ETICA ED ESTETICA IN SCHILLER |
“ Ora,
quest’ unità di universale e particolare, di libertà e necessità, di spirituale
e naturale, che Schiller concepì scientificamente come principio ed essenza
dell’ arte e che si sforzò incessantemente di chiamare a vita effettiva con l’
arte e l’ educazione estetica, quest’ unità dunque è stata resa poi, come idea
stessa, a principio della conoscenza e dell’ esistenza, e l’ idea è stata
riconosciuta come il solo vero e reale. ( … ) “, Hegel, “ Estetica “,
Introduzione all’ estetica. Concetto del bello artistico. Uno
dei problemi fondamentali della ricerca filosofica di Schiller, è l’
unita culturale ed antropologica dell’ uomo: Pareyson nota come la
produzione concettuale di Schiller sia precedente a quella letterale – teatrale
ed il bello divenga l’ unione del sensibile con il soprasensibile [ chiara
influenza di Shaftesbury ]. Nella
“ Filosofia della fisiologia “ del 1779, conduce un’ indagine metafisica sulla
conoscenza umana, distinguendo il sentimento dalla percezione ( sentimento come
modificazione interiore [ das Gefül ] e percezione come modificazione esterna [
Sinn ], questo binomio sarà presente anche nella “ Critica del giudizio di Kant
“ ) ; all’ interno del “ Saggio sul nesso della natura animale dell’ uomo con
quella spirituale “ del 1780, Schiller sostiene una teoria della sensibilità di
forte sapore materialista, facendo una bipartizione tra la “ connessione fisica
“ e la “ connessione filosofica “ ( lo spirito può esprimersi solo
attraverso il corpo ). Sempre
in questo scritto, Schiller critica sia lo stoicismo che l’ epicureismo, come
prospettive filosofiche che unidimensionalizzano una sfera dell’ essere umano a
discapito dell’ altra, lo stoicismo lo spirito a danno della materia, l’
epicureismo la materia contro lo spirito. Si
tratta quindi di concepire un’ antropologia tale che colga la reale unità
umana, dove il sensibile ed il soprasensibile si intrecciano, in una dialettica
di compenetrazione reciproca. I
piaceri e dispiaceri dello spirito si manifesteranno fisiologicamente, quelli
di carattere corporeo avranno degli effetti su quelli soprasensibili. Nelle
“ Lettere filosofiche “ [ opera è divisa in cinque parti ] del 1786, compaiono
tematiche d’ ispirazione neoplatoniche, agostiniane, ma in particolar modo si
avverte l’ influenza di Shaftesbury. Nella
prima parte intitolata “ Il mondo e l’ essere pensante “, la natura – è vista
da Schiller - non come un meccanismo alla maniera dei “ philosophes “, bensì è
il geroglifico di Dio e sua espressione [ si realizza un parallelismo tra la
Dio e l’ artista ]. Nella
parte chiamata “ L’ idea “ ( rispettivamente la seconda ) introdurrà quel che Heidegger
chiamerà identità metafisica “ vero [ conoscenza ] – bello [ estetica ] –
buono [ etica ]. La
perfezione dell’ universo è una meta esistenziale – conoscitiva [ coinvolge
anche il problema della felicità ] dell’ uomo; noi non possediamo a causa della
nostra stessa struttura ontologica – finita il concetto dell’ onnipotenza di
Dio. La
terza parte dell’ opera, “ L’ amore “ come dice lo stesso titolo tratta
dell’ amore come testimonianza dell’ unità dell’ universo, Schiller lo definirà
anche “ simpatia universale “ ed “ entusiasmo cosmico “, [ quest’ ultimo
termine di forte ascendenza shaftesburyana ]. L’
amore diviene un’ intelaiatura metafisico – ontologica che pone in correlazione
ogni espressione singola della finitudine e della particolarità dell’ universo,
contrapponendosi così all’ egoismo che erige il centro in se stesso e fa
naufragare la vita in una desolata solitudine: la massima manifestazione dell’
Amore è il sacrificio di sé, che pone il singolo nella totalità eterna in
correlazione armonica con tutte le particolarità. In il
“ Sacrificio di sé “ [ quarta parte dell’ opera ] Schiller espone una visione panteistica,
infine nell’ ultima parte “ Dio “ la natura è l’ auto – oggettivazione di Dio,
mediante la quale Dio si conosce. Nell’
ultima parte intitolata “ Dio “, Schiller dà una veste sistematica al suo
panteismo, che come abbiamo avuto modo di vedere poc’ anzi ha un forte sapore shaftesburyano. Novalis, sosterrà che l’ uomo è il “
punto inferiore “ mediante il quale Dio conosce se stesso; l’ ipotesi
monoteistica secondo Schelling ed Hegel è più antica del politeismo [
Monoteismo relativo – Politeismo – Monoteismo assoluto ], il panteismo di Goethe
ha un’ impostazione differente rispetto a quello di Schiller, è fondato sul “ Deus
sive natura “ di Spinoza. Schiller
e Goethe pur avendo un’ impostazione filosofica differente, rispondono
in maniera similare alla domanda sul perché Dio si scinda in mille
manifestazioni differenti. Goethe
risponde dicendo, che Dio si pluralizza nella finitudine per godere di sé, Schiller
nella poesia “ L’ amicizia “ dice: “ Era senza amici, il grande signore dei
mondi: sentì una mancanza e per ciò creò gli spiriti, che fossero felici
specchi della sua felicità. L’ essere supremo non trovò nulla che gli fosse
uguale: dal calice dell’ intero regno degli esseri sale spumeggiando verso di
lui la sua infinità“. Questi
versi saranno riadattati da Hegel a conclusione della “ Fenomenologia dello
spirito “, dove si dice che senza il percorso antagonistico – conflittuale
della coscienza mediante fasi di alienazione lo spirito assoluto si ridurrebbe
a “ inerte solitudine “. Hegel chiarirà ciò in un difficile
passo, dicendo che questo sapere assoluto dello spirito << è il suo insearsi
[ attuazione di sé, come identità atemporale di certezza e verità ] , nel quale
lo spirito abbandona il suo esserci [ le esperienze fenomenologiche ] e ne
consegna la figura alla memoria >>, giacché << la meta di quella
successione è la rivelazione del profondo, e questa rivelazione è il concetto
assoluto >>. L’
individuo in Goethe è un tramite della natura, mediante la quale quest’ ultima
prende coscienza di sé, la morte dei singoli esseri è una manifestazioni di
creatività e rinnovamento, solo nell’ alienazione del finito la divina infinità
diviene auto - cosciente . Schiller
non nutre un così forte interesse verso l’ unitotalità della Natura – come
avviene in Goethe -, mediante l’ Amore si crea una scala che conduce il singolo
ente particolare in una dimensione eterna e totale. Kant
nel “ De mundis “ del 1770 tiene una posizione che sarà oggetto di avversione -
critica da parte di Schiller, attuando una divisione tra la “ sensibilitas “[
può conoscere il fenomeno ] e la “ rationalitas “ [ può conoscere il noumeno a
differenza del Kant della prima Critica ] in una veste filo - trascendentale, quest’
opera presenta la riduzione della sensibilità a mera recettività. Schiller
durante il corso della sua attività filosofica dialogherà in continuazione con
il pensiero kantiano, e dirà di aver compreso il pensiero di Kant solo mediante
la “ Critica del giudizio “ ( che lesse nel 1791 ) una sorta – secondo le
parole di Schiller – di auto – correzione da parte dello stesso Kant. La
poesia diviene nel pensiero schilleriano la prima educatrice dell’ umanità, una
tesi questi anticipata genialmente da G. Vico nella “ Scienza nuova “. Schiller
nota in un suo componimento poetico [ 1789 ], come nonostante Dio abbia
cacciato l’ uomo dall’ Eden, la bellezza si sia fatta mortale, in quanto opera
degli artisti. La
natura prima dell’ opera degli artisti è selvaggia e disordinata, il loro operare
ha una funzione teologica, ponendosi come prosecuzione dell’ attività divina
mediante la piena fusione tra l’ intuizione sensibile e l’ intelletto. Nelle
“ Lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, Schiller definirà “
barbari “ i moderni che sacrificano l’ arte ponendola su un piano ineffettuale,
Otto riprendendo questa tesi schilleriana dirà che la conquista della
cultura si realizza con la “ passione bella “. L’
agire del poeta ha un significato etico – estetico [ una fondazione etico –
estetica si viene a creare mediante la libertà ], Dio ha donato alla natura
tali uomini, affinché essa abbandoni la sua oscurità. L’
amicizia è la forza coordinatrice dell’ universo fisico e spirituale, senza di
essa la vita non produrrebbe bellezza e realtà; si viene quindi a creare un’
opposizione tra l’ Amore, l’ amicizia e la gioia contro l’ egoismo, la
solitudine e la morte. L’
Amore [ che Schiller esalta come gioia e tripudio ] è un processo di infinitizzazione
della finitudine, di divinizzazione del mondo, l’ Assoluto solo in questo modo
ritorna in sé. Nel
1789 fa la sua comparsa l’ ultima “ Lettera filosofica “, che completa la
prospettiva di Giulio, le idee di Raffaele oltre che risentire dell’ influsso
kantiano, portano la riflessione su un piano più elevato rispetto a quello
precedente. La contemplazione
estetica [ bello e contemplabile risulta essere il fenomeno visto nella sua
libertà ] è l’ anticamera della creatività artistica, creatività che si pone in
linea continuativa con quella divina [ possiamo scorgere un’ analogia uomo –
Dio, dove il primo termine del binomio è come direbbero i medioevali un “ secundus
artifex “ ]; Schiller a questo punto compie una differenziazione tra la
creazione umana e divina, quest’ ultima – ossia la Natura – non è “ la pura
espressione di un ideale “, ed inoltre le parti del tutto non subisco la forza
coercitiva dell’ unità impostagli dall’ artista, come avviene invece nell’
opera di matrice umana. L’
anima che contempla la bellezza diventa essa stessa bella, partendo dalla
contemplazione si perviene alla creazione, quest’ ultima non riuscirà mai a
raggiungere l’ ideale. L’
importanza di una coesione coordinatrice tra la sensibilità e l’ intelletto è
resa manifesta poeticamente nei versi schilleriani contenuti in “ Gli artisti
“, qui si specifica che l’ arte ed il problema estetico sono unicamente di
dominio umano, se possiamo trovare l’ astuzia nel serpente, l’ industriosità
nelle api e la scienza negli spiriti superiori, ciò non possiamo farlo per la
contemplazione – creazione artistica. La
creazione interna all’ arte diviene l’ inveramento autentico della
contemplazione: l’ individuo in un primo momento coglierà e riprodurrà la
bellezza della natura per poi elevarsi mediante la pittura, la scultura, l’
architettura, la musica ed infine la poesia. L’
essere umano gettato nella caos di una sensibilità ferina, di una selva dove i
sentieri si manifestano come ciechi desideri, comincia ad aspirare alla virtù
ed alla verità solo quando fa il suo trionfale ingresso nell’ arte e nella
bellezza: “ Solo attraverso la porta d’ oriente penetrasti nel regno della
conoscenza. “ Si
comprende quindi come l’ arte e la bellezza ad essa correlata svolgano un ruolo
di mediazione e rappresentino nello stesso tempo la perfezione dell’ umanità,
una sorta di trait d’ union tra la fanciullezza della sensibilità e la maturità
dell’ intelletto. Gli
artisti hanno un ruolo di incivilimento per l’ umanità nella misura in cui
danno forma ed armonia a ciò che prima appariva avvolto dal caos e trasformano
l’ interesse in amore disinteressato. La poesia
ed il godimento estetico sono funzionali all’ elevazione spirituale da parte
dell’ individuo, nella poesia intesa come dimensione pedagogica in relazione
alla totalità armonica del soggetto umano, sono presenti allo stato aurorale le
varie religioni, filosofie e morali. L’
arte come prima ed ultima educatrice supera dialetticamente il desiderio ed il
dovere, trasformando il primo in amore e il dovere [ legge ] in spontaneità;
la bellezza armonizza l’ interiorità e l’ esteriorità mediante una moralità non
coercitiva, gli artisti come Dio con la natura sono capaci di unire la
necessità con la bellezza. L’
arte non è inferiore alla filosofia, quest’ ultima trova nell’ operare degli
artisti un valido ed importante appiglio, un pensiero filosofico alleato con la
poesia diverrà armonico e completo. Si è
detto in precedenza come la filosofia kantiana rappresenti per Schiller una
dimensione di sviluppo critico del suo pensiero, il confronto con l’ autore
delle tre opere critiche è funzionale sia in termini metodologici che
teoretici, si potrebbe dire hegelianamente che molte delle idee schilleriane
erano già presenti prima dell’ incontro con Kant, solo che con quest’ ultimo
assumono una vesta filosofica, un risveglio “ concettuale”. Due
saranno i cardini del discorso schilleriano: da un lato il sublime patetico
come essenza dell’ attività tragica e dall’ altro il bello come fondamento
oggettivo, come libertà nel fenomeno. In “
Sul fondamento del piacere prodotto dagli oggetti tragici “ sostiene che il
fine dell’ arte è il piacere, piacere che deve porsi in correlazione con la
questione della moralità, tale rapporto risulta decisivo per comprendere la
riflessione schilleriana. Schiller
realizza una divisione decisiva tra il piacere fisico – sensibile, ove l’ anima
è sottoposta al meccanismo naturale, ed il piacere spirituale – libero che
presenta una sensazione prodotta dalla rappresentazione. Maggiore
