Gottlob Frege (1848-1925)

 

 

A cura di Matteo Areni

 

 

Friedrich Ludwig Gottlob Frege è stato un matematico, logico e filosofo tedesco che può essere considerato il padre della logica moderna e della filosofia analitica. Infatti, la sua opera Begriffsschrift (Ideografia) del 1879 ha segnato una vera e propria rivoluzione della logica, che era sostanzialmente rimasta inalterata dopo la formulazione di Aristotele. In quest'opera, che è stata addirittura definita “la singola opera più importante che mai sia stata scritta in logica”, Frege sviluppa un linguaggio formale che rappresenta tuttora il punto di partenza per quelli utilizzati in età contemporanea.

 

Frege professava una spiccata diffidenza nei confronti dei cosiddetti “linguaggi ordinari”; pur riconoscendone l’indispensabilità per gli scopi della vita quotidiana, egli li considerava strumenti inaffidabili per chi volesse impegnarsi nella ricerca teorica. Frege fu spinto a questo pensiero dalla constatazione che i linguaggi ordinari sono ambigui, presentano insidie e problemi che spesso ci portano a gravi incomprensioni:

 

«compito della filosofia è spezzare il dominio della parola sullo spirito umano, svelando gli inganni che, nell’ambito delle relazioni concettuali, traggono origine, spesso quasi inevitabilmente, dall’uso della lingua, e liberare così il pensiero da quanto di difettoso gli proviene soltanto dalla natura dei mezzi linguistici».

 

Nonostante quest'avversione verso i linguaggi ordinari Frege li tiene in grande considerazione, anzi, nelle opere del logico sono presenti alcune delle pagine di analisi dei linguaggi naturali più lucide che siano mai state scritte. Questo perché Frege credeva che per eliminare le insidie dei linguaggi naturali fosse fondamentale capire il loro esatto funzionamento, sia per quanto riguarda le strutture che per quanto concerne le parole. L’ideografia, infatti, oltre a mostrarci questo nuovo linguaggio, alternativo a quello naturale, può anche essere letta come un’esplicitazione dei meccanismi espressivi che nel linguaggio ordinario rimangono celati, non compresi. Procedendo nella sua indagine Frege elabora quindi la sua teoria semantica basata su alcuni principi che assumeranno un valore importantissimo nello studio della logica successiva tanto che, anche se alcune soluzioni del filosofo non sono probabilmente più sostenibili, nelle discussioni contemporanee i temi trattati in materia sono i classici temi su cui si dedicò lo stesso Frege.

 

 

 

 

 

Über Sinn und Bedeutung

 

Frege contro Agostino

 

Senso e denotazione, testo pubblicato nel 1892, è forse il più importante articolo di filosofia del linguaggio scritto da Frege. Senza pretendere di esaurire i compiti della disciplina, possiamo dire in breve che la filosofia del linguaggio si occupa di comprendere il linguaggio umano e di capire i suoi rapporti con pensiero e realtà. Per comprendere le idee di Frege possiamo partire dall’analizzare un’immagine del processo di apprendimento donataci da un famoso passo delle Confessioni di Agostino che, almeno in linea generale, rappresenta l’idea che si aveva in materia prima della logica contemporanea.

 

Confessioni,I,8: « Quando (gli adulti) nominavano qualche oggetto, e, proferendo quella voce, facevano un gesto verso qualcosa, li osservavo e ritenevo che la cosa si chiamasse col nome che proferivano quando volevano indicarla. (…) Così, udendo spesso le stesse parole ricorrere al posto appropriato in proposizioni differenti, mi rendevo conto poco a poco di quali cose esse fossero i segni e avendo insegnato alla lingua a pronunziarle, esprimevo ormai con esse la mia volontà».

 

Questo passo non rappresenta una vera e propria teoria del significato tuttavia estrapolandone i concetti possiamo formularne una in questo modo: le parole del linguaggio denominano oggetti e gli enunciati sono connessioni di tali denominazioni. Il significato di una parola è dunque l’oggetto per il quale la parola sta. Comprendere una parola, “sapere cosa significa”, equivale a sapere per quale oggetto essa stia.

