FILOPONO
A cura di Miriam Tedeschi
Nel periodo in cui Proclo (412-485) fu alla
direzione della Scuola di Atene la lettura e lo studio delle opere di
Aristotele occupò la maggior parte delle discipline di insegnamento. Già precedentemente
con Plutarco di Atene prima e Siriano poi, entrambi maestri di Proclo,
Aristotele era diventato una vera e propria iniziazione a Platone, con la
conseguenza che la conciliazione tra i due autori non era più problematica,
come ancora con Porfirio, ma un assunto teorico di base. Eredi di questa tradizione
in quanto discepoli di Proclo sono Ermia e il figlio Ammonio. Quest’ultimo
succedette al padre nella direzione della scuola di Alessandria. E mentre la
decadenza della scuola di Atene iniziò in coincidenza con la morte di Proclo,
la scuola di Alessandria proseguiva le sue ricerche sotto la Giovanni Filopono,
grammatico e commentatore di Aristotele, visse e studiò ad Alessandria d’Egitto
nel VI sec. d.C. Dopo avere concluso gli studi di grammatica, divenne discepolo
dell’aristotelico Ammonio. Tra i discepoli di quest’ultimo ricordiamo, oltre a Filopono,
Asclepio e Olimpiodoro. Né bisogna dimenticare Simplicio, il quale divenne in
seguito allievo di Damascio, che scelse la linea di un platonismo intransigente
molto legato alla tradizione, distaccandosi così dall’impronta aristotelica
caratterizzante la scuola di Alessandria e le lezioni dello stesso Ammonio. Queste
ultime venivano trascritte da alcuni degli allievi più meritevoli, tra cui Filopono.
A coloro cui era assegnato il delicato compito della redazione delle lezioni di
Ammonio apparteneva anche Asclepio, al quale fu affidato, per esempio, il commento
alla Metafisica
di
Aristotele. Si può affermare con una certa sicurezza che gli allievi rispettassero
gli insegnamenti del maestro: la forma didascalica e scolastica che utilizzano
nei loro scritti non sembra essere espressione di originalità di pensiero e fa
pensare a una trascrizione fedele delle lezioni di Ammonio. Prendiamo ora in
considerazione il clima culturale dell’Alessandria del VI sec., in cui Filopono
si formò e visse. Egli è legato alle vicende che si susseguirono ad Alessandria
in quel periodo, contemporaneamente alla progressiva decadenza della scuola di Atene
e alla sua definitiva chiusura ad opera di Giustiniano nel 529: tali fatti contribuirono
a fare di lui il primo commentatore cristiano di Aristotele. Lo stesso nome “Filopono”
(letteralmente: “amante del lavoro”) indicava colui che faceva parte di confraternite
missionarie al servizio della Chiesa. Non è un caso se, proprio nello stesso
anno in cui si ordinava la chiusura della scuola di Atene, veniva pubblicato,
sotto la guida di Ammonio, il testo di Filopono De aeternitate
mundi contra Proclum (Sull’eternità
del mondo, contro Proclo). Scritta al fine di salvare la scuola di Alessandria, l’opera
sosteneva la dottrina della creazione criticando la concezione aristotelica
dell’eternità del mondo. Questo fatto suscitò le simpatie dei cristiani, la cui
amicizia era necessaria per assicurarsi il favore dell’imperatore e proseguire
gli studi. Lo scritto dev’essere messo in relazione ad un’altra opera,
significativamente intitolata Sulla creazione del mondo, in cui Filopono
commenta il primo libro della Genesi. Ad Alessandria dunque si continuarono a
studiare i classici, ma con l’avvertenza di non ergersi contro la nuova
dottrina cristiana. A garanzia di ciò allievi cristiani seguivano lezioni di
professori pagani. Pertanto, con la redazione del testo De aeternitate
mundi contra Proclum, Ammonio e Filopono riuscirono a salvare la scuola di Alessandria.
Sull’altro versante, fu chiusa definitivamente da Giustiniano la scuola
ateniese, la quale non solo non voleva scendere a compromessi con il cristianesimo,
che non aveva ancora alle sue spalle una elaborazione teorica compiuta e
convincente, ma addirittura pretendeva di attribuire ai testi platonici una sacralità
che la nuova religione vedeva come oltraggiosa nei confronti dell’unico testo
sacro, la Bibbia, e che dunque non poteva in alcun modo accettare. Dopo tale
avvenimento, cioè la chiusura dell’Accademia, Filopono intraprese una carriera
che sarebbe più corretto definire teologica piuttosto che filosofica. Si occupò
delle controversie monofisite e fu promotore del triteismo, posizione che fu condannata
nel 680. Nella stesura del suo Commentario al De anima, Filopono riportò probabilmente in
modo abbastanza fedele ciò che Ammonio diceva nelle sue lezioni. Ammonio
commentava nelle sue lezioni il testo aristotelico, che era però usato solo
come punto di partenza per addentrarsi in speculazioni di impronta marcatamente
platonica. Per quale motivo, allora, si parla di commentatori di Aristotele e
non di Platone? È Simplicio a fornirci una spiegazione di ciò: Platone è
l’unico interprete della verità e Aristotele, da parte sua, è il miglior
interprete di Platone e quindi della verità. Per ottenere la verità di Platone
basterà dunque commentare Aristotele. Nel Commentario al De anima di Filopono, a partire dal
proemio, si può riscontrare proprio questa tendenza: si utilizzano
argomentazioni aristoteliche (molto spesso tratte dalla logica di Aristotele)
ma al fine di accogliere verità platoniche. Il discorso sulle fonti utilizzate
da Filopono per scrivere il suo Commentario al De anima è troppo lungo per essere
affrontato se non per brevi cenni. Ci è pervenuto il De anima di Alessandro di Afrodisia,
testo che, pur non essendo il principale riferimento usato da Filopono, è
tuttavia conosciuto da quest’ultimo. Tale testo svolgerà un ruolo importante in
particolare nell’analisi che condurremo sull’intelletto attivo. Molto più vicino
a Filopono è invece Temistio, nonostante alcune divergenze dottrinali: Filopono
dimostra spesso di utilizzare il commento al De anima di questo autore del IV sec.
d.C. come fonte. Naturalmente sono molto grandi le affinità tra il commento di Filopono
e quello (sempre al De
anima) del
suo compagno, nonché rivale, Simplicio: l’appartenenza alla medesima scuola ne
chiarisce il motivo. Un altro trattato sull’anima che non possiamo trascurare, in
quanto Filopono non ne ignora l’esistenza, è quello di Giamblico, conservatoci
frammentariamente da Stobeo. In ogni caso l’interlocutore privilegiato di Filopono,
come, d’altra parte del suo maestro, rimane Proclo. Quando il filosofo si volge
verso se stesso per intraprendere una ricerca sulla natura dell’anima, mentre
esercita la sua attività e acquista una sempre maggiore capacità di astrazione,
contemporaneamente si purifica e si avvicina alla sfera del divino. Per mezzo
di questo esercizio l’intelletto
umano sarà in grado di passare all’atto sempre più frequentemente e di raggiungere la sua perfezione. La facoltà dell’intelletto è, infatti, la più perfetta, ma la caduta nel corpo assopisce, per così dire, le sue capacità, che è compito dello studio e della contemplazione risvegliare. In questo modo l’individuo, in questa vita, ha la possibilità di raggiungere la condizione più perfetta possibile e di contemplare, già ora, gli intelligibili. L’indagine sull’anima non è, dunque, una ricerca che si compie su un altro oggetto; è il soggetto che utilizza se stesso come materia di studio e di analisi, in quanto in se stesso sono già racchiuse tutte le conoscenze, anche se ancora solo in uno stato di potenzialità. Aristotele, tuttavia, non aveva prospettato questo percorso di purificazione interiore, ma lo scopo principale della sua analisi era la ricerca e la fondazione della psicologia come base per lo studio delle altre scienze della natura. Per il neoplatonismo e per i tardi commentatori del De anima, lo scopo non è, invece, la ricerca per se stessa, ma la purificazione e l’apprendimento al fine di risvegliare all’interno di sé le conoscenze offuscate dalla caduta nella materia. Lo scopo dei commentari al De anima non è, dunque, esclusivamente didascalico, ma, in qualche modo, anche “maieutico”: colui che apprende è coinvolto in prima persona nella ricerca e deve ritrovare in se stesso ciò che gli viene insegnato. Infatti, come dice Filopono, non c’è cosa più vicina a noi che la conoscenza di noi stessi. E Filopono - seguendo il suo maestro Ammonio - riprende una opinione di Olimpiodoro che paragona l’anima a un essere anfibio: essa può appartenere sia al mondo fisico sia a quello metafisico. In essa essere e divenire, divisione e in divisione coincidono. Dunque, nello studio dell’anima, non solo bisognerà fare riferimento al mondo metafisico, ma anche a quello fisico. Filopono, pur citando l’intelletto esterno, ne ridimensionerà in modo decisivo la trascendenza. In Filopono la parte superiore dell’anima è sempre strettamente collegata con quella inferiore, come la forma alla materia. Nel suo monumentale lavoro di commento ad Aristotele, in particolare (oltre al già citato De anima) alle Categorie, agli Analitici, alla Fisica, al Generazione e corruzione, Filopono non esita a sottoporre a dura critica parecchi aspetti delle teorie aristoteliche, soprattutto quelle fisiche e cosmologiche: in particolare, Filopono critica duramente la tesi aristotelica secondo la quale i corpi celesti sarebbero composti di etere e, in forza di ciò, sarebbero divini e imperituri. Al contrario, nota Filopono, anch’essi sono costituiti della stessa materia che compone tutti gli altri corpi sublunari e, al pari di tutti gli altri, sono corruttibili. Con quest’operazione speculativa, Filopono può includere anche gli astri tra le opere della creazione divina, in antitesi con la credenza pagana che essi abbiano carattere divino e siano eterni oltreché incorruttibili. Nonostante questa critica della cosmologia aristotelica, Filopono non esita, in materia teologica (a proposito della natura di Dio e della Trinità), a richiamarsi all’apparato concettuale e linguistico di marca aristotelica.