interesse riveste il piacere libero, suddiviso a sua volta in: “ morale “, in
quanto la rappresentazione del bene occupa la ragione, “ intellettuale “, se la
rappresentazione del vero e del perfetto occupa l’ intelletto ed infine “
estetico “, dove il bello, il commovente ed il sublime occupano l’
immaginazione. È
interessante notare come questa tripartizione sia funzionale alla divisione
delle varie arti, che saranno belle nella misura in cui porranno in
correlazione l’ intelletto con l’ immaginazione, ed emotive [ chiamate anche da
Schiller del “ sentimento “ o del “ cuore “ ] se si verrà a creare un rapporto
tra ragione ed immaginazione. Il “
sublime “ - scrive Schiller [ “ Del sublime “ ] – è tale in quanto c’è un’
interconnessione tra la natura sensibile per la quale siamo in uno stato di
dipendenza e la natura razionale che si pone come libertà. Kant nella terza critica sosteneva che : “Il bello della natura si riferisce alla forma
dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione. Il sublime invece può
riferirsi anche ad un oggetto informe, in quanto in esso, o per suo motivo, sia
rappresentata un'illimitatezza a cui si aggiunga il pensiero della sua
totalità. L'oggetto stesso può essere
rappresentato come sublime in duplice modo: sublime matematico e sublime
dinamico. Noi diciamo sublime matematico ciò che è assolutamente grande,
ciò che è grande al di là di ogni comparazione. Se poi la Natura deve essere
giudicata da noi dinamicamente sublime, deve essere rappresentata come tale da
provocare timore. Il piacere del sublime è diverso da
quello del bello; questo infatti produce direttamente un sentimento di esaltazione
della vita; quello invece è un piacere che ha solo un'origine indiretta,
giacché esso sorge dal sentimento di un momentaneo arresto delle energie
vitali, seguito da una più intensa loro esaltazione. Possiamo aggiungere alle formule
precedenti della definizione del sublime anche questa: Sublime è ciò di cui la
sola possibilità di esser pensato dimostra la presenza di una facoltà
dell'animo nostro che trascende ogni misura sensibile. Il sentimento del sublime nella
Natura è dunque rispetto per la nostra propria destinazione, che ci rende per
così dire intuibile la superiorità della determinazione razionale delle nostre
facoltà conoscitive anche sul massimo potere della sensibilità. La sublimità dunque non sta in
nessuna cosa della Natura, ma solo nell'animo nostro, in quanto noi possiamo
riconoscerci superiori alla Natura. “ Ritornando a Schiller egli
distingue due istinti, il primo è l’ istinto della rappresentazione
inteso come fonte di attività e conoscenza, il secondo è l’ istinto della
conservazione, finalizzato a conservare il nostro “ stato “ esistenziale. L’ autore dei “ Callia o sulla
bellezza “ quasi kantiana parla di un sublime teoretico dove entra in
gioco l’ istinto della rappresentazione [ la natura nullifica le nostre pretese
conoscitive, ma noi riusciamo a liberarci dal giogo della natura a livello
teoretico ], e di un sublime pratico quando la natura si presenta come
contrastante la continuazione della nostra esistenza, ma nello stesso tempo la
ragione pratica ci libera dalle condizioni fisiche. Nel sublime teoretico viene vinta la nostra immaginazione
ma non la ragione, in quello pratico la sconfitta sulla corporeità non si
estende alla volontà: un oggetto è teoreticamente sublime in quanto implica l’
idea dell’ infinito, come ad esempio un oceano in quiete, è sublime nell’
accezione pratica se implica l’ idea di un pericolo terribile, quale può essere
un oceano in tempesta. Il sublime genera un piacere misto, consiste in un
disaccordo [ immaginazione ed intelletto ] e in un accordo [ immaginazione e
ragione ], dove viene sacrificata la finalità sensibile a quella razionale. Un supremo piacere morale sarà accompagnato da lotta e
dolore, Schiller sostiene che l’ istinto della conservazione ha un più alto
valore rispetto a quello della rappresentazione, inoltre il sublime pratico
eleva la ragione più quanto lo faccia quello teoretico, in quanto il terribile
attanaglia maggiormente che l’ infinito. L’ oggetto deve essere realmente terribile tale da far
scaturire un’ inferiorità della nostra natura sensibile: l’ astuzia, la tecnica
e l’ abilità sono mezzi naturali che non portano verso una superiorità
soprasensibile, la natura dominata dalla tecnica produce un piacere logico –
intellettuale e non estetico [ il Nilo domato dagli argini ]. Il guardare sulla riva del mare la tempesta o contemplare
la morte sono casi in cui l’ oggetto si presenta come terribile salvaguardando
nella dimensione attuale l’ osservatore, possiamo dunque dire che una premessa
affinché si possa parlare di sublime sia la non attualità del pericolo della
realtà offerta dalla potenza naturale. Schiller dopo aver fatto numerose distinzioni mediante
una metodologia dialettica che garantisce nel binomio che viene man mano
analizzato ciò che dà maggiore dignità all’ uomo, giunge a fare una divisione
duale del sublime in: contemplativo e patetico. Nel pratico - contemplativo [ avviene il privilegiamento
della dimensione soggettiva contemplante ], la contemplazione istituisce non
solo la sublimità ma anche la temibilità dell’ oggetto, per quanto concerne il
sublime pratico patetico [ le condizioni del sublime sono oggettive ], l’
oggetto è in se stesso temibile e la contemplazione ne rileva la sublimità. Il sublime patetico ha meno estensione e meno sublimità
rispetto all’ altro, nel contemplativo la rappresentazione della minaccia e del
dolore sono liberi e volontari ed ha gioco forza l’ immaginazione, ciò si
differenzia per il sublime patetico dove un “ profondo silenzio “ necessita di
un notevole sforzo dell’ immaginazione, maggiore rispetto a quello precedente. Due sono le condizioni fondamentali del sublime patetico:
in primis una viva rappresentazione del dolore che eccita la pietà, ed in secundis
la rappresentazione della resistenza al dolore che desta la coscienza la morale. In “ Sul patetico “ [ 1793 ] Schiller afferma che il
patetico è la vera essenza del sublime, solo mediante la rappresentazione della
natura sofferente si raggiunge il sublime. Il patetico come sublime porta in sé una rappresentazione
del “ carico completo di dolore “ e la completa resistenza morale, Schiller
cita per esplicare questo concetto un passo di Winckelmann quando quest’
ultimo parla del Laoconte: “ la lotta fa il dolore e la resistenza ad esso “. Se l’ uomo si svincola dalla sensibilità e dalle sue
leggi si ha il sublime patetico di disposizione, se l’ individuo con il
suo spirito domina la sensibilità allora si ha il sublime patetico d’ azione:
la poesia riguarda sia il sublime patetico di disposizione [ intuizione ] che
d’ azione [ pensiero ], a differenza delle arti plastiche che riguardano solo
quello di disposizione. Il sublime patetico d’ azione si divide in relazione al
fatto che il dolore sia un movente o una forza, scelto o subito: l’ analisi di Schiller
è finalizzata a cogliere l’ essenza della tragedia che risiede nel patetico. La tragedia si fonda sulla rappresentazione della natura
sofferente e dalla rappresentazione dell’ indipendenza morale del dolore. Il sentimento della finalità morale è quello che
costituisce il fondamento dell’ emozione tragica, Schiller radicalizza l’
opposizione sensibilità – ragione, drammatizzando l’ aspetto morale di cui la
sua manifestazione estetica privilegiata è il sublime. Il sublime nelle analisi schilleriane è funzionale sia
alla tragedia che alla dimensione morale, l’ arte pur non avendo un fine morale
svolge un ruolo morale nella misura in cui evidenzia la libertà, che è un
cardine della moralità stessa. Nonostante l’ opposizione del giudizio morale con quello
estetico, Schiller analizza con grande attenzione le premesse già presenti in Kant
dove il sublime si connette implicitamente ad una superiorità morale [ questo
nel sublime dinamico ] sulla natura, andando al di là della dimensione
filosofica kantiana. In “ Callia
o la bellezza “ [ 1793 ] Schiller espone le sue idee in termini kantiani,
andando al di là dell’ orizzonte aperto da Kant: si tratta di un tentativo di
fondare a priori ed oggettivamente il bello, questione che il grande filosofo
tedesco non analizzò mai all’ interno della “ Critica del giudizio “, dove il
giudizio riflettente estetico, godeva sì di uno statuto soggettivo, ma nel
medesimo tempo aspirava all’ universalità. Ciò
che risulta interessante sottolineare è la grande sintesi operata da Schiller,
riguardo al problema del bello, nella storia della filosofia comparirebbero due
filoni principali a loro volta suddivisi: [ a
] soggettivo, suddiviso in sensistico [ Burke, dove il bello deriva dai
sensi ] e razionale [ Kant, e la prospettiva aperta nella terza opera critica
]; [ b ] oggettivo, composto unicamente
dal “ razionale “ [ Baumgarten e Meddelson ]. Perché Schiller,
colloca Baumgarten all’ interno del filone oggettivistico? La
risposta deriva dal fatto che secondo l’ autore dei “ Callia o sulla bellezza
“, Baumgarten ha privilegiato la dimensione logica; inoltre il discepolo di Burke
avrà ragione sul discepolo di Baumgarten quando pone il bello nell’
immediatezza In
quale posizione si annovera lo stesso Schiller? Egli sceglie una via di mezzo,
tra le due prospettive principali prospettate poc’ anzi, forgia un piano “
sensistico oggettivo “. Kant,
nella “ Critica del giudizio “ [ dove opera un’ interessante distinzione tra
senso e giudizio, scorgendo nel giudizio di gusto, “ un libero gioco di
fantasia ed intelletto “ ] parla del giudizio estetico come di un giudizio
disinteressato, che prescinde dalla realtà dell’ oggetto, Schiller nota
acutamente come l’ irrilevanza della realtà dell’ oggetto, tralasci il fine
dell’ oggetto che viene ad identificarsi con la perfezione. All’
interno della sua terza opera critica, Kant distingue la bellezza aderente [
che è in connessione con la finalità ] dalla bellezza libera [ non considera il
concetto dell’ oggetto, si tratta della musica senza testo o dei piumaggi
colorati di certi uccelli ]. In Schiller
avviene una correlazione tra la soggettività e l’ oggettività, la bellezza gode
di una dimensione ontologica. Nella
prima lettera ( “ Callia o sulla bellezza “ ), viene trattata la distinzione di
Kant tra bellezza libera ed aderente; Schiller nota come ogni cosa sia
costituita di “ materia e forma “, ogni oggetto è in sé perfetto, sol nell’
opposizione logica – estetica può risaltare la bellezza. La
perfezione è materia formata [ piano logico ], la bellezza sarà forma della
forma, quando Schiller parla di libertà la colloca – a differenza di Kant –
nell’ ambito fenomenico. La
perfezione ha una sua autonomia, il bello invece un’ eautonomia fondata [ auto
- determinato ed auto – determinante ]. La
visione schilleriana trova il suo fondamento nella fusione armonizzante tra
sensibilità ed intelletto, nella correlazione tra etica ed estetica. Quale
rapporto è presente in Kant, tra l’ etica e l’ estetica? Nel paragrafo 59 della
“ Critica del giudizio “ intitolato “ Della bellezza come simbolo della moralità
“, compie una divisione triadica tra gli [ a
] esempi intesi come concetti empirici, [ b ] schemi, quando si tratta dei concetti puri dell’
intelletto, ed infine dell’ ipotiposi [ g ], in quanto qualcosa di sensibile, “ è duplice; schematica, quando
l’ intuizione corrispondente ad un concetto dell’ intelletto è data a priori;
simbolica, quando ad un concetto che può essere pensato solo dalla ragione, e a
cui non può essere adeguata nessuna intuizione sensibile, viene sottoposta un’
intuizione, nei cui confronti il procedimento del Giudizio è soltanto analogo a
quello dello schematismo; vale a dire che si accorda con questo soltanto
secondo la regola del procedimento, non secondo l’ intuizione stessa, e quindi
soltanto secondo la forma della riflessione, non secondo il contenuto “. Kant
proseguendo nell’ analisi, nota come uno stato dispotico sia rappresentato da
un mulino a braccia, e tale analogia sta tra le regole mediante le quali
riflettiamo sulle due cose e sulla loro causalità. Proprio
seguendo questa premessa, la conoscenza che l’ uomo può avere di Dio, non
risulta essere schematica, bensì simbolica, chi pensa di comprendere Dio con il
suo intelletto infinito, si macchia di empietà, venendo a realizzare un’ antropologizzazione
divina. In tal
guisa il bello è simbolo della morale in quanto: [ a ] piace immediatamente, solo nell’ intuizione
riflettente, non, come la moralità, nel concetto, [ b ] piace senza alcun interesse ( nell’ ambito del
bene morale, l’ interesse scaturisce dal giudizio e non lo procede come nel
dominio estetico ), [ g ] la libertà dell’ immaginazione
è rappresentata nel giudizio del bello come in accordo con la legalità dell’
intelletto, [ d ] il principio soggettivo del
giudizio del bello è rappresentato come universale, cioè valevole per ognuno,
ma non conoscibile mediante alcun concetto universale. Alla