 

La logica contemporanea nasce proprio quando Frege avanza delle tesi per respingere questa immagine che giudica troppo superficiale; in particolare secondo Frege il significato di una parola non si esaurisce nell’oggetto che essa denota, ci deve essere qualcosa in più. Non solo la denotazione/riferimento (Bedeutung) dunque, ma anche qualcos’altro. In particolare se il rapporto con l’oggetto denominato esaurisse il significato di una parola, allora non riusciremmo a spiegare certe differenze evidenti tra enunciati riguardo al loro diverso “valore informativo”. Per fare un esempio freghiano, considerando la tesi agostiniana non si riesce a comprendere come mai gli enunciati “Espero è uguale ad Espero” e “Espero è uguale a Fosforo”, pur denotando lo stesso oggetto (il pianeta Venere), ci forniscano valori informativi molto differenti; infatti il primo enunciato non ci dice nulla di nuovo, mentre il secondo reca con sé un importante valore informativo poiché rappresenta una scoperta astronomica di notevole importanza (Fosforo ed Espero, rispettivamente il primo pianeta a comparire la sera e il primo a comparire la mattina, in realtà sono lo stesso pianeta, cioè Venere). Appare dunque chiaro che la parola non esaurisce il suo significato nel denotare l’oggetto per cui sta, ma porta in sé qualcosa che è appunto responsabile della differenza di valore informativo. Frege nella sua terminologia distinguerà appunto la denotazione (Bedeutung), ossia l’oggetto per cui la parola sta, dal senso (Sinn), ossia dal suo valore informativo e applicherà questa distinzione a tutte le categorie di espressioni linguistiche (termini singoli, enunciati e predicati).

 

Senso e denotazione nei termini singolari

 

Per capire meglio questa distinzione fondamentale analizziamola innanzitutto in riferimento ai termini singolari, che possiamo distinguere in “nomi propri” ed “descrizioni definite”. Cosa sono i nomi propri non è necessario spiegarlo; per eventuali esempi nel corso della trattazione useremo il nome proprio “Aristotele”. Per descrizioni definite intendiamo invece i termini singolari che iniziano con un articolo determinativo e singolare; in questo caso useremo come esempi “il maestro di Alessandro” e “ il discepolo di Platone”.

 

Definiamo denotazione/riferimento di un nome N, l’oggetto di cui N è nome, mentre definiamo denotazione/riferimento di una descrizione definita D, l’oggetto/cosa inanimata/entità astratta che D descrive. La denotazione del nome “Aristotele” è dunque Aristotele in carne ed ossa; la denotazione della descrizione definita “il discepolo di Platone” è Aristotele.

 

La nozione di senso rappresenta invece il “differente modo di essere dato del riferimento”. Prendendo in esame le descrizioni definite, notiamo come ognuna di esse ci presenta l’oggetto in un determinato modo, ce lo mostra da un punto di vista particolare. Ad esempio se uso la descrizione definita “il discepolo di Platone” induco a pensare ad Aristotele da quel determinato punto di vista mentre se uso “il maestro di Alessandro”, pur continuando a denotare lo stesso individuo, lo mostro da un altro punto di vista. Notiamo come il riferimento sia lo stesso ma preso in considerazione da due diversi punti di vista, da due sensi differenti.

