BAUMGARTEN E SHAFTESBURY



Baumgarten e Shaftesbury

 

 

Baumgarten (1714-1762) [Herder lo definì l’ Aristotele tedesco“] è il più illustre discepolo di C. Wolff, la sua importanza filosofica non risiede tanto nell’ aver proseguito l’ indirizzo della Scolastica tedesca, bensì nel porre in rilievo un ambito della ricerca – quello estetico – che solo a partire delle sue riflessioni godrà di uno statuto ontologico – autonomo, pur essendo una forma conoscitiva inferiore rispetto alla logica, é un prius necessario per la gnoseologia.

Nella prefazione ad un suo scritto, “ Le Meditazioni filosofiche su alcune cose che riguardano i poemi “ del 1735, Baumgarten dirà di essere stato spinto a scrivere tale testo per incarico dell’ università, “ trattare il rapporto tra filosofia e poesia “.

Un incarico – considerato per il suo oggetto di minor valore per la tradizione metafisica – ma che in realtà è visto dallo stesso Baumgarten come altamente complesso.

Nel primo punto della sua opera l’ autore tedesco vuole definire la natura del discorso ( oratione ), natura che viene esplicata tramite una breve definizione, per “oratione“ Baumgarten intende un insieme di parole che rimandano a rappresentazioni connesse, le rappresentazioni potranno essere o oscure [ a ] o confuse [ b ].

Nel formulare tale definizione, egli si rifà implicitamente ad Aristotele, alla prospettiva sostenuta dallo Stagirita – in uno scritto che compare per opera degli studiosi scolastici, interno all’ Organon “ – il “ De interpretazione “ [ Peri ermhneiaV ].

Possiamo notare questo riferimento in primis, grazie alla scelta dell’ Autore di rendere il termine “ parola “ non con “ verbum “ bensì con “ vos “, quest’ ultimo è la più diretta traduzione dell’ espressione greca.

Nello scritto aristotelico si diceva che i suoni della voce hanno affezioni sull’ anima, le parole sono simboli di tali affezioni; interessante risulta il processo di formazione gnoseologico – linguistico analizzato dallo Stagirita: l’ oggetto esterno imprime un’ affezione sull’ anima, lasciando un’ immagine che viene vocalizzata ( suono ) e scritta.

Le nostre parole – nota Aristotele – non sono uguali per tutti ( scritte o parlate ), dato che sussistono una poliedricità di lingue differenti – nello stesso tempo però l’ oggetto denotato sarà sempre lo stesso.

Chiudendo la parentesi aristotelica, un discorso sarà fondato sulla sensibilità, se al suo interno compariranno rappresentazioni sensitive “ connesse “, risulta importante sottolineare che tale discorso – viene definito dallo stesso Baumgarten – discorso poetico.

Le rappresentazioni poetiche risulteranno essere o chiare o oscure, termini ereditati criticamente dalla terminologia leibniziana, l’ autore della “ Monadologia”, in uno scritto del 1684 [ da notare come Leibniz sia un maestro indiretto per Baumgarten grazie a Wolff, sistematizzatore della filosofia leibniziana ed importante per aver suddiviso per la prima volta le varie branche filosofiche ] “ Riflessioni sulla conoscenza, la verità e le idee “ analizzerà dettagliatamente la “ cognitio “, in primis si divide in due grandi ramificazioni: quella “ chiara “ [ a ] e quella “ oscura “ [ b ], a sua volta la prima si articola in “ distinta “ [ a ] e “ confusa “ [ b ].

Soffermiamoci brevemente sulla “ cognitio distinta “ suddivisa in: inadeguata e adeguata, [  a ] simbolica, [ b ] intuitiva.

Nella conoscenza confusa gli elementi sono mescolati nell’ intero senza essere distinguibili; la conoscenza degli artisti è chiara e confusa, un pittore può dirci se un quadro è ben fatto, ma la sua spiegazione non sarà mai concettuale, egli dirà che manca “ un certo non so che “.