fine del paragrafo, verrà posto in rilievo il fatto, che molto spesso si
utilizza una terminologia morale per questioni di carattere estetico e
viceversa, Kant scriverà infine che: “ il gusto rende possibile così il passaggio,
senza un salto troppo brusco, dall’ attrattiva dei sensi all’ interesse morale
abituale, rappresentando l’ immaginazione anche nella sua libertà come capace
di essere determinata in modo di accordarsi con l’ intelletto, e insegnando a
trovare perfino negli oggetti dei sensi, anche senza attrazione sensibile, un
libero piacere “. Aristotele nella “ Poetica “ si
chiederà perché dinnanzi a certi oggetti rappresentati non proviamo orrore a
differenza delle sensazioni che scaturirebbero dall’ averli vicino? La risposta
risiede nel fatto che l’ oggetto rappresentato in quanto imitazione ha un
valore di apprendimento. Schiller
differenziandosi da Kant vuole cercare la libertà nel fenomeno, notando come se
collochiamo la libertà nella sfera dell’ ideale dobbiamo poi con un atto di
violenza introdurlo nel reale, Rousseau dirà infatti che con chi non
accetta la libertà l’ unica soluzione è imporgliela. La
libertà può essere rappresentata sensibilmente con l’ ausilio della tecnica che
ne diviene una condizione prima di rappresentazione, proprio in questo ambito Schiller
definisce la “ natura “ come intima necessità della forma “, ciò che si oppone
a tutto ciò che è estraneo alla cosa, la capacità di riportare vittoria sulla
forza di gravità è un segno di libertà [ Schiller vede nei volatili la massima
espressione della libertà negli animali, in quanto librandosi nel cielo
oltrepassano il limiti della materia che deve essere domata dalla forma e nello
stesso tempo la massa può diventare una nemica acerrima della forma e del
movimento ]. Una
forma che mostra una regola si dice conforme all’ arte ovvero alla tecnica, quest’
ultima è una condizione prima e necessaria alla nostra rappresentazione della
libertà, Pareyson in “ Etica ed estetica in Schiller “ scrive: “ Il fondamento oggettivo
della bellezza è l’ autonomia nella tecnica della natura e l’ eautonomia nella
struttura dell’ oggetto ( … ) “. Naturalezza e spontaneità intese come
qualità oggettive indipendenti dal giudizio estetico, sono le caratteristiche
fondamentali della bellezza. La
massa ed il peso riducono la spontaneità, proprio per questo non può definirsi
bello il pesante cavallo da tiro bensì il leggero ed agile palafreno spagnolo. La
spontaneità è il fondamento della bellezza nella natura come nell’ arte, un
oggetto è liberamente rappresentato se la natura di ciò che viene rappresentato
non ha subito la natura del rappresentante. Lo stile
– è per Schiller – la suprema indipendenza della rappresentazione rispetto a
tutte le determinazioni accidentali sia soggettive che oggettive, l’ artista
nell’ unire materia e forma deve agire come la natura. Affinché
si possa parlare di una vera opera d’arte [ come intende Schiller ] né la
rappresentazione soggettiva né la materia devono dominare la forma. Nella
poesia il vero poeta saprà liberarsi “ dalla catene del linguaggio “ [ Schiller
], in quanto quest’ ultimo tende al concetto universale, il poeta non deve
descrivere l’ oggetto all’ intelletto, ma “ dipingerlo nella sua individualità
all’ immaginazione “ [ Pareyson ]. Nel
regno estetico – sostiene Schiller – niente può e deve risultare come mezzo ma
sempre come fine, perché un vestito possa definirsi bello, bisogna che non ci
si accorga che serva a coprirsi. Risulta
quindi opportuno raggiungere un fondamento oggettivo alla libertà nel reale, Schiller
non farà altro che attuare un processo kantiano ( presente nell’ Estetica
trascendentale ) contro Kant stesso: l’ oggetto – libertà deve colpirci in modo
tale che noi possiamo elaborarne il concetto [ “ essere liberi come determinati
da se stessi “]. L’
oggetto che ci colpisce deve mostrare una forma tale da permettere una regola,
è indifferente che l’ intelletto conosca la regola. Ogni
determinazione può avvenire dall’ interno o dall’ esterno, l’ essere
determinato dall’ interno può essere esplicata dalla rappresentazione del non essere
determinati dall’ esterno, la libertà deve presentarsi come un determinato che
ci deve guidare al determinante. Notiamo
in primis, come non si possa prescindere dal sensibile, l’ ineffabile risulterà
coincidere con il niente ed infine l’ arte imiterà la natura dall’ interno. Nella
contemplazione estetica intesa come una rappresentazione svelatrice delle cose
nella loro libertà ed indipendenza, non si presenta né una volontà morale né
una forma conoscitiva, tale contemplazione mette in luce la libertà dell’
oggetto. Schiller
intenderà per bellezza l’ autodeterminazione di una cosa come si manifesta all’
intuizione, non l’ ausilio della ragione teoretico – speculativa, bensì l’
analogia della ragion pratica qualifica il giudizio di gusto. Kant
nella terza critica dirà che “ la natura è bella quando ha l’ apparenza dell’
arte e l’ arte è belle quando ha la spontaneità della natura “, questo asserto
kantiano serve a Schiller, per fondare oggettivamente il bello, in quanto l’
autore de “ Le lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, intravede in
ciò tre conseguenze di fondamentale importanza: in primis la naturalità della
cosa bella fa sì che sia determinata da sé, in secundis che tale cosa bella si
debba presentare come se fosse determinata da una regola, e come sintesi delle
precedenti, la tesi secondo la quale la cosa bella è tale in quanto determinata
da una regola che si è auto – determinata. Proprio
in questo modo si viene a creare una forte connessione tra la dimensione
estetica e quella etica, tanto che la spontaneità naturale diviene – come nota
acutamente Pareyson – una manifestazione sensibile della libertà
soprasensibile. Schiller
dona una veste realistica ed oggettiva alle premesse implicite nel discorso
kantiano che erano di natura prettamente critica, un passaggio fondamentale che
porta alle estreme conseguenze l’ ipotesi kantiana che il nostro giudizio
estetico abbia come principio una sorta di sostrato soprasensibile della natura
e dello spirito. Un
altro aspetto interessante è la dimensione etico – politica sottesa a questo
scritto, ciò a testimonianza del fatto che la riflessione schilleriana scorge
una correlazione fondamentale tra la dimensione etica e quella estetica, in quanto
senza la mediazione dell’ arte, non si potrà mai armonizzare il sensibile con
il soprasensibile; all’ interno dei “ Callia o sulla bellezza “, Schiller
intende mostrare come dal suo concetto di bellezza possano scaturire due leggi
per le belle relazioni, la prima afferma di aver riguardo per la libertà dell’
altro, la seconda dice di “ mostrare tu stesso la libertà “. Un’
azione può dirsi bella quando la moralità che prima appariva coercitiva e
soffocante per la sensibilità si manifesta come inclinazione, spontaneità e
naturalezza. Schiller
verso la fine dell’ opera elabora il concetto di “ belle relazioni sociali di
cui la danza inglese ne diviene emblema supremo dato che permette una
dialettica armonizzante tra il rispetto della libertà altrui e la salvaguardia
della propria libertà. Il
sublime come liberazione dal sensibile ed il bello come libertà nel sensibile
si riagganciano a profonde esigenze della filosofia schilleriana, coniugare
armonicamente bello e sublime per scorgere l’ ideale della perfezione umana. In “
Grazia e dignità “ ( 1793 ) Schiller dà una sistematizzazione delle intuizioni
estetico – filosofiche delle opere precedenti all’ insegna del progetto di
conciliare l’ essenza del tragico con il bello. Come
si è detto in precedenza, Schiller dialogherà criticamente con la riflessione
kantiana, trovando punti in comune ed nodi teoretici da rigettare, in “ Grazia
e dignità “, da un lato nella dottrina del sublime si soffermerà più sul
rispetto che sull’ ammirazione per la volontà libera e dall’ altro nella sfera
del bello ne evidenzierà maggiormente la simbolicità rispetto al bene, insieme
alla presenza della libertà nel mondo sensibile. In “
Sul patetico “ Schiller presenta il dovere kantiano come deprimente o esaltante
per il cuore, ponendo in rilievo l’ importanza della sensibilità, la teoria schilleriana
sarebbe – per lo stesso suo teorizzatore – una parte aggiuntiva dell’ impianto
speculativo kantiano, il dissenso sarebbe insito più nell’ esposizione di Kant
che verso le sue idee. Schiller
a proposito del maestro del criticismo dirà: “ Nella filosofia morale di Kant
l’ idea del dovere è rappresentata con una durezza tale, che tutte le
Grazie ne sono spaventate e che una mente debole potrebbe facilmente essere
tentata di cercare la perfezione morale sulla via d’ un’ ascetica tetra e caustrale
“ Nel “ Dracone
della Germania “ bisogna saper distinguere la dottrina dall’ esposizione, quest’
ultima era finalizzata a demolire il sensualismo ed il materialismo rozzo dell’
epoca in ambito pratico – morale: l’ assegnazione di una veste imperativa alla
morale non deve deprimere l’ uomo nella sua sensibilità, Schiller sostiene che
al dovere non è necessaria l’ opposizione con la sfera sensibile in quanto l’
ideale dell’ uomo si situa nell’ armonia tra sensibilità e ragione. Il
consenso della sensibilità non può essere un criterio per la valutazione morale
dell’ azione, ma nello stesso tempo per dare all’ individuo una forma di
autonomia è necessario salvaguardare i diritti della sensibilità senza “ il
pericolo di diventare lassista “ scrive Schiller. Nell’
opposizione coercitiva tra la legge morale e la sensibilità, si celerebbe una
sorta di depotenziamento da parte della prima proprio perché finché lo spirito
morale adopera violenza è “ segno che l’ impulso naturale è ancora in grado di
contrapporgli la sua forza “, in un essere autenticamente morale la sensibilità
è continuamente educata e la virtù è “ un’ inclinazione al dovere “. Il
superamento dell’ opposizione tra una ragione pratica che potenzialmente
istituirebbe una tirannide su una sensibilità pronta a ribellarsi ferocemente,
è per Schiller “ il marchio dell’ umanità compiuta e perfetta “. Ciò
che è interessante notare è come nella riflessione schilleriana la questione
morale sia compresa implicitamente nell’ educazione della sensibilità [ l’
ideale dell’ uomo è quindi “ estetico “ ], si tratta di un sentiero speculativo
agli antipodi di quello seguito da Fichte in “ La missione del dotto “. Kant dopo
aver sostenuto in “ La religione entro i limiti della sola ragione “ che “ la
morale, essendo fondata sul concetto di uomo come essere libero, il quale,
appunto perché tale, sottopone se stesso, mediante la propria ragione, a leggi
incondizionate, non ha bisogno né di un altro essere superiore all’uomo per
conoscere il proprio dovere, né di un altro movente oltre la stessa legge per
adempierlo. Tuttavia è colpa dell’uomo se lui si trova in questo stato di
bisogno “, dirà che la teoria di Schiller in realtà è sintonia con la sua, e
che non vi sarebbero punti di disaccordo, questo fece da un lato felice Schiller,
ma nello stesso tempo gli lasciò un senso di perplessità. In
realtà Kant non aveva colto o forse non aveva voluto cogliere come le teorie
esposte in “ Grazia e dignità “ di Schiller fossero opposte alle proprie, in
quanto il fine ultimo del giovane filosofo era il raggiungimento dell’ uomo
come totalità armonica e coesa, ciò possibile solo mediante l’ ottica estetica. Addentriamoci
meglio nel concetto di grazia e nell’ analisi che permette a Schiller di
pervenire a tale risultato: così come aveva fatto per definire l’ essenza del
tragico, procedendo mediante una metodologia dicotomica verso il fondamento
della sua attiva tragica, così procederà la definizione della “ grazia “. La
bellezza può essere fissa o mossa, nel primo caso è data
necessariamente con il suo soggetto ed è prodotta dalle forze plastiche della
natura secondo la legge della necessità, nel secondo caso scaturisce dallo
spirito umano posto in condizioni di libertà. La
bellezza fissa è definita da Schiller anche architettonica e di struttura,
si tratta di una bellezza relativa alla figura umana che si distingue dalla
perfezione tecnica che è interconnessa con il giudizio intellettuale e non
estetico [ quest’ ultimo mira alla forma sensibile della figura umana ]. Si può
parlare di bellezza mossa in quanto la persona si auto - determina, dove la
modificazione insita nell’ animo umano produce movimenti nella dimensione
sensibile. Il
movimento può essere volontario ed in questo caso è legato al sentimento
in accezione accidentale non potendo far scaturire la grazia, o involontario
nel caso in cui sia prodotto dall’ istinto [ anche in questo frangente non si
presenta la grazia ]. Si è
mostrato come sia i movimenti volontari che involontari siano unilaterali e
quindi impossibilitati a porsi come condizioni necessarie affinché si possa
parlare di grazia, ma in definitiva cosa intende Schiller quando ne parla? La
