Logica e psicologia in Frege e Husserl
a cura di Jonathan Fanesi
1.1 Status quaestionis
Come nota M. Dummett, colui che agli albori del XX secolo avesse letto le Logische Untersuchungen (1901, 1913) di Husserl e gli scritti di Frege, ”non avrebbe avuto l’ impressione di due posizioni molto distanti l’una dall’altra“[1], eppure Husserl divenne il fondatore della scuola fenomenologica, mentre Frege il capostipite della filosofia analitica.
Al tal proposito, è interessante notare come al di là dell’eterogeneità delle soluzioni teoriche adottate dai due autori in materia di logica e di filosofia della matematica, entrambi partissero da un orizzonte comune di letture.
Inoltre, tanto Husserl quanto Frege ebbero modo, durante il corso della carriera accademica, di entrare in contatto epistolare con le personalità di spicco della loro epoca, sia nel campo della matematica che della filosofia.
Se è d’uopo ricordarsi dell’ importante carteggio Frege – Russell agli albori del XX secolo, non si possono non menzionare i profondi legami che Husserl strinse con K. Weierstrass[2], G. Cantor e con il circolo di Gottinga di D. Hilbert.
Come avevamo avuto modo d’accennare all’ inizio, sebbene Frege e Husserl partissero da uno stesso humus di letture e di studi, giunsero a risultati e a soluzioni non di rado antitetiche: il primo, rincorse per vari anni il sogno del logicismo, infrangendosi alla fine contro il duro scoglio delle scoperte di Russell; il secondo invece, finì con l’ interrogarsi circa lo statuto della filosofia come fenomenologia, all’ interno di un’epoca di crisi (Krisis).
Al di là delle divergenze di pensiero che con il passare del tempo sarebbero emerse, c’è tuttavia una questione sulla quale, tanto Husserl quanto Frege, avrebbero incentrato i loro studi: il rapporto tra logica e psicologia, analizzato nel più vasto orizzonte dischiuso dalla filosofia della matematica.
Nel momento in cui si ci accinge a studiare la querelle Frege – Husserl in relazione al problema della filosofia della matematica e della logica, non di rado, si finisce col sostenere che se in Frege la logica si costituisce in perfetta opposizione a ciò è che di competenza della psicologia (logica o psicologia), nell’ Husserl della Philosophie der Arithmetik (1891), la psicologia sarebbe perfettamente conciliata con la logica (logica e psicologia).
Inoltre, in Husserl vi sarebbero due anime: una brentaniana, più propensa a interrogarsi circa lo statuto degli atti mentali sul sfondo della teoria dell’ intenzionalità, l’ altra bolzaniana, legata all’ oggettivismo rappresentazionale interno alla Wissenschaftslehre (1837) del filosofo ceco, con la conseguenza che la severa recensione fregeana alla Philosophie der Arithmetik (1891), avrebbe l’effetto di liberare Husserl dall’ influsso brentaniano, svegliandolo – come D. Hume fece nei confronti di Kant nel caso della metafisica – dal “sonno dogmatico“[3] (dogmatischen Schlummer) dello psicologismo e, conducendolo infine, verso quel “censimento epidemiologico“[4] operante nei Prolegomena zur reinen Logik (1900, 1913).
Sempre in questa direzione, si sottolinea il fatto come tanto le GLA di Frege quanto la PA di Husserl siano incentrate sullo studio del concetto di numero, con la sola fondamentale differenza che se quella fregeana è una ricerca logico – matematica, quelle husserliane sono – come si evince dal sottotitolo – ricerche psicologiche e logiche[5].
Questo modo d’ impostare il problema, pur ponendo correttamente in rilievo il radicale antipsicologismo interno al pensiero di Frege, risulta fuorviante allorquando fa uso un vago e generalizzato della categoria di << psicologismo >> nei confronti dell’Husserl antecedente alle LU: se infatti in Frege, come ben si evince sia dal primo canone nelle GLA che dall’articolo Sinn und Bedeutung del 1892, la dimensione psicologico – soggettiva va separata da ciò che è di competenza della logica e della semantica, in Husserl invece, l’ orizzonte della soggettività, seppur fenomenologicamente inteso, è la conditio sine qua non di tutto il suo programma fondazionale filosofico.
Lo stesso Husserl del resto nei Prolegomena, prendendo in rassegna le molteplici declinazioni dello psicologismo e i suoi deleteri effetti sul piano della gnoseologia avrà modo di dire non solo, che anche l’ anti – psicologismo fondato sull’ idea della normatività della logica non è esente da critiche, ma affermerà perentoriamente di voler assumere una “posizione intermedia”[6] nella controversia sulla fondazione della logica.
Un’ opera quale i Prolegomena, letta con attenzione, diviene molto feconda ai fini della nostra discussione: qui infatti, Husserl non solo opera un’ accuratissima catalogazione delle varie forme di psicologismo imperante, ma sì spinge ben oltre.
Egli pone in rilievo i limiti della critica unilaterale, mostrando – quasi in termini adorniani – una sorta di << dialettica dell’ illuminismo > > potenzialmente presente in quella stessa critica che voleva liberare la logica dalla insidie della psicologia.
Nei Prolegomena c’è, allo stadio aurorale, lo stesso << schema metodologico >>[7] operante in un’opera tarda e ben diversa a livello tematico come la Krisis.
Queste brevi considerazioni non ci devono naturalmente far dimenticare come, nonostante alcuni paradigmi interpretativi risultino fallaci nell’ interpretazione della querelle Frege – Husserl, il percorso del pensiero husserliano, lungi dall’ essere continuativo e lineare, abbia in sé dei momenti di << krisis >>, dei momenti nei quali i risultati ottenuti in precedenza vengono messi in discussione sotto la spinta di nuove esigenze teoriche o semplicemente dinanzi al sorgere di problematiche complicazioni.
