HERDER E HUMBOLDT |
Herder in “ Auch eine Philosophie “ del 1774, sviluppa una visione organicista della storia fondata sul parallelismo tra la vita del singolo uomo e quella dell’ umanità, l’ evento particolare va riletto nel quadro della totalità, nelle “ Idee per la filosofia della storia dell’ umanità “ [ 1784 – 1791 ] abbandona la tesi del parallelismo per vedere nell’ histoire le molteplici manifestazioni dell’ umanità.
In entrambe le opere herderiane, si intreccia un piano provvidenzialistico con una tesi relativa all’ eterogenesi dei fini, ciò in relazione alla fusione compenetrante di storia e natura [ dovuta anche ad un linguaggio naturalistico ], l’ uomo è “ una creatura centrale e intermedia tra gli animali e la terra “, tramite la fantasia, la ragione e la libertà l’ individuo si differenzia dal mondo animale.
Il richiamo alla natura in Herder, si comprende in relazione alla sua giovanile adesione allo Sturm und Drang, un ritorno entusiastico alla natura contrapposta alle convenzioni sociali, nello stesso tempo la dimensione naturale delle Ideen non ha un ruolo irrazionale connesso all’ impeto ed alla violenza, da questo punto di vista si avvicina alla concezione della natura di Goethe.
Jacobi, denunciando l’ ateismo di Spinoza lo rese celebre in tutta Germania, tanto che Herder non perse tempo, definendosi spinoziano, e sostituendo la necessità geometrica dell’ ” Etica ordine geometrico demonstrata “ con la forma leibniziana, per salvaguardare la sfera vitale.
Herder vuole salvare le singole individualità, sia le nazioni che le epoche, che si manifestano nel grande accadere storico; il piano teleologico – finalistico pone in rilievo il valore di ciascuna epoca, mostrando come ogni singola età formuli un determinato giudizio storico, che non può avere una valenza universale.
Herder sostiene l’ inutilità di giudicare il passato alla maniera dei philosophes, cioè alla luce di valori del presente; Burckhardt in “ Sullo studio della storia “, etichetterà l’ approccio alla storia dell’ Illuminismo come una forma di “ impazienza retrospettiva “, pronta a sacrificare una dinastia dei faraoni d’ Egitto, per giungere al governo liberale del re Amasi, più consono con il nostro modo di sentire.
E’ possibile, scorgere al di là delle notevoli differenze che separano i due autori, una possibile connessione, sulla maniera di guardare al passato, non abbattendo quella diversità che separa noi uomini venuti solo dopo, da eventi che godono di una loro irriducibilità ed alterità, e non possono essere comparati con quella facilità di cui si fecero vessiliferi i pensatori francesi.
La considerazione storica di Herder inizia con l’ Oriente, sotto il mite governo paterno, che rappresenta la dimensione del fanciullo, lo spirito umano riceve con estrema facilità e semplicità le prime forme di saggezza e virtù.
In Egitto, l’ umanità formò le sue inclinazioni e la sua conoscenza, questa età rappresenta l’ adolescenza dell’ umanità, sorse la sicurezza della proprietà fondiaria, l’ amministrazione della giustizia, l’ ordine e l’ organizzazione politica, superando il vivere nomade orientale: l’ agricoltura svolse un ruolo fondamentale, il sentimento famigliare si indebolì e divenne cura della famiglia, condizione sociale ed abilità…
I Fenici pur figli della stessa madre orientale, furono in piena antitesi con l’ Egitto, mentre quest’ ultimo si sviluppava nell’ entroterra, i fenici si spinsero fino alla costa, fondando un nuovo mondo sul mare, scomparvero il senso della famiglia, la religione ed il pacifico godimento della vita: se l’ orientale era un fanciullo nutrito a latte e miele, l’ egiziano si cibava di focaccia ed il ragazzo fenicio ormai cresciuto portò “ per le piazze e per le vie in monete spicciole “ i frammenti di un’ antichissima sapienza e abilità.
La Grecia è l’ epoca in cui l’ umanità visse la più bella gioventù e fiorì la bellezza verginale, il ragazzo è troppo cresciuto per la capanna e per la scuola, eccolo nobile giovane dalle membra tutte unte e profumate, “ favorito dalle Grazie “ e “ amante delle Muse “ fu vincitore in Olimpia e in tutte le gare, “ spirito e corpo uniti in un sol fior che sboccia “.
In Grecia nacque la forma governativa della Repubblica, si passò dall’ artigianato all’ arte bella, dall’ agricoltura servile alla libera corporazione dei cittadini, giungendo ad un virtuosismo squisito, leggero e vario.
Con i romani si approdò all’ età virile delle energie e degli sforzi umani, superando le debolezze, guardando al di là del piacere operarono per la patria, con eroico coraggio, che agisce, supera e prepara nuovi progetti. Herder esprime molto bene questo punto dicendo che, il tronco ormai maturo dell’ albero, poteva accogliere sotto la propria ombra, tra i suoi rami, popoli e nazioni; l’ umana natura però non è una divinità perfetta nel bene, il suo sviluppo si riscontra nell’ incitamento alla virtù, alla lotta e al progresso: la perfezione umana è individuale.