 

Ora che abbiamo chiarificato in parte la complessa nozione di senso possiamo cercare di comprenderla in riferimento ai nomi propri. È infatti difficile attribuire la nozione di senso ai nomi propri come “Aristotele”. Secondo Frege il nome proprio può essere considerato un’abbreviazione di una descrizione definita ed il senso del nome è quello della descrizione definita. Tuttavia è difficile comprendere di quale descrizione definita il nome “Aristotele” sia abbreviazione; infatti potrebbe essere sia “il discepolo di Platone” sia “il maestro di Aristotele” (e tanti altri). È proprio notando questa difficoltà che Frege individua il primo difetto del linguaggio naturale: l’impossibilità di attribuire uno specifico senso ad un nome proprio è dovuta al fatto che parlanti diversi associano ad un medesimo nome sensi diversi. Questo naturalmente genera grandi ambiguità e incomprensioni che in un linguaggio formale dovrebbero essere evitate; in particolare un linguaggio ideale dovrebbe associare a ogni nome uno e un solo senso fissato in modo preciso. Questo punto è riproposto in modo sistematico da Frege, il quale non esita ad affermare che è solo in virtù del senso che le espressioni hanno un riferimento. Se a un nome N non corrisponde alcun senso, nessun modo di essere dato, non c’è nulla che determini di quale oggetto N è nome, e quindi N non è nulla, non esiste. Comprendiamo, dunque, che il senso associato ad un nome N ci permette di richiamare nel discorso l’ente che gode di quelle determinate proprietà espresse dal senso, di isolarlo e di attribuirgli il nome N.

 

Differenze tra senso e tono e tra senso e rappresentazione

 

Frege ci avverte che nel considerare il senso di un termine singolare bisogna stare attenti a non confonderlo con le “rappresentazioni” (Vorstellungen) che a esso si collegano. Il senso è infatti una nozione logica che può essere afferrata da chiunque e su questo si basa la possibilità della comunicazione per mezzo del linguaggio. Le rappresentazioni, che sono propriamente le immagini, le sensazioni e gli stati d’animo che evocano in noi le parole, sono invece nozioni psicologiche e “eminentemente soggettive”. Si ricordi che Frege attribuisce anche al senso un certo grado di soggettività (parlanti diversi associano a uno stesso nome sensi diversi), tuttavia tutti siamo in grado di cogliere un senso e riferirlo al nome che denota mentre l’incomunicabilità rappresenta l’essenza stessa delle rappresentazioni.

 

Frege ci ricorda anche di non confondere la nozione di senso con quella di tono. Il tono di una parola è una particolare sfumatura che il termine possiede, ed essa non influisce sul senso. Per fare un esempio, le espressioni “cavallo” e “destriero” hanno il medesimo senso ma varia il loro tono, ossia la sfumatura estetica/linguistica dell’espressione. Questo principio si applica anche alle  traduzioni (“la regina di Inghilterra” e “la Reine d’Angleterre”), che sostanzialmente variano il tono dell’enunciato ma non il loro senso. Certo, sarebbe auspicabile che la traduzione mantenesse anche un tono più vicino possibile all’enunciato di partenza, tuttavia ciò che risulta veramente importante è il non variarne il senso. Partendo da queste considerazioni sul tono Frege individua un altro problema del linguaggio naturale che consiste nel veicolare contenuti in forma implicita. In particolare questa considerazione nasce dall’osservare che l'espressione “e” e “ma” hanno lo stesso tono quindi una frase del genere “Benedetta è bella e intelligente”  dal punto di vista logico ha lo stesso senso di “Benedetta è bella ma intelligente”. Tuttavia queste due espressioni differiscono in qualcosa perché la seconda ci comunica implicitamente un'opposizione tra bellezza e intelligenza. In effetti, sentendo pronunciare questo secondo enunciato, il pensiero che ci viene veicolato sarebbe grossomodo questo: “Benedetta pur essendo bella è intelligente”. Per alcuni questa capacità di comunicare implicitamente contenuti, insita nei linguaggi naturali, rappresenta la potenza e la ricchezza degli stessi; tuttavia dal punto di vista logico questo deve essere considerato un difetto poiché è una delle cause principali di ambiguità e fraintendimenti, che un linguaggio ideale non dovrebbe possedere.