In questo modo, gli stessi Prolegomena testimoniano la presa di coscienza di come l’ impostazione adottata nella PA si sia rivelata inefficace nel momento in cui si passava dal piano dei nessi psicologici del pensiero all’unità logica del contenuto del pensiero.
Il problema, giunti a questo punto delle analisi, non consiste nel prender atto della fusione di logica e psicologia nella PA e delle conseguenti critiche di Frege, risiede invece, nel ben più difficile compito di comprendere cosa Husserl intenda con << psicologia >> è soprattutto, in che modo questa possa coniugarsi, anche se in una veste rinnovata, con la logica.
Detto in altri termini: nel momento in cui abbandoniamo le concezioni ingenue e positivistiche del soggetto, quelle in forza delle quali – come Husserl nota nei Prolegomena – si precipita in un orizzonte antropologico scetticheggiante, è possibile ri – pensare il soggetto, in termini diversi, rilevanti a livello teoretico tanto per la logica quanto per la semantica e, in generale, per l’ intera teoria della conoscenza?
Una risposta tanto nota quanto dibattuta è quella offerta da Kant nella Kritik der reinen Vernuft (1781, 1787): l’ idea kantiana di cogliere nell’esperienza (Erfahrung) il prius temporale della nostra conoscenza (Erkenntnis) ma non la fons da cui questa deriva totalmente, permise al fondatore del criticismo di illuminare quelle strutture << trascendentali >> che, in termini melandriani, opererebbero in maniera << anonima e clandestina >>, finendo per essere eclissate nelle varie forme dell’ empirismo settecentesco.
Tutta la gnoseologia kantiana è contenuta in nuce nella distinzione che l’ autore fa tra il << cominciare >> (anfangen) della << conoscenza >> (Erkenntnis) << con l’ esperienza >>[8] (mit der Erfahrung) dal << derivare >> (entspringen) << dall’ esperienza >>[9] (aus der Erfahrung).
Alla base di tale discorso risiedeva il difficile tentativo di distinguere la dimensione << psicologica >> del soggetto da quella << trascendentale >>, finalizzata ad offrire le condizioni di possibilità per la nostra conoscenza (fenomenica) del mondo.
Questo progetto gnoseologico, benché di rilievo a livello teorico, era destinato ad essere messo in discussione tanto a livello filosofico quanto dagli sviluppi della matematica, della geometria e della fisica.
A tal proposito è interessante notare come quel processo di rigorizzazione del calcolo condotto da B. Bolzano, teso a eliminare tutte quelle espressioni che rimandavano all’ orizzonte spazio – temporale, quali << quantità fluente >>[10], << flusso >> e << moto continuo >>, finisse per estirpare il concetto di << intuizione pura >>, di fondamentale economia nel pensiero kantiano, dal regno della matematica.
Dopo E. Kant, un altrettanto esteso progetto di ri – pensare il soggetto in un orizzonte non psicologico ingenuo, è senza ombra di dubbio, rappresentato dalla fenomenologia husserliana.
Dopo questa breve considerazione in materia kantiana, possiamo riprendere la nostra discussione sulla querelle Frege – Husserl.
J.N. Mohanty nel primo capitolo (Historical Considerations) del suo libro Husserl and Frege[11] (1982), argomentando contro la tesi di D. Føllesdal, in base alla quale Husserl avrebbe mutato radicalmente il suo modo di pensare in seguito alla severa recensione scritta da Frege nel 1894 alla PA, mostra come già nelle Vorlesungen über die Algebra der Logik (1891) e nel Der Folgerungskalkül und die Inhaltslogik (1891) Husserl avesse sviluppato la distinzione tra << senso >>[12] (Sinn/Bedeutung), << oggetto >>[13] (Gegenstand) e << rappresentazione >>[14] (Vorstellung) e fosse giunto al superamento dello psicologismo, in maniera indipendente[15] da Frege.
Nel corso delle analisi J.N. Mohanty ricostruisce sinteticamente il periodo che va dal 1891 al 1900, affermando che i semi dello sviluppo della filosofia di Husserl dalla PA ai Prolegomena: “were immanent to his own thinking, so that the hypothotesis of a traumatic effect of Frege’s 1894 review of his book and a consequent reversal of his mode of thinking is not only uncalled for but also unsubstantiated by available evidence“[16].
A sostegno della tesi sostenuta da J. N. Mohanty[17], riteniamo che la stessa applicazione della distinzione tra << logici intensionali >> (Inhaltslogiker) e << logici estensionali >> (Umfangslogiker) in relazione a Husserl e a Frege[18], nonostante sia valida da un punto di vista storiografico, vada coniugata ad un’analisi riguardante la presenza dello psicologismo nell’Husserl della PA, tanto accurata quanto quella dei Prolegomena.
In questa sede risulterebbe pressoché impossibile condurre un tale improbus labor che richiederebbe non solo, uno studio sistematico della sterminata letteratura logica e psicologica di fine Ottocento, ma un insieme di ricerche collaterali finalizzate a mostrare la centralità dei fenomeni di << polisemia semantica >>[19] che hanno condizionato lo sviluppo teoretico delle determinate correnti filosofiche nel corso del XIX secolo, da Kant[20] fino al logicismo di Frege.
Al tal proposito sono fondati i dubbi di E. Melandri circa la nozione di psicologismo da lui definita come “per lo meno equivoca“[21], con la fondamentale conseguenza che un lavoro di catalogazione delle varie forme di psicologismo potrebbe risultare utile non solo nel momento in cui ci si interroghi se la par destruens delle LU colpisca o no la PA, ma in relazione alla pretese ed allo statuto della stessa fenomenologia husserliana.