grazia è definita come la bellezza in movimento mossa dalla libertà, si può
riscontrare nella dialettica tra volontarietà ed involontarietà, in quei
movimenti involontari i “ quali tuttavia accompagnano la volontà e
corrispondono all’ atteggiamento dell’ anima “, essi sono denominati simpatetici
e concomitanti. I
movimenti simpatetici sono involontari ma non totalmente istintivi e fisici [
risonanza della vita morale dell’ anima ], servono ad accompagnare la
sensazione morale avendo luogo nella volontà della persona: sono simpatetici
nella misura in cui risultano concomitanti e concomitanti perché accompagnano
come sua risonanza esteriore e fisica il carattere più profondo dell’ anima. Se i
movimenti volontari sono successivi ad un atto di volontà quello simpatetico
risulta essere simultaneo, proprio in questa simultaneità si rivela il vero
carattere della persona; Schiller vede nei “ tratti mimici e parlarti “ l’
emblema della concomitanza e simpateticità dei movimenti umani: “ mentre una
persona parla, noi vediamo contemporaneamente i suoi sguardi, i suoi
lineamenti, le sue mani, spesso tutto il corpo che parla insieme e non di rado
la parte mimica della conversazione è giudicata la più eloquente ”. Mediante
i segni mimici e parlanti lo spirito fa del corpo espressione di sé, permette
l’ aurora della grazia che diviene l’ unica rivelatrice delle caratteristiche
personali del soggetto. La
figura umana è considerabile sotto tre punti di vista differenti: in primis
mediante la perfezione tecnica [ giudizio intellettuale ], in secundis
attraverso la bellezza architettonica [ giudizio estetico ] ed infine in
funzione della grazia [ giudizio etico – estetico ]. È
interessante notare come la “ grazia “ rappresenti per Schiller la suprema
dialettica tra etica ed estetica, che s’ intrecciano indissolubilmente insieme
proprio perché la questione estetica sorge come fonte ideale di conciliazione
ed armonia nell’ individuo che non può essere considerato ad “ un’ unica
dimensione “. Solo
nella grazia lo spirito agisce come natura e la natura come spirito, il
soprasensibile si armonizza con il sensibile, la ragione con la sensibilità, la
dimensione della grazia – è paragonata da Schiller – ad un “ governo liberale “
dove la libertà del suddito non si oppone a quella del sovrano e viceversa. L’
armonia sorta dalla grazia si pone come superamento di due possibili situazioni
che Schiller contesta radicalmente, o l’ imposizione della moralità sulla
sensibilità mediante un atto di imposizione e costrizione, in questo caso Schiller
parlerebbe di “ barbarie “ [ da tenere presente come la critica al dogmatismo
della ragione sia in termini morali e gnoseologici, dato che il dialogo con Kant
è su più fronti ], o la subordinazione del razionale alla ribellione del
sensibile, l’ instaurazione quindi del dominio del “ selvaggio “. L’
anima bella [ che differisce sia dal buon cuore che dalla virtù di
temperamento, per aver raggiunto una spontaneità intima e durevole ] è tale
perché presenta una conciliazione tra sensibilità e razionalità, la grazia
diviene manifestazione di questa armonia, ella sarà morale nella sua interezza,
il suo unico merito consiste nell’ esistere. Schiller
era pienamente conscio dell’ irrealizzabilità dell’ anima bella, che rimane un
ideale in quanto nella realtà concreta molto facilmente possono sorgere accesi
dissidi tra la sensibilità e la razionalità, quest’ opposizione si discute in
relazione alla volontà. In
precedenza abbiamo definito il concetto di “ grazia “, termine questo correlato
alla “ dignità “ che diviene nella riflessione schilleriana l’ espressione
della libertà dello spirito nel sensibile, la dominazione della facoltà
superiore su quella inferiore è data dalla calma nel dolore, se ne deduce che
il sublime sarà la manifestazione più evidente di tale dignità. La
dignità che si avvicina alla grazia è nobiltà, quella che rasenta il timore è
elevatezza, grazia e dignità non si escludono, ma possono trovarsi nello stesso
soggetto, nella dialettica della virtù accompagnata dalla grazia dove quest’
ultima risolve in sé la dignità si manifesta il vero ideale dell’ umanità: “ Nella dignità... Lo spirito si
comporta da padrone del corpo, perché qui esso deve affermare la sua autonomia
contro l'imperioso istinto, che procede ad azioni senza di lui e vorrebbe
sottrarsi al suo giogo. Nella grazia invece governa con liberalità, perché qui
è lui che mette in azione la natura e non trova alcuna resistenza da vincere...
La grazia sta dunque nella libertà dei moti volontari; la dignità nel dominio
di quelli involontari. La grazia lascia una parvenza di spontaneità alla
natura, là dove questa adempie gli ordini dello spirito; la dignità invece la
sottomette allo spirito, là dove essa vorrebbe regnare. Nella dignità... ci è
presentato un esempio della subordinazione dell'elemento sensibile a quello
morale... Nella grazia, invece la ragione vede la propria esigenza soddisfatta
nella sensibilità. [...] Avendo dignità e grazia campi diversi per la loro
manifestazione, non si escludono vicendevolmente nella medesima persona;
...anzi soltanto dalla grazia la dignità riceve la sua convalidazione, e
soltanto dalla dignità la grazia riceve il suo valore. “ [ Grazia e dignità ] Riguardo
al rapporto che intercorre tra il bello ed il sublime, ed alla loro funzione in
termini esistenziali, riportiamo alcuni versi della poesia “ Die Führer des Lebens
“: Due
geni, nell’ aspro cammino del viver, ti tengon per mano: Felice
te, se al fianco entrambi congiunti ti stanno! Radioso
e sereno, scherzando, l’ un d’ essi t’ abbrevia il tragitto: Lieve
la doppia soma ti rende: destino e dovere. Con
lui motteggiando, lo segui sull’ orlo del baratro, dove Rabbrividendo
l’ uomo il mar dell’ eterno contempla. Silenzioso
e grave, con forte braccio t’ accoglie Quivi
e trascorre l’ altro qual gigante sui flutti. Non
affidarti a un solo! Al primo la tua dignità Non
consegnare, né all’ altro la tua felicità. Il
bello, amabile e piacevole attenua la durezza dei ceppi della necessità
svelando la libertà nella sfera del sensibile, il sublime invece ci conduce nel
regno degli spiriti portandoci oltre il mondo sensibile. Pareyson
nota come “ la garanzia dell’ anima bella è propriamente il sublime “, in
quanto in presenza dell’ urgenza della passione e del dolore, è capace di far
prevalere la spiritualità. L’
educazione estetica autentica è quella che coordina il bello ed il sublime in
una piena armonia, tale da garantire il superamento dell’ uomo frammentario. Abbiamo
brevemente analizzato “ Grazia e dignità “ del 1793 in relazione alle
problematiche del pensiero schilleriano, ora si tratta di seguire i sentieri schilleriani
tracciati ne “ Le lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “ del 1795. Nella prima
lettera, Schiller rivolgendosi al suo protettore dirà di volergli esporre i
risultati delle sue ricerche, sul bello e sull’ arte ( in realtà vi sarà la
trattazione di ulteriori tematiche ); e si scusa [ notiamo l’ accesa critica a Kant
] se esporrà idee note, dicendo inoltre che le idee della ragione pratica di Kant
non sono proprio accettate dai filosofi e se spogliate dai loro tecnicismo
rinviano alla ragione comune. Il
difetto della posizione kantiana, risiede per Schiller nell’ aver privilegiato
l’ intelletto sul sentimento, ciò che a quest’ ultimo si mostra unito, la
facoltà dei sillogismi deve smembrarlo, proprio perché i filosofi trovano la
sintesi solo nell’ analisi. Pensando
però la bellezza come sintesi di elementi filtrati attraverso l’ analisi, abbiamo
perso la bellezza stessa con la conseguenza che l’ approccio etico risulterà
identico a quello estetico. La
verità per essere tale deve proporsi evidente e manifesta sia all’ intelletto
che al sentimento, solo così potrà essere autentica. È
interessante notare come il titolo del testo di Marcuse “ Eros e civiltà
“ rappresenti il binomio schilleriano ( letto in chiave psicoanalitica come
volontà di soddisfazione v.s. logica del dominio ) sensibilità - intelletto La seconda
lettera, è estremamente importante in quanto Schiller solleva alcune
problematiche di carattere sociale – politico e di tipo più squisitamente
filosofico, si chiede ironicamente il perché del porre in rilievo la questione
estetica, quando in realtà i tempi presenti reclamerebbero una maggiore
attenzione sulla libertà e sulla politica. Lo
Stato sorto dalla Rivoluzione francese, è il tipico stato borghese – nota Schiller
– e presenta una serie di caratteristiche paradigmatiche: in primis avviene un
restringimento dell’ azione dell’ arte a causa del continuo sviluppo tecnico –
scientifico, Schiller sostiene che l’ utile subentra all’ arte nel chiassoso
mercato del secolo, e in secundis la filosofia kantiana si pone come
trasposizione idealistico – concettuale dell’ esigenze pratico – sociali sorte
dall’ evento di fine secolo. La
libertà nel fenomeno permette di non cadere nelle barbarie moderne e di evitare
la sfrenatezza selvaggia, educare esteticamente significa frenare l’ arbitrio
della natura animale non spegnendo la libertà; lo stato borghese è una
dimensione artificiosa dove l’ uomo diventa frammento e la radicalizzazione
dell’ intelletto tabellare porta ad un’ etica materialistica fondata sull’
utile. L’
arte essendo figlia della libertà deve elevarsi dalle necessità e dai bisogni
pragmatici della convivenza civile [ posizione questa condivida da Goethe ];
un’ arte assoggetta alla politica sarebbe un mero evento mercantile [ Lukács
vedrà nell’ ottica schilleriana un sorta di giustificazione del dominio
borghese, nonostante ciò è bene tener presente che lo stesso Schiller sferrerà
darsi velenosi contro quel tipo di società, tenendo un atteggiamento in certi
punti notevolmente critico, ma non di stampo tout court marxista ]. Adorno ne “ La dialettica negativa “ riguardo alla
ragione ed alla cultura borghese si esprimerà dicendo: “ Dal punto di vista
della filosofia della storia i sistemi, specialmente quelli dei Seicento,
avevano una funzione compensatoria. La stessa ratio, che aveva
distrutto, in concordanza con l’interesse della classe borghese, l’ordine
feudale e la corrispondente forma della riflessione, l’ontologia scolastica,
ebbe subito paura del caos di fronte alle macerie, sua opera. Essa trema di
fronte a ciò che continua ad esistere minacciosamente al di sotto del suo
ambito di dominio, rafforzandosi proporzionalmente al suo potere. Tale timore
caratterizzò ai suoi inizi quel comportamento – costitutivo nel complesso per
il pensiero borghese – mirante a neutralizzare frettolosamente ogni passo in
direzione dell’emancipazione, confermando l’ordine. All’ombra
dell’incompletezza della propria emancipazione la coscienza borghese deve
temere di venir annullata da una piú avanzata; sente di non essere tutta la libertà
e quindi di riprodurne solo l’immagine deformata; perciò dilata teoricamente la
propria autonomia a un sistema, che contemporaneamente assomiglia ai suoi
meccanismi coatti. La ratio borghese si propose di produrre dal suo
interno l’ordine che aveva negato all’esterno. Ma quello in quanto prodotto non
è piú un ordine, e quindi è insaziabile. Un tale ordine prodotto in modo
insensato - razionale fu appunto il sistema: qualcosa di posto, che si presenta
come un essere in sé. Esso doveva spostare la sua origine nel pensiero formale
scisso dal suo contenuto; non altrimenti poteva esercitare il proprio dominio
sul materiale. Il sistema filosofico fu fin dall’inizio antinomico. In esso
l’approccio si fondeva con la propria impossibilità; agli inizi dei sistemi
moderni essa ha appunto condannato l’uno alla distruzione ad opera dei
successivo. La ratio per affermarsi come sistema che estingueva
virtualmente tutte le determinazioni qualitative, cui si riferiva, finí in
inconciliabile contrasto con l’oggettività, cui faceva violenza, pretendendo di
afferrarla. Se ne allontanò tanto piú, quanto piú completamente essa
l’assoggettò ai suoi assiomi, infine a quello solo dell’identità. Le pedanterie
di tutti i sistemi, fino alle complicazioni architettoniche di Kant e, malgrado
il suo programma, perfino di Hegel, sono segni di un insuccesso determinato a
priori, documentato con incomparabile sincerità nelle fratture del sistema
kantiano; già in Molière la pedanteria è un elemento centrale dell’ontologia
dello spirito borghese. Ciò che nell’elemento da comprendere si ritira di
fronte all’identità del concetto, costringe quest’ultimo a una esasperata messa
in scena perché assolutamente non ci siano dubbi sull’inattaccabile
completezza, compattezza ed acribia del prodotto del pensiero. La grande
filosofia fu accompagnata da uno zelo paranoico di non tollerare nient’altro
che se stessa, e perseguirlo con ogni inganno della propria ragione, mentre
quello si ritira sempre piú di fronte alla persecuzione. Il minimo resto di
non-identità basterebbe a smentire l’identità, totale secondo il suo concetto.