Capiamo che l’ uomo per Baumgarten, accetti la sua limitatezza, la sua finitudine ontologica; solo le rappresentazioni chiare e confuse sono poetiche a differenza di quelle chiare e distinte ( non sensibili ).

L’ estetica gode con Baumgarten di una sua autonomia, senza di essa non si darebbe la logica, lo stesso autore tedesco nota che già i Greci distinguevano tra ciò che è pensato ( intelletto ) e ciò che è percepito.

La scienza estetica è definita mediante poliedriche espressioni, “ teoria delle arti liberali “, “ gnoseologia inferiore “ ed “ arte del pensare in modo bello “.

La conoscenza chiara – distinta – inadeguata, tratta di definizioni nominali che vengono mescolate con rappresentazioni confuse, in quella chiara e distinta, l’ oggetto non può essere diviso ( numero 1 o atomo ); la chiara – distinta ed adeguata, elementi che possono essere spiegati a loro volta, la chiara distinta e simbolica, tratta di immagini approssimative.

L’ uomo per Schiller non deve presentare una scissione tra sensibilità ed intelletto, lo stesso Baumgarten pone in rilievo l’ estetica ( autonoma come disciplina ) come base per la conoscenza superiore.

Nell’ ultimo capitolo de “ La filosofia dell’ Illuminismo “ Baumgarten è colui che crea un nuovo prototipo antropologico, si contrappone a livello costitutivo a Shaftesbury.

Per quanto concerne la dimensione della gnoseologia inferiore, essa si sottrae al principio di ragione sufficiente, l’ analisi delle cause di una poesia sarebbe deleteria in ambito estetico; a questo proposito Cassirer scrive: “ Essa si occupa del fenomeno sensibile e gli si abbandona senza fare il tentativo di procedere da questo fenomeno alle sue “ cause “, cioè a una cosa del tutto diversa. Infatti questo progresso verso le cause non spiegherebbe il contenuto estetico, ma lo distruggerebbe “,

Per spiegare questa problematica Cassirer cita una poesia interna al “ Canzoniere di Lipsia “ di Goethe, prima di far ciò scrive: “ L’ osservazione di un oggetto al microscopio può rilevare al naturalista la sua composizione e con questa la sua vera qualità oggettiva; ma con ciò è perduta per sempre la sua impressione estetica “.

Baumgarten giunge ad una concezione antropologica tesa ad evidenziare la finitudine umana ed entro questi limiti donare dignità ed autonomia all’ estetica [ intesa come “ ars pulcre cogitandi “ ], proprio questa fu la ragione dell’ ammirazione di Herder verso “ l’immortale Baumgarten “.

Riportiamo un passo di Cassirer illuminante a riguardo: “ Non si tratta più, come nei grandi sistemi metafisici del secolo XVII, in Malebranche e Spinoza, di risolvere il finito nell’ infinito e di annientarlo, per così dire, con questo. Si esige invece che si affermi, anche di fronte a questa misura suprema, nella sua peculiarità, che mantenga la propria natura specifica riconoscendola per tale “.

La figura di Shaftesbury è originalissima, socialmente appartenente all’ aristocrazia inglese uscita dalla Rivoluzione del 1768, sul piano politico si fa portavoce d’idee liberali e della tolleranza religiosa.

In gioventù fu allievo di Locke ma non approdò ad una posizione empirista, molto del suo lessico deriva dal maestro, all’ interno del suo filosofare si assiste un tentativo di coniugare la riflessione di stampo metafisico ( Platonismo, Neoplatonismo, Aristotele, Seneca, Agostino ) con il nuovo paradigma empirista.

Il punto di partenza del pensiero di Shaftesbury, è il “ sentimento morale “; Agostino diviene una delle fonti principali del filosofo inglese la cui frase capitale – come nota Cassirer – è “ogni verità è bellezza “, dove per verità s’ intende l’ unità del mondo, un insieme organico di elementi in cui non appare divario tra la dimensione esteriore e quella interiore.