In questa direzione, sia la distinzione operata da E. Melandri tra un psicologismo << naturalistico >>, in cui egli annovera rispettivamente J. St. Mill, Spencer, Sigwart e Lipps e, uno psicologismo << attualistico >>[22], presente in Dilthey, James e Brentano, sia quella realizzata da J.N. Mohanty[23], tra una versione “ << weak >>[24] e una << strong >>[25] del << logical psychologism >>, sono un valido tentativo di inquadrare il problema.
Tanto E. Melandri quanto J.N. Mohanty[26] ritengono che lo << psicologismo >> della PA sia ben differente rispetto a quello che, nelle sue varie forme e manifestazioni, è oggetto della serrata critica nei Prolegomena.
Lo stesso J.N. Mohanty afferma che per comprendere la pertinenza (pertinence) delle critiche di Frege a Husserl in relazione allo sviluppo del suo pensiero, dobbiamo preliminarmente rispondere a tre ineludibili[27] domande:
- (a) What is meant by “ psychologism “ ?
- (b) Is Husserl’s position in the Die Philosophie der Arithmetik psychologist?
- (g) What elements of his Philosophie der Arithmetik thesis were clearly retracted by Husserl?
Le domande che si pone J.N. Mohanty non hanno solo il merito di rispolverare la vexata quaestio dello psicologismo in Husserl, ma sollevano una serie di problematiche determinanti per la comprensione di aspetti non marginali, tanto del pensiero di Frege quanto di quello dell’ autore delle Ideen.
J. N. Mohanty in uno scritto precedente a Husserl & Frege (1982), quale Edmund Husserl’s Theory of meaning (1962), parlando della tripartizione storiografica tra l’ Husserl pre – fenomenologico della PA, l’ Husserl semi – platonico del primo volume delle LU e quello tout court idealistico del secondo volume delle LU e delle Ideen, aveva sostenuto come tale distinzione fosse “too rigid “[28], inadatta a comprendere il tentativo husserliano di pervenire ad una via media tra platonismo e anti – platonismo.
Procedendo su questo linea appare evidente come tesi quali quelle di D. Føllesdal e R.C. Solomon[29], in base alle quali Husserl sarebbe stato redento da Frege dal fatale peccato teoretico dello psicologismo, non solo siano erronee a livello storiografico, facendo quell’ uso vago e generalizzato della categoria dello << psicologismo >> e prestando poca attenzione a quei fenomeni di << polisemia semantica >>[30] a cui abbiamo accennato poc’anzi, ma misconoscano nel profondo il percorso filosofico che il padre della fenomenologia compie dalla PA fino alla Krisis (1936).
Husserl, lungi dall’ accogliere in sé i vaneggiamenti dello psicologismo << forte >> o << naturalistico >>, ha sin dalla sua prima opera tentato di realizzare una << chiarificazione >> (Aufklärung) dei concetti fondamentali, mostrando la loro origine nei rispettivi << atti >> di astrazione, di combinazione, di primo e di secondo livello.
Il concetto di << chiarificazione >> (Aufklärung) del resto sarà uno degli assi portanti della futura fenomenologia, di quella fenomenologia che intesa come “Wissenschaft der << radices >>“[31] rivendicherà uno statuto teoretico autonomo, posto al di là della << mitologia del fatto >> che ha così profondamente colpito sia le scienze della natura che quelle dello spirito.
Come ben si evincerà dalle LU, ogni processo di << chiarificazione >> implica un risalire all’ << origine fenomenologica >> dei concetti (primitivi), operando quella che Husserl definisce una “presentificazione intuitiva dell’ essenza in un’ intuizione adeguata”[32].
La PA, se letta con attenzione, ci rivela un Husserl intento a portare all’ estreme conseguenza la descrittiva psicologica brentaniana, con l’ insorgenza di problematiche apparentemente disorientanti, quali quelle delle << molteplicità momentanee >>, dinanzi alle quali introdurrà la nozione di << momento figurativo >> o << quasi – qualitativo >>[33].
Giunti fin qui, non è difficile accorgersi come la messa in discussione della categoria dello << psicologismo >>, ai fini di una migliore intelligibilità della querelle Husserl – Frege, si coniughi perfettamente con un’ analisi del concetto di << rappresentazione >> (Vorstellung), che tenga conto dell’ orizzonte storico – teoretico in cui compare.
In questo senso, a titolo d’esempio, è utile ricordarsi quanto Frege scriva in Sinn und Bedeutung (1892) a proposito del concetto di << rappresentazione >>, vero e proprio pomo di discordia teoretica: qui, dopo aver distinto il << senso >> (Sinn) dal << significato >> (Bedeutung), egli afferma non solo, che la << rappresentazione >> sia un’ “immagine interna“[34] (inneres Bild), ma sostiene che sia “soggettiva” (subjektiv), con la conseguenza che quella dell’ uno è diversa da quella dell’ altro“[35] (die Vorstellung des einen ist nicht die des anderen).
Ciò che maggiormente colpisce del modo in cui Frege procede all’ interno del famoso articolo del 1892, è che la trattazione del concetto di << rappresentazione >> è solo funzionale a non confondere il << senso >> e il << significato >> con ciò che inerisce a quell’orizzonte soggettivo, nebuloso e fluttuante, da cui lo psicologismo ha perennemente attinto.
Nella stessa recensione alla PA di Husserl, Frege, dopo aver accusato l’ autore di aver realizzato “un miscuglio così gradito di psicologia e logica”[36], ribadisce a più riprese l’ importanza di tener distinto il concetto dalla rappresentazione, il rappresentare dal pensare.
