dependono dalla virtú de' soldati, dalla qualitá de' luoghi e de' tempi e da mille accidenti sottoposti interamente alla fortuna, e' quali non sendo in mano sua, non li può lui solo regolare.
Non si può adunche promettersi la vittoria; e se bene verisimilmente la speranza sia maggiore che la paura, si ha da considerare in contrario che sanza comparazione molto piú danno vi farebbe el perdere, che non vi facessi utilitá el vincere, perché la gloria e reputazione vostra è oggi grandissima, e tale che e' non si ha notizia di uno capitano sí glorioso in tutta la cristianitá. Vincendo, non darete ammirazione a nessuno, e se ne crescerá di poco la gloria vostra, perché a nessuno sarà nuovo che el Gran Capitano vinca; perdendo, non è cosí, perché una mala fortuna di uno giorno solo vi priverrebbe di tutti li onori e trionfi acquistati colla fatica e pericoli di tanti anni: perderesti quello splendore di essere invitto e quello tesoro che non si può pagare né estimare, né se li può fare comparazione delle ricchezze che si potessino acquistare nella vittoria, perché questo disegno è fallace, e si vede quante volte da' re e' benefici grandi sono pagati con grande ingratitudine. Ed inoltre non vale tanto questa speranza, che per quella si debba mettere in pericolo una cosa tanto preziosa quanto è la fama e lo onore.
Dilettasi qualche volta la fortuna di fare simili tratti, ed è proprio lo esercizio suo di bassi fare grandi e di grandi ridurre a grado piccolo; e quanto piú l'ha pel passato favorite le virtú vostre, tanto piú è da dubitarne, perché el costume suo è di non stare mai ferma con uno medesimo, e rarissimi si truovano coloro a' quali la sia stata continuamente propizia. Leggesi tanti antichi capitani, Pompeio, Annibale, Marcello, e nella medesima Italia Belisario sommo uomo, el quale mandatovi da Iustiniano imperadore, tornò doppo qualche anno in Grecia al suo signore, avendo acquistate grandissime vittorie e trionfi; dove stato qualche tempo, ed essendo perturbate le cose di Italia, vi fu di nuovo rimandato, e nondimeno non vi avendo e' medesimi successi, tornò con poca gloria e favore. È facile adunche el perdere; perdendo si perde assai; vincendo, a comparazione della perdita, si guadagna poco; né e' savi sogliono volentieri giucare a quelli giuochi ne' quali si possi perdere molto e vincere poco. Ricordatevi del prudente ricordo di don Alonso Aghilar vostro maggiore fratello, el quale vedutovi tornare la prima volta glorioso di Italia, vi dissuase el tornarvi di nuovo, perché voi non mettessi in pericolo la reputazione acquistata. Né solo vi debbono muovere le parole ma eziandio lo esemplo suo, che doppo tante vittorie e tanta fama fu morto in giornata.
Pare assai alla moltitudine lo splendore del tornare in Italia a tanta impresa ed a tanto governo ed a sí grande speranze, ma piú pare a' savi el mettere voluntariamente in pericolo tanto tesoro. Debbesi considerare assai el pigliare le imprese, e massime chi giá è glorioso, chi giá ha fatto demostrazione della virtú sua, chi piú che per la rata ha travagliato e posto mano a' bisogni delli altri uomini. Non direi cosí in uno giovane, el quale non avendo ancora tentato la fortuna sua, è ragionevole che facci prova di sé medesimo, non viva in ocio brutto, ma tenti e di volere acquistare gloria, e di suvvenire a' bisogni degli altri uomini e della sua nazione. È lodato uno che con poco capitale si mette a navigare, e con pericolo di potere poco perdere, tenta di guadagnare assai; e nondimeno è biasimato uno uomo ricco che per appetito di guadagnare metta in mare tutto lo stato suo; né li sará imputato a pusillanimitá el riposarsi, ma a troppa cupiditá el travagliare. Né sará uomo che, se voi recusate questa impresa, lo ascriva a viltá di animo, anzi si imputerá a prudenzia; e quanto della vittoria sono proposti maggiori utili, tanto piú parrá officio di animo generoso e savio el saperli sprezzare. Le vittorie vostre passate sendo continuate tanto tempo ed ottenute tante volte, e massime con tanto mancamento di danari e di altre provvisione necessarie, non lasciono dubitare della virtú vostra; né si diminuisce, recusando questa impresa, la gloria, anzi si conserva lo acquistato, e si fa fede di prudenzia. Quello doverrebbe fare uno giovane povero di onore, questo altro ha a fare uno vecchio ricco di tanta gloria e trionfi; ed a voi si apartiene piú, nella etá che voi siate, fare officio di vecchio savio, che di giovane volonteroso, e seguitando piú tosto el iudicio de' prudenti che la ignoranzia della moltitudine, non si mettere, per speranza di guadagnare poco, a pericolo di perdere assai.
VII
[Sulla discesa di Francesco I in Italia nel 1515.]
