EUDOSSO DI CNIDO
A cura di Giuseppe Tortora
Se fino a Platone e ad
Aristotele comprensione della natura e comprensione dell'uomo, sapere
scientifico e sapere filosofico costituivano i due aspetti strettamente legati
di un'unica cultura, funzionali l'uno all'altro, dopo Aristotele, a partire
dall'età ellenistica si può parlare di due "culture" procedenti in
maniera autonoma, le cui tecniche di apprendimento, i cui metodi, le cui
finalità divergono sempre piú. Naturalmente si tratta di un processo graduale,
e non di un brusco divario; possiamo quindi parlare di una tendenza che va
sempre piú accentuandosi a partire, appunto, dal III secolo a.C. e non di un
fenomeno che si afferma improvvisamente all'alba di un nuovo anno. Anche in età
ellenistica, infatti, e successivamente fin nei primi secoli dell'era volgare,
avremo delle figure di "filosofi" che sono contemporaneamente dei
grandi scienziati, come per esempio il matematico e fisico platonico Archimede
o il matematico neoplatonico Proclo. Del resto, anche prima di Platone, o
contemporaneamente a Platone ed Aristotele, c'erano stati esempi di ricerche
scientifiche abbastanza avanzate e con tecniche e metodologie che molto poco
avevano a che fare con quelle piú specificamente filosofiche: basti pensare
alla matematica pitagorica (cfr. cap. II, par. 4) e alla medicina ippocratica
(cfr. cap. III, par. 7). Così ancora, contemporaneamente a Platone e ad
Aristotele, c'era stata la figura del grande astronomo e matematico Eudosso di
Cnido (409-356 a.C.), frequentatore dell'Accademia platonica e poi
fondatore di una scuola scientifica prima a Cizico poi a Cnido. Nell'ambito
dell'Accademia, Eudosso dovette esercitare un grande prestigio ed una grande
influenza, e non solo per le sue teorie matematiche ed astronomiche, ma anche
per le discussioni che accese su alcuni temi fondamentali della teoria
platonica: abbiamo varie testimonianze che in risposta alle sue tesi sul
piacere - ritenuto un fine pienamente conseguibile e buono di per sé - lo
stesso Platone scrisse il Filebo ed Aristotele un'opera Sul piacere;
lo stesso Aristotele, contro un'interpretazione "deviante" della
dottrina delle idee da parte di Eudosso, lo attaccò anche su questo delicato
terreno della teoria platonica. In ambiente accademico, comunque, nacque
probabilmente l'esigenza di una nuova elaborazione delle dottrine astronomiche
e di una sistemazione del sapere elaborato fino ad allora dagli Ionici fino ad
Anassagora. Gli antichi avevano già osservato le "irregolarità" dei
fenomeni astronomia, e cioè il fatto che la velocità angolare del moto
apparente dei pianeti intorno alla terra variava: noi sappiamo che questo
dipende dalle influenze reciproche dei moti dei pianeti e della terra intorno
al sole, ma per gli antichi, che non ammettevano la possibilità di orbite ellittiche
(il moto dei cieli, essendo perfetto, doveva essere circolare) e pensavano la
terra ferma al centro dell'universo, non spiegare quelle
"irregolarità" significava ammettere un elemento di imperfezione nel
mondo perfetto e divino dei cieli. Ecco perché per Platone bisognava
"salvare i fenomeni"; questa, lungi dall'essere nell'intenzione
platonica un richiamo all'esperienza ed una sua valorizzazione, era una parola
d'ordine che significava esattamente il contrario. trovare una spiegazione
dell'esperienza - dei fenomeni - che la inquadrasse necessariamente nei
presupposti teoria della perfezione dei cieli e del loro moto circolare intorno
alla terra.
A questo compito si accinse appunto Eudosso, e la sua spiegazione - a
prescindere dalla finalità "platonica" che molto probabilmente gli fu
estranea - resta il primo serio e articolato tentativo di rappresentare
matematicamente il complicato moto apparente dei pianeti. La spiegazione di
Eudosso si basava su di un sistema di sfere, detto appunto delle "sfere
omocentriche di Eudosso": i poli di ciascuna sfera (racchiudente il moto
del pianeta) non sono immobili, ma sono trasportati da una sfera concentrica di
raggio maggiore che ruota con velocità diversa attorno a due poli diversi da
quelli della prima sfera. Poiché questo sistema non bastava ancora a
rappresentare i moti dei pianeti, Eudosso immaginò una terza sfera, sempre
concentrica alle altre due, ma anch'essa con poli e velocità diversi: con
questo sistema di sfere (tre per il sole e tre per la luna, quattro per i
cinque pianeti allora conosciuti, una per le stelle fisse), Eudosso riuscì a
dare una elegante rappresentazione del moto dei pianeti, che fu ritenuta
insuperabile dallo stesso Aristotele, il quale infatti la accettò nella sua
cosmologia.
Dopo Eudosso ed Aristotele, il sistema astronomico geocentrico ebbe il
sopravvento, soffocando le intuizioni eliocentriche che non erano mancate in
ambiente pitagorico. Ma l'astronomia greca conobbe anche dei tentativi di usare
dalla concezione geocentrica con Eraclide Pontico (385-322 a.C.), nato ad Eraclea ed emigrato d Atene, dove fu probabilmente discepolo di Aristotele al
Liceo. Eraclide, per spiegare il moto diurno dei cieli, pensò ad un moto della
terra intorno al proprio asse da occidente ad oriente; giunse probabilmente a
teorizzare un movimento di Venere e di Mercurio intorno al sole. Seguace anche
delle dottrine pitagoriche, Eraclide ammetteva l'influenza degli astri sulla
vita degli uomini e la capacità, per il saggio, di prevedere o addirittura di
regolare questo influsso: aprì quindi la via all'astrologia e alla magia, che
si affermarono e dilagarono a partire dall'età ellenistica in poi.