Se i logici psicologici à la Husserl si interessano al senso delle parole e alle rappresentazioni che questi distinguono dal senso, i logici matematici invece, in piena sintonia con le tesi esposte in Sinn und Bedeutung (1892), si occupano – per Frege – della “cosa stessa“[37], ossia “il significato delle parole”[38].
Nel proseguo della recensione Frege imputerà all’ ambiguità del concetto di << rappresentazione >>, le maggiori insidie in cui si sono imbattuti tutti coloro che hanno voluto percorrere le perigliose vie della psicologica nelle questioni logico – matematiche.
In Husserl, venendo meno la rigida distinzione tra ciò che è di dominio della rappresentazione e ciò che invece compete al concetto, si sfocerebbe, secondo Frege, nel totalmente “soggettivo”[39].
In questo modo Frege conferma, questa volta in ambito semantico, quanto aveva sostenuto qualche anno addietro nelle GLA, laddove aveva affermato di voler “separare nettamente”[40] ciò è “psicologico dal logico, il soggettivo dall’ oggettivo“[41].
Si potrebbe metaforicamente dire che in Frege il << terzo regno >> del << senso >> e il dominio del << significato >> abbiano una consistenza concettuale molto prossima alle << idee >> platoniche, con la fondamentale conseguenza che solo su di essi si può fondare una vera semantica, mentre la << rappresentazione >>, inscritta nell’ orizzonte in fieri dell’ immanenza psichico – fattuale, è destinata a rimanere un residuo pre – epistemico, sul quale, propriamente parlando, tutte quelle discipline che aspirano ad essere rigorose (matematica, semantica e logica) mai potranno edificare le loro costruzioni teoriche.
Inoltre, è interessante notare come l’ utilizzo vago e generalizzato della categoria di << psicologismo >> in sede teoretica (G. Frege), sia potenzialmente cooriginario all’ eliminazione di ogni discorso << trascendentale >>, tanto in termini kantiani quanto husserliani, riguardo al soggetto[42].
Questa breve parentesi aperta riguardo al problema del concetto di << rappresentazione >> in Frege, non ha la pretesa di offrire la benché minima spiegazione esaustiva a riguardo, se così fosse, cadremmo nello stesso errore che abbiamo denunciato poc’anzi; ciò che qui si vuol (di) – mostrare è come il rigetto sistematico di Frege dello psicologismo, si fondi, in ultima analisi, sulla rigida identificazione del << soggettivo >> (subjektiv) con lo << psicologico >> (psychologisch), con il fatale esito che ogni discorso sul << soggetto >> (Subjekt) sia potenzialmente tacciabile di psicologismo[43].
Come nota J.N. Mohanty, sebbene Frege e Husserl rifiutassero lo psicologismo come teoria logica, avevano non solo due modi di vedere lo psicologismo ben diversi, ma differenti concezioni riguardo alla soggettività: “they held very different views about the nature of psychology itself and, more importantly, about the concept of ‘subjectivity’”[44]
Non è difficile comprendere come partendo un’ottica radicale come quella di Frege, un’ opera quale la PA di Husserl, non potesse che apparire colpita dal virus dello psicologismo.
Le brevi considerazioni fin qui svolte sono state funzionali all’ inquadramento critico della querelle Frege – Husserl relativamente alla logica e alla filosofia della matematica.
Nel corso delle analisi abbiamo voluto porre in rilievo i seguenti punti: (a) la tesi (D. Føllesdal - R.C. Solomon) in base alla quale Husserl avrebbe mutato il suo pensiero attraverso la severa critica di Frege alla PA è figlia di una mendace impostazione del problema, tanto a livello storico quanto a livello teoretico; (b) la comprensione della querelle Frege – Husserl è possibile solo nel momento in cui si coniughi un uso ponderato e storiograficamente fondato della categoria dello << psicologismo >> ad una particolare attenzione circa quei fenomeni di << polisemia semantica >> a cui abbiamo accennato; (g) l’ identificazione del << soggettivo >> (subjektiv) con lo << psicologico >> (psychologisch), operata da Frege, reca in sé una serie di problemi sul piano teorico di notevole interesse.
1.2 Frege: al di là della << rappresentazione >>
“Spesso il pensiero ci trasporta al di là del rappresentabile, senza che si perda, per ciò, la base dei nostri ragionamenti”[45]. G. Frege, I Fondamenti dell’aritmetica.
Le Grundalagen der Arithmetik (1884) di G. Frege si aprono con un’amara constatazione: una scienza quale l’aritmetica, regina delle scienze esatte, nonostante abbia nel corso della storia realizzato brillanti scoperte, ignora la natura del suo fondamento primo: il numero.
“Eppure, non è vergognoso per la scienza di essere tanto all’ oscuro su di un oggetto che le sta così vicino e che pare così semplice?”[46]
Quella che noi abbiamo intorno a fondamenti dell’aritmetica è “un’illusoria ricchezza”[47], dinanzi alla quale si deve condurre un lavoro sistematico finalizzato a chiarire che cosa sia il numero.
Una ricerca così profonda – nota Frege – “dovrà risultare sempre qualcosa di filosofico”[48] e, se fino ad ora la matematica si è tenuta lontana dalla filosofia, ciò si spiega in virtù della presenza di metodi psicologici all’ interno della filosofia e della logica.
L’aritmetica non ha nulla a che spartire né con le sensazioni, né con le rappresentazioni o “immagini interne”[49]: “il fluttuante e l’ indeterminato”[50], sul quale la psicologia ha costruito il suo edificio teorico, é totalmente inconciliabile con una disciplina quale l’aritmetica.