 

Der Gedanke

 

Senso e denotazione negli enunciati

 

Ora occupiamoci della distinzione di senso e significato per quanto riguarda gli enunciati. Prima di introdurre il discorso ricordiamoci alcuni concetti fondamentali. Gli enunciati sono quelle proposizioni alle quali possiamo attribuire un valore di verità (vero o falso) mentre le condizioni di verità di un enunciato rappresentano il modo in cui il mondo dovrebbe essere affinché l’enunciato sia vero. Comprendere un enunciato significa dunque sapere quali sono le sue condizioni di verità, ossia sapere come dovrebbe essere il mondo per far si che l’enunciato né costituisca una descrizione appropriata.

 

Secondo Frege il senso di un enunciato è il pensiero (Gedanke) che esso esprime, il suo contenuto oggettivo. Il logico aggiunge che agli enunciati, nonostante la definizione secondo la quale possono essere veri o falsi, non si potrebbe attribuire verità o falsità perché queste proprietà sono da attribuire essenzialmente ai pensieri che gli enunciati esprimono. Infatti, i valori di verità (vero e falso) di questi ultimi sono oggettivi e stabiliti una volta per tutte; i pensieri sono veri o falsi in maniera assoluta indipendentemente da qualunque essere umano. Questi concetti espressi da Frege vanno opportunamente discussi in quanto a prima vista sembrano assolutamente inverosimili. Se prendiamo un enunciato del tipo ”Io sono italiano”, il suo valore di verità varia secondo chi pronuncia tale enunciato; per esempio si dirà qualcosa di vero se e solo se chi lo proferisce è realmente italiano. Questo sembra contraddire la teoria freghiana appena esposta, in base alla quale i pensieri esprimono un valore di verità assoluto e oggettivo. Frege si occupa di questo problema in un articolo del 1918 chiamato “Der Gedanke” e lo risolve in maniera molto semplice. Infatti, quando un enunciato viene proferito da persone differenti cambiano anche le sue condizioni di verità e quindi sostanzialmente cambia anche il pensiero espresso. L’enunciato “Io sono italiano” esprime dunque pensieri diversi secondo chi li proferisce; se Matteo proferisce questo enunciato il pensiero espresso sarà del tipo “Matteo è italiano”, se invece lo proferisce Benedetta il pensiero espresso sarà del tipo “Benedetta è italiana”. Sono questi due pensieri a essere oggettivamente veri o falsi in maniera assoluta e non l’enunciato di partenza. Infatti, l’enunciato esprime un pensiero diverso a seconda del contesto d’uso e ognuno dei possibili pensieri esprimibili ha proprie condizioni di verità e propri valori di verità oggettivi e assoluti.

 

Ricordiamo inoltre che la stessa distinzione tra senso e rappresentazione valida per i termini singolari vale anche in relazione agli enunciati, e quindi al pensiero. Anch'esso infatti, come il senso dei termini singolari, ha una natura logica e non psicologica; le rappresentazioni sono sempre rappresentazioni di soggettive di qualcuno mentre i pensieri non hanno bisogno di un portatore perché sussistono autonomamente.

 

Sinn und Bedeutung: «Col termine pensiero intendo non l’atto soggettivo del pensare, ma il suo contenuto oggettivo che può costituire il possesso comune di molti».

 

Der Gedanke: «Se ogni pensiero ha bisogno di un portatore alla cui coscienza appartenere, è un pensiero di questo portatore soltanto, e non vi è mai una scienza comune a molti e alla quale in molti possono lavorare. (…) In questo modo la discussione sulla verità è altrettanto oziosa, fino al ridicolo, quanto lo sarebbe la discussione sull’autenticità di una banconota da cento marchi tra due tizi ciascuno dei quali intenda la banconota che lui ha in tasca e dia al termine “autenticità” un senso del tutto particolare noto soltanto a lui. (…) Sembra che quindi il risultato sia che i pensieri non sono né cose del mondo esterno né rappresentazioni».

