ENRICO DI GAND



 

Nel novero dei più accaniti nemici della filosofia elaborata da Tommaso d’Aquino va ascritto Enrico di Gand: nato in una data imprecisata, che oscilla tra il 1217 e il 1223, egli fu insegnante di teologia a Parigi a partire dal 1276 e mantenne l’incarico fino alla morte, sopraggiunta nel 1293. Significativamente Enrico fu uno dei teologi che formularono l’elenco delle proposizioni condannate dal vescovo Stefano Tempier nel 1277. Gli scritti principali di Enrico di Gand sono i Quodlibeta e la Summa teologica: quest’ultima è però rimasta incompiuta. Nello sferrare il suo attacco frontale al tomismo, Enrico prende di mira quello che era il caposaldo irrinunciabile della filosofia di Tommaso: la distinzione tra essenza ed esistenza. In rottura con l’Aquinate, Enrico è infatti convinto che nessuna essenza sia priva dell’essere che le compete come essenza: ché altrimenti si ridurrebbe al nulla. Le essenze (anche dette “specie”)  sono piuttosto oggetti della conoscenza eterna propria di Dio, e in quanto tali sono dotate di essere ancor prima di concretizzarsi in individui. Affinché si concretizzino in individui, deve intervenire la creazione: essa è il frutto della libera volontà divina, la quale decide di conferire l’esistenza alle essenze, le quali sono già dotate di essere. Alla luce di ciò, Enrico è convinto dell’assoluta contingenza dell’intero creato, che può essere come non essere. In quanto dipendente dalla libera volontà di Dio e dalla Sua onnipotenza, il mondo non è necessario. Enrico crede che la distinzione tra due modi di agire della potenza divina – un modo assoluto non vincolato ad alcunché (la cosiddetta potentia absoluta) e un modo ordinato e vincolato alla scelta del miglior ordine possibile (la cosiddetta potentia ordinata) – sia fuorviante e foriero di errori insidiosi: secondo la potentia ordinata, infatti, ci si trova costretti ad ammettere che l’agire di Dio è necessitato e che dunque Egli non può agire diversamente da come agisce; in altri termini, si nega la libertà di Dio. Secondo la potentia absoluta, poi, si cadrebbe invece nella contraddizione di ammettere la libertà divina senza però riconoscere a Dio il miglior agire possibile; detto altrimenti, ci si troverebbe costretti ad ammettere che Dio è sì libero nel suo agire, ma il suo agire non è il migliore tra quelli possibili, proprio perché non ordinato univocamente. La distinzione tra i due tipi di potentiae deve dunque essere gettata a mare in quanto contraddittoria. Enrico di Gand, sul piano gnoseologico, si contrappone per primo a una lunga tradizione: egli infatti sostiene che per spiegare la conoscenza si può fare a meno di ipotizzare l’esistenza reale di specie intelligibili, mediane tra l’intelletto e le immagini particolari degli oggetti ricevuti per via sensoriale. Secondo Enrico, infatti, non v’è distinzione tra le immagini particolari e quelle universali, le quali non sono se non un risultato di un’operazione universalizzante compiuta dall’intelletto; non si tratta di un’astrazione di una specie universale esistente nelle cose particolari – come voleva la tradizione aristotelica –, ma piuttosto di un’universalizzazione dell’immagine particolare.            


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