Come avrà modo di ribadire a più riprese, bisogna fare attenzione a non confondere, da un lato, la definizione matematica con la semplice descrizione del modo con il quale si forma in noi una certa rappresentazione, dall’altro, la verità di una proposizione con il suo venir pensata.
“Occorre evidentemente ricordarsi bene di ciò: che una proposizione non cessa di essere vera , allorché io non la penso più, come il sole non cessa di esistere allorché io chiudo gli occhi”[51]
La psicologia, non solo non potrà mai contribuire alla fondazione dell’aritmetica, ma portando a ritenere che le rappresentazioni numeriche possano cambiare, ha degli effetti negativi sul piano della gnoseologia.
Coloro che credono che sia possibile cogliere l’essenza del concetto indagando il processo soggettivo in base al quale esso si forma, cadono nel baratro del << soggettivo >>, annientando la verità, il cui statuto oggettivo, mal si coniuga con le proposte psicologiste.
Ciò che desta più meraviglia – secondo Frege –, risiede nel fatto che non solo i filosofi di professione sono stati colpiti dalla Zeitkrankheit dello psicologismo, ma anche alcuni matematici tout court.
“Quanto più la matematica deve astenersi da qualsiasi ricorso a considerazioni psicologiche, tanto meno può negare, invece, i suoi stretti rapporti con la logica”[52]
L’ orizzonte di ricerca che dischiude Frege, a differenza di quello con cui hanno a che fare i matematici, non è meramente operativo: se infatti questi, ritengono valida una definizione quando, costruendo la base per i nostri ragionamenti, non ingenera contraddizioni, Frege invece, ha fatto oggetto delle sue analisi le “basi logiche dell’aritmetica”[53].
I << canoni >> che egli ha adottato nel corso delle GLA sono tre:
- (a) Separare nettamente il logico dal psicologico, l’ oggettivo dal soggettivo.
- (b) Cercare il significato delle parole non isolatamente, ma nei loro nessi reciproci.
- (g) Tenere sempre a mente la distinzione tra oggetto e concetto.
Tali << canoni >>, come ben si evincerà nel corso dell’ opera, ha tanto un valore distruttivo quanto costruttivo. Il << canone >> (b) ad esempio, risulterà di capitale importanza allorquando Frege nel capitolo 5 dovrà prendere le distanze dalla nozione di << rappresentazione >>, mostrando come la non rappresentabilità del contenuto di un concetto, che ha generato un così grande coacervo di problematiche teoriche, sia superabile nel momento in cui consideriamo la parola all’ interno del contesto enunciativo in cui compare. Il << canone >> (g) invece, è diretto contro coloro, quali i formalisti, che riducono l’ aritmetica ad una mera manipolazioni di simboli.
Dopo l’ esposizione dei tre << canoni >> fondamentali che hanno condotto lo sviluppo della ricerca, Frege si domanda se le verità dell’aritmetica siano << a priori >>, << a posteriori >>, << analitiche >> o << sintetiche >>.
Prima di rispondere a tale domanda, l’ Autore mostra come sia necessario distinguere il problema (epistemico) relativo a come noi giungiamo al contenuto di un giudizio e, il problema (logico), ben diverso, riguardante l’ origine da cui ricaviamo la giustificazione dei nostri asserti.
Tutte le distinzioni summenzionate concernono – nell’ ottica fregeana –, il piano logico della giustificazione dei nostri asserti e non le modalità attraverso le quali perveniamo al contenuto di un determinato giudizio.
In questo modo, tali distinzioni assumono un significato differente rispetto al loro contesto d’ origine kantiano: se infatti Kant tende a intrecciare la dimensione epistemica con quella logica, Frege le tiene ben distanti, con la conseguenza che in quest’ ultimo, assurge al ruolo di primo attore il concetto di << dimostrazione >>.
Una verità si dice analitica se è una proposizione la cui dimostrazione procede solo in virtù delle leggi logiche generali e di qualche definizione ben precisa.
Una verità è definita sintetica se consiste in una proposizione la cui dimostrazione procede facendo ricorso a qualche verità che non è tout court di natura logica generale, ma dipende da qualche campo scientifico particolare.
Una proposizione per contro è a posteriori, quando è impossibile dimostrarla senza far appello ai fatti; infine, una verità a priori è una proposizione dimostrabile partendo da leggi generali, che a loro volta non siano dimostrabili né richiedano dimostrazione.
Come notavamo poc’anzi, al centro delle distinzioni realizzate da Frege risiede il concetto di << dimostrazione >>: egli infatti vuol dimostrare rigorosamente le proposizioni dell’ aritmetica, ponendo in rilievo su quali verità – base poggino le stesse dimostrazioni aritmetiche.
Nel momento in cui però si voglia procedere in questo cammino fondazionale, si ci accorge – secondo l’ Autore – come le proposizioni che compaiono nel corso delle dimostrazioni, siano costituite da concetti composti e, questi, a loro volta, da concetti elementari.
In questo regresso continuativo verso i costituenti primi della dimostrazione, ci si imbatte in ciò che per antonomasia, è alla base dell’ intero edificio dell’ aritmetica: il numero naturale.
Dinanzi al numero naturale, Frege si domanda se questo sia << definibile >> o << indefinibile >> e, proprio a tale domanda, le GLA tenta di rispondere.
Dopo tale excursus relativo al progetto dell’ opera, è ora necessario procedere sul cammino tracciato dall’opera, conducendo in primis, una ricognizione di quelle che sono le critiche che lo stesso Frege muove ad una serie di autori che avevano scritto in materia di aritmetica, logica e filosofia, e in secundis, soffermarci sul contenuto propositivo del lavoro fregeano, sulla par costruens.
Nel secondo capitolo, due sono gli autori sui cui si maggiormente si concentra l’ attenzione di Frege: Kant J. Stuart Mill.