 

Costatiamo, dunque, che secondo Frege i pensieri appartengono platonicamente ad un “terzo regno” distinto sia dal regno degli oggetti materiali sia dal regno dei processi psicologici; essi sono oggettivi e sussistono autonomamente al di fuori del tempo e indipendentemente dal fatto che qualcuno li pensi o no. Quest' oggettività dei pensieri è fondamentale perché, come possiamo leggere nel frammento, rende possibile la scienza e la comunicazione. Quando pensiamo noi entriamo in rapporto, attraverso operazioni mentali, con questo terzo regno. Come questo accada non è esaminato da Frege perché, dal suo punto di vista, si sfocerebbe in problemi psicologici che il logico non è tenuto ad affrontare.

 

Ora non ci resta che parlare della denotazione degli enunciati. Per Frege la denotazione di un enunciato è il suo valore di verità (vero o falso). Dato che potrebbe essere complicato comprendere il motivo per cui il logico dà questa definizione, è importante sottolineare che per Frege il vero e il falso sono oggetti, e come tali sono denotati dagli enunciati; così tutti gli enunciati veri hanno come riferimento il vero e tutti gli enunciati falsi hanno come riferimento il falso. Da un altro punto di vista potremmo dire che così come ai nomi corrispondono oggetti allo stesso modo ai pensieri corrispondono oggetti. La necessità che gli enunciati, così come i nomi, abbiano non solo un senso ma anche una denotazione e che in qualche modo alle nostre parole corrispondano elementi della realtà extralinguistica, quali sono appunto le denotazioni, è spiegato da Frege in questi termini: « il dare nomi alle cose non è una pratica fine a se stessa, noi vogliamo poter parlare delle cose, e il parlare delle cose comporta il comporre enunciati che possano essere veri o falsi a seconda della relazioni che gli oggetti intrattengono tra di loro; noi siamo interessati al pensiero espresso dall’enunciato solo quando siamo interessati anche al problema della verità dell’enunciato in questione». Si noti bene che gli enunciati sono veri o falsi indipendentemente dal fatto che noi sappiamo effettivamente quale sia il loro valore di verità; essi descrivono delle situazioni reali che noi possiamo anche non conoscere ancora. In ogni caso Frege vuole dirci che la nozione di verità ha un ruolo prioritario; il correlare parole e cose non ha altro scopo se non quello di ancorare il linguaggio alla realtà in modo tale che gli enunciati possano avere un valore di verità magari sconosciuto, ma comunque ben definito.

 

Der Gedanke: «Il pensiero che articoliamo nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, vero indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero… È vero non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto, così come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra».

 

 

I tre problemi della teoria Agostiniana

 

Avendo compreso chiaramente il significato dei termini Sinn e Bedeutung possiamo ora analizzare le tre critiche rivolte da Frege alla teoria Agostiniana. Il logico sostiene infatti che se il significato di una parola si esaurisse nella denotazione, ossia nell’oggetto per cui la parola sta, non si potrebbero spiegare questi tre “problemi”: variazioni di valore informativo negli enunciati di identità, “enunciati contenenti termini non denotanti”,  problema della “sostituitività”. Il primo problema sostanzialmente è stato già chiarito in precedenza: se prendiamo in considerazione “Espero =Espero” ed “Espero=Fosforo” la teoria agostiniana non è in grado di spiegare la differenza di valore informativo perché non tiene conto della nozione di senso. Per quanto riguarda il problema degli enunciati contenenti termini non denotanti, Frege ci mostra come la teoria Agostiniana non è in grado di spiegare neanche enunciati del tipo “Il re di Francia non esiste” o “Ulisse sconfisse i Proci”. Infatti, questi due enunciati, siccome non esiste un re di Francia e non esiste Ulisse, non si riferiscono a nessun individuo nel mondo e quindi non hanno denotazione; eppure noi comprendiamo benissimo questi enunciati, dunque il valore dei nomi non può esaurirsi nella denotazione. Per ultimo Frege ci ricorda che la teoria agostiniana non può neanche spiegare la differenza di valore informativo che si ottiene sostituendo in un enunciato due termini con la stessa denotazione. Consideriamo ad esempio gli enunciati “Matteo crede che Mark Twain abbia scritto le avventure di Tom Sawyer” e “Matteo crede che Samuel Clemens abbia scritto le avventure di Tom Sawyer”. In questo caso abbiamo semplicemente sostituito due termini che denotano la stessa persona e quindi, per il principio di sostituibilità, gli enunciati sono logicamente identici. La teoria agostiniana però non riesce a rendere conto della differenza di valore informativo del secondo enunciato, che effettivamente, nel caso non sapessimo che i due nomi si riferiscono alla stessa persona, ci fornisce questa preziosa informazione. Questi problemi sono spiegabili, per Frege, solo introducendo la nozione di senso.

