JOHANN GUSTAV DROYSEN
A cura di Diego Fusaro
Johann Gustav Droysen nacque in Pomerania da
Johann Christoph Droysen, un cappellano militare che aveva preso parte
all'assedio di Kolberg del 1806-1807. Da bambino, Droysen, il cui padre era
pastore a Greifenhagen, nei dintorni di Stettino, allora sotto il Primo Impero
francese, assisté ad alcune operazioni militari durante la guerra della sesta
coalizione. Queste prime esperienze giovanili gli indussero un ardente
attaccamento al Regno di Prussia. Fu educato al ginnasio di Stettino e
all'Università di Berlino. Nel 1829 divenne insegnante alla scuola francescana Graue
Kloster (“Frati grigi”), una delle più antiche di Berlino a cui aggiunse le
lezioni gratuite alla Friedrich-Wilhelms-Universität, dal 1833 come Privatdozent
e, dal 1835, come professore. Furono anni in cui Droysen si dedicò agli studi
classici. Pubblicò una traduzione di Eschilo e una parafrasi di Aristofane.
Risale al 1833 la prima edizione berlinese del suo Geschichte Alexanders des
Grossen, un testo fondamentale, a lungo il migliore sull'argomento. Il
primo testo fu seguito da altri volumi sui successori di Alessandro, pubblicati
sotto il titolo Geschichte des Hellenismus (Amburgo, 1836-1843). Una
edizione rivisitata dell'intera opera fu pubblicata nel 1885. Droysen deve la
sua celebrità universale alle sue rivoluzionarie ricerche sulla storia sociale
e politica dell'età di Alessandro Magno e dei suoi successori, che ne fecero,
in qualche modo, l'antesignano di un nuovo corso della storiografia tedesca,
segnato, sotto l'influenza hegeliana, dall'idealizzazione del potere e del
successo. Johann Gustav Droysen fu il primo ad attribuire all'ellenismo,
termine peraltro da lui coniato, la funzione storica di mediazione tra il mondo
antico e quello occidentale e cristiano. I suoi studi ebbero il merito di
sollevare il velo su un'epoca storica e culturale fino ad allora trascurata
dalla ricerca e su cui gli studiosi avevano spesso posato il loro occhio
attraverso la lente deformante dei pregiudizi di matrice neoclassiciste.
Politicamente fu fautore dello stato forte e dell'unificazione della Germania
sotto la Prussia. I suoi scritti più importanti sono i seguenti: Geschichte
Alexanders des Großen (1833), Geschichte des Hellenismus (2 voll.,
1836–1843), Das Leben des Feldmarschalls Grafen Yorck von Wartenburg (3
voll., 1851-1852), Geschichte der preußischen Politik (14 voll.,
1855–1886), Grundriß der Historik (1868). Al cuore della riflessione di
Droysen sta il problema dell’ermeneutica storica. Allievo di Hegel e di Boeckh,
fondò la “scuola prussiana” e contribuì all’unificazione tedesca sotto la Prussia. Ancorché incompiuta, la sua opera principale – Storia della politica prussiana,
che giungeva sino al 1756 – offriva una grandissima base culturale – non esente
da forzature – alla politica di potenza bismarckiana. Fin dalla giovinezza,
come è noto, Droysen coltivò anche la passione per il mondo greco, a cui dedicò
studi decisivi: essi trovarono la loro sistematizzazione nella monumentale Storia
dell’ellenismo. Quest’opera è di fondamentale importanza non solo perché
conia il termine (e il concetto) di “ellenismo”, ma anche perché propone una ricchissima
ricostruzione delle vicende comprese tra la morte di Alessandro Magno (323 a.
C.) alla battaglia di Azio (31 a. C.). Le idee che Droysen venne maturando in
ambito di “ermeneutica storica” furono poi pubblicate sotto il titolo di Istorica.
L’introduzione dell’opera si configura come una tematizzazione dell’analisi
generale della storia, del metodo e del compito dello storico. La prima parte
verte sui problemi di metodo; la seconda invece sviluppa considerazioni
teoriche sull’uomo e il suo rapporto con quelle che Droysen chiama “potenze
etiche” (successivamente chiamate da Dilthey, nella Introduzione alle
scienze dello spirito, “sistemi di cultura”). Nella prima parte ci
imbattiamo nella celeberrima distinzione delle quattro forme
dell’interpretazione (pragmatica, delle condizioni, psicologica, delle idee) e
nella non meno nota distinzione (e contrapposizione) tra le “scienze della natura” e le “scienze
dello spirito”. Tale distinzione sarà
determinante per il dibattito successivo ed eserciterà un influsso enorme sul
dibattito successivo e sugli autori venuti dopo Droysen. Memore della lezione
hegeliana, Droysen distingue attentamente tra “ricerca storica” e “speculazione
sulla storia”. Tramite questa distinzione egli tematizza il compito proprio
dello storico: egli non deve “speculare”; deve piuttosto “comprendere indagando” (forschend zu verstehen). L’attività
dello storico deve in altri termini rimanere saldamente ancorata alle
esperienze passate e alla loro ricostruzione, senza degenerare in astratte e
vuote riflessioni sulla storia. In virtù della distinzione da lui operata tra
scienze dello spirito e scienze della natura, Droysen riflette anche sullo
statuto specifico delle prime, nel tentativo di adombrarne l’autonomia e di
frenare lo sviluppo dilagante delle seconde. Le scienze storiche – spiega
Droysen – non possono fare ricorso alla “spiegazione”, giacché essa spiega
casualmente le cose riconducendo il successivo all’antecedente (B è stato
causato da A). nella storia non ci interessa tanto questo nesso causale quanto
piuttosto la possibilità di cogliere il presente nella sua immediatezza, nei
suoi caratteri individuali. La storia non deve “spiegare”, bensì “comprendere”
(verstehen). Tale distinzione, su cui si riduce in ultima istanza quella
tra scienze dello spirito (che comprendono) e scienze della natura (che
spiegano) verrà ripresa da Max Weber e godrà di grande fortuna. È in tale
contrapposizione che si consuma la frattura tra i due ambiti disciplinari:
frattura a rimanere aperta per molto tempo. Abbiamo già detto che Droysen
distingue quattro forme di
interpretazione. Vediamo in
dettaglio quali sono: l’interpretazione
pragmatica è quella che ricostruisce il
fatto storico nella sua integrità muovendo da indizi, tracce, resti e rammenti.
Droysen accosta tale forma di interpretazione al restauro di una statua
rinvenuta in frammenti. In questo tipo di interpretazione giocano un ruolo
decisivo le ipotesi, che permettono di progettare e controllare il modo in cui
bisogna ricomporre i frammenti rinvenuti. La seconda forma di interpretazione –
l’interpretazione delle condizioni – aspira a conoscere le condizioni, soprattutto
di tempo e di luogo, sotto le quali gli eventi si sono verificati. Essa lavora
sul materiale storico già disponibile. La terza – l’interpretazione psicologica – è quella tramite cui lo storico cerca di
risalire al volere, alla personalità e al carattere dei personaggi storici
indagati. Droysen inserisce qui le sue profonde considerazioni sulle grandi
potenze storiche, le “comunità etiche”, che contribuiscono a determinare
l’agire umano e il corso degli eventi. L’ultima forma di interpretazione – l’interpretazione delle idee – mira invece a cogliere il contenuto ideale
delle opere umane. È la forma più alta di interpretazione. Tali idee, ad avviso
di Droysen, sono sempre presenti nei fatti storici e ne garantiscono il
significato. È proprio la presenza di tali idee, secondo Droysen, a permetterci
di intendere la storia come progresso, dal momento che tramite quelle idee si
attua un effettivo sviluppo delle comunità etiche. Anche Droysen resta dunque
legato, come la maggior parte dei suoi contemporanei, alle due idee di
“progresso” e di “storia in sé”, due idee interconnesse nella formula
“progresso della storia”: secondo una nota espressione di Droysen, “al di sopra
delle storie, c’è la storia”. E tale storia – il principale “singolare
collettivo” (Reinhart Koselleck) del mondo moderno – avanza, per Droysen come
per Condorcet, indefinitivamente verso il “meglio”.
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