La condizione e sorte di Italia vuole che né le guerre cominciate di lá da' monti, né lo essersi mutati principi, basti alla quiete italiana; anzi ogni cosa che pare che dia disturbo a chi volessi assaltarla riesce, in spazio di tempo, piú fresco e piú potente a travagliarla. Sperossi che le discordie ed armi cominciate tra Spagna ed Inghilterra con Francia avessino a essere causa che e' franzesi avessino a lasciare posare Italia per qualche tempo, il che non solamente non è seguito, ma piú tosto abbiamo visto el contrario; conciosiaché di quivi è nato tregua tra Francia e Spagna per di lá da' monti, di poi pace tra Francia ed Inghilterra; di che e' franzesi non solo non sono stati impediti ma, securi della guerra di casa, hanno potuto piú gagliardamente volgere lo animo alle cose di Italia. Sperossi che la morte del re Luigi fussi causa medesimamente del contrario, perché si credeva che le imprese fussino cominciate a dispiacere a tutta la nobiltá di Francia, e si pensava che lui solo per esservi stato dal dí che nacque inclinatissimo, e di poi per reputarla gloria ed acquisto suo, sostentassi questa impresa. Ed inoltre si giudicava che essendo per la sua morte cessato el parentado tra Francia ed Inghilterra, ed avendosi a restituire dote, potessi tra questi dua re nascere facilmente qualche inimicizia, o almeno fare che el re nuovo vivendone con sospetto non potessi cosí commodamente attendere alle cose di Italia. Questa sua morte non solo non ha spento questo fuoco, ma ha piú tosto partorito effetto contrario, perché tra questo re ed Inghilterra si è non solo conservata la amicizia, ma piú tosto accresciuta la coniunzione; ha fatto parentado con lo arciduca, e posatosi ancora da quella banda; in modo che volendo ora passare in Italia, questa sua impresa la fa con tanta piú sua reputazione, e con tanto maggiore periculo di Italia, quanto piú si vede assolidato di lá da' monti; truovasi piú giovane e però piú animoso e piú feroce, ed inoltre si intende essere in maggiore credito e benivolenzia co' signori e gentiluomini del regno che non era el re passato.
Vuole la mala fortuna di Italia cosí, e che doppo uno incendio e travaglio ne nasca subito sempre uno altro maggiore e piú pericoloso. Viene adunque nuovamente in Italia uno esercito franzese con grosso numero di cavalli, fanterie ed artiglierie, e bene provisto di munizione e di tutte le cose necessarie. Viene allo acquisto di Milano, ducato posseduto poco tempo fa da loro piú anni, dove hanno colore di qualche titulo, e dove e' populi li desiderano ed inclinano sanza dubio a quella parte. Viene contro a uno duca debole di forze, di poco governo e sanza danari, ed odiato da tutti e' sudditi sua; in modo che se si avessi a combattere da una potenzia all'altra, solo uno cento di lance franzese finirebbono la impresa, avendo la inclinazione de' populi e la parte di messer Gian Iacopo e di tanti altri fuorusciti che sono con loro. Ma al riscontro si scuoprono a difesa dello stato di Milano e' svizzeri, nazione fiera, bellicosa, esercitata nelle arme e di animo grande, e che altra volta ha avuto in questa impresa medesima vittoria de' franzesi, ed a quale pare nella difesa di Milano trattare una causa sua propria, perché in veritá nel defenderlo consiste grandissimo interesse di quella nazione per gloria, per utilitá e securtá sua. Ha volta tutta Italia li occhi a questa espedizione, non solo per lo interesse suo e per el desiderio ed inclinazione varie piú a una parte che una altra, ma etiam perché discorrendo bene le forze di tutt' a dua le parte, nascono tra li uomini vari iudíci di chi debba essere vincitore. E se bene l'esercito franzese paia avere vantaggio, per trovarsi numero di fanterie quante saranno e' svizzeri o piú, ed avere tanti cavalli ed artiglierie che non ne hanno e' svizzeri, nondimeno la ferocia e reputazione di quella nazione, e lo animo con che si vede vanno, è tale, che non sanza cagione nasce nelli uomini tanta varietá di iudíci ed opinione; in che a me interviene come alli altri, che in una cosa di tanta importanza non posso posare lo animo, e sono forzato discorrere ancora io quello che mi occorre.
Intendesi di presente, come ancora si è inteso tutto lo anno passato, e' svizzeri volere fare pruova di impedire a' franzesi e' passi de' monti; e' quali sendo stretti e forti ed in luoghi dove non si possono maneggiare cavalli ed artiglierie, pensano poterli con poco numero di uomini defendere; da altro canto e' franzesi sono sí grossi di numero di uomini, che potendosi dividere in molte parte, e tentare in uno medesimo tempo el passare per vari luoghi, è da dubitare che questo disegno non riesca, e tanto piú quanto e noi a' tempi nostri lo abbiamo visto, e si legge in molte istorie, che rare volte è riuscito uno simile pensiero, perché chi si vede serrato el passo ordinario, e non potere sanza pericolo e disavantaggio grande aprirsi la via ordinaria, non viene direttamente a sforzare chi ne è signore, ma cerca per venirvi indirettamente, e per via di furto, e' luoghi non previsti da chi è in sul passo; e però lo effetto di queste imprese è molte volte stato che chi vuole passare ha girato una parte dello esercito per qualche via traversa e non usata, quale ha imparata da' paesani o altrimenti, e condotto in modi simili o in sulla summitá del monte, o drieto o dallato a chi tiene el passo, gli ha forzati a ritirare e lasciare la strada aperta. In modo che io per me non ho mai avuto in questa difesa molta fede, e massime che avendo e' svizzeri a starvi lungamente, credo arebbono difficultá di vettovaglie. Porsi, come alcuni dicono, e' svizzeri a Susa dove sbocca el passo di Monginevra e Monsanese e cosí non li lasciare discendere al piano, anche non è disegno certo, perché io credo possino farlo discosto da Susa e per altra via in molti luoghi, per Saluzzo e Monferrato, dove se forse non sono facili e' passi per le artiglierie, pure noi veggiamo per esperienzia che chi ha forza di uomini e di danari vince queste difficultá, ed e' franzesi massime che in simile maneggio hanno molta attitudine.