 

 

 

Principio di composizionalità e principio di sostituibilità

 

Frege comunque sviluppa riflessioni molto interessanti a partire da questi problemi della teoria agostiniana, tuttavia prima di affrontarle è necessario spiegare i concetti di “principio di composizionalità” e “principio di sostituibilità” relativi agli enunciati. Secondo il principio di composizionalità noi siamo in grado comprendere enunciati complessi che non abbiamo mai sentito prima poiché conosciamo le parole che lo compongono; infatti, i linguaggi naturali, con un numero finito di espressioni semplici e di regole sintattiche sono in grado di creare un numero infinito di espressioni complesse. Questo principio vale anche per senso e denotazione; noi calcoliamo il senso e i valori di verità delle espressioni complesse a partire dal senso e dal valore di verità degli enunciati componenti.

 

Il principio di sostituibilità ci dice invece che sostituendo parti con uguale denotazione, la denotazione del tutto non cambia. Allo stesso modo sostituendo parti con uguale senso, il senso del tutto non cambia. Naturalmente questo principio è strettamente legato al precedente, infatti, esso è valido solo per i linguaggi composizionali.

 

Considerazioni sui problemi della teoria agostiniana

 

Tenendo conto di tali principi, Frege afferma che l’espressione “Ulisse sconfisse i Proci” è non denotante poiché contiene l’espressione semplice “Ulisse”, anch'essa non denotante. Queste espressioni esprimono dunque un pensiero (senso) ma non hanno un valore di verità (denotazione), non sono né vere né false. Infatti, nella finzione narrativa, quando leggiamo un libro o vediamo un film, non siamo particolarmente interessanti al valore di verità degli enunciati ma solamente al loro senso, al pensiero che essi esprimono. Viceversa l’indagine scientifica è caratterizzata da una forte tensione verso la verità e quindi focalizza la sua attenzione non sul senso ma sulla denotazione. Per questo motivo nei linguaggi ideali non sono ammessi termini non denotanti poiché in matematica non è tanto il senso che conta ma la denotazione).

 

Sinn und Bedeutung: «Perché mai vogliamo che ogni nome proprio abbia non solo un senso ma anche una denotazione"? Perché non ci basta il pensiero? Perché ciò che ci interessa è il valore di verità dell'enunciato».

 