Cassirer nota acutamente come da un punto di vista squisitamente letterale “ all beauty is truth “ di Shaftesbury e “ Rien n’ est beau que le vrai “ di Boileau siano quasi identiche, ci sorge una domanda: Dove si situa la differenza?

Se Boileau da massimo esponente del classicismo vede nell’ arte una seconda manifestazione della natura, quindi la metodologia d’ approccio dell’ estetica sarà ricalcata dall’ insegnamento fisico – matematico seicentesco [ esigenza di perfezione formale, universalità, semplicità e possibilità di ricondurre la molteplicità ad assiomi primi ], la verità in questi termini risulta essere la normale e diretta conseguenza di una deduzione formale [ nell’ accezione logica ], Shaftesbury passando per la scuola plotiniana fa sua l’ idea di una bellezza intelligibile, dove la verità è armonica coesione interna alla totalità del reale.

La figura di Shaftesbury ( Londra 1671 - Napoli 1713) è fondamentale proprio perché si pone come snodo essenziale del crocevia del razionalismo estetico e dell’ empirismo estetico, il primo aveva fatto prevalere il problema oggettivo del bello [ in termini formali ] interessandosi all’ opera d’ arte, il secondo psicologizzando l’ estetica si interessò al soggetto fruitore del godimento estetico; si trattano di posizioni – che come nota Cassirer – presentano evidenti difficoltà.

La questione primaria del classicismo sorge dalla sua pretesa di cercare da un lato l’ astrazione e dall’ altro di condurre tale astrazione a – temporalizzando i principi assunti dalla sua stessa epoca [ Montesquieu prima e Madame de Staël poi mostreranno, con la “ teoria dei climi “ che ogni terreno sia in termini culturali che storici, produce un paradigma umano differente, il primo condurrà un’ analisi prettamente antropologico – politica, la seconda estetica tout – court ].

L’ empirismo estetico tende a porre il rilievo la dimensione soggettiva, Hume porta – parafrasando Cassirer – la ragione dinnanzi al tribunale del sentimento, mostrando come il punto di forza del classicismo sia in realtà un punto di estrema debolezza.

Burke in “ Ricerca filosofica sull’ origine delle nostre idee del sublime e del bello “ ( 1756 ) sotto un orientamento psicologico smaschera il deficit delle prospettive estetiche precedenti, notando acutamente come anche la “ non – forma “ rigettata dal classicismo abbia un suo valore, il disordinato, ciò che eccede le misure, farà parte di una nuova dimensione estetica, quella del sublime.

Non tenendo conto della proporzionalità e vedendo nella trascendenza della misura, il sublime diviene una sfera fondamentale della successiva ricerca.

Il sublime rompe le barriere del finito ed eleva l’ io, in questo modo il risultato degli studi di Burke vanno al di là dell’ orizzonte tracciato da Shaftesbury.

Con l’ introduzione del sublime sorge un’ altra distinzione tra il piacere estetico nato dal bello che conduce alla felicità e quello relativo al sublime, Burke scriverà: “ a sort of delight full of horror, a sort of tranquillity tinged with terror “.

Il bello esprime l’ esigenza di vivere all’ interno del macrocosmo sociale [ proprio in quanto armonia ed equilibrio ], il sublime denota il tentativo di mantenere l’ autonomia della propria natura.

Il classicismo tende a portare in ambito estetico la metodologia ereditata da Cartesio, il passaggio da Cartesio a Newton implica lo sviluppo di una concezione estetica differente.

Così come la deduzione non può esaurire la metodologia d’ analisi scientifica e serve l’ ausilio dell’ osservazione empirica dei singoli fatti, in ambito estetico si avverte il passaggio dalla concezione classicista – oggettivista di Boileau a quella di Bouhours contenuta nell’ opera del 1687 “ La manière de bien penser dans les ouvrages de l’ esprit “, come un processo di cangiamento della prospettiva estetica tradizionale.