Non so anche se per carestia di vettovaglie e' svizzeri possino fermarsi lungamente in su' monti, il che non doverrebbe dare noia a' franzesi che hanno adrieto el paese loro, donde si possono meglio provedere, e che possono e sogliono in simili cose valersi della forza del danaio e sanza alcuno rispiarmo. Se e' svizzeri tengono el passo de' monti, la impresa de' franzesi si dissolve; se e' lo tentano e non riesca, perdono di reputazione e' svizzeri assai, sendo di dua difese mancata loro una, nella quale secondo la opinione degli uomini si sperava; nondimeno questo non toglie che e' non possino ridursi grossi alla campagna e venire all'incontro de' franzesi; dove venendo con animo di fare la giornata, si riducono le cose in grande stretto, perché una fanteria grossa di uomini bellicosi e che entrano alla battaglia con animo di morire o di vincere, non può essere vinta sanza grandissima difficultá, e sanza grandissimo pericolo e danno di chi li combatte. E benché la fanteria franzese sia grossa, ed e' lanzichenech sieno stimati assai, nondimeno combattono non per causa propria, ma per conto di altri e come soldati mercennari, né si hanno ancora vendicato quella reputazione e quello timore che hanno e' svizzeri. È vero che lo avere una cavalleria sí grossa e tante artiglierie fa vantaggio grande a' franzesi, ed in modo che se e' svizzeri non fanno miracoli, non pare ragionevole che e' franzesi debbino perdere la giornata; pure li eventi delle battaglie sono dubii, e vi può molte volte la fortuna piú che la ragione, ed almeno non si può negare che e' franzesi non possono avere questa vittoria se non con molto sangue, perché ha a fare con inimico che non volterá le spalle, ma che vorrá morire quivi e non fuggire, e morire coll'arme in mano ed onorevolmente. In modo che io credo si possa conchiudere che questa vittoria sarebbe con tanto danno de' franzesi, e colla morte di tanta nobiltá ed uomini di conto, che peserebbe piú che lo acquistare Milano e tutta Lombardia.
E però io credo che e' franzesi, conoscendo la virtú ed ostinazione delli inimici loro, abbino a fare ogni cosa di non venire a giornata, ma cercare di ottenere la vittoria per altra via, o col mandare, scesi che saranno in Lombardia, le cose in lunga sanza apiccarsi, sperando ne' populi che di drieto si abbino a levare, e pensando che e' svizzeri per mancamento di danari ed altre difficultá, non possino stare lungamente sí grossi alla campagna, e cosí vincere col tempo; o veramente abbino a dividere lo esercito, e lasciato el nervo del campo a petto de' svizzeri con ordine non di combattere ma di intratenerli qualche giorno, mandare l'altra parte alla volta di Milano o di qualche altro luogo, sotto speranza di fare levare tutto quello stato, il che facilmente riuscirebbe loro etiam con poca gente; in modo che raccolto insieme tutte queste cose, benché ancora possa succedere il contrario, pare da credere piú tosto la vittoria sia pe' franzesi. Conciosiaché se e' possono temporeggiare di non venire alla giornata, abbino la vittoria certa in mano; venendo a giornata, possino almeno cosí vincere come perdere, il che non avviene a svizzeri, e' quali non si possono presupporre buono esito se non col modo solo di vincere la giornata. È ancora da considerare che e' svizzeri sono uno populo, e ragionevolmente e' loro moti e progressi debbono essere come quelli degli altri populi: può nascere facilmente che non riuscendo loro el disegno del tenere e' monti, e vedendo el pericolo piú da presso, ed uno esercito inimico alla campagna con fanteria da non sprezzare, con una cavalleria sí grossa, con tante artiglierie, e co' populi amici, pensino a' casi loro e si ritirino sanza volere fare la giornata.
Resta, se e' franzesi ottengono la impresa di Milano, quello abbi a seguire; e se vedendo el resto di Italia conquassato e sanza ordine, la speranza di assicurar meglio le cose loro di Lombardia, la ambizione di crescere, la voglia di vendicarsi con chi li ha iniuriati, li traporti a nuovi maneggi; perché è cosa credibile che e' considerino molto che se e' fermono el corso delle vittorie loro in Lombardia, e' non vi restano con piú sicurtá o fermezza che sieno stati ne' tempi passati, perché rimanendo in Napoli uno re di Aragona inimico della grandezza loro e stato autore a cacciarli di Italia, sendoci uno papa potente con Bologna e Romagna e con lo stato di Firenze, ed el quale non possono avere per confidente, potrebbe ogni dí nascere occasione, o in su' travagli avessino di lá da' monti, o in su qualche altro accidente, faccendo scendere e' svizzeri, cacciarli di Italia. E però è da credere che penseranno levarsi in forma li ostaculi, che vivino con piú securtá che pel passato, massime che essendosi visto la esperienzia quanto col mezzo de' svizzeri vi possino essere facilmente perturbati drento, è da credere che col tempo non mancherebbe chi avessi animo a entrare in una tale impresa.