I difetti, le anomalie, le incertezze e contraddizioni non destano stupore agli occhi di vuole conoscere il cuore umano in base agli elementi stessi della vita: ogni confronto tra i popoli e le epoche è falso, la felicità non è mai assoluta, ma dipende da tante circostanze e fattori che trascendono l’ ottica unitario – ideale del filosofo, domanda come “ qual’ è stato il popolo più felice ? “ non possono trovare risposta coerente.
Herder sostiene che chi ci ha finora spiegato lo sviluppo della storia, ha costruito un romanzo del progresso verso una maggiore felicità e virtù dei singoli, trascurando così alcuni aspetti e mettendone in luce altri, sono romanzi a cui l’ autentico alunno della storia e del cuore umano non può credere: partendo dalla premessa che ogni cosa sia in eterno sforzo, non si possono operare comparazioni sulla felicità o infelicità delle epoche, ogni popolo costruisce se stesso su ciò che lo ha preceduto, nel corso della storia c’è una finalità divina intrinseca.
Herder in “ Idee per la filosofia della storia dell’ umanità “, enuncia quattro principi di fondamentale importanza per poter sviluppare adeguatamente ed in molteplici direzioni la sua riflessione.
Il primo di questi, afferma che: “ classi delle creature si ampliano, quanto più si allontanano dall’ uomo; quanto più sono vicine all’ uomo, tanto minori sono le specie degli animali cosiddetti più perfetti “.
Il secondo, sostiene la necessità di pervenire ad una forma principale al di là delle varie e differenti manifestazioni nella natura animale e persino inorganica, agli occhi dell’ Essere supremo scrive Herder, sussiste una piena connessione tra la formazione del fiocco di neve e dell’ embrione nel seno materno: “ tutte le creature, quanto più sono vicine all’ uomo Hanno nella forma principale una somiglianza maggiore o minore con lui, e la natura, pur nell’ infinità varietà che mostra di prediligere, sembra aver formato ogni essere vivente della nostra terra secondo un plasma principale della conformazione organica “.
Il terzo principio scaturisce necessariamente dalla formulazione del secondo, proprio perché vi è una forma principale – universale, al di là delle differenti miriadi di specie viventi, un esemplare spiega l’ altro.
L’ ultimo assioma, usando un linguaggio geometrico – euclideo, pone: “ l’ uomo – come - creatura centrale e intermedia tra gli animali, è cioè la forma elaborata in cui si raccolgono i tratti di tutte le specie nella composizione più raffinata “.
L’ uomo è l’ unico essere vivente sulla terra che fa del camminare in modo eretto, un habitus naturale e costante, differenziandosi irrimediabilmente da tutte le altre specie animali, mediante quest’ arte, l’ individuo può avere libere le mani e quindi sviluppare tutte le altre arti.
Quando l’ uomo si innalza sulla terra e sulle erbe, il senso predominante non è più l’ olfatto, bensì la vista che acquista in tal guisa una funzione egemonica, ampliando l’ orizzonte visivo e di comprensione umana.
Herder, ha poi modo di dire, che tutti gli strumenti in possesso, quali il cervello, i sensi e la mano, sarebbero rimasti inoperosi, anche nella figura eretta, senza l’ ausilio del linguaggio, che finisce con il diventare un dono divino che desta la ragione sonnecchiante.
La libertà e la ragione sono i tratti distintivi e fondamentali dell’ uomo, che a differenza della fiera assoggettata alla terra ed agli istinti, è lasciato libero proprio per la sua posizione eretta, Herder mette in rilievo la possibilità di scelta di cui gode l’ umanità, di essere bilancia ma allo stesso tempo volendo anche peso, scegliendo di dare apparenza all’ errore con il rischio di divenire mentitore oppure di amare le sue catene e di adornarle con fiori.
La struttura antropologico – umana è la più alta e complessa a cui poteva pervenire l’ organizzazione terrena, l’ umanità è il culmine della natura, dalla forma più semplice a quella più elevata, si realizza un continuo perfezionamento, che porta l’ istinto ed i bisogni primari delle sfere più basse dell’ essere a raggiungere – nell’ uomo – la dimensione della ragione e della libertà.
La durata della vita – scrive Herder – è proporzionata alla creatura in questione ed alla sua specie, ad un insetto spetta una breve esistenza in quanto la sua riproduzione è copiosa, agli animali con una prole ridotta ed una crescita lenta una vita più lunga rispetto alle ingegnosi api; inoltre quanto più un essere vivente è organizzato, maggiormente la sua struttura è composta da esseri dei regni inferiori.
Herder giunge alla conclusione che nella natura operino leggi invisibili che regolano una vera e propria scala ascendente dove si decide il rapporto di connessione e graduale passaggio che “ percepiamo nelle conformazioni organiche esterne “.
Premettendo in natura un’ operante intelaiatura divina di leggi e principi, è altamente contraddittorio concepire una possibile sparizione della forza, è – sentenzia Herder – una “ contraddizione che sia o diventi nulla “, risulta alquanto problematico ed assurdo che una forza vivente eternamente operante cessi di esistere.
