L’espressione “Fecondazione assistita” indica le procedure
capaci di permettere e favorire la fecondazione di una cellula uovo di una
donna da parte di spermatozoi maschili nel caso in cui essa non avvenga in modo
naturale.
Una data da ricordare è sicuramente il 25/7/1978: nasce
Louise Brown la prima bambina concepita in provetta con la tecnica denominata
“fecondazione artificiale”.
Le tecniche di fecondazione assistita possono dividersi in
due tipi principali:
1)
Fecondazione
assistita in vivo: le modalità utilizzate per questo tipo di fecondazione sono
l’inseminazione artificiale e la cosiddetta GIFT.
L’inseminazione artificiale prevede,
al di là delle differenze metodologiche, l’iniezione degli spermatozoi ( del
partner se è omologa, di un donatore se è eterologa ), nelle vie genitali della
donna.
La GIFT, invece, avviene attraverso il trasferimento
intratubarico dei gameti: si iniettano cioè, all’interno delle tube
femminili sia gli spermatozoi ( del marito o di un donatore ) che le cellule
uovo ( della donna stessa o di una donatrice ).
2)
Fecondazione
assistita in vitro: con questo tipo di fecondazione si cambia il luogo
dell’inizio della formazione delle prime cellule embrionali che non avviene più
all’interno della donna, ma in provetta. La principale tecnica utilizzata la
cosiddetta F.I.V.E.T. ( fecondazione in vitro ed embrio-transfer
). È un procedimento complesso ed invasivo ( soprattutto per il corpo femminile
) che si svolge in due fasi: l’incontro dei gameti (le cellule riproduttive
maschili e femminili) in provetta ( F.I.V. ) ed il successivo trasferimento
degli embrioni che si sono formati nell’utero ( E.T. ).
Le ovaie della donna sono sottoposte
al trattamento di agenti farmacologici ed a vari cicli di controlli e terapie
generalmente quotidiane. Dopo 34-36 ore, in anestesia generale, viene
effettuata l’aspirazione degli oociti (i gameti femminili o cellule uovo).
Entro 18 ore può avvenire il processo di fecondazione che si compie all’interno
di provette. Gli embrioni selezionati ( di solito due o tre ) sono quindi
trasferiti nell’utero femminile ( o nelle tube di Falloppio ).
“Le questioni aperte”
La “fecondazione in vivo” omologa
(i gameti appartengono ad entrambi i partner), sembra comportare esclusivamente
problemi legati all’intrusione medica nell’intimità del rapporto di coppia, ed
alla manipolazione del corpo ( soprattutto femminile ).
Quella eterologa (i gameti
appartengono a dei donatori), invece, solleva questioni molto più complesse,
soprattutto di natura giuridica.
Alcuni degli interrogativi che si
potrebbero porre riguardano la paternità (nel caso il donatore sia un uomo) o
la maternità (nel caso il donatore sia una donna) di un bambino: che diritti ha
il donatore nei confronti del bambino? Ha diritto il bambino a conoscere il
padre biologico? Sono tenuti il padre, la madre ed il bambino a conoscere
l’identità dei donatori, in virtù anche del fatto che il nascituro avrà il
corredo genetico del genitore biologico?
Riguardo questa domanda è opportuno
ricordare che la scienza medica non è ancora in grado di escludere con certezza
se un gamete maschile o femminile possa essere portatore di una qualche forma
di patologia: le tecniche di oggi potrebbero essere capaci di individuare o
escludere solo alcuni tipi di malattia.
Tuttavia, il fatto che la
fecondazione in vivo lasci l’atto del concepimento della vita umana all’interno
del grembo materno, evita un complesso numero di problematiche proprie della
fecondazione in vitro.
La fecondazione in vitro richiama
alla mente motivi faustiani: questa tecnica, come i versi del poeta tedesco
Goethe, sembra rispondere alla volontà di appropriazione dell’origine,
spostando i luoghi del concepimento tra laboratori e provette, aprendo le
possibilità di intervento e manipolazione sull’origine stessa della vita.
Inoltre, da non trascurare è il
problema di quella che è stata definita la “medicalizzazione della vita”:
l’autonomia del singolo, la sua stessa possibilità di agire, sembrano cedere il
posto alle scelte del “tecnico della vita”, un uomo anch’egli, ma investito di
una sacra autorità che gli permette di gestire e controllare opportunità e
modalità esistenziali di altri esseri umani.
Ciò comporta l’entrata in gioco del
fattore medico all’interno del rapporto di coppia, la scelta, delegata a canoni
presupposti scientifici, tra la vita, la morte e la crioconservazione
(congelamento) degli embrioni.
“Il problema degli embrioni”
Particolare attenzione merita la
questione relativa agli embrioni prodotti dalla tecnica di fecondazione
artificiale in vitro.