Se Kant in maniera erronea ha concepito le proposizioni matematiche come indimostrabili e sintetiche, facendo ricorso all’ intuizione[54] che potenzialmente rischia di far “apparire come empiriche le proposizioni prese in esame”[55] J. Stuart Mill, a torto, ha sostenuto che le leggi dell’aritmetica sono induttive, non tenendo conto del fatto l’ induzione si basa sulla probabilità e, questa a sua volta sulla validità delle leggi aritmetiche.
In maniera molto simile a Husserl, Frege ritiene che l’ idea di J. Stuart Mill in base alla quale a ogni numero corrisponda l’asserzione di un fatto, è inammissibile, in quanto confonde il piano delle leggi naturali con quello della matematica e, quest’ultima, con le sue applicazioni.
In questo modo, tanto l’ impostazione di Kant quanto quella di J. Stuart Mill appaiono problematiche ed erronee al medesimo tempo: se infatti le leggi dell’ aritmetica non possono essere analitiche a posteriori, né sono sintetiche a posteriori (à la Mill), né tanto meno sintetiche a priori (à la Kant), saranno, per esclusione, analitiche.
Inoltre, è interessante notare come per Frege, sebbene la matematica sia fondata su proposizioni analitiche, la geometria – in perfetta sintonia con lectio kantiana – sia sintetica.
Infine, l’ Autore afferma di volere abbandonare “la leggenda dell’ infecondità della logica pura”[56], nel tentativo di rivalutare la portata dei “giudizi analitici”[57].
Nel capitolo 3, prendendo in rassegna le tesi di alcuni autori (M. Cantor, E. Schröder, Bauman, Mill, Berkeley, Locke, Hume) in materia di filosofia e di aritmetica, Frege sostiene che la tendenza a considerare il numero naturale come indefinibile (Hankel), dipende non tanto dai “motivi insiti nella cosa stessa, quanto dalla cattiva riuscita dei tentativi rivolti a tale scopo”[58].
Tanto le idee di Hankel quanto quelle di Lipschitz sono accomunate dal fallimentare tentativo di procedere nell’ analisi sui fondamenti dell’ aritmetica con l’ ausilio, più o meno esplicito, di metodi psicologici.
A proposito di Lipschitz, Frege scrive:
“Sembra infatti che la descrizione del modo come esso sorge in noi, possa chiarirci qual è la sua essenza. Se si accetta questo punto di vista, la ricerca intorno al concetto di numero si trasforma in una indagine di carattere psicologico”[59]
Nell’ ottica fregeana è chiaro che la descrizione dei processi mentali che stanno alla base dell’ enunciazione del concetto di numero non potranno mai sostituire “la vera determinazione del concetto di numero”[60].
Tutti gli errori in cui sono caduti gli autori presi in considerazione, in linea generale, sono dovuti ad un mendace intreccio di logica, filosofia e psicologia, e alla mancata distinzione tra ciò che è << oggettivo >> e ciò che è << reale >>.
Per Frege, << oggettivo >> è ciò che non solo risulta “conforme a leggi”[61], ma ciò che è “afferrabile dai concetti”[62], potendo così essere “giudicato”[63] ed “espresso mediante parole”[64], a differenza dell’ intuitivo che rimane inesprimibile[65].
In questo modo si evince che il numero, lungi dall’essere << spazio – temporale >>, << soggettivo >>, << sensibile >>, è << oggettivo >> e la sua oggettività riposa nella ragione.
L’aritmetica, in quanto scienza più esatta di tutte, non potrebbe quindi mai fondarsi sulla psicologia, così oscillante e malsicura.
Per quanto riguarda il concetto di << rappresentazione >>, Frege distingue quelle che sono le rappresentazioni soggettive della psicologia dalla rappresentazioni oggettive della logica, vale a dire i << concetti >> e gli << oggetti >>.
Tale distinzione, potendo creare confusione, viene messa da parte e Frege finisce per sostenere che quando parla di rappresentazioni, sono sempre e solo le rappresentazioni soggettive della psicologia.
Il capitolo 4, intitolato Opinioni sull’ unità e sul numero, non è solo interessante in quanto prosegue quel lavoro di catalogazione critica delle tesi degli autori più importanti in materia di aritmetica e filosofia, ciò che colpisce maggiormente, oltre all’ idea di considerare il << concetto >> portatore del numero e non l’ << oggetto >>, è la particolare attenzione che Frege rivolge al problema della chiarezza concettuale, mostrando come alla base di alcune tesi, via siano delle vere e proprie aporie riguardo al termine << unità >>.
“Le espressioni “molteplicità”, “insieme”, “pluralità” sono inadatte – a causa della loro indeterminatezza – a servire come spiegazione del numero[66]“.
I maggiori problemi riguardo al concetto di numero sono nati nel momento in cui bisognava attribuire all’ << unità >>, tanto l’ << uguaglianza >> quanto la << distinguibilità >>.
Dinanzi a tali ambiguità terminologiche – concettuali, è necessario sapere distinguere l’ << uno >> dall’ << unità >>, poiché se l’ << uno >> è incapace di plurale, ciò non accade per il termine << unità >>.
Al fine di comprendere questi problemi è bene – scrive Frege – associare il termine << uno >> al giudizio numerico, con la fondamentale conseguenza all’ interno di tutta la filosofia della matematica di Frege che “l’attribuzione di un numero contiene sempre un’affermazione intorno a un concetto”[67].
A differenza di Locke, Frege ritiene che non ogni oggetto del mondo né ogni idea formatasi nella nostra mente, possa far sorgere nell’ intelletto l’ idea d’ unità.