Nella concatenazione delle forme e delle forze, non si presenta né regresso né quiete, ma solo progresso, quando “ i cancelli della creazione furono chiusi “, tutte le forme furono immesse nella natura, e l’ organizzazione è solo “ una loro scala [ si riferisce alle forze ] verso una formazione più alta “.
Herder scorge nella natura umana, una duplicità ontologica non molto lontana dall’ immagine del giunco di pascaliana memoria, l’ uomo è un anello intermedio tra due mondi, come ultimo stadio dell’ animale deve soggiacere a quelle che sono le leggi naturali, come spirito nobile, è destinato a piantare il seme dell’ immortalità in un altro giardino, solo mediante tale premessa, risulta possibile sostenere una filosofia della storia umana.
Così come un soggetto non nasce da sé, così ha bisogno di un ausilio esterno per apprendere ed utilizzare al meglio le sue forze spirituali; posta in questi termini la questione, trova il suo fondamento sull’ educazione intesa come tradizione formativa che permette una salda interconnessione tra tutti gli anelli della catena.
È interessante notare come Herder, attui una distinzione tra l’ educazione genetica mediante la comunicazione ed organica tramite la ricezione e l’ applicazione dell’ insegnamento comunicato, la differenza che intercorre tra i popolo illuminati [ che hanno cultura o i lumi della conoscenza ] e non, non è di specie, ma solo di grado.
Nella molteplicità delle forme viventi, il Creatore onnisciente ama se stesso in ogni sua opera come se fosse l’ unica al mondo, a causa della nostra imperfezione – ha modo di dire Herder – siamo uomini nella misura in cui lo diventiamo, è un processo di trasformazione continua ed incessabile, la vita umana è come un labirinto dove sussistono tante deviazioni e solo poche tracce che possono condurre per un cammino retto.
La felicità dello spirito consiste nell’ aver migliorato qualitativamente le condizioni dell’ umanità, chi sarà capace di compiere un tale gesto, rimarrà immortale oltre il deperimento del corpo e la morte, nella voce di Dio agirà anche come anonimo nel processo formativo – educativo sulle anime dei discendenti.
Nella considerazione della filosofia della storia, è possibile salvaguardare una quadro d’ insieme al di là delle rovine e delle rivoluzioni susseguitesi sulla terra, in questo modo la Provvidenza custodisce l’ operare umano in forme varie e diverse.
Herder in un passo nietzscheano ante – litteram afferma che: “ Nessun monumento umano può tuttavia durare integro ed eterno sulla terra, perché nel fluire delle generazioni era stato costruito soltanto dalle mani del tempo per il tempo e diventa immediatamente dannoso per i posteri, non appena tende a rendere inutili o impedire le loro nuove aspirazioni. “ Idee per la filosofia della storia dell’ umanità.”
L’ imperfezione, la mutevolezza e la stoltezza presenti nel mondo, sono la possibilità più autentica del divenire e del manifestarsi del nuovo, ponendosi come base per il miglioramento, Herder dice quindi che noi siamo su questa terra come in una palestra, per esercitarsi.
In quest’ ottica la Grecia antica diventa il modello inimitabile ed irripetibile dello sviluppo storico, fruendo interamente del suo tempo e raggiungendo una perfezione autentica, aiutata anche da circostanze favorevoli.
La storia umana nella sua totalità è una “ pura storia naturale forze, di azioni e di istinti umani, secondo il tempo e il luogo “, inoltre la disciplina storica è scienza di ciò è e non di ciò che potrebbero soggiacere ai disegni del destino, o a forze demoniache.
Herder nella costruzione della sua filosofia della storia, mostra l’ importanza di pensare i vari popoli in maniera interconnessa, potendo così spiegare le influenze reciproche mediante un rapporto di tempo, luogo e relativo all’ efficacia delle forze naturali.
La civiltà di un popolo rappresenta l’ apice e la fioritura della sua esistenza, si tratta però di una manifestazione bella e fuggevole, Herder dice che laddove fioriva l’ arte e l’ oratoria non poteva svilupparsi il genio militare; ogni genere di “ rischiaramento umano “ ha in comune il fatto che una volta raggiunta la perfezione, non può mantenersi eternamente, né ripetersi ma solo declinare: non è possibile chiedere alla Provvidenza di eternare l’ attimo in cui è iscritta l’ opera perfetta di un uomo o di un popolo, così come non è possibile riavere le energie possedute in giovinezza, ciò a causa della finitezza umana e del tempo.
Herder infatti scrive: “ Questo [ eternare l’ attimo, significherebbe voler annullare l’ essenza del tempo e distruggere l’ intera natura della finitezza ( … ) “ Idee per la filosofia della storia dell’ umanità. “
Una pianta che sfiorisce getta i suoi semi intorno a sé da cui rinasceranno nuove piante, in questo modo Shakespeare non era Sofocle, ma occupava una determinata dimensione nel mondo umano.