La proliferazione dei sistemi dalla ghiandola pituitaria di Descartes e dagli
assiomi e definizioni di Spinoza in poi, in cui è stato pompato già tutto il
razionalismo, che poi ne viene ritirato fuori deduttivamente, annuncia con la
sua non-verità quella dei sistemi stessi, ciò che hanno di folle.” Occuparsi
del problema estetico, significa quindi per Schiller analizzare sotto una
prospettiva chiarificatrice la questione della libertà: soltanto la libertà
dell’ uomo nella sua interezza [ fusione di intelletto e sentimento ] permette
la trattazione della libertà come cittadino. Esclusivamente
attraverso la bellezza si perviene alla libertà, la libertà auspicata dalla
Rivoluzione francese è del cittadino, ma non dell’ uomo. Nella terza
lettera Schiller deve spiegare la natura dello Stato. L’
uomo è l’ unico essere che nonostante possa subire l’ impasse della natura con
le sue costrizioni, può risalire alle cause del suo comportamento dandosi una
spiegazione: l’ accettazione consapevole della necessità fisica porta alla sua
elevazione sul piano morale, da questo processo sorge lo Stato. In
questo modo Schiller sposta la sua riflessione su una problematica ampiamente
trattata da Rousseau: lo Stato di natura. Il
filosofo tedesco noterà come non sia mai esistito un fantomatico stato di
natura, non ci sarà mai nessuna esperienza diretta, noi ci riappropriamo della
nostra fanciullezza per via artificiale quando siamo ormai adulti. K.
Marx, mostrerà
come non sia mai esisto un “uomo naturale “, un primo cacciatore, noi
spieghiamo la scimmia sulla base della costituzione umana. Dentro
di noi – sostiene Schiller – c’è un “ uomo fisico “ legato alle sensazioni, l’
uomo morale è solo problematico se diviso da quello fisico ( reale ), in questo
modo la stessa Rivoluzione francese “ toglie la scala della natura dall’ uomo “
e quindi preannuncia e giustifica la ferocia insita nell’ accadimento storico. Il
dover – essere morale di Kant mette a repentaglio la reale fisicità dell’ uomo,
si tratta di una morale anti – estetica perché non tiene conto della
sensibilità Giungiamo
alla quarta lettera, notevolmente complessa sul piano concettuale per le
varie problematiche trattate, l’ incipit di tale lettera si situa nella domanda
che lo stesso Schiller si pone: nello stato morale ( stile Kant ) la libertà
della volontà essendo una semplice causa, non può ridursi ad una connessione di
“ necessità – continuità “? In caso di risposta affermativa, nota amaramente Schiller
si realizzerebbe una sorta di stato – macchina, “ un état machine “. Risulta
necessario distinguere il dovere [ Pflicht ] dall’ inclinazione
[ Neinung ], in Kant il dovere forza l’ inclinazione, invece
dovrebbe esserci un’ armonia tra i due piani affinché si possa parlare
realmente di libertà autentica. L’
educazione estetica è l’ unica in grado di conciliare il dovere con l’
inclinazione; premessa la differenza tra l’ uomo individuale ( colui che vive
della varietà ) e l’ uomo ideale ( vive nell’ unità ), quest’ ultimo è il primo
gradino per la costituzione dello Stato, Stato che non deve recidere il legame
con la dimensione naturale. Capiamo
dunque perché lo Stato sorto dalla Rivoluzione francese, sia unilaterale e
proprio in questo senso predisposto alla più totale nichilizzazione del valore
umano, non può avvenire la fondazione di uno Stato su basi puramente astratte
che non tengano conto della particolarità dei singoli individui [ la società
borghese è anti – estetica e rozza ] Sotto
questa prospettiva, Schiller diviene l’ emblema del “ rivoluzionario
nazionalista “, lettura questa peraltro condivisa da vari autori, seppur in
guise diverse. Dostoevskij, in “ Delitto e castigo “
presenta un personaggio che ricalca le problematiche trattate da Schiller, si
tratta dello studente che uccide l’ usuraia. In “ Padre
e figli “ [ Turgenev ], Bazarov dinnanzi all’ illuminista che gli farà notare
l’ importanza di Schiller, risponderà che la poesia non ha alcuna validità
dinnanzi all’ avanzare demistificante della scienza. Hegel
in uno scritto del 1797 intitolato “ Il più antico progetto sistematico dell’
idealismo tedesco “, parlerà della volontà di donare le “ ali alla fisica “, l’
ideale dell’ umanità è in piena contrapposizione con lo Stato [ interpretazione
radicale di Schiller ], non può neanche esistere l’ idea dello Stato, in quanto
ogni idea è simbolo di libertà è lo Stato è la sua antitesi [ Hegel si
riferisce a quello sorto dalla Rivoluzione francese ]. Si
tratta di distruggere lo Stato appena se ne abbia l’ opportunità, il mondo
ideale [ qui Hegel si differenzia da Schiller ] è la condizione prima per la
realizzazione di tale progetto. Gli
spiriti liberi non devono cercare nessun Dio e nessuna immortalità al di fuori
di se stessi, occorre un monoteismo della ragione ed un politeismo della
fantasia e dell’ immaginazione, la ragione deve rendersi sensibile mediante una
sua mitologia, ogni idea priva di valore estetico sarà da rigettare, in quanto
la poesia ha un alto valore pedagogico. Schlegel nel “ Dialogo sulla poesia “
riprende l’ idea di una poesia educatrice dell’ umanità, mostrando infine come
la mitologia debba diventare filosofia. In Schiller
la prospettiva dello Stato non viene cancellata, la natura è plasmata
armonicamente, l’ artigiano meccanico quando dà forma alla materia compie un
atto di violenza senza nessuna attenzione ( la tecnica è impostata dall’
esterno sulla materia ); l’ artista usa la violenza ma evita di mostrarla ( Kant
nella “ Critica del giudizio “ dice che il genio fa sembrare la regola una cosa
naturale. L’
artista par excellence é quello pedagogico – politico che deve lavorare con la
materia umana, e far in modo – da notare il forte sapore kantiano teleologico
dell’ argomentazione schilleriana – che parti si coordino con il tutto,
rispettando le diverse caratteristiche e la personalità umana. L’
uomo colto si fa amica la natura e ne rispetta la libertà, semplicemente
frenandone l’ arbitrio: la morale kantiana e quella materialistica sono unidimensionali. Occorre
coordinare l’ interiorità con l’ esteriorità, l’ individualità armonicamente
con l’ universale. Il
vero Stato sarà vissuto interiormente dai singoli individui e non può ridursi
ad una società, bensì dovrà divenire una comunità dove si realizza in pieno l’
armonica fusione tra interiorità ed esteriorità. Sia Humboldt
che Nietzsche criticheranno la scissione come processo caratterizzante
della modernità, l’ autore delle “ Considerazioni inattuali “ vede nell’
individuo, l’ unità e la non scissione. Al di
là del velo di utopismo che circonda l’ opera schilleriana, di cui lo stesso
autore è consapevole, si tratta di porre in rilievo una distinzione di
fondamentale importanza, tra il “ barbaro “ ed il “ selvaggio “, termini
questi che denotano concetti differenti all’ interno della prospettiva del
pensatore tedesco. Per
barbaro – Schiller intende – colui nel quale i principi distruggono i
sentimenti [ Nietzsche lancerà i suoi dardi velenosi contro i barbari, come
coloro che hanno cancellato la dimensione naturale ], per selvaggio invece si
intende un individuo dove dominano i sentimenti sui principi; è importante
notare come da un lato non via nessun riferimento a qualche popolazione, e
dall’ altro si stia prendendo in considerazione sotto l’ occhio vigile della
critica la situazione sociale e politica degli anni della Rivoluzione. I
principi servono a frenare i sentimenti, lo Stato della libertà è l’ evoluzione
dello Stato dei bisogni, infine la Rivoluzione francese assumendo un moralismo
coercitivo dinnanzi alla natura è destinata a subire la più cocente sconfitta
da parte di quest’ ultima mediante l’ ascesa di una società materialistica. È un
effetto della civiltà la situazione di cui parla Schiller, la cultura consiste
nell’ allontanarsi dalla natura, capiamo quindi che l’ utopia schilleriana lo
sia nell’ accezione di E. Bloch che distingue tra “ utopico “ [ ciò che
nega l’ esistente ] e “ utopistico “ [ ciò che nega l’ esistente, ma tende a
realizzare un modello ]. Schiller
noterà come la grecità ci superò per la sua semplicità, Winckelmann dirà che la
grecità è irripetibile, si tratta di un vero e proprio miracolo greco. Nella
natura greca avviene una fusione tra la giovinezza della fantasia e la virilità
della ragione, il fascino dell’ arte si sposa con la dignità della sapienza: la
modernità è il passaggio da una dimensione organica ad una meccanica, mediante
la divisione delle scienze e delle classi. La
separazione tra filosofia e poesia, intelletto e sensibilità fa scaturire la
perdita dell’ intelletto intuitivo che si contrappone a quello speculativo: la
frammentazione dell’ uomo è il viatico privilegiato per il progresso. Nella quinta
lettera Schiller si sofferma sulle caratteristiche della civiltà greca,dove
non esisteva una linea di demarcazione tra la sensibilità e l’ intelletto, l’
uomo greco viveva un’ esistenza proiettiva e l’ intera umanità aveva in sé ogni
Dio [ questa prospettiva sarà ripresa da Hegel nelle “ Lezioni sulla filosofia
della religione “ e nell’ “ Estetica “ ]. Quale
uomo del nostro tempo – si chiede Schiller – avrebbe l’ ardire di paragonarsi
ad un ateniese del III secolo a. C. ? La
divisione delle classi e delle occupazione sorta dalla scienza porta ad una
scissione che caratterizza l’ epoca moderna ci ha allontanato dalla natura. La
scissione della scienza porta alla separazione tra l’ intelletto intuitivo e
quello speculativo, venendosi a creare una sorta di “ Stato macchina “; Schiller
giocando etimologicamente parla della polis greca come di “ polipo “, in
questo modo si pone in piena connessione con Teognide, quando dice che
la polis è tale proprio perché sa adattarsi ad ogni situazione. Nello
Stato borghese avviene la distinzione tra le leggi ( Stato ) ed il costume (
Chiesa, intesa come simbolo della morale ), risulta importante notare come sia una
semplice constatazione quella di Schiller. Novalis, nello scritto del 1799 “ La
cristianità o Europa “ sosterrà una posizione reazionaria criticando aspramente
la Rivoluzione francese, e ricordando i tempi in cui risplendeva lo spirito
cristiano [ Novalis è un pensatore di stampo pietista, il pietismo vede nel
cuore dell’ uomo la sacralità di Dio, la sua espressione più alta in musica è
Wagner ]. Novalis
si fa emblema di una concezione storica di tipo tipologico – ottimistico, negli
accadimenti del passato avviene la prefigurazione aurorale di ciò che avverrà
in futuro, la religione si pone come fonte di pace a livello europeo. Dai
tempi idilliaci in cui versava l’ umanità governata dall’ amore e la
beatitudine cristiana, si giunge alla Riforma luterana che manda in rovina la
Chiesa romana e costruisce una Chiesa di Stato, controllata dal potere
temporale. Il
radicalismo di Novalis lo porta a difendere la Chiesa romana, nonostante la sua
cultura di forte sapore luterano; ciò che preme sottolineare è come all’
interno di tale opera avvenga una critica alla scienza che desacralizza ed un
forte difesa della fede, lo stesso Novalis scriverà riferendosi alla dimensione
cristiana iniziale: “ Con ragione il saggio capo supremo della Chiesa si oppose
agli sviluppi audaci delle disposizioni naturali dell’ uomo che mettevano in
pericolo il senso religioso e alle altre scoperte dannose e inopportune nel
campo del sapere. “ Lutero – scrive Novalis – è colui che
traducendo la Bibbia in tedesco, pone la sua sacralità in mano ad una scienza