Per quanto riguarda invece il << tempo >>, questo è soltanto una “necessità psicologica”[68], quella che Husserl nella PA aveva chiamato una “precondizione psicologica”[69], che ben poco ha a che fare con il concetto di numero.
Continuando in quell’ analisi negativa concernente ciò che il numero non é, Frege afferma che il numero non solo non è ricavato per astrazione, ma lungi dall’ essere una rappresentazione o qualcosa di fisico, non è neanche una proprietà degli oggetti.
L’astrazione inoltre, non permette di ricavare il numero, bensì precede la “formulazione dei giudizi aritmetici”[70] al fine di “ricavare il concetto in cui si scoprirà il numero”[71].
In perfetta sintonia con l’ idea che l’ uso della lingua sia non di rado “illusorio”[72], Frege mostra come una parola usata con l’ articolo indeterminativo, oppure in forma plurale senza articolo, sia un concetto.
Il capitolo 4 si conclude con la distinzione tra << note caratteristiche >> di un concetto e << proprietà >> di un concetto: se le prime sono proprietà degli oggetti che cadono sotto un concetto, ma non del concetto in sé, le seconde invece, sono proprietà che ineriscono direttamente al concetto.
Tale distinzione ci permette di accorgerci come la prova ontologica, autentica crux disperationis della tradizione teoretico – teologica occidentale, si fondi sull’ erronea idea che l’esistenza sia una << nota caratteristica >> e non una << proprietà >>.
Il capitolo 5 è quello più propriamente matematico di tutta l’ opera: qui Frege, partendo dai risultati ottenuti dall’ analisi delle teorie avversarie, passa alla definizione di numero naturale.
Egli comincia dicendo che a un concetto spetta il numero 0, se nessun oggetto cade sotto di esso, mentre spetta il numero 1, se non è vero che, dato un qualsiasi oggetto a, valga sempre l’ affermazione in base alla quale a non cade sotto il concetto.
Infine, per spiegare il passaggio generico da un numero al suo successivo, Frege scrive che al concetto F[73] spetta il numero (n+1), quando prendendo un oggetto a che cade sotto F, e formando con esso il nuovo concetto “subordinato a F, ma diverso da a”[74], troviamo che a questo nuovo concetto G spetta il numero n.
In realtà – nota l’ Autore –, con queste definizioni “abbiamo unicamente stabilito il senso delle espressioni ‘spetta il numero 0’ e ‘spetta al numero 1’”[75]
È interessante notare come per Frege il singolo numero[76] che compare nell’ affermazione “al concetto F spetta il numero 0” , sia piuttosto “un oggetto a sé”[77], “ qualcosa di autonomo”[78]: in questo modo egli vuol evitare che i numeri possano essere usati o come attributi o come predicati.
Al fine di raggiungere il concetto di numero naturale occorre stabilire il senso di un’ uguaglianza numerica, vero e proprio cardine di tutta l’ aritmetica.
“Voglio anzi, per brevità, introdurre un nuovo termine: stabiliremo cioè di dire che il concetto F è ugualmente numeroso (gleichzahlig) al concetto G, ogni qualvolta esiste l’ anzidetta possibilità di porre in corrispondenza biunivoca gli oggetti che cadono sotto G e quelli che cadono sotto F “[79]
Attraverso il concetto << ugualmente numero >>, Frege ha la possibilità fornire una definizione che, a differenza delle precedenti, non si limiti a stabilire il senso di espressioni come ‘spetta al numero 0’ o ‘spetta al numero 1’, ma che sia in grado di fondare l’ idea che il portatore del numero sia il concetto e non l’ oggetto.
In questo modo Frege definisce il numero naturale dicendo che “il numero naturale che spetta al concetto F non è altro che l’estensione del concetto ‘ugualmente numeroso ad F’”[80].
Partendo da questa definizione il numero 0 è quel numero che spetta al concetto “disuguale da se stesso”[81], mentre l’1 è il numero naturale che spetta al concetto “uguale a 0”[82]
Infine, per poter dimostrare che a ogni numero naturale ne segue un altro nella successione dei numeri naturali, Frege parte dal teorema che nessun numero finito segue se stesso.
Le GLA si concludono con il capitolo 6, capitolo nel quale Frege realizza una breve ricognizione dei risultati ottenuti in precedenza, tracciando quelle che sono – a suo avviso – le differenze teoriche fondamentali rispetto all’ impostazione kantiana in materia di filosofia della matematica.
Le leggi dell’ aritmetica sono dunque per Frege analitiche e quindi a priori e, la stessa aritmetica altro non è che una “logica ulteriormente sviluppata”[83]
Kant – scrive l’Autore – aveva una “troppa limitata determinazione del concetto di giudizio analitico”[84] che lo portò a misconoscere il carattere analitico dell’ intera aritmetica.
“Kant sembra pensare che il concetto determinato in ogni caso dalle sue note caratteristiche; questo però è soltanto uno dei modi per formare i concetti, e proprio dei meno fecondi”[85]
Nel giudizio analitico a priori c’è un ampliamento della nostra conoscenza, le conseguenze feconde ricavate da tale giudizio vanno pensate “come la pianta nel seme, non come una trave nella casa”[86].
L’ intuizione, che in Kant aveva un ruolo determinante, è messa tra parentesi sia nella sua veste sensibile che pura: non solo l’ aritmetica non è sintetica, ma ci possono essere dati degli oggetti[87] anche senza l’ausilio dell’ intuizione.
Se Kant sbagliava a proposito dell’ aritmetica, gli va tributato il merito di aver distinto i giudizi analitici da quelli sintetici, affermando che le verità geometriche sono sintetiche a priori, “egli ha saputo comprendere la loro vera natura”[88].