Frege, riflettendo sul problema della sostituibilità, scopre alcuni limiti del principio di composizionalità dei linguaggi naturali. Ad esempio nei contesti enunciativi indiretti non sembra valere il principio per cui sostituendo parti con uguale denotazione la denotazione del tutto non cambia. I concetti enunciativi indiretti sono quegli enunciati composti con verbi come credere, volere, sperare, dire che seguono lo schema “X crede che P”, dove P è chiamato enunciato incassato. Per fare un esempio, l’enunciato “Copernico crede che le orbite dei pianeti fossero circolari” che ha come valore di verità (V), dovrebbe mantenere lo stesso valore di verità (V) se sostituisco parti con stessa denotazione. Però sostituendo l’enunciato incassato falso “le orbite dei pianeti sono circolari” con un altro enunciato falso, ad esempio “la luna è fatta di formaggio”, l’enunciato complesso “Copernico credeva che la luna è fatta di formaggio” ha cambiato valore di verità; non è più vero ma falso, poiché Copernico non aveva assolutamente tale credenza. Frege tenta di risolvere tale problema dicendo che nei contesti enunciativi indiretti la denotazione dell’enunciato incassato non è quella consueta, ossia il suo valore di verità, ma il suo senso usuale (pensiero espresso), che Frege chiama denotazione indiretta. Secondo questo ragionamento per fare valere il principio di sostituibilità bisogna quindi sostituire un enunciato con lo stesso senso e non con la stessa denotazione. Nel nostro caso bisognerebbe sostituire all’enunciato “le orbite dei pianeti sono circolari” un enunciato del tipo “i pianeti seguono delle traiettorie a forma di cerchio”. Tuttavia questa spiegazione è incompleta giacché non si capisce allora quale sia effettivamente il senso dell’espressione; inoltre le cose si complicano esponenzialmente se costruiamo enunciati che contengono non uno ma numerosi enunciati incassati. In ogni caso la semplice violazione del principio di composizionalità, in logica, decreta che la teoria presenta delle lacune e va sostituita o al massimo modificata.

 

 

 

 

 

I predicati

 

Rimangono ora da analizzare le nozioni di senso e denotazione relative ai predicati. I predicati possono essere definiti come quelle espressioni che, combinate con un termine singolare e opportunamente modificate, producono un enunciato. Prendiamo come esempio il predicato “essere nero”; se lo combiniamo in modo opportuno con il termine singolare “il mantello di Zorro” otteniamo l’ enunciato “Il mantello di Zorro è nero”.

 

Per Frege la denotazione di un enunciato è un concetto. Nella complessa terminologia freghiana il termine concetto non ha la sfumatura classica ma è definito come una funzione i cui valori sono valori di verità. Comprendere questa definizione non è per niente semplice, anche perché richiede la conoscenza e di nozioni logico-matematiche e di nozioni di teoria degli insiemi; per di più lo stesso Frege non è mai stato chiarissimo nello spiegare questa teoria. Per questi motivi la spiegazione della denotazione dei predicati in termini di concetto elaborata da Frege non verrà analizzata accuratamente ma si prediligerà la spiegazione posteriore elaborata da Carnap sulla nozione di “estensione” (che comunque si deriva dal sistema freghiano, tanto che molti hanno sostenuto che egli avesse proprio l’idea di estensione in mente). Per estensione di un predicato P si intende l’insieme di tutti gli oggetti cui P si applica veridicamente; l’estensione di “essere nero”, ad esempio, è l’insieme delle cose nere. Per Carnap appunto il riferimento di un predicato coincide con la sua estensione. Questa idea sarebbe perfettamente applicabile anche al sistema di Frege e sostanzialmente non è molto lontana da quello cui il logico voleva arrivare; tuttavia Frege né parla in modo diverso. Egli dice che il riferimento di un predicato P è la funzione F tale che, per ogni oggetto x, F(x)= il vero, se x appartiene all’estensione di P; e F(x)=il falso, se x non appartiene all’estensione di P. Nel nostro esempio diremmo che il riferimento di “essere nero” è la funzione N tale che, per ogni oggetto x, N(x)=il vero se x è nero e R(x)=il falso, se x non è nero. Senza dimenticare che quest' argomento dovrebbe essere approfondito per comprendere quale sia la definizione più appropriata, noi considereremo come buona la definizione elaborata da Carnap. Anche per quanto riguarda il senso dei predicati, siccome Frege non dice quasi nulla a riguardo, utilizzeremo sempre la spiegazione di Carnap. Il senso di un predicato è l’intensione, ossia il suo contenuto. Questa nozione ci permette di comprendere come mai predicati del tipo “essere un animale con il cuore” e “essere un animale con i reni”, pur avendo la stessa estensione (tutti gli animali), esprimono intuitivamente due concetti diversi (hanno due sensi diversi).

 

 

 

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