terrena, la filologia: si viene a realizzare un processo dove la religione
diventa politica e dalla filologia sorge la filosofia: “ Nel frattempo,
alla base del Protestantesimo non era rimasto solo quel puro concetto, Lutero,
anzi, trattò il Cristianesimo in modo del tutto arbitrario, ne fraintese lo
spirito e introdusse un altra lettera e un’ altra religione, cioè la sacra
validità universale della Bibbia, mescolando così purtroppo nelle questioni
religiose un’ altra disciplina terrena completamente estranea – la filologia –
in cui influsso logorante da quel momento in poi risultava evidente ( … ) “. L’
illuminismo è un fatto tedesco, anche se si sviluppa in Francia ed in Germania
si tocca l’ apice dell’ Aufklarüng in quanto la religione diviene un discorso
razionale, si nota l’ acceso contrasto che Novalis nutre con la posizione
kantiana: “ In Germania questa impresa fu condotta in modo più approfondito (
si riferisce all’ Illuminismo ), si riformò l’ istruzione, si cercò di dare
alle vecchia religione un senso moderno, razionale, più comune, lavandone via
meticolosamente ogni tratto di miracolo e di mistero; si mobilitò tutta l’
erudizione per sbarrare ogni via di fuga nella storia, dandosi da fare per
nobilitare la storia trasformandola in un quadretto di genere, famigliare e
morale, domestico e borghese. “ Riguardo
ai giochi di luce del secolo XVIII, riportiamo un breve passo dell’” Europa
“ che può risultare chiarificatore: “ Dappertutto il senso sacro subì numerose
persecuzioni nelle forme da lui assunte fino ad allora e nella sua
configurazione attuale. Il risultato del modo di pensare moderno venne chiamato
filosofia e le venne attribuito tutto quello che si opponeva all’ antico e
quindi, soprattutto, ogni idea contro la religione “. La
missione di rinascita spetta al popolo tedesco che si fa portavoce di un’
individualità universale: avverrà un amplesso tra la giovane Chiesa novella e
un Dio d’ amore ( Dioniso ); in Novalis questo processo è squisitamente di
carattere spirituale, in Hölderlin invece è di stampo più materiale. Riforma
protestante, Illuminismo e Rivoluzione francese sono il processo triadico che
porta al decadimento della religione cristiana, dopo aver sperimentato mille
avversità ci potrà essere in futuro ( Novalis non specifica un momento preciso,
anche perché la “ Cristianità o Europa “ non è uno scritto storico, è bensì un
monologo “ drammatico “, una sorta di predica diretta verso l’ interiorità
dell’ individuo ) una splendida aurora. Nonostante
la crisi della Chiesa, nel corso della storia si fa avanti l’ ordine dei
Gesuiti che avrebbe il merito di custodire la sacralità dei tempi perduti e
porre le basi per il superamento di tale difficile situazione. La
religione si basa sull’ entusiasmo, sul calore del cuore che cerca la
spiritualità, nel Medioevo che avrebbe dovuto essere - Novalis dirà - che si
respirava un’ armonia soave ed ogni cosa appartenuta alle figure sacre dei
sacerdoti avrebbe benedetto l’esistenza di chi avesse avuto la fortuna di
sfiorarla. Nel
clima desacralizzante dell’ Illuminismo dove “ Dio fu trasformato in pigro
spettatore del grande, commovente spettacolo messo in scena dagli eruditi ( … )
“ solo la natura si sottrae a questo inesorabile processo: “ Peccato che la
natura, nonostante gli sforzi compiuti per modernizzarla, rimanesse così
meravigliosa e incomprensibile, cos poetica e infinita “. Si
capisce la posizione di Novalis se la si inserisce all’ interno del
Romanticismo tedesco che compie una contro – rivoluzione aspirando ad una
situazione edenica, nell’ Eden il conoscere è tale che permette l’ innocenza:
si respira un’ atmosfera di speranza: “ Lo spirito di Dio aleggia sulle acque e
solo ora si percepisce, nel riflusso dei flutti, un ‘isola celeste, la dimora
degli uomini nuovi, il bacino fluviale della vita eterna. “ Riguardo
a Schleiermacher, Novalis dopo aver apprezzato i suoi scritti sulla
religione, dirà: “ Questo fratello è il palpito del cuore della nuova
epoca, chi lo ha avvertito non dubita più che essa verrà e, con dolce orgoglio
per la sua contemporaneità, uscirà dal mucchio per unirsi alla nuova schiera
dei discepoli. Egli ha fatto un nuovo velo per la santa che ne rivela,
aderendo, le celesti forme, e tuttavia l’ avvolge in modo più casto di un altro
“. Per Schiller
si tratta di agire nella storia avendo in mente il modello greco ( l’ ideale
della grecità ), evitando di far prevalere l’ intelletto tabellare che
porterebbe ad una serie di scissioni, chi avrà il tempo di dedicarsi al proprio
diletto sarà un uomo eccezionale. Lo Stato
moderno si viene a costituire su due fondamenti, il principio di
classificazione e quello di rappresentazione intesa come delega. Secondo
Schiller si potrà realmente raggiungere il “ sapere aude “ di Orazio, solo
quando si saranno superati i bisogni materiali, Nietzsche dirà infatti che la
civiltà greca era tale proprio perché i greci erano liberi essendoci la
schiavitù. Non è
il soggetto umano che produce l’ arte, ma è la forma artistica che condiziona
l’ umanità, la tradizione storico – artistica si pone come una sorta di
sostanza; l’ artista è come se fosse posseduto da un “ daìmon “ proprio in
questo senso capiamo la portata meta – temporale della creazione estetica. Risulta
necessario evitare l’ usurpazione intesa come violenza sul sensibile e l’ insurrezione
concepita come esplosione del sensibile, non cadendo così in una lotta feroce;
la via per la testa deve passare tramite il cuore, si pone quindi come
questione fondamentale l’ educare al sentire. L’
artista deve aspirare a sintetizzare il possibile con il necessario, facendo a
suoi contemporanei ciò che hanno bisogno e non ciò che lodano. La
borghesia si fonda sull’ utile e sul guadagno deturpando così il valore dell’
arte, che si libra al di là delle necessità e dei bisogni, esprimendo una vera
libertà per l’ individuo. Come i
filosofi devono salvaguardare la verità così gli artisti devono custodire l’
arte, quest’ ultimi sono figli del tempo, ma non alunni o favoriti ( non devono
cercare il plauso ), si nutriranno con il latte della Grecia, quella Grecia di
cui parla Winckelmann e Schiller ama tanto: si tratta della terra dei poemi
omerici. Il
grande studioso dell’ arte tedesco, parlando della statua del “ Laoconte “
scriverà che esprime “ nobile semplicità e quieta grandezza “, solo Schelling farà
affiorare la dimensione oscura di quel mondo idilliaco, il così detto “ lato
notturno della Grecia “, i sacrifici e costumi legati al culto di divinità del
sottosuolo. L’
artista è tale proprio in quanto nutrito del latte di un’ età migliore, diviene
estraneo al suo tempo, Nietzsche avrebbe inattuale. L’
arte aspira a creare l’ ideale nella fusione tra il necessario ed il possibile,
e nello stesso tempo deve sottrarsi al giudizio del tempo, nell’ apparire la
creazione estetico – artistica ( apparenza, parvenza ) dà verità al mondo. Aristotele
nella “ Poetica “ sosterrà che la storia tratta il necessario e si colloca
nella dimensione del reale, invece la poesia riguarda il possibile. In Schiller
– l’ arte come bella parvenza – ha un valore ontologico forte, questo aspetto
influenzerà Nietzsche nella composizione della “ Nascita della tragedia “, dove
l’ arte ripaga l’ uomo dall’ insufficienza qualitativa della realtà. Se la
bellezza è la condizione prima per lo sviluppo dell’ umanità, risulta
necessario spostare l’ attenzione sull’ arte. Nell’
uomo riscontriamo due elementi primari [ XI lettera ], la persona [
immutabile – permanente ] e lo stato [ condizione ], che richiamo alla
distinzione aristotelica tra sostanza ed accidente; a differenza dell’ Essere
necessario nel soggetto umano non avviene la coincidenza di tali elementi. La
persona deve essere pensata come auto – fondamento, lo stato cade nella
dimensione del divenire e suo principio è il tempo insito nella persona che a
sua volta trascende tale principio: l’ indeterminatezza umana si supera solo
quando l’ individuo sentendo ed intuendo riesce a dare una forma alla materia
mediante la persona. Solo
facendo questa premessa, è possibile distinguere un istinto sensibile [ dà
misura alla finitezza ] da un istinto formale [ immutabilità della persona ];
mediante quest’ ultimo avviene la spinta verso l’ alto ( Streben ). L’
uomo è un essere determinato nella temporalizzazione, l’ Io permanente diviene
fenomeno a se stesso e finché si limiterà a sentire non vi sarà altro che
mondo, inteso come informe contenuto del tempo, si realizza la forma quando
viene creato il tempo ed al permanente si contrappone il necessario. Si
giunge ad una dialettica tra una legge che spinge alla realtà assoluta rendendo
mondo ciò che prima era forma, ed una formalità assoluta che estirpa tutto ciò
che puro mondo, è una di manica di intrinsecazione ed estrinsecazione. L’
istinto sensibile pone l’ uomo nei limiti del tempo e lo rende materia [
accidenti ], l’ istinto formale lo colloca nella libertà ed afferma la sua
persona nel mutamento [ leggi ]; Schiller insiste su una forma sia teorica che
pratica, il dialogo con Kant avviene in ambito speculativo come in ambito
morale. Solo
nella subordinazione del sensibile con il formale, del mutamento con il
permanente, della passività con l’ attività risulta possibile parlare di unità
umana, un’ unità conoscitiva che esprime una completezza esistenziale. Quando
sentire e pensare coincideranno, l’ individuo giungerà ad una completa intuizione
della sua umanità, come simbolo della sua destinazione compiuta ( infinito ). L’
infinito che scaturisce dal determinato e dalla finitudine è ideale nel senso fichteano,
in quanto non verrà mai raggiunto. Se l’
istinto sensibile vuole che ci sia mutamento[ XV lettera ], che il tempo abbia
un contenuto, e l’ istinto formale vuole che il tempo ed il mutamento siano
annullati, si pone come trait d’ union l’ istinto del gioco [ che fa scaturire
una libertà fisico – morale ] che annulla il tempo nel tempo, e concilia “ il
divenire con l’ essere assoluto, il mutamento con l’ identità “. L’
oggetto dell’ istinto sensibile si chiama vita, in quanto essere materiale
immediatamente presente ai sensi, invece l’ oggetto dell’ istinto formale è la
forma ( concetto che include qualità e relazioni formali ), la forma vivente
sarà il centro focale dello “ Spieltrieb “, funzionale alla designazione della
bellezza. La
ragione tende a far compenetrare i due istinti nel momento in cui dice che deve
esistere un’ umanità, la bellezza [ né pura forma né pura vita ] si genera così
dalla sintesi subordinatrice dei due istinti. L’
individuo deve giocare unicamente con la bellezza [ che stimola e rilassa al
tempo stesso ], solo nel gioco si manifesta la vera umanità; [ XVI lettera ] la
bellezza nell’ idea sarà sempre una, nell’ esperienza è molteplice, il bello
ideale mostra una proprietà energica e dolce, nella sfera empirica avverrà una
scissione. L’
educazione estetica è una dinamica dialettica tra sensibilità ed intelletto,
dinamica complessa, in quanto “ fa delle bellezze una bellezza “: ricondurre le
due bellezze [ quella energica che stimola fisicamente e moralmente l’
individuo, e quella dolce che lo rilassa ] nell’ ideale di bellezza, significa
scorgere l’ uomo ideale. Spostandoci
sul piano concreto, troveremo un essere umano determinato e limitato o in uno
stato di tensione o di rilassamento, Schiller intende il dominio di un istinto
sull’ altro come costrizione e violenza. Come