La ragione vuole che, espedito Milano, disegnino andare allo acquisto del reame, cosa giudicata facile per essere in quello regno poche forze e li animi di molti príncipi e di tutti e' populi inimici del nome spagnolo; el levare el re di Spagna di Italia sarebbe loro grandissima securtá, o pigliando quello regno per loro o mettendolo in mano di qualche loro confidato, il che se avessino subietto da fidarsene, sarebbe sanza dubio piú fortificazione e securtá loro. È adunque da credere che vincendo Milano gli abbino a fare una tale impresa volentieri, sendo necessaria, facile, e trovandosi uno re giovane, nuovo nel regno, e che ne' princípi del regnare avessi cominciato a vincere. Quello che li possa ritenere è solo se e' parrá loro lasciare le cose di Milano in modo, respetto alla vicinitá de' svizzeri, che e' possino mandare securamente le gente nel regno; il che io credo che gli abbino a potere fare, perché o gli aranno vinto con giornata, e ragionevolmente non potendo e' svizzeri essere rotti se non con grandissima loro strage, saranno le forze loro sí attrite che non sará da dubitare infestino cosí presto Milano, se giá in questo caso non fussi stata la vittoria a' franzesi sí sanguinosa che non si trovassino lo esercito intero e fresco da poterlo maneggiare; o veramente gli aranno vinto sanza giornata, ed allora trovandosi tanta gente, la amicizia e forze de' viniziani, potranno facilmente lasciare tanta guardia a Milano che basti allo scendere e' svizzeri, e col resto fare la impresa di Napoli, la quale a giudicio di ognuno è tenuta di poca difficultá.
Ma non so giá se e' parrá loro che basti alla sicurtá propria lo insignorirsi di Napoli, e se el non parere questo, o veramente lo sdegno di vedere loro el papa inclinato almeno collo animo e col desiderio alla via degli inimici loro, o lo appetito di crescere ed assicurarsi tanto piú, gli fará trascorrere piú oltre, e pensare a abassare el papa, a che sono molte cagione che gli possono invitare: parere loro crescere ed assicurarsi tanto piú e levare di Italia ogni spirito che potessi essere in tempo alcuno stimolo o compagno di altri a travagliarli, e tanto piú quanto per e' progressi di questo papa saranno capacissimi che a lui dispiaccia sommamente la grandezza loro in Italia; e la potenzia sua avendo congiunto al dominio antiquo della Chiesa lo stato di Romagna, di Bologna e di Firenze, è da tenerne conto, e massime venendo el fratello e nipote in opinione di volere attendere alle arme. Nondimeno el travagliare lo stato ecclesiastico, oltre a essere contro alla professione del re Cristianissimo, e spiacevole per li esempli antichi e freschi a quella nazione, è cosa da potere concitare e per sdegno e per sospetto e per religione tutti e' principi cristiani, e mettere Francia in quelle difficultá che lo vedemo pochi anni sono. Né si può battere, o a dire meglio, disfare interamente el papa, non gli togliendo lo spirituale; e questo non si può torgli sanza el concorso della Magna e di Spagna, a' quali non è a proposito che Francia si faccia capo ed autore di una tanta cosa; e però saría facile cosa che el re di Francia, vincendo etiam Milano e Napoli, si astenessi da toccare la Chiesa; se giá per mettere un freno in bocca al papa e diminuirlo assai di forze, non voltassi lo stato di Firenze, parendoli che non sendo cosa ecclesiastica, questo uno modo da battere el papa sanza concitare li altri principi. Ma questo ha anche el contrapeso, perché ogni volta che non fussi risoluto a non manomettere el papa nel dominio ecclesiastico, parrebbe piú prudenzia cercare di beneficarlo e farselo amico e confidente, in che non li mancherebbono e' modi, che volerlo per inimico; e per questo, raccolto tutto, sarebbe forse piú ragionevole credere che el re di Francia non fussi per cercare di deprimere el pontefice; tuttavolta le ambizione, le voglie, le paure e li inganni degli uomini sono tali, che fanno spesso effetto contrario a quello che si disegna e pare che si discorra con ragione. Sariaci una altra migliore e piú vera sicurtá per li franzesi che nessuna altra, e questo sarebbe spacciare e' svizzeri in casa loro, ma la difficultá è tale che la vuole piú pensiero, piú tempo e piú occasione a poterla resolvere.
Lo effetto fu che nonostante la resistenzia de' svizzeri, e' franzesi benché per vie difficile passorono e' monti, e venuti nel piano di Lombardia, e' svizzeri si ritirorono verso Como, dove di poi ingrossati ne vennono a Milano. E' franzesi acquistato che ebbono tutto lo stato di Milano che di subito si dette loro, eccetto Milano e Cremona, de' quali Milano, se e' sollecitavono el venire innanzi allo ingrossare de' svizzeri, si dava, e Cremona per essere piú discosto stette a vedere, vennono a Lodi, e di quivi la persona del re collo esercito se ne andò a Marignano vicino a Milano a dieci miglia. E' svizzeri intanto vennono a Milano, ed essendo state tra loro molte pratiche di accordo, ed escluse finalmente, e' svizzeri con bestialitá grande uscirono un giorno al tardi di Milano ed assaltorno lo esercito franzese, con quale combatterono fino a piú ore di notte; e la mattina sequente si rapiccorno, dove li svizzeri furono rotti. De' franzesi non morirono molti; de' svizzeri si è parlato ed inteso variamente, ma la commune opinione è suta che ne sieno morti piú di diecimila ed anche dodicimila.