Dalla “ natura rerum “ alla natura dell’ uomo, fa la sua comparsa in Bouhours [ mediante una distinzione di pascaliana memoria ] il principio di delicatezza, capace di cogliere le mille sfumature e le poliedriche connessioni della realtà.

Oltre all’ esattezza, c’è un principio di inesattezza tale da cercare anche ciò che si sottrae alle maglie stringenti del concetto andando al di là dell’ analiticità e della precisione.

Schiller contesterà la divisione rigida tra il piano dell’ interiorità e quello dell’ esteriorità come risultato della riflessione moderna, il cui apice è toccato con Kant, Humboldt vedrà nel superamento delle scissioni la salvezza per l’ umanità, infine Nietzsche nella prima “ Considerazione inattuale “ ironizzerà sul dissidio interno al popolo tedesco.

Possiamo scorgere un punto di contatto tra Shaftesbury e Baumgarten in Leibniz che fu influenzato dall’ opera del filosofo inglese, la “ Lettera sull’ entusiasmo “ nei suoi “ Saggi di teodicea “.

Nei “ Moralisti “ di Shaftesbury uno dei personaggi “ Teocle “ insisterà notevolmente sull’ idea di unità e di proporzione del mondo, dove l’ unità è un sinonimo di ordine ( il mondo è bello in quanto opera di Dio, ciò che assume un’ importanza fondamentale è appunto l’ intuizione del bello, come presenza divina nel reale).

Se ci soffermiamo brevemente sul linguaggio di Shaftesbury, notiamo come la sua terminologia sia di forte sapore lockeano, pensiamo alla parola idea, usata da Locke nel “ Saggio sull’ intelligenza umana “.

Kant in età giovanile sostenne una sorta di coincidenza tra la leggi di Dio e quelle della materia, dopo il terremoto di Lisbona rivide le sue tesi, per poi approdare nella “ Critica della ragion pura “ a vedere l’ ordine della natura non in essa, ma nel soggetto conoscente, nelle sue forme e categorie a – priori.

In Shaftesbury l’ astronomia, la matematica e la musica sono manifestazioni della struttura ordinata e bella del mondo, ogni cosa ha un suo fine ed una parte dell’ unità; riprendendo un’ immagine dell’ Enneadi di Plotino, paragonerà il mondo ad un edificio l’ ordine esterno rimanda a quell’ interno.

Alla base del pensiero di Shaftesbury, c’è un’ identità trinomica tra vero, bello e buono, il fine morale dell’ universo viene reso evidente mediante la bellezza, è un’ impostazione filosofica, panteistico etico – estetica.

Se l’ universo nella sua unità è bello ed ordinato, come si spiega il problema del male? L’ uomo ha introdotto con il peccato il male, per scorgere la bellezza e l’ ordine serve un piano superiore, è necessario assumere la prospettiva assoluta del Tutto; si comprende come l’ essere umano sia de – forme in correlazione all’ Intero, tesi questa già sostenuta da S. Paolo nella “ Lettera V “, e da S. Agostino e Leibniz: il male perde una sua autonomia ontologica per divenire il limite metafisico, morale e fisico delle creature.

Riguardo al bello scrive Cassirer: “ Per Shaftesbury il bello non è infatti né “ un’ idea innata “ nel senso cartesiano, né, in senso lockeano, un concetto derivato e desunto dall’ esperienza. È autonomo e originale, “ innato” e necessario nel senso che non è un semplice accidente, ma fa parte della sostanza dello spirito stesso e la esprime in modo assolutamente singolare “.

Nella “ Lettera sull’ entusiasmo “ del 1708, dove la fanatizzazione religiosa è la forma suprema dell’ entusiasmo, da un punto di vista storico gli Ugonotti giunti in Inghilterra assunsero un fanatismo dogmatico contro il quale l’ unica arma – come scrisse Shaftesbury al suo protettore – fu l’ ironia.