va inteso il problema della bellezza come coordinazione del sensibile con l’
intellettivo? Questa è la domanda centrale della diciottesima lettera, che apre
come lo definì lo stesso autore, un “ sistema di estetica “ [ dalla XVIII alla
XXIII lettera per l’ esattezza ], bisogna analizzare il processo di
unificazione. Solo
se intendiamo per unificazione un processo di superamento, possiamo non cadere
nell’ oblio dell’ isolamento radicalizzante di una delle due facoltà. I
sensisti ed i razionalisti che hanno utilizzato in senso unilaterale o la
sensibilità o l’ intelletto, cadono in visione incomplete ed imperfette. La
bellezza dolce si manifesta in primis come “ forma tranquilla “ [ mitiga
l’ uomo di natura ], ed in secundis come “ immagine vivente “. La
cultura si viene a delineare come la determinazione del confine tra il barbaro
ed il selvaggio, istituendo un’ armonia tra la libertà e la sensibilità. Finché
noi sentiamo siamo limitati, abbiamo da un lato l’ istinto sensibile che cerca
il mutamento e dall’ altro il formale che è indirizzato al permanente. Come
coordinare i due istinti? Schiller risponde con un terzo istinto, quello del
gioco, che svolge un ruolo sia fisico che morale. Un
preciso riferimento al gioco avviene nel frammento D23 di Eraclito, dove
il pensatore di Efeso pone in rilievo l’ innocenza del fanciullo, che sarà
ripresa da Nietzsche dicendo che Dio è come un fanciullo: irresponsabile. Gadamer
analizza il
problema del gioco per comprendere l’ autonomia dell’ opera d’ arte, come
dimensione autonoma che pone le sue stesse regole. Prima
di proseguire nella trattazione delle tematiche schilleriane, ci soffermiamo
brevemente ad analizzare uno scritto di C. Schmitt che può risultare
utile per la comprensione dell’ oggetto del corso: l’ “ Amleto o Ecuba “, dove
– Schmitt – si chiede perché certe tragedie abbiano tanto successo ancora oggi,
nonostante siano passati secoli ed siano avvenuti notevoli mutamenti sul piano
storico – culturale. . Freud
vedrà nella tragedia di “ Edipo re “, un complesso di carattere psicologico
racchiudibile nella sfera dell’ inconscio; oggi sappiamo che la lettura
freudiana è scorretta filologicamente, non prendendo in considerazione il fatto
che nella Grecia antica, era di buon auspicio il sognare di ricongiungersi con
la madre. Secondo
Freud, Amleto non riuscirà a compiere la vendetta proprio perché vede nello zio
un modello da imitare, inconsciamente vorrebbe seguire le sue orme. Schmitt
parte da questa problematica freudiana per realizzare la sua analisi, l’
attenzione si focalizza sulla realtà storico – culturale in cui visse Shakespeare
notando come l’ autore di “ Romeo e Giulietta “ fosse compromesso politicamente
avendo bisogno di un protettore. Da un
punto di vista squisitamente culturale è doveroso ricordare come Shakespeare
trovasse materia prima nelle versioni arcaiche di Sexus Grammaticus. Il
teatro di Shakespeare è in piena connessione con le problematiche storico –
politiche del tempo, andando al di là della dimensione cristiana porta gli
spettatori a prendere coscienza degli accadimenti del tempo creando un
coinvolgimento. In Schiller
non è presente questa problematicità storico – politica che compare in Shakespeare,
la storia è qualcosa da cui si allontana. Possiamo
vedere come tra la prospettiva schilleriana e quella di Lukács intercorri
una differenza notevole, in quest’ ultimo l’ arte è il rispecchiamento della
realtà storico – sociale, la conoscenza artistica è il processo che porta il
particolare ad immergersi nell’ universale mediante la categoria del tipico. In Schiller
( XVIII lettera ) lo spirito sensibile è passività nella misura in cui subisce
l’ azione dell’ oggetto esterno, tra la materia e la forma sembra che ci debba
essere uno stadio intermedio identificabile con la bellezza. La
distanza tra pensare e sentire è comprensibile alla luce del divario che
intercorre tra la sensibilità e l’ attività, come fa la bellezza ad essere un
trait d’ union? La
volontà nota Schiller nasce dalla personalità, il processo di unificazione tra
i due termini non può essere compreso dagli empiristi o dai razionalisti. Per
spiegare il problema della formazione della personalità ( la lettera XIX è una
delle più difficili dell’ opera ), sorgerà una nuova distinzione tra la determinazione
e la determinabilità: ciò che è determinato non è più determinabile, la
determinabilità è una possibilità antea. La
sensibilità dell’ uomo deve essere mossa da qualcosa di esterno, e tra tutte le
possibili determinazioni solo una può diventare realtà, in questo modo si
giunge ad una determinazione nella limitazione, proprio nella conoscenza l’
uomo riceve il limite. Schiller
distingue uno stato attivo da uno passivo, l’ infinità vuota è lo stato dove
c’è assenza di ogni determinazione, nella sensibilità umana tra le possibili
determinazioni solo una consegue realtà. Noi –
in quanto uomini – giungiamo alla realtà solo per mezzo della negazione e della
limitazione, si costituisce un circolo “ produttivo “ tra il limite e l’
illimitato, il finito e l’ infinito. Il
bello connette il sentire al pensare, ma non colmo il giudizio, così come il
giudizio estetico – teleologico coglie un barlume di finalità nel cielo
stellato. Nello
spirito umano operano l’ istinto materiale e quello formale, ma nella sua unità
tale spirito non è né materia né forma; la volontà agisce nel soggetto di
fronte ai due istinti, la coscienza di sé intesa come personalità non può
dipendere dalla volontà. Le
sensazioni e la coscienza di sé sorgono al di là della volontà: l’ istinto
materiale che si desta con la sensazione e l’ istinto formale tramite la
personalità, nella loro attiva contrapposizione danno luogo a libertà ed
umanità. L’
infinità con la realtà è andata perduta, ciò avviene in relazione allo spazio –
tempo, la concezione di Schiller in questo punto è molto simile a quella di
Aristotele: l’ attimo come numeratore del tempo. Si
giunge all’ esito paradossale che nella conoscenza del limite si perviene all’
Assoluto, se non avremmo tempo e spazio assoluti non potremmo neanche fare
delle misurazioni sul piano della finitudine. Spazio
e tempo assoluti sono ontologicamente reali, ma a differenza di Kant non si
tratta dell’ a – priori, la coscienza di sé nasce dal e nel processo
gnoseologico che porta lo spirito a divenire attivo partendo dalla sensibilità. L’
Assoluto può essere visto come il processo nel limite e del limite, in questi
termini si viene a formare la personalità: l’ attività è coniugata alla
volontà, la coscienza di sé in quanto tale non è volontà. Dalla
contrapposizione formale – sensibile sorge la libertà e con essa la volontà,
che si pone come fondamento della realtà: c’è una necessità fuori di noi ed in
tal guisa siamo passivi. L’
origine delle sensazioni e della coscienza di sé non concernono la volontà ed
il soggetto, sono una dimensione determinata ed assoluta. La
determinazione sensibile ( la prima ) deve essere tolta nel senso hegeliano del
termine al fine di giungere ad una determinazione superiore, quella estetica,
mediante la determinabilità. Nessuna
forma d’ arte può prescindere da un contenuto sensibile, anche la musica si
avvale di un materiale ben preciso, la più materiale della arti è la scultura
che riesce a determinare meglio il concetto ( questa tesi avrà un’ eco su Hegel
). Non si
può passare immediatamente dal sentire al pensare, risulta opportuno operare un
passo indietro, giungendo ad una dimensione di determinabilità reale ed attiva
che funge da sfera intermedia e viene definita dimensione estetica, la
determinazione della sensazione deve essere conservata e superata [ in termini
hegeliani ]. La
sfera estetica [ XXI lettera ] è una piena infinità che si contrappone l’
infinità vuota di cui Schiller aveva parlato poc’ anzi, la determinabilità
estetica è un “ determinabile non ancora determinato “. Proprio
nell’ ambito della ventunesima lettera l’ autore opera una distinzione che richiama
alla memoria cose nietzscheane, egli distingue gli uomini subalterni nati per
il dettaglio e gli uomini sorti per i “ grandi ruoli “. Lo
stato estetico è il più fruttuoso riguardo alla conoscenza ed alla moralità, un
stato d’ animo che abbraccia in sé l’ intera umanità: l’ esercizio estetico
conduce all’ illimitato, superando le barbarie borghesi, in quanto il godimento
della bellezza ci rende liberi e padroni delle nostre forze attive e passive. Nella
realtà è impossibile incontrare un’ azione puramente estetica, un’ opera d’ arte
può avvicinarsi all’ ideale ma mai raggiungerlo, se sarà veramente bella il
contenuto non costituirà nulla, mentre la forma tutto ciò che agisce sulla
totalità dell’ uomo. Nel
processo di perfezionamento di musica, poesia ed arte plastica, avverrà uno
stesso processo sull’ anima in termini di effetti [ XXII lettera ]. All’
interno della ventitreesima lettera, Schiller distingue la condotta nobile di
un individuo che supera l’ obbligo morale e dona libertà a ciò che lo circonda
dalla condotta sublime, bisogna quindi: ” imparare a desiderare più nobilmente,
che volere sublimemente “. Nella
XXIV lettera, Schiller evidenzia i momenti dello sviluppo del singolo ed in
parallelo dell’ intera umanità, bisogna pensare a passaggi dinamici e non
rigidi come nota lo stesso autore. Dallo
stato fisico [ anarchia senza libertà ed egoismo ], dove l’ individuo subisce
la potenza della natura [ non compare la dignità umana, ma solo consapevolezza
della propria cupidigia ], che viene vista come nemico e preda nel medesimo
tempo [ il rapporto dell’ uomo con la natura è immediato ed angustiato ], si
passa allo stato estetico che si libera da questa potenza [ si libera non del
tutto, Schiller nota che possiamo trovare persone colte che non mancano di
momenti che ricordano il buio della sfera naturale ], per giungere allo stato
morale. La
ragione [ intesa sia in senso pratico che teoretico, come esigenza dell’
Assoluto che si esprime nel contingente e nel condizionato ] che si manifesta
inizialmente nel mondo sensibile non riesce a realizzarsi autenticamente, bensì
genera “ timore “ e “ cura “, questo è dovuto ad un’ incapacità di pervenire
all’ astrazione ed “ alla sublime necessità della ragione “. La
legge morale appare estranea e proibitiva, nella spiegazione del fatto morale
si va oltre l’ umanità, percorrendo sentieri che conducono verso la divinità,
in un certo qual modo Schiller introduce il problema della “ positivizzazione “
religiosa. In “ La positività della religione cristiana “, Hegel
asserisce la corrispondenza tra la legge morale kantiana e l’eticità cristiana,
criticando aspramente la modalità del sistema pedagogico di Cristo in quanto in
esso è insita la “positivizzazione “ intesa come dogmatizzazione ed istituzionalizzarsi
storico di tale religione. Cristo in quest’opera commette, “l’ errore “ di far
derivare da Dio la legge morale, si tratta ergo di un modalità d’insegnamento
non valida da un punto di vista etico. La ragione diviene “ passiva “ e non “ legislativa, sempre
in questo scritto sono riprese tematiche precedenti, importante sarà il
confronto tra Socrate e Gesù. Hegel criticherà con spirito illuminista la Chiesa come
simbolo di dogmatismo del culto e di negazione della libertà di pensiero. Il cristianesimo nasce e si afferma dove manca la libertà
del cittadino, e nella Chiesa continua a mancare quella libertà, spetta quindi
a nostri tempi - scrive Hegel - rivendicare l’uso della ragione, operare per ”