Se lo splendore artistico – culturale è raggiunto in Grecia grazie alla vivacità ed alla vitalità delle forze vitali, ciò che invece è stato durato in termine politico – costituzionali lo si è ottenuto mediante un saggio e felice equilibrio, oltre la pigra inerzia e l’ eccessivo movimento: “ la salute e la durata di uno stato non riposano sul punto della sua più alta civiltà “.
Proseguendo nel suo discorso Herder afferma che le forze distruttive oltre ad essere sconfitte dalla quelle conservatrici, finiscono per avere una funzione all’ interno dello sviluppo della totalità: dal caos primordiale all’ armonia del sistema cosmico, anche le tempeste marine che portano morte e desolazione sono frutto di un ordine universale, inoltre quest’ ultimo fa si che nasca un numero notevolmente minore di forze distruttrici che conservatrici, laddove la natura non riesca a eliminare tali cieche furie, possono intervenire l’ arte politica e la ragione umana, che tendono a rendersi sempre più illuminanti [ Herder dice che se la natura ha fatto sì che vi siano le tempeste in mare, l’ uomo è riuscito però a costruire le navi mediante la tecnica, dal fuoco sono scaturite mille arti; è interessante notare come il filosofo tedesco affermi che solo grazie alle passioni l’ individuo ha potuto superare il suo stadio di troglodita pervenendo alla ragione ]
L’ ottica herderiana si colora di un ottimismo nella misura in cui afferma l’ esistenza dell’ errore e del male, ma lo assume come “ utile “ potendo così permettere all’ umanità di superare di volta in volta determinati livelli qualitativi, dopo Roma – scrive Herder – non ci fu più nessun Impero che edificò la sua potenza sulla guerra e le numerose conquiste.
Lo scopo della nostra esistenza attuale è la formazione dell’ umanità, i sensi devono essere educati in vista dell’ ingegno, gli impulsi per la libertà, le energie al fine di pervenire all’ amore tra gli uomini; è raro che questo eterno fine venga raggiunto sulla terra, in molti popoli la ragione rimane imprigionata dall’ animalità, il vero e la virtù finiscono con l’ essere cercate su strade sbagliate, sono quindi pochissimi gli uomini per i quali l’ umanità, che ci rende simili a Dio, è un autentico compito esistenziale.
Così come la mano formatrice respinge ciò che è meno nobile in natura, altrettanto dobbiamo pensare per l’uomo, che perverrà alla vera fioritura della sua umanità: la natura e la storia ci mostrano in maniera inequivocabile il compito dell’ individuo.
L’ uomo nel commettere determinati errori o nell’ usare le doti di cui è disposto, agisce in piena libertà, senza che Dio “ gli leghi le mani “, salvezza e dannazione sono intese come possibilità, la storia si viene a delineare come la scuola di emulazione “ per conquistare la più bella corona dell’ umanità e della dignità umana. “
Nel destino dell’ uomo sussiste una saggia bontà, chi segue il disegno della Provvidenza raggiunge il suo più alto grado di dignità e felicità; coloro che vedono nella Provvidenza un mero fantasma che “ si deve fare loro incontro a ogni angolo di strada o che deve incessantemente interrompere il corso delle azioni umane, per realizzare questo o quel particolare scopo della loro fantasia e del loro arbitrio “, fanno sì che la storia diventi la tomba della Provvidenza.
Herder cerca nella storia lo stesso Dio “ che c’è nella natura “, le leggi che agiscono nella sfera naturale sono le medesime che compaiono nella storia, portando in sé “ l’ impronta di una bontà sapiente, di un’ elevata bellezza, anzi della necessità interna “.
Sulla nostra terra ha preso vita tutto ciò che doveva prendervi vita, tra le varie forme organiche, l’ uomo è “ la corona della creazione “, nel suo carattere si trova il “ fondamento della sua durata e felicità, l’ impronta della sua destinazione “; il carattere a cui fa riferimento Herder, è la ragione [ sia pratica che teoretica propagatasi di generazione in generazione, come tratto distintivo umano ], mediante la quale l’ uomo conosce il linguaggio di Dio nella creazione, tale facoltà agisce non in modo arbitrario, bensì necessariamente come la creazione divina.
Il soggetto umano ha una natura complessa e costituita da vari elementi, proprio perciò risulta alquanto problematico tornare all’ equità per la via più breve; anche se un solo uomo avesse fatto la sua comparsa sulla terra si sarebbe realizzata in lui l’ esistenza umana.
Nonostante la ragione umana fosse molto spesso deviata da prepotenti passioni, il peso dell’ errore, della malvagità e dell’ irragionevolezza, consiste nel fatto che trovi in se stesso la sua punizione.
Per ogni individuo la felicità della totalità diventa “ il proprio bene maggiore “, così chi soffre per causa di un male che pervade il tutto, ha il diritto di allontanarlo da sé; la natura – dice Herder – ha avuto di mira la felicità degli uomini che vivono nel suo regno, paradossalmente la pena per i misfatti di un sovrano sarà più lenta rispetto a quella per un semplice uomo: “ anche il supremo governante dell’ Europa rimane soggetto alle leggi naturali del genere umano come il più misero del suo popolo “.