Contro quel ricorso ingiustificato all’ intuizione all’ interno dell’aritmetica e al fine di evitare salti nelle dimostrazioni matematiche, Frege dice di aver voluto introdurre la sua << scrittura per concetti >>.
Infine, prendendo in considerazioni le teorie di alcuni matematici del suo tempo, tra i quali anche Cantor, l’ Autore scrive che in matematica “non si può creare qualcosa ad arbitrio”[89], ma solo scoprire ciò che già esiste e dargli un nome.
1.3 Husserl: dalla << psicologia >> alla fenomenologia
“nessun concetto può essere pensato senza fondazione in un’intuizione concreta”[90]. E. Husserl, Filosofia dell’aritmetica.
La Philosophie der Arithmetik è un’ opera preparatoria, finalizzata alla costituzione di questa “disciplina di confine”[91], quale la filosofia dell’ aritmetica.
Husserl incomincia la sua trattazione affermando di voler attribuire, all’ interno dell’ edificio dell’aritmetica, la priorità fondazionale al numero cardinale che, secondo la nota definizione euclidea, è una molteplicità d’ unità.
Sin dalle prime battute ci si può rendere conto della strategia che Husserl adotta nell’ analizzare il concetto di numero: se questo, in accordo con la definizione euclidea, è una molteplicità d’ unità, si tratta ora di analizzare a sua volta, il concetto stesso di molteplicità.
A tal proposito, occorre distinguere la molteplicità rappresentata in maniera propria o immediata (senza l’ ausilio dei simboli), per poi prendere in considerazione la molteplicità rappresentata in modo simbolico.
La molteplicità di cui abbiamo una rappresentazione propria o immediata è l’ aggregato (Inbegriff), inteso come un insieme di oggetti che incontriamo ogni giorno.
La molteplicità, intesa come aggregato, presuppone però il concetto di << collegamento collettivo >> (kollektive Verbindung), quale legame che intercorre all’ interno di un aggregato di oggetti, al di là della specificità[92] degli oggetti stessi che lo compongono.
Tale legame collettivo è indicato nell’espressioni linguistiche grazie alla congiunzione “e”, con la conseguenza che la molteplicità è un “ qualcosa qualsiasi e un qualcosa qualsiasi e un qualcosa qualsiasi”[93] (vedi successivamente).
Nel procedere di queste analisi, Husserl evidenzia l’ importanza di non confondere il tempo con il numero, attraverso la fondamentale distinzione intercorrente tra il fenomeno e il suo significato[94]: il tempo è una precondizione psicologica[95] per il formarsi della nozione di molteplicità, con la conseguenza che né la contemporaneità, né la successione nel tempo, entrano nel contenuto della rappresentazione delle molteplicità e dei numeri.
È interessante notare come per Husserl non si tratti di dare una definizione del concetto di molteplicità, bisogna pervenire invece, – scrive l’ Autore – “a una caratterizzazione psicologica dei fenomeni sui quali riposa l’ astrazione di questo concetto“[96].
Questa massima si accompagna all’ idea fondamentale che nessun concetto possa essere pensato senza fondamento (Fundierung) in un’ intuizione concreta.
“ Un aggregato, sorge quando un interesse unitario e un notare unitario, sorto contemporaneamente a esso e contenuto in esso, abbracciano dei contenuti diversi e li mettono in evidenza in quanto tali “[97]
Se un atto di primo livello opera il legame collettivo, questo è colto solo mediante un atto di secondo grado che si focalizza sull’ atto psichico in virtù del quale il collegamento collettivo perviene all’ esistenza.
“ Attraverso la riflessione sull’ atto psichico che materializza l’unità dei contenuti collegati in un aggregato conseguiamo la rappresentazione astratta del collegamento collettivo a e grazie alla sua mediazione formiamo il concetto di molteplicità quale intero che si limita a collegare le proprie parti collettivamente “.[98]
Il collegamento collettivo rappresenta così l’ astratto che sta alla base del concetto generale di molteplicità; tuttavia, è bene tener presente che presente che, sebbene il collegamento collettivo formi la parte più importante del concetto di molteplicità, i due concetti non sono identici.
Il concetto di molteplicità non si basa solo sul concetto di legame collettivo ma anche sul concetto di qualcosa (etwas), dove con il termine qualcosa Husserl intende “ un nome che va bene per ogni contenuto possibile “[99]: tale concetto, sorge dalla riflessione sull’ atto psichico del rappresentare, al quale è dato come contenuto precisamente ciascuno oggetto determinato (i concetti di uno e di qualcosa sono simili).
Inoltre è bene non confondere il concetto d’ unità con quello di uno[100], il superamento di tale confusione è possibile solo attraverso una chiarificazione linguistica.
Husserl considera anche una variazione della sua teoria, che consiste nell’ ammettere oltre al concetto collegamento collettivo e di qualcosa, anche il concetto di uguaglianza.
A tal proposito, egli dice che l’ aggiunta della condizione d’ uguaglianza non è fondata, in quanto l’ uguaglianza stessa è frutto (conseguenza) dell’ astrazione e non il suo presupposto o fondamento.
Nello studiare il tentativo di Frege di analizzare e fondare il concetto di numero cardinale, Husserl dice che Frege “sfiora la risposta giusta, per allontanarsene però subito dopo in maniera ancora maggiore“[101].
Frege – afferma Husserl – mira ad “una fondazione dell’ aritmetica che si appoggi a una serie di definizioni formali“[102], connessa all’ idea di togliere qualunque rapporto con la dimensione psicologica.
Husserl parte dell’ assunto che “solo ciò che viene composto in maniera logica può essere oggetto di definizione“[103], e subito dopo aggiunge che “ non appena ci sia scontra con il concetto ultimo, ogni attività definitoