CHARLES BATTEUX
Le belle arti: imitazione ed espressione
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L’arte non crea le espressioni né le distrugge: le regola solamente, le fortifica e le raffina.



A cura di Claudia Bianco


 

 

Con il trattato Le Belle Arti ricondotte ad un unico principio (Les Beaux –Arts  réduits à un méme principe, 1746) Charles Batteux (1713-1780) propone un’ipotesi di sistemazione del campo delle arti e delle facoltà soggettive a esse connesse, il genio e il gusto, destinato ad avere notevoli ripercussioni sull’estetica settecentesca. Sebbene il testo di Batteaux costituisca uno dei primi tentativi di delineare un vero e proprio “sistema delle arti”, il problema della definizione di ciò che è “arte” e della classificazione delle diverse arti in base ai loro principi e ai loro mezzi specifici non nasce nel Settecento.  Nell’Antichità con i termini techne e ars si designava un’abilità produttiva, una capacità tecnica riconducibile a regole dettate dallo studio e dall’esperienza, in modo tale che l’insieme delle arti comprendeva una sfera assai ampia di attività poetico-imitative, di cui facevano parte la pittura e la scultura ma anche le diverse forme della produzione artigianale.  La distinzione tra “arti meccaniche” e “arti liberali” si afferma solo successivamente: nel De nuptiis Philologiae et Mercurii, Marziano Capella (V sec. d.C.) individua sette arti liberali, che saranno in seguito suddivise nei due gruppi del trivium (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia e musica).  Durante il Rinascimento, i frequenti scritti sul tema del paragone delle arti – nei quali, come nel Trattato della pittura di Leonardo, vengono messe a confronto pittura, poesia e scultura – sono l’indice del tentativo di elevare arti ritenuti prevalentemente manuali, come pittura e scultura, al rango di arti intellettuali come la poesia.  Solo con l’estetica settecentesca, però, si afferma la distinzione netta fra arti pratiche e “belle arti”, e la riflessione su queste ultime si sviluppa all’interno di un campo teorico in cui confluiscono i temi della bellezza e del piacere, della sensibilità e dell’immaginazione, del genio e del gusto.
Il punto d’avvio della riflessione di Batteux è la constatazione della necessità di una semplificazione e di una sistematizzazione del discorso relativo alle belle arti, al fine di comprenderne più chiaramente la posizione autonoma e il valore conoscitivo all’interno del complesso della cultura. Le arti, secondo Batteux, possono essere suddivise in arti meccaniche, che hanno per oggetto “i bisogni dell’uomo” , arti belle, che hanno per oggetto “il piacere” e sono nate “in seno alla gioia e ai sentimenti che producono l’abbondanza e la tranquillità”, e infine arti “che hanno per oggetto l’utilità e la piacevolezza insieme”; al primo gruppo appartengono tutte le attività meccaniche e artigianali, al secondo, quello delle belle arti, appartengono musica, poesia, pittura, scultura e danza, mentre al terzo gruppo appartengono l’eloquenza e l’architettura. Il principio a cui può essere ricondotto l’insieme delle belle arti è quello dell’imitazione, intesa aristotelicamente come produzione di verosimiglianza, anche se poi nel testo di Batteaux il concetto di imitazione viene via via assumendo un significato originale.
Inizialmente Batteaux sostiene che l’arte è imitazione nel senso di copia di un modello: “Imitare è copiare un modello.  Questo termine contiene due idee.  1) Il prototipo che porta i tratti che si vogliono imitare.  2) La copia che li rappresenta”.  Ciò che deve essere imitato non è però solo ciò che in effetti è , ma anche ciò che “noi concepiamo agevolmente come possibile”, in modo tale che le arti “non sono che imitazioni, rassomiglianze che non sono la natura ma che sembrano esserlo; e così la materia delle belle arti non è il vero, ma soltanto il verosimile”. L’imitazione della natura operata dall’arte deve dunque essere un’imitazione selettiva e idealizzata tale che ciò che viene rappresentato è “la natura non come essa è in se stessa, ma quale potrebbe essere concepita mediante lo spirito”, così come fece il pittore antico Zeusi il quale, dopo aver radunato “i tratti separati di molte bellezze esistenti, si formò nello spirito un’idea artificiale che risultava da tutti quei tratti riuniti: e questa idea fu il prototipo o il modello del suo quadro, che fu verosimile e poetico nella sua totalità e non fu vero e storico che nelle sue parti prese separatamente”.  L’imitazione proposta da Batteux come principio unificante del campo delle belle arti non deve dunque essere intesa come copia statica e passiva di un modello, bensì come invenzione verosimile di una natura ideale. Essa è “imitazione della “ bella natura” , la quale “ non è il vero che è, ma il vero che potrebbe essere, il bel vero, che è rappresentato come se esistesse realmente e con tutte le perfezioni che può ricevere”.
Nel trattato di Batteux il concetto “imitazione della bella natura” si precisa gradualmente attraverso un altro termine che assumerà un’importanza centrale nell’estetica settecentesca: il concetto di espressione.  Dopo aver distinto i diversi mezzi impiegati dalle varie arti per imitare la natura Batteux fa un passo indietro ed elenca i tre mezzi di cui gli uomini dispongono “per esprimere le loro idee e i loro sentimenti: la parola, il tono della voce, il gesto”, forme espressive di cui la natura ha dotato l’uomo e di cui l’arte deve avvalersi plasmandole e indirizzandole verso i propri fini: “Le espressioni, in generale, non sono in se stesse né naturali, né artificiali: non sono che dei segni.  Che le impieghi l’arte o la natura, che siano legate alla realtà o alla finzione, alla verità o alla menzogna, esse cambiano di qualità, ma senza cambiare di natura né di stato.  Le parole sono le stesse nella conversazione e nella poesia, i tratti e i colori negli oggetti naturali e nei quadri: di conseguenza i toni e i gesti devono essere gli stessi nelle passioni, sia reali, sia favolose.  L’arte non crea le espressioni né le distrugge: le regola solamente, le fortifica e le raffina.  E come non può uscire dalla natura per creare le cose, non può maggiormente uscirne per esprimerle”.
Nel corso della storia della riflessione sulle arti, il concetto di “imitazione” ha subito diverse interpretazioni: da riproduzione irriflessa della natura a rappresentazione del possibile e dell’universale, da imitazione di modelli antichi a composizione idealizzante di elementi scelti, sottolineandone di volta in volta le potenzialità veritative o illusorie.  In questo contesto, il concetto di imitazione della bella natura proposto da Batteux quale principio unificatore delle belle arti deve essere inteso come espressione di passioni e sentimenti da parte di un soggetto la cui attività è riconducibile a due facoltà correlate: il genio, inteso come capacità di creare plasmando le espressioni naturali e conoscendone le specificità linguistico-espressive, e il gusto, facoltà di giudicare i prodotti del genio. L’esercizio del gusto, “facilità di sentire il buono, il cattivo, il mediocre, e di distinguerli con certezza”, si fonda su basi naturali: si tratta infatti di un “sentimento” capace di cogliere quella “proporzione naturale” che vige tra la nostra anima e gli oggetti in cui si manifestano bellezza e bontà.  Inizialmente destinato a giudicare delle cose naturali in rapporto ai nostri piaceri e ai nostri bisogni, il gusto è poi diventato giudice di quel “secondo ordine di bisogni” che sono il diletto e il piacere suscitati dalle arti imitative. Così come il genio, esso è “una facoltà naturale che non può avere per soggetto legittimo che la natura stessa o ciò che le assomiglia”.
L’originalità del trattato di Batteux risiede, da un lato, nell’aver ordinato in un unico quadro teoricamente autonomo arti diverse quali musica, poesia, pittura, scultura e danza; e dall’altro, nell’aver individuato nell’espressione la funzione dell’arte in quanto capacità del soggetto di oggettivare in opere sentimenti e passioni, secondo i dettami naturali del gusto e del genio. 
Un’analoga concezione del potere espressivo dell’arte si ritrova in Denis Diderot (1713-1784), che nella Lettura sui sordomuti paragona i prodotti di arti come poesia, musica e pittura a “geroglifici” espressivi con cui il genio dà forma alla propria capacità sintetica di penetrare nella dimensione dinamica e organica della natura. In entrambi gli autori l’imitazione è dunque espressione e interpretazione, e non mera riproduzione del dato naturale.  L’obiettivo di Diderot – individuare i “geroglifici particolari” di “ogni arte d’imitazione” – sarà poi ripreso da Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) nel Laocconte (1766), dove si contesta apertamente il tentativo di Batteux di ricondurre tutte le belle arti a un solo principio.  Secondo Lessing, anziché sottolineare l’unità delle arti riconfermando così l’antica tesi dell’analogia tra pittura e poesia (l’oraziano ut pictura poesis), è necessario distinguere nettamente le diverse modalità espressive e i diversi oggetti a cui le arti si riferiscono. Nel caso della pittura e della poesia questa distinzione assume la forma di una vera e propria opposizione : come scrive Lessing, “oggetti che esistono l’uno accanto all’altro, o le cui parti esistono l’una accanto all’altra, si chiamano corpi.  Di conseguenza, sono i corpi, con le loro qualità visibili, i vari oggetti della pittura. Oggetti che si susseguono l’un l’altro, o le cui parti si susseguono, si chiamano in generale azioni.  Di conseguenza le azioni sono i veri oggetti della poesia”.  Al di sotto del comune riferimento al principio dell’espressione, si delinea così in Lessino una separazione tra arti spaziali e arti temporali, arti della simultaneità e arti della sequenzialità, che avrà una lunga risonanza nella successiva storia dell’estetica.






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