La stoltezza ed i vizi si esauriscono sia nel singolo che nella storia universale, nel momento in cui la ragione fa il suo ingresso trionfale portando equità, questo significa che il male alla fine deve assoggettarsi “ all’ ordine o perire “.
Herder può quindi dire che è una mera fantasticheria aspettarsi nel futuro uomini totalmente ragionevoli, giusti ed equi: “ Con la guida di questo filo conduttore mi addentro nel labirinto della storia e vedo dappertutto un ordine divino armonico, giacché tutto quello che mai può accadere accade, e ciò che può operare opera. Ma soltanto la ragione e l’ equità durano, mentre la stoltezza e la follia devastano se stesse e la terra. ““ Idee per la filosofia della storia dell’ umanità.”
Humboldt.
Come in Herder, anche in Humboldt si pone il problema di salvaguardare il singolo evento ed il suo intrinseco valore non alienabile in una totalità che nonostante ciò, non può venir trascurata; la formazione di Humboldt non è come quella di Herder tout court umanistica, bensì di tipo antropologico – politico, da un lato egli si fa portavoce di un liberalismo filo – Locke, concependo lo Stato come struttura minima finalizzata a custodire la libertà individuale, e dall’ altro l’ antropologia comparata mette in rilievo le differenze interindividuali.
Nelle “ Considerazioni sulla storia del mondo “, Humboldt asserisce la non omogeneità del processo storico, così come compaiono una serie di leggi necessarie che permettono di fare delle previsioni, vi sono anche elementi contingenti connessi all’ imprevedibilità della libertà umana, non esauribile in uno sviluppo deterministicamente inteso.
Nell’ ottica humboldtiana esiste un piano provvidenzialistico – divino, un “ governo del mondo “, ma tale ordine globale c’è nella misura in cui sussistono le singole individualità, a testimonianza di ciò, noi possiamo pervenire a tale quadro unitario sempre e solo a – posteriori: ponendo una frattura tra ragione e realtà, Humboldt è critico verso la storiografia illuminista e nei confronti dello stesso Herder.
Humboldt in questo senso elabora un individualismo su base metafisica, in cui l’ individualità non concerne soltanto l’ individuo, ma valori, nazioni e lingue diverse, il mondo della storia è l’ intrecciarsi di una poliedricità di lingue differenti, è la rivoluzione dell’ idea di umanità percepita come cerniera tra l’ individuo e la totalità: l’ umanità è un ideale giustapposto al singolo e mai perfetto.
Karl Wilhelm von Humboldt nato a Potsdam nel 1767 [ morì a Berlino nel 1835, dopo aver riordinato il carteggio con Schiller e scritto una lunga serie di poesie di scarso valore letterario ], fratello dell’ insigne naturalista Alexander, ebbe una prima formazione illuministica per poi distaccarsene in nome dell’ individualismo, rappresentando un intellettuale polivalente, dedico a studi di vario tipo, dalla linguistica alla filosofia, rivestendo inoltre un ruolo diplomatico – politico e viaggiando in vari stati europei. Fu importante per aver promosso insieme a Winckelmann lo studio del mondo greco nei licei tedeschi, e per l’ organizzazione dell’ università di Berlino in collaborazione con Schleiermacher.
L’ arte è definita da Humboldt come l’ idealizzazione della natura attraverso l’ immaginazione, quest’ ultima sganciando il soggetto dal condizionamento spazio – temporale dona autentica libertà, nel formulazione questa teoria il filosofo tedesco subisce l’ influsso schilleriano con il quale aveva avuto un carteggio e quello kantiano.
Dopo alcuni insuccessi a livello di progetti costituzionali, a causa del sua posizione filo – liberale, dedicò i suoi ultimi anni, nello studio comparato delle lingue, divenendo il padre della linguistica, la sua riflessione sul linguaggio per molti versi risente della teoria herderiana, Humboldt vede nella lingua un tutto organico in cui le parti rimandano al tutto e viceversa, è poi l’ uomo a compiere arbitrariamente distinzioni fisico – spirituali.
Il pensatore tedesco sostiene il carattere genetico della lingua che partita da una dimensione soggettiva del parlante si oggettiva nella parola pronunziata per ritornare al soggetto come parola udita, è quindi un processo di sintesi tra soggetto ed oggetto, spirito e materia, in cui la sfera l’ individualità nazionale ha una funzione predominante.
La sua produzione relativa alla filosofia della storia non si può comprendere, se non alla luce delle sue opere sul linguaggio e l’ estetica, tra i suoi scritti di maggior rilievo, ricordiamo “ Considerazioni sulla storia universale “ del 1814.
Humboldt critica in maniera radicale tutte le quelle teorie che ha preteso di ricondurre tutti i fatti particolari sotto un unico punto di vista, in sistemazioni astratte e meramente intellettuali, Kant è il primo che si fa portavoce di questo modo di concepire la storia, che finisce poi per soppiantare la storia stessa, Humboldt critica ferocemente il teleologismo storico dei pensatori dell’ Illuminismo.