Avuto questo disavantaggio, e' svizzeri abandonorono Milano e tutto lo stato, quale si dette al re; ed el castello pochi dí poi si li dette per accordo. Eravi drento el duca Massiminiano, che d'accordo ne andò in Francia, con obligazione di darli entrata ecclesiastica per trentamila ducati e favorirlo al farlo cardinale. Avuta questa vittoria, el re, nonostante che el papa avessi fatto lega colli inimici sua, dati danari grossamente a' svizzeri e mandato loro certi sua condottieri con qualche gente d'arme, e tenuto pratiche colli spagnuoli di unirsi tutti insieme colle gente della Chiesa e nostre, co' svizzeri, nondimeno fece demonstrazione di desiderare grandemente l'accordo con Sua Santitá; quale finalmente si concluse con capituli e condizione grande per el papa e per li sua, e sanza carico o spesa alcuna della cittá.
VIII
[Sulla proposta fatta ai Veneziani d'entrare
nella lega contro i Francesi.]
Da poi che e' franzesi furono usciti totalmente di Italia per la guerra che si cominciò vivente Leone, dubitandosi del ritorno loro, l'anno 1523 del mese di agosto, fu fatto nuova lega tra papa Adriano, imperadore, re d'Inghilterra, duca di Milano, fiorentini, genovesi e tutto el resto di Italia, eccetto e' viniziani, ed ordinata una contribuzione per la difesa di Milano. E si faceva instanzia di tirare e' viniziani in questa lega, al quale effetto era stato in Vinegia molti mesi el signor Ieronimo Adorno, e doppo la morte sua vi andò el protonotario Caracciolo in nome dello imperadore; e trattandosi in pregati questa deliberazione, chi recusava lo alienarsi da Francia e convenire con Cesare parlò cosí:
Rare volte, se io non mi inganno, onorevoli senatori, ha avuto a' tempi nostri la nostra republica caso alle mani piú importante che questo, nel quale dobbiamo sopra ogni cosa porre da canto tutte le passioni e rispetti privati, non solo per pigliare quella deliberazione che sia piú a nostro proposito, ma ancora per conservare la antica degnitá di questo senato; perché è giá sparso voce per tutta Italia ed apresso a' principi, che tra noi cominciano le divisione, e che de' nostri principali alcuni sono imperiali, alcuni franzesi; cosa che come io sono certissimo essere falsissima, cosí è officio nostro governarci di sorte, che né per tôrre autoritá l'uno all'altro, né per altra causa, non possa io non dico seguirne uno tale effetto, ma né etiam nascerne nelle mente di persona una minima suspizione, perché, oltre alli altri danni, una opinione tale oscurerebbe troppo la inveterata riputazione di questa republica.
A me pare che a volere risolvere bene tutta questa materia s'abbino a considerare distintamente dua capi: el primo è che sia da fare in caso che noi presuppognamo che e' franzesi passino di presente in Italia, come loro efficacemente affermano; el secondo, che sia da fare in caso che noi presuppognamo che e' franzesi non passino di presente, come è opinione del nostro imbasciadore. Quanto al primo, cioè in caso che noi presuppognamo la passata de' franzesi, non credo si faccia dubio alcuno, perché l'onore e lo utile, che sono quelle due cose alle quali s'ha a risguardare nelle deliberazioni publiche, ci confortano a tenere fermo con loro: l'onore, perché non possiamo negare avere lega seco, la quale non è variata per gli accidenti della fortuna né per le sue avversitá, anzi dura piú ferma e piú constante che mai, e se bene gli oblighi nostri parlano a difesa dello stato di Milano, e questo non pare che sia piú in essere perché l'hanno perduto e trattano ora non di difenderlo ma di recuperarlo, nondimanco questo accidente ha variato piú tosto le parole che la intenzione de' contraenti, la quale fa obligarsi a ogni bisogno che accadessi loro per la ducea di Milano, né si conviene a una republica come la nostra, che sempre è proceduta nelle sue cose con tanta gravitá e maiestá, fondarsi come fanno e' legisti in sulle cavillazione e corteccie delle parole, ma andare drieto al vero senso ed intelletto delle cose, tanto piú che noi medesimi abbiamo prima che ora dichiarato questo articolo, ed in ogni maneggio presupposto sempre di essere obligati di dare aiuto a questa recuperazione.