La domanda fondamentale è: è
possibile attribuire all’embrione umano lo status di “persona”
( e quindi preservarlo da qualsiasi manipolazione)?
Ci si chiede se sia giusto
riconoscere all’embrione umano i diritti propri degli individui sviluppati,
primo fra tutti il diritto inequivocabile alla vita.
Il concetto di “persona” presenta
esso stesso delle difficoltà inerenti alla sua stessa definizione, difficoltà
non da poco. Sono, infatti, diversi gli intendimenti di tale concetto e per
molti versi gli uni opposti radicalmente agli altri.
Nel dibattito odierno sullo status da
attribuire all’embrione si affermano due ipotesi contrapposte:
-
La posizione,
sostenuta principalmente dal Cattolicesimo, che attribuisce all’embrione lo
stato giuridico di persona sin dalla formazione delle sue prime cellule
basandosi sulla sacralità della vita.
-
La posizione
convenzionalmente definita laica (ma non mancano tra i suoi sostenitori diversi
religiosi ), che ritiene l’embrione al suo stato iniziale come un agglomerato
di cellule privo di caratteristiche tali (ad esempio l’autocoscienza) da
poterlo riconoscere come persona. Tuttavia i sostenitori di questa ipotesi
hanno stabilito convenzionalmente un limite massimo di 14 giorni per poter
intervenire sull’embrione. Intorno al 13-14 giorno compare la cosiddetta “stria
primitiva”, segno di una primitiva diversificazione specialistica delle cellule
che compongono l’embrione. Prima di tale periodo le cellule staminali
embrionali sono definite “totipotenti” cioè capaci di potersi
sviluppare in qualsiasi tipo di tessuto.
Questi due atteggiamenti si
confrontano, spesso anche con toni aspri, in virtù del fatto che i sostenitori
della seconda posizione ritengono la prima una sorta di freno allo sviluppo
scientifico: una volta non riconosciuto l’embrione come persona sarebbe
possibile, sulla base di alcuni studi scientifici, attraverso lo studio delle
cellule staminali totipotenti trovare una cura per le malattie oggi incurabili.
Alcuni scienziati ipotizzano, infatti, di poter controllare lo sviluppo di
queste cellule verso una determinata e voluta specializzazione.
I propugnatori della personalità
dell’embrione ribattono che gli studi in questo versante sono del tutto incerti
facendo anche notare l’altissima propensione a mutarsi in cellule cancerogene
delle cellule staminali totipotenti. Principalmente, inoltre, la loro
avversione è dovuta anche al fatto che lo studio di queste cellule comporta la
soppressione dell’embrione stesso al momento del loro prelievo.
Risulta chiara la totale incompatibilità
con una visione personalistica dell’embrione.
È opportuno ricordare che, oltre alle cellule staminali
embrionali, esistono altri due tipi di staminali sui quali è comunque rivolta
la ricerca scientifica:
-
le cellule
staminali presenti nel sangue del cordone ombelicale;
-
le cellule
staminali fetali che sono ricavate da aborti.
Lo studio di queste cellule potrebbe,
comunque, per ammissione dell’intera comunità scientifica, risolvere i medesimi
problemi che la ricerca sulle cellule staminali embrionali si propone di
superare.
La sperimentazione su quest’ultime
non esaurisce il campo di ricerca avente come oggetto gli embrioni.
Le moderne tecnologie, accompagnate
dalle conoscenze in materia di corredo genetico che esse stesse hanno
consentito, rendono possibile prevedere in anticipo alcune eventuali malattie
che, l’embrione una volta divenuto adulto, potrà sviluppare.
Ciò introduce l’interrogativo se sia
giusto o meno intervenire sul suo patrimonio genetico in modo da modificarlo ed
eliminare il rischio di tali possibili patologie.
Inoltre seri problemi sorgerebbero
quando, con la conoscenza del patrimonio genetico di un individuo,
inizierebbero a farsi strada strane tentazioni, come quella di scegliere le
caratteristiche fisiche del nascituro, o magari creare ad hoc un individuo con
i desiderati tratti somatici.
Questa prospettiva inficerebbe non
poco il rispetto della libertà dell’individuo e della sua libera
autodeterminazione: partendo, ad esempio, dall’eliminare progressivamente
patologie come la sindrome di Down, poiché l’individuo che ne è affetto non
potrebbe condurre una vita consona alla categoria sociale di appartenenza, si
potrebbe arrivare al programmare gli “esseri perfetti” per la società.
Gli uomini diverrebbero le creazioni
di altri uomini e verrebbero così privati della loro libertà di esseri nati da
coincidenze naturali e non precostituite e conseguentemente anche della loro
libertà sociale, essendo, in ogni caso, il frutto di scelte dettate dalle
preferenze sociali dominanti ossi di criteri eugenetici.