rivendicare in proprietà degli uomini, almeno in teoria, i tesori che sono
stati dissipati in cielo “. Ritornando
a Schiller risulta più facile passare dal piano estetico a quello razionale –
morale, che da quello sensibile a quello estetico. Nella venticinquesima
lettera, Schiller mostra come i tre stati di cui ha parlato precedentemente
vadano considerati in modo dinamico e non rigido, la contemplazione è il primo
rapporto liberale dell’ individuo verso l’ universo. Nel
mero sentire l’ uomo è schiavo della natura, nel pensarla diventa legislatore,
ma solo nella dimensione estetica come “ atto – stato “, dà forma e bellezza al
mondo ( intesa in termini di libertà e di autocoscienza ). Quegli
dei che avevano angustiato la nostra infanzia mediante il sentire estetico
divengono rappresentazioni umane, proprio in tal guisa si può definire la
bellezza un’ opera della contemplazione libera coordinatrice del sensibile e
del soprasensibile [ Pareyson nell’ incipit del suo testo “ Etica ed estetica
in Schiller “ nota acutamente come cardine del discorso schilleriano sia la
correlazione armonica di intelletto e sensibilità ]. La
penultima lettera [ XXVI lettera ] si apre con la constatazione da parte di Schiller
che lo stato estetico non possa avere un’ origine morale, mediante l’
apparenza, l’ inclinazione all’ ornamento ed il gioco si esce dalla dimensione
naturale. Godere
della bella apparenza [ Schiller parla dell’ apparenza estetica come essenza
delle belle arti ] significa porsi come soggetti attivi e fondare la cultura al
di là dell’ unilateralità di intelletto e sensibilità: la stupidità e la
suprema intelligenza rifiutano l’ apparenza, la prima in quanto è incapace di
elevarsi al di sopra della realtà, la seconda invece perché non può restare al
di sotto della verità. Schiller
sostiene che solo l’ udito e la vista, possano veramente porsi come cardini di
godimento della bella apparenza, connessa all’ istinto del gioco. Quando
si può parlare di apparenza estetica in senso profondo ed autentico? Solo se
risulterà essere schietta ed autonoma, inoltre dove vi sarà trionfo della bella
apparenza l’ onore avrà la meglio sul possesso, il piacere verrà surclassato
dal pensiero, il sogno di immortalità sull’ esistenza. Nella
falsa apparenza e “ bisognosa di realtà “, si manifesta un’ incapacità estetica
ed “ un’ indegnità morale “, alla domanda “ Fin dove può, l’ apparenza, essere
nel mondo morale? “ – Schiller risponde – “ Fin quando è apparenza estetica “. Sul
finire della ventiseiesima lettera, l’ autore muove le sue feroci critiche ai
critici del secolo, che assolutizzano la materia in se stessa considerata e
sono lontani dall’ ideale di apparenza in quanto quest’ ultima è ancora legata
all’ esistenza. La
ventisettesima lettera chiude l’ opera schilleriana, la vera rivoluzione dovrà
essere estetica, relativa quindi al mondo di sentire con tutte le implicazione
etico – politiche di cui Schiller è conscio. Si
comincia a scorgere un libero e disinteressato apprezzamento della pura
apparenza, nei primi e rudimentali tentativi di abbellimento dell’ uomo
primitivo. Tra le
barbarie della borghesia sorta dall’ “ Illuminismo dell’ intelletto “ e la
dimensione estetica, può esserci un interregno della “ sensibilità anarchica “. Nelle
prime fasi l’ istinto estetico si manifesterà in maniera minore poiché limitato
dall’ irruenza della sensibilità [ da un commercio di piacere totalmente
egoistico, si deve giungere ad un giusto scambio di affetto, “ dalla passione
all’ amore “ ]; Schiller esalta la Grecia come modello supremo dicendo che
mentre l’ esercito troiano irrompeva sul campo di battaglia come un groviglio
di “ cieche forse “, l’ esercito greco con il suo “ avvicinarsi dignitoso “
permetteva il trionfo della bella forma. Schiller
distingue uno stato dinamico che rende possibile la società mediante un’ auto –
dominazione della natura, uno stato etico che imprime il sigillo del “
moralmente necessario “ ed assoggetta la singola volontà all’ universale, ed
infine uno stato estetico dove la libertà passa attraverso la libertà, venendo
a mancare ogni forma di costrizione fisico – morale [ il gusto quindi svolge
una funzione armonizzante nella società ]. Il
bello si gode sia come singoli che come specie, superando in tal guisa l’
unilateralità della metafisiche materialistiche e razionalistiche che
privilegiano o l’ intelletto o la sensibilità. È bene
tenere presenta come lo stato estetico [ dove vige uguaglianza ma non “ égalité
“ ] sia per Schiller un regno per pochi, e per giunta di difficilissima
realizzazione. La
trattazione dell’ arte allontana Schiller dal problema della sistemazione delle
arti ( all’ interno della scuola cartesiana si analizza l’ origine delle belle
arti ): lo stile – diviene per Schiller – la forma, il modo con cui ciascuna
arte si allontana dal particolare. Lo
stile deve superare il genere artistico e la particolare materia che l’ artista
lavora, secondo Nietzsche la musica non può raggiungere il grande stile poiché
si colloca dopo le grandi stagioni dell’ arte. L’
opera d’ arte ha valore in se stessa, sarà morale nella misura in cui la
bellezza racchiude una sua moralità. La
cultura apprezza l’ apparenza in quanto nel dominio estetico la “ bella
apparenza “ posta dall’ uomo stesso, disprezzare l’ apparenza significa
disprezzare la arti belle. Soltanto la vista e l’ udito rappresentano l’
attività umana a differenza del tatto; nel “ De ordine “ Agostino
definisce la vista e l’ udito sensi teoretici. La
tendenza dell’ uomo ad abbellirsi ( XXVII lettera ) è una manifestazione del
principio della forma, che cosa esprimerebbe il leone quando ruggisce nella
solitudine del deserto? Schiller
candendo un’ evidente antropormifizzazione della natura, dice che in questo
modo il leone compie una sorta di autocelebrazione. All’
interno delle “ Lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, Schiller
attingerà importanti spunti in accezione critico – continuativa non solo da Kant,
ma anche da Fichte, autore de “ La dottrina della scienza “, da cui riprende [
in senso anti – fichteano ] il concetto di determinazione reciproca e la tesi
secondo la quale nell’ uomo concreto e particolare vi sarebbe l’ ideale dell’
uomo. La
determinazione reciproca di fichteana memoria non è utilizzato per assoggettare
la sensibilità alla ragione bensì per coordinarle armonicamente, Schiller vede
nella filosofia di Fichte la continuazione del rigorismo della lettera
kantiana, rigorismo inteso come antagonismo tra sensibile e soprasensibile. L’
unità di finito – infinito, sensibilità – ragione, materia – spirito si
realizza nell’ armonia, ogni forma di subordinazione appare agli occhi di Schiller
come una posizione unilaterale ed incompleta: il bello è sia perfezione per l’
umanità che termine medio e conciliatore e solo nell’ ideale può esprimersi un
vero ed autentico valore pedagogico. Ci si
accorge subito come sussista una correlazione bipolare tra alcuni concetti di “
Grazia e dignità “ e de “ Le lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “,
pensiamo all’ armonia che viene a coincidere con la determinazione reciproca, e
l’ anima bella che trova sua suprema manifestazione nell’ impulso al gioco. In “
Della poesia ingenua e sentimentale “ [ 1795 – 1796 ] Schiller sviluppa le idee
esposte nelle altre opere, all’ interno di una prospettiva sullo sviluppo
storico dell’ umanità [ con riprese da Humboldt, Herder e Kant ] e con il fine
di mostrare come la poesia sia uno strumento per la realizzazione dell’ ideale. Il
poeta ingenuo è natura e suo guardiano al tempo stesso risolvendosi come
soggetto nell’ oggetto, Omero si nasconde nella sua opera e la natura è
nell’ umanità, quando invece il poeta risolve l’ opera nel suo intimo e ricerca
la natura perduta fuori di sé. Noi
definiamo ingenue l’ epoca greco – antica, in base a due premesse: da un lato
l’ oggetto deve essere prodotto unicamente dalla natura e dall’ altro
contrapposto all’ arte. Il
poeta greco rappresenta la natura, la vita sensibile e la presenza sensibile [
un oggetto finito ], quella moderna invece le idee e lo spirito [ uno oggetto
infinito ]: noi moderni abbiamo una nostalgia profonda verso l’ armonia
perduta. Lo
stato di natura presenta un’ armonia concreta tra il sentire ed il pensare, una
sintesi tra l’ idealità e la realtà, lo stato della civiltà l’ armonia è un
ideale nel travaglio della scissione tra idealità e realtà. La
poesia sentimentale può essere satira in quanto svela l’ insufficienza
del reale o elegia nel caso l’ ideale si manifesti come aspirazione
continua; a sua volta la satira sarà seria quando l’
insufficienza del realtà necessita di una resistenza morale e scherzosa
se non abbisogna di nessuna resistenza. L’ elegia
risulterà essere tale in senso stretto, quando verso l’ ideale si avrà
un’ aspirazione nostalgica pregna di tristezza e bucolica se l’ ideale
sarà fonte di un’ emozione gioiosa. La
vera poesia è quella che “ supera “ nel senso hegeliano del termine il percorso
di travaglio di unità e scissione dell’ umanità, verso una totalità
riconciliata ed armonica. La
bella totalità della natura umana si realizza nella fusione superante della
poesia ingenua e sentimentale, ciò può essere inteso nella maniera con la quale
Schiller concepiva la natura di Goethe, come correlazione armonica si spirito
speculativo e spirito intuitivo. L’
autentica filosofia deve coniugare al suo interno il realismo del modo di
vedere antico [ stato di natura ] con l’ idealismo dei moderni [ stato di
civiltà ], nel primo la natura ha il carattere della dipendenza e dell’
indigenza [ sapere – agire ] e l’ individuo che si farà alfiere di questa
posizione avrà una conoscenza limitata al particolare ma mai relativa alla
totalità completa e nello stesso tempo il suo agire sarà limitato da fattori
esterni senza pervenire alla dignità; nel secondo caso, la ragione è intesa
come autonomia e compimento facendo sì che le cose si sottomettano al pensiero
in una conoscenza rivoltata verso la totalità, un agire fondato sulla ragione
pratica e sulla continua tensione verso l’ Assoluto – Incondizionato. Il
processo della spiritualità umana nel corso della storia, è una dialettica che
porta l’ unità a scindersi per giungere poi ad una totalità concepita come
conciliazione ed armonia, in questa prospettiva che può essere in un certo
senso considerata hegeliana ante litteram, Schiller riprende l’ idea di
un fine razionale nella storia sia da Kant che da Herder, da Goethe, Humboldt
e Winckelmann la tesi secondo la quale la Grecia abbia rappresentato un canone
supremo di armonia estetica [ queste riprese sono concepite da Schiller in
maniera notevolmente originale ]. La
divisione schilleriana tra poesia ingenua e poesia sentimentale trova un parallelismo
con la prospettiva hegeliana dello sviluppo triadico dell’ arte, dove dall’
arte classica intesa come fusione tra forma e contenuto si giunge all’ arte
romantica caratterizzata per un contenuto tale da rendere insufficiente la
forma. Concludendo
possiamo rintracciare tre coordinate nel pensiero schilleriano che rimarranno
cardini fondamentali della sua analisi filosofica e della sua produzione
poetica: in primis l’ ideale di un’ umanità perfetta dove è superata ogni
scissione, in secundis il principio dell’ educazione estetica come fine e “
medium “ per l’ umanità ed infine la tesi dello sviluppo storico dell’ uomo.