I difetti principali consistono nell’ operare molto spesso forzature per connettere fatti dislegati tra loro, realizzando considerazioni unidimensionali, che non tengono conto dell’ universo e della natura, e radicalizzano il processo sociale.
“ Il genere umano – scrive Humboldt – è una pianta naturale come il genere dei leoni e degli elefanti “, con la sola differenza che in noi oltre alle forze visibili, deve essere associata l’ idea della lingua e della libertà; il singolo sta in relazione alla sua nazione soltanto “ in guisa di individuo, “ come una foglia in rapporto all’ albero “, così dalla scala dell’ individualità mediante una serie di passaggi si perviene infine al genere umano. Quando un individuo [ o una nazione ] raggiunge ciò che deve essere all’ improvviso si parla di perfezione, in genere – nota Humboldt – il periodo che intercorre tra la perfezione ed il suo declino, è quello migliore.
La natura genera ogni creatura solo nella fase della giovinezza essendo fertile, il perfezionamento dell’ umanità non si compie per passaggi intermedi, bensì tramite “ nuovi tentativi della natura che genera con forza “, le idee passate vengono conservate e danno frutti quando “ vengono afferrate da una forza nuova o rinnovata “.
Nella storia oltre al perfezionamento del genere umano agisce la vita, risulta quindi opportuno prendere in considerazione entrambi i fattori; Humboldt afferma l’ importanza di condurre un’ analisi che sia capace di giungere ad un piano universale, solo nella storia universale è possibile cogliere “ la pienezza e la molteplicità della forza compresa nell’ umanità “, quest’ ultima può agire nella natura esclusivamente in guisa corporea, e lo spirito che la domina “ sopravvive al singolo e pertanto la cosa più importante nella storia universale è l’ osservazione di questo spirito che avanza,che si trasforma, ma che talvolta anche scompare “.
Non esiste sul piano reale nessuna distinzione e separazione tra spirito e natura, il primo fa uso della seconda per la sua potenza generatrice, siamo noi che – a causa della nostra limitatezza, separiamo ciò che separato non é.
È sbagliato credere in un processo di perfezionamento continuo, è invece giusto pensare che “ la forza della natura e delle idee rimane inesausta e che nulla di nuovo può essere generato senza interessare anche il nostro essere “ in piena connessione ed unione con il tutto.
Il compito dell’ uomo è quello di rinnovare la fertilità conservando “ sempre vive le generazioni spirituali “, occorre quindi un vivificazione passante per il sentimento e lo spirito.
Nei confronti del genere umano sorto sulla terra, che oltre ad aver colonizzato nuovi spazio all’ insegna di maggiore senso della socievolezza rispetto all’ animale, ha compiuto rivoluzioni e guerre mosso da istinti fisici e relativi all’ immaginazione, dobbiamo adottare un’ indagine che verta sulle cause efficienti e non finali.
La storia considerata come dimensione naturale, presenta una dialettica tra una propulsione ad agire e generare ed una forma di inibizione, inoltre in ogni declino c’è sempre speranza e sostituzione, l’ uomo è “ natura intellettuale “ in cui si connettono lo spirito e l’ idea; Humboldt scrive con tono severo: “ Ma improvvisamente ciò che di più nobile è stato prodotto dallo spirito viene di nuovo inghiottito dagli accadimenti naturali o dalle barbarie; è evidente che il destino non rispetta le costruzioni dello spirito: questa è la spietatezza della storia universale. “ Considerazioni sulla storia universale.
Il difetto principale dell’ attuale storia universale – sentenzia Humboldt – consiste nel forgiare visioni unidimensionali che radicalizzano la dimensione intellettuale – culturale, concependo il progresso in termini astratti e trascurando la varietà delle forme individuali; il modello di “ Weltgeschichte “ di cui si fa vessilifero il pensatore tedesco, prende in considerazione le singole nazioni quanto influenze a breve ed a lungo termine che di idee, sia sul piano particolare che generale dell’ umanità.
Inoltre, Humboldt afferma la capacità del suo archetipo storico – universale di studiare attentamente ogni nuovo ed interessante fenomeno della storia umana, dotato di un profondo insegnamento e valore, tre sono le modalità in cui viene formulata tale prospettiva: in primis come parte della forza dell’ universo, in secundis come gomitolo costituito da fili corti e lunghi intrecciati e tale da essere penetrato a fondo, infine come misura della felicità e della perfezione umana, finalizzata all’ accrescimento di entrambe.
Nella tesi humboldtiana non c’è né l’ intenzione di pervenire al destino del genere umano mediante una metodologia che ricostruisce casualmente tutti gli eventi dell’ uomo, né di scorgere nella storia un progresso ed un miglioramento continuo.