E questa difficultá tra le altre abbiamo sempre allegato, prima al signor Ieronimo Adorno e poi al Caracciolo, e da altra banda stimolato tutto questo anno e' franzesi al passare, offrendoli lo aiuto a che siamo tenuti per li capituli, il che se non hanno fatto a' tempi che noi abbiamo instato, e datoci causa di protestare che provederemo a' fatti nostri, non per questo l'abbiamo fatto; in modo che, sendo venuto el caso che loro siano per passare, restano le obligazione nostre accese come prima, le quali quando ancora si potessino dire resolute, tanto piú osservandole ce ne resulta maggiore onore, ed è uno paragone tanto magnifico della constanzia di questo senato, e del conto che la tiene degli amici suoi etiam nelle avversitá, che non solo avendo occasione di guadagnare nome onorevole, non si debbe volerla pretermettere, ma doverremo cercare di ritenerlo, quando bene fussi con qualche danno e pericolo; perché le azione di una tanta signoria non si hanno a misurare come quelle de' mercatanti e de' privati, che el piú delle volte si dirizzano alla utilitá, ma debbono sempre avere per uno de' fini principali la magnificenzia, la degnitá, lo splendore.
Quanto alla utilitá, la cosa è chiarissima; perché è molto piú a proposito nostro che nello stato di Milano siano e' franzesi che lo imperadore, la grandezza del quale è troppo pericolosa al nostro dominio, perché oltre alli altri stati piú lontani, ha el regno di Napoli, ha el ducato di Austria che entra in corpo delle cose nostre, ha in Italia le ragione dello imperio ed el seguito della fazione ghibellina, che fanno formidoloso uno imperadore bene debole, non che uno che ha tanta potenzia; pretende ragione particulare in molte delle nostre terre, molte n'ha dominate lo avolo suo frescamente, ed in molte come sapete ha grandissime inclinazione; in modo che se a tanti fondamenti si aggiugne che si stabilisca nello stato di Milano, a noi non resta forma alcuna di poterci difendere. Da altro canto se e' franzesi lo pigliano, la vicinitá loro non ci porta alcuno pericolo, perché oltre che non aranno tante opportunitá di confinare con noi da piú parte, né pretendono ragione fresche allo stato nostro, né vi hanno le dependenzie che ha questo altro, né sono uomini atti o per virtú militare o per industria ed acume di ingegno a acquistare e conservare gli stati come sono gli spagnuoli.
Lo odio per tante ingiurie fresche e nuove, e per la emulazione che hanno con lo imperadore è tale ed el timore della potenzia ed arme sue, che aranno sempre vòlto lo occhio a questo, né aranno pensiero o occasione di travagliarci, anzi procureranno di stare sempre uniti con noi, cognoscendo che con la nostra coniunzione terranno sicure le cose di Italia. Hanno fatto esperienzia con suo danno che frutto gli abbia fatto la lega di Cambrai e la ruina nostra, e cognosciuto molte volte la virtú o la fortuna degli spagnuoli essere maggiore che la sua; però non abbiamo da temere che recuperato lo stato di Milano ritornino a quelle unione, né che mai pensino a partito o divisione alcuna per la quale lo imperadore abbia in Italia a vicinare seco, perché la esperienzia gli ha ammaestrati di quello che non insegnò loro la prudenzia. Sanza che, le ragione di quelli tempi furono molto diverse, perché Massimiano era in comparazione di questo uno debole principe; né messono allora in Italia ed in sua vicinitá uno re potente come questo, anzi di qualitá che per la debolezza e disordini suoi si poteva sperare che n'avessi a uscire presto, come sarebbe intervenuto se non si fussi poi di nuovo unito tutto el mondo a battere loro. Se la fortuna buona di Italia avessi potuto piú che la imprudenzia di Lodovico Sforza, e poi, che la nostra o troppa paura o troppa cupiditá, non sarebbono oltramontani in Italia, e questa sarebbe la felicitá di tutta questa provincia e spezialmente la nostra, che eravamo temuti da li altri, ed in fatto davamo, si può dire, le legge a tutti; ma poi che le cose sono scorse in luogo che non si può sperare che Italia sia sanza barberi, è molto meglio per noi e per li altri italiani che ce ne sia due, che uno, perché la emulazione che aranno questi dua potenti insieme, sará la guardia de' manco potenti, ed in spezie ciascuno fará a gara di intrattenere la nostra republica, perché in tal caso troppo importerá la potenzia nostra.
Ed io fo tutto questo discorso presupponendo che lo imperadore terrá per civetta nello stato di Milano Francesco Sforza, mentre ará bisogno di servirsene; ma se gli cessassino le difficoltá ed e' sospetti de' franzesi, quello ducato è sí grosso boccone che non s'ha da dubitare che lo leveranno via, e gli sará facile, sendo lui sanza forze, sanza appoggi e sanza riputazione. Non cognosciamo noi la astuzia e la avarizia spagnuola, non la cupiditá tedesca? non la ambizione naturale di tutti e' principi? Lui è sanza figliuoli, sanza fratelli, di complessione, secondo si intende, debole; potrá mancare facilmente di morte naturale o dare colore di qualche morte artificiosa. Non ci inganniamo in questo: se e' franzesi si escludono dalle cose di Italia, siamo pazzi se non tegnamo per certo che lo imperadore sará signore di Milano, e noi circundati da ogni banda ed in quelli pericoli che ho detto di sopra.
