CONCLUSIONE |
In tutti gli autori che abbiamo considerato lungo il nostro percorso, è come se trovassimo un’inferiorità del pensiero rispetto al contenuto che esso esprime e una conseguente ricaduta nel paradosso: così de Maistre, nella sua difesa della Rivelazione e dei suoi contenuti, finisce in ultima istanza per dilungarsi in pagine in cui sottopone l’illuminismo a dura critica impiegando egli stesso lo strumento della ragione. In Solger questa inferiorità del pensiero rispetto ai suoi contenuti affiora nella misura in cui egli propone una mistica intesa come accettazione dell’essere finito. Ciò è ancora più evidente in Kierkegaard: egli parla di un sacrificio che non è concetto, rivelando in questo stesso aspetto il paradosso. Nelle Briciole di filosofia, egli scrive che la condizione paradossale dell’uomo risiede nell’essere un esistente e, insieme, nel dover pensare: ciò equivale a dire che non si può esistere senza pensare ma, nel momento in cui si pensa, le cose si confondono, si esce già dall’esistenza per avventurarsi in qualcosa che ad essa si sovrappone. La contraddizione kierkegaardiana risulta ancora più evidente nella misura in cui il filosofo danese sceglie di dire la verità anziché farla. Questa dinamica del paradosso è portata al parossismo da Nietzsche, a tal punto che nella sua prospettiva, per riconquistare l’esistenza, la meta ultima sembra essere il ritorno alla mera animalità, all’incoscienza dell’essere; a quello che, nella prefazione di Aurora, egli chiama l’essere “rotondo e beato come un animale marino”. Lo stesso Bataille non fa che radicalizzare Nietzsche, giungendo infine allo smarrimento del principium individuationis e al puro “dispendio”: la natura è spreco e, dunque, l’atto di libertà è sovranità, spreco volontario che inverte la pratica dell’utile. Ma è pur sempre un gesto volontario e logico. Non è un caso che Bataille, in un certo momento della sua vita, abbia smesso di pubblicare saggi, preferendo dedicarsi alla narrativa, come se avesse colto l’inutilità di ciò che scriveva: così, se si legge La storia dell’occhio, si prova un senso di assoluta casualità, di smarrimento e di mancanza di senso. Cercando di avvicinarci alla conclusione, possiamo dire che esistono pensieri che tentano di spiegare logicamente il sacrificio, ma che finiscono presto per riconoscere come qualcosa sfugga sempre alla presa del lògos: questo qualcosa che sfugge è declinato, nei pensatori che abbiamo preso in esame, ora come “trascendente”, ora come “vita”; dove il trascendente è ciò che è sovrarazionale, ossia ciò che sta più in alto rispetto al lògos; mentre la vita è ciò che è prerazionale, ossia ciò che viene prima rispetto al lògos. Al trascendente fanno riferimento de Maistre, Kierkegaard e Girard; alla vita Nietzsche e Bataille. Entrambe le correnti arrivano a capire che o si usa la ragione o si tace: ma usare la ragione sembra impossibile. Ma, se ci poniamo da un punto di vista schiettamente ermeneutico, possiamo legittimamente domandarci se esista una terza via: essa può essere forse rinvenuta nel paradosso; le difficoltà che la ragione incontra parlando del sacrificio la portano inaggirabilmente alla contraddizione. E il paradosso può essere inteso in forma logica (come inciampo del pensiero), in forma religiosa (il credo quia absurdum di Tertulliano), e forse in una terza forma, che ricomprende le altre due e insieme contiene qualcosa di più.