Se si crede in un Dio buono, perché tale Dio dovrebbe prendersela se noi indaghiamo la sua esistenza? La ragione non può fermarsi dinnanzi alla fede, Shaftesbury rivendica l’ importanza di poter interpretare l’ esistente in termini razionali, superando così ogni di fanatismo religioso, il problema di Dio non può essere accettato supinamente tramite la sola fede, nell’ eventualità mancasse la presenza divina il mondo non sarebbe né buono né cattivo.

Lo gnosticismo cristiano dice che nel mondo c’è il male, ma non è opera di Dio, ma di angeli decaduti, Gesù mandato da Dio ha solo un’ apparenza umana, ma è pienamente divino.

Jonas riprendendo lo gnosticismo insisterà sul male come prospettiva reale ed esistenziale, anche Pareyson s’ interesserà allo gnosticismo.

Da cosa deriva il fanatismo religioso? Shaftesbury risponderà dicendo che esso sorge dall’ assumere una posizione sproporzionata per la finitudine umana, c’è una similitudine con la capacità creativa dei poeti.

Nei “ Moralisti “, Teocle dirà che l’ opera della natura è frutto di un Genio, Filocle mostrerà come ogni vero amore sia un trasporto verso l’ entusiasmo, questo trascendere il finito è alla basi delle arti.

L’ artista è il secondo creatore ( artifex secundus come avrebbero detto i Medievali ) spiritualizza la natura, è un Genio; il buon gusto è la capacità di riconoscere il bello nell’ arte e nella natura.

La genialità artistica nonostante sia innata va sistematizzata con lo studio, la scienza e la dottrina ( riprendendo una posizione di Orazio ), si può essere quindi educati all’ entusiasmo.

Questa prospettiva è rigettata da Baumgarten, l’ arte è una “ fissazione “ del transeunto, le cose sono pensabili brutte o belle o viceversa.

In Shaftesbury la creazione dell’ artista in quanto geniale ed in sintonia con la natura, esprime il vero essere delle cose, nella loro “ essenzialità “ come dice Cassirer; nella creatività si realizza la sintesi uomo – Dio [ l’ intero universo è per Cassirer una creazione estetica continua ].

Nietzsche ne “ La nascita della tragedia “ paragona la creatività umana a quella divina, dalla morte di Dio, si riscopre una volontà di potenza come poli – ermeneutica ed atto creativo.

Schopenhauer analizzando la prima via di liberazione, mostrerà come l’ arte di sottragga a principio di ragion sufficiente [ Nihili est sine ratione ], prospettiva di matrice neoplatonica.

In Schelling l’ arte è quell’ attiva che supera il divario tra inconscio e conscio, tra soggetto ed oggetto, è intuizione dell’ Assoluto, l’ artista – secondo Schelling – è creatore immanente come l’ Assoluto stesso.

Shaftesbury propone un’ estetica della creazione, Baumgarten un’ estetica della percezione, dove diviene “ scienza della sensazione “ che giunge al fenomeno ma non alla sua causa.

Per Heidegger l’ estetica nasce con Platone ed Aristotele, la riflessione di Baumgarten è solo importante a livello terminologico.

L’ arte in Shaftesbury non é un’ attività imitatrice come in Platone ( pensiamo alla critica che Platone muove all’ interno della “ Repubblica “, l’ arte come imitazione di un’ imitazione ), seguendo la scia neoplatonica – agostiniana è [ Agostino nel “ Commento a S. Giovanni “, dirà che la vera vita è quella dell’ idea posta nella mente di Dio ] imitazione dell’ atto creativo [ Cassirer parla a proposito di divenire e non di divenuto ], il fluire delle forme dell’ archetipo è un modo per dare vita all’ idea stessa.

 

 

Note.

 

Il titolo risente dell’ interpretazione che Cassirer dà di Shaftesbury e Baumgarten, come fautori di due modelli antropologici opposti ma fondamentali per la cultura successiva.

 

 

 


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