La nostra salute adunche consiste che e' franzesi recuperino el ducato di Milano, e questo è in mano nostra in caso che loro passino, perché aggiunto gli aiuti nostri alle forze loro, non veggo difficultá che non abbino a vincere la impresa, perché gli spagnuoli non solo non aranno modo da potere stare in campagna, ma non potranno per mancamento di danari difendere lungamente le terre, le quali hanno bisogno di grossa provisione. Milano è oramai per sí lunghe spese molto esausto; di Spagna hanno avuto sempre pochi e tardi sussidi; hanno nel reame di Napoli posto tante taglie ed alienate tante delle entrate della corona che si può dire ne possono aspettare pochi danari; questa contribuzione di Italia in che loro fanno fondamento, non dura se non tre mesi, e finiti quegli, el papa che con difficultá vi si è condotto, ed è stato persuaso che in questo tempo la guerra si ultimerá, o cesserá o allenterá di contribuire. E' fiorentini doppo e' tre mesi non potranno piú, sí grossa soma gli hanno posta; e loro vi sono venuti non per volontá ma per la potenzia del cardinale de' Medici; e' sanesi e lucchesi per paura. Però non solo si straccheranno con questo tempo, ma come vegghino e' franzesi in Italia e noi uniti con loro, tale ora tace che allora ardirá di parlare.
Nella impresa passata gli spagnuoli si valsono assai di danari del regno e di Milano, ed ebbono e' populi piú freschi e piú gagliardi che non sono ora; ed all'incontro e' franzesi ci vennono quasi a caso per soccorrere le reliquie dello stato di Milano e con poca provisione di danari, in modo che furono forzati a abbandonare presto la impresa; cose che ora saranno tutte in contrario, perché franzesi hanno avuto tempo a respirare e, secondo che si intende, hanno messo insieme grossa somma di danari; e perché hanno scoperto el modo della difesa di costoro, sapranno meglio governarsi; ed in effetto è da credere che la vittoria sará di chi potrá piú reggere la spesa, e questi saranno sanza dubio e' franzesi.
Resta considerare quello che sia da fare in caso che e' franzesi non passino. In che io tengo la medesima opinione, perché essendoci pericolosissimo che Cesare si faccia signore di Milano, la utilitá nostra ricerca che noi ci dilunghiamo da tutti quelli partiti che gli diano facultá di stabilirsi in quello stato; e se bene fussimo certi che e' franzesi non siano per passare di presente, non debbiamo levare loro le occasione, né quanto è in noi serrare loro la via di passare a altro tempo; perché mentre che lo imperadore temerá di questo, bisognerá che mantenga in Milano Francesco Sforza, ma assicurato da questo timore lo leverá cosí volentieri come lo potrá fare facilmente. A questo mi sará risposto che io direi bene se noi non ci tirassimo la guerra addosso, la quale sanza dubio ci sará mossa se noi non ci accordiamo con Cesare, ed e' franzesi non passino; e lo implicarsi ne' pericoli e spese presente o per interesse di altri o per fuggire le spese ed e' pericoli futuri, non è uficio di savi, e' quali sogliono ponere questa regola, che uno de' potenti rimedi che siano contra e' mali, è allungare quanto si può, perché el tempo per sé stesso porta seco spesso accidenti che te ne liberano. E sono ragione verissime, quando fussi vero che noi fussimo per avere la guerra; ma io credo el contrario, perché ancora che e' franzesi non passino, non hanno guerra in Francia né tali impedimenti che gli proibischino el passare; però ogni volta che costoro ci irritino, hanno da credere che noi fareno a' franzesi di quegli partiti che insino a ora non abbiamo voluto fare, e gli fareno passare, e cosí el romperci guerra per assicurarsi da' franzesi, non gli assicura ma gli mette in manifesto pericolo. Questa è la ragione che con tanti imbasciadori, con tanti prieghi e con tante summissione hanno cercato lo accordo nostro, il che non arebbono fatto se avessino veduto potersi assicurare da noi per via della guerra, la quale non cominceranno, sendo massime noi potenti e di danari e di terre forte come siamo, perché provocherebbono la venuta de' franzesi, ed allo arrivare loro si troverrebbono, nel molestare noi, consumate quelle contribuzione che hanno procurate con tanta difficultá per potere spenderle contro a' franzesi.
Invano adunche temiamo di questo pericolo; el quale se non ci muove, nessuna ragione ci debbe muovere di essere contro a quelli la vittoria di chi ci è utile, e fare grandi coloro che ci saranno sempre inimici. El variare sarebbe scusato quando la necessitá ci inducessi, ma la utilitá nostra è stare fermi, perché e' membri principali di Italia non venghino in mano di uno solo, ed alla degnitá nostra si conviene dimostrare constanzia e generositá, e che non temiamo di quelle cose che non sono da temere.
Dirò piú oltre, ma in questo voglio insistere poco per non parere di tôrre fede al vostro oratore, che molte ragione promettono che e' franzesi siano ora per passare; perché questo è certissimo che lo animo del re è acceso, anzi ostinato in questa impresa: ha avuto tempo di respirare e mettere danari insieme, e si intende che l'ha fatto, né si vede dal canto di lá preparazione che per molti mesi gli possa essere fatto guerra di Inghilterra e di Spagna; alle quali cose io presto piú fede che alle asserzione loro, massime che avendogli noi fatto piú volte intendere che sareno necessitati a pigliare partito, è credibile che accelereranno per non dare alli inimici le arme nostre, delle quali possono valersi per loro. E se pure e' passassino, collegati che noi fussimo con questi altri, pensate che dolore sarebbe el nostro, considerando avergli aspettato tanto tempo in mezzo di tante difficultá e di tanti inimici, e poi avergli abbandonati a punto quando venivano; e quanto saremo imputati apresso alle altre nazione, o di poca diligenzia, o di poca prudenzia, o di troppa timiditá. Né vi persuadete che se loro sono in procinto di passare, che lo accordarsi noi con questi altri gli faccia mutare sentenzia: non è questa la natura de' franzesi che per uno accidente nuovo ritardino uno moto giá cominciato, né la potenzia loro è tale, avendo massime questa opportunitá de' svizzeri, che anche ragionevolmente debbino farlo, perché aranno tante forze e tanta copia di danari, che non sará gran fatto che sanza tentare la fortuna consumino questi altri; e vincendo ci saranno inimici, e perdendo, vincono gli inimici nostri. Però faccendo fine al parlare, el parere mio è, che noi, o passando o non passando e' franzesi, non abbiamo da temere guerra da questi altri, e però che sia molto piú a proposito nostro non si discostare dalla amicizia loro, e dargli animo a venire in Italia per la salute nostra, che collegandoci con lo imperadore, inimico nostro naturale, dargli co' nostri danari occasione di stabilirsi nel ducato di Milano, acciò che fatto questo, lo stato nostro resti totalmente a discrezione sua.
IX
[Sullo stesso argomento.]
In contrario per la opinione che prevalse.
Quanto è piú importante, onorevoli senatori, la deliberazione che noi abbiamo a fare, tanto piú si conviene esaminarla bene, il che non si può fare se la non si disputa diligentemente; però non solo non debbe essere ributtato con interpretazioni strane chi viene in questo luogo a dire liberamente quello che gli intende, anzi merita essere laudato ed invitato, e si debbe riprendere chi si sforza, con dare carichi falsi, spaventare chi viene a dire la opinione sua; perché è officio di ognuno di voi dire largamente el suo parere, e detto che l'ha, rimettersi al iudicio del senato, né cercare con gare o con modi indiretti che la sentenzia sua prevaglia e che nessuno abbia ardire di contradirla.
E perché tra molte cose che occorrono considerarsi in questa materia, e dalle quali depende la vostra deliberazione, è una: considerare se è a proposito nostro che el re di Francia torni nella ducea di Milano, io comincierò da questa; e dico che io concorro che avendo a essere signori di Milano el re di Francia o lo imperadore, è manco pericoloso per noi che sia el re di Francia, per le ragione che sono state saviamente considerate. Ma non confesso giá che di necessitá abbia a essere l'uno de' dua, anzi se noi sareno savi, ho speranza non piccola che el duca di Milano vi s'abbia a stabilire, che è quello che sopra ogni cosa abbiamo a desiderare; perché, può essere che io mi inganni, ma io mi persuado che, se noi accordiamo con Cesare, che e' franzesi, se bene avessino deliberato di passare, se bene fussino mossi, muteranno sentenzia, né ardiranno venire contro a uno imperadore e la unione di tutta Italia, cosa che in tempo alcuno non hanno mai ardito di fare.
El re Carlo che fu el primo che venne in Italia, ancora che avessi el regno potentissimo, e che el nome franzese fussi spaventoso appresso a ogni nazione, e che con Inghilterra e Spagna fussi pacificato, non ardí venire alla impresa di Napoli, se non chiamato dal duca di Milano signore di Genova, ed assicurato, si può dire, che noi stessimo neutrali. El re Luigi non venne alla impresa di Milano se non accordati noi, e lasciataci una parte di quello stato, e fatta amicizia col papa. El medesimo re, ancora che giá duca di Milano, collegato con noi e seguíto quasi da tutto el resto di Italia, non fece la impresa di Napoli, se prima non partí el reame col re di Spagna; non roppe guerra contro a noi, se prima non si accordò seco tutto el mondo. Questo re Francesco, della ostinazione ed ardire del quale si dicono tante cose, se non avessi avuto lega con noi, non sarebbe venuto allo acquisto di Milano. Però quelle gagliardie che in altri tempi non hanno avuto ardire di fare, manco le faranno ragionevolmente ora, che per la guerra passata sono esausti, sono inviliti e sbattuti, avendo a venire contro a inimici da chi sí frescamente sono stati vinti, e non avendo di lá da' monti pace alcuna, ma da ogni banda sospetto di guerra. Ma che cerchiamo noi gli esempli piú vecchi? Non ci ricordiamo noi quante volte questo anno gli abbiamo stimulati al passare, offerendoli le gente a che eravamo tenuti per e' capituli vecchi? E se non gli è bastato l'animo, o non hanno potuto farlo avendo in compagnia noi, molto manco lo faranno avendoci contro.
E quando questo sia cosí, cioè che loro non passino, se noi accordereno con Cesare, a me pare che si apra la via di consolidare nello stato el presente duca di Milano; perché se el fine delle guerre tra questi dua re fussi che e' franzesi restassino sbattuti di sorte che lo imperadore potessi tenerne poco conto, io in tal caso crederrei che torrebbe lo stato di Milano per sé, e questo può facilmente intervenire se e' franzesi passano, perché potrebbono avere qualche rotta sí notabile, o tirarsi in Francia qualche umore di tale importanza, che non si temerebbe piú di loro; ma se loro non passano, bisognerá che Cesare proceda con rispetto nelle