Humboldt definisce la sua considerazione non una filosofia della storia universale, bensì una “ fisica di quella storia “, proprio per distanziarsi delle precedenti trattazioni, che non consideravamo minimamente l’ ambito naturale; bisogna quindi interessarsi alle cause motrici e non a quelle finali, “ il concetto di una Provvidenza che governa gli avvenimenti del mondo “ è accontento in quanto “ sbarra la strada ad ogni ulteriore indagine “ [ Humboldt non nega una dimensione “ provvidenziale “ nella storia, ma la esclude come parametro interpretativo, possiamo quindi pervenire all’ unità solo e sempre a posteriori e mai in maniera nitida ] : “ Le cause motrici a noi conoscibili possono venir trovate esclusivamente nella natura e nella configurazione di ciò che è stato creato dalla quella causa primaria e superiore. “ Considerazioni sulle cause motrici della storia universale. “
Le cause motrici della storia universale sono motrici nella misura muovono i destini umani, sono “ le forze della generazione, della educazione e dell’ inerzia “, per mezzo della prima sorgono nuove nazioni ed individui, tutti i moti di insediamento e migrazione, sono riconducibili a cause “ geografiche, climatiche e fisiche “.
Secondo Humboldt “ i più luminosi esempi di nazioni che la storia presenta “ siano scaturiti “ dal nulla “, lo testimoniano i Greci ed i Romani, che seppure nella loro diversità, hanno in comune questa caratteristica, i primi con la loro sfera artistica impediscono qualunque forma di “ formazione graduale “, Roma quando nacque aveva in sé “ l’ idea di uno stato che non cede mai e che si allarga sempre di più “.
L’ educazione è ciò a cui tendono gli individui e le nazioni, bisogna però capire fino a che punto l’ educazione possa esercitare una forza, Humboldt a questo punto prende in considerazione la Francia, nazione dove l’ educazione gioca un ruolo di primaria importanza: “ le idee su cui poggiano la religione, la costituzione politica, la vita pubblica, domestica o solitaria “ sono “ le forze formatrici delle nazioni “.
La forza dell’ inerzia, è quella resasi manifesta nella vita animale ed in quella intellettuale e morale, “ l’ uniformità degli Egiziani, degli Indiani, dei Messicani e così via è un lento frutto di questa forma “
Tre sono i campi che esercitano una forza causale sull’ avvenimenti del mondo: la natura delle cose, la libertà dell’ uomo e la fatalità del caso.
La prima “ è predeterminata in maniera assoluta oppure entro certi limiti “, rientra la natura morale dell’ uomo in quanto singolo e massa, che riceve determinate impressioni e reagisce “ in maniera pressoché uguale “; da questo punto di vista le considerazioni sul passato e sul futuro possono godere di uno statuto quasi matematico, conoscendo però le cause agenti.
Humboldt sostiene come sussista una determinata uniformità in alcune vicende umane, nella crisi dell’ Impero romano inscritta nel carattere dei romani, si svela una dimensione “ deterministica “ proprio perché alcune volte le azioni arbitrarie umane acquistano il “ carattere della natura “ che ritorna sempre su stessa.
Si tratta di un’ interpretazione – come scrive Humboldt – “ meccanica o addirittura fisica “, capace di indirizzare lo studioso verso una perfetta conoscenza della reciproca dialettica tra forze e reattivi nella storia: nell’ interna natura di lingue quali il latino, il greco e il francese, permettono di capire come la loro bellezza e vitalità dipenda da una fondamento materiale, quale il “ modo di sentire delle nazioni attraverso il cui animo e le .cui labbra è passata “ e non dalla cultura [ una lingua cessa di vivere quando il popolo che la parla non è più una nazione].
Una corretta storia universale non trascura gli eventi singoli e non fa naufragare il particolare ed l’ individuale in una totalità nichilizzante, se c’è una dimensione universale, è tale nella misura in cui sussistono tutta una serie di ambiti interconnessi tra loro.
Quando la connessione sfiora la sfera della libertà non è più possibile compiere meri calcolo, l’ elemento innovativo e sperimentale promosso da una mente illuminata quale quella di un artista, un poeta, un pensatore o da una potenza grandiosa [ politico ] , rappresenta “ la parte bella ed entusiasmante della storia universale “: irrompe “ la forza creativa del carattere umano “ che non essendo “ suscettibile di una spiegazione meccanica “ va contro alla connessione naturale “ a cui siamo abituati “; la passione autentica e la genialità sono fondamentali per raggiungere l’ innovazione.
L’ azione del genio e della passione profonda, appartengono ad un ordine non meccanico, ed ogni individualità ha in sé una causa motrice, indipendente e al di là di ogni possibile influenza subita, è una fonte d’ attività.
Nella storia universale si intrecciano la necessità naturale e la libertà [ che agisce a volte in maniera a noi ignota ], limitandosi a vicenda, la prima è più evidente nella massa e nel genere, la libertà è di dominio invece del singolo; per comprendere dove si esaurisca il giogo della necessità, occorre soffermasi – scrive Humboldt – sull’ individualità umana, prendendo coscienza del fatto che il rapporto tra i due termini non sarà mai “ soddisfacentemente risolto “ ne per via esperienziale che intellettiva.
Le forze creatrici non si esauriscono nell’ ambito dell’ evidenza, poiché la sfera delle idee [ idea che mi priva si svela come tendenza impercettibile, per poi divenire forza, quest’ ultima è ad esempio l’ arte pura in Egitto ] che supera la necessità naturale e del finito, fa giungere lo storico in un punto, che per spiegarsi gli avvenimenti deve andare al di là dei medesimi.
L’ idea può albergare anche nella sola individualità dando risultati sorprendenti, l’ elemento davvero prodigioso consiste nel cogliere sempre l’ inizio primordiale persino quando è presente nell’ interconnessione naturale.
Se la creazione nel mondo fisico avviene tutta ad un tratto, nella dimensione spirituale si assiste ad una crescita graduale nel tempo, Humboldt dice che lo spirito trova una valida analogia con il mondo organico e le sue leggi, che con la figura e la struttura fisica.
Ogni individualità umana è “ un’ idea radicata nel fenomeno, e in alcune ciò appare con uno splendore tale che esse sembrano aver assunto la forma dell’ individuo soltanto per rivelarsi ad esse “; l’ individualità umana e nazionale in quanto principio spirituale è più duratura ed operante che gli avvenimenti stessi.
Vi sono forme individuali che anche se non coincidono con l’ individualità umana, fanno riferimento ad essa in modo mediato, è il caso delle lingue: “ ogni lingua importante appare come una forma peculiare di produzione e di comunicazione di idee. “ Sul compito dello storico, Humboldt.
L’ ottica umana a causa della sua limitatezza non può pervenire direttamente a cogliere “ i piani del governo del mondo “, ma può “ presentirli nelle idee in cui si rivelano “, la storia è la realizzazione di un’ unica idea, intesa come forza e mèta, in questo modo movendosi dalle forze creatrici si giunge alle cause finali mediante le quali lo spirito agisce.
Il compito dello storico è quello di esporre ciò è accaduto nella maniera più compiuta e netta possibile, da questo punto di vista egli non è un creatore autonomo, ma “ solo un ricettacolo e veicolo “, inoltre l’ accaduto è solo parzialmente manifesto ai sensi, servono quindi i sentimenti, la deduzione e la congettura allo studioso di storia.
Humboldt pone in rilievo la frammentarietà e la dispersione di ogni fatto, l’ intimo nesso causale su “ cui poggia unicamente anche la verità interiore “ è ciò che lo storico deve illuminare.
Se nella ricezione immediata non è autonomo creatore, nel momento in cui “ egli deve elaborare in una totalità il materiale disperso “, plasmando con una forza personale un insieme caotico di fatti assume una creatività, non intesa con l’ aggiungere ciò non c’è, ma come ricostruzione di una visione sull’ intero.
Il poeta e lo storico, hanno in comune l’ utilizzo della fantasia, ma nel secondo non si tratta di una fantasia pura, è sempre assoggettata all’ esperienza e a “ un’ opera di penetrazione della realtà “, è una capacità di “ presentire e talento di connettere le cose “.
Lo storico deve mirare “ al necessario “, non subordinando come fa il poeta la materia al dominio della necessità della forma, egli deve tenere ferme nella mente “ le idee che sono le leggi della necessità “, perseguendo tutte le direzioni dello spirito [ prendendo in considerazione l’ ambito mondano e quello sopra – mondano ], di cui la poesia, l’ esperienza e la speculazione sono manifestazioni connesse tra loro: “ l’ occuparsi di essa [ della storia in quanto disciplina scientifica ] è un’ arte libera e in sé compiuta non meno che la filosofia e della poesia.
“ Come la filosofia mira al primo principio delle cose e l’ arte all’ ideale della bellezza, così la storia tende a dare al destino umano un quadro di fedele verità, di vivente pienezza e pura chiarezza, sentito da un animo talmente immedesimato nell’ oggetto che le opinioni, i sentimenti e le pretese personali vi si perdono e dissolvono. “ Sul compito dello storico.
La storia ha un legame con la dimensione pratica, non tanto illuminando negli eventi singoli le cose da fare ed evitare, la sua vera utilità consiste nel servirsi della forma connessa agli avvenimenti, per vivificare il talento di esporre la realtà: il miglior modo per intervenire nel migma dei fatti è quello di scoprirvi “ gli indizi ideali di volta in volta predominanti e di attenervisi con fermo intendimento. “
Lo storico deve rappresentare ogni vicenda come “ parte del tutto “, rivolgendosi verso le forze agenti e creatrici, desumendo la forma degli avvenimenti da questi ultimi.
Humboldt spiega come ciò sia permesso, mediante quella dialettica originaria tra soggetto ed oggetto, che si verifica tra l’ accadere universale e l’ intimo animo umano; il fine dello studioso di storia [ compito non semplice ] consiste “ nell’ esporre la tendenza di un’ idea, conferirle esistenza nella realtà “.
La storia è governata da un’ idea “ non immediatamente percepibile “, conoscibile negli eventi stessi, serve quindi una buona dose di libertà e delicatezza, non soffermandosi ad un mero approccio immediato, senza inoltre fare violenza alla “ semplice e vivente verità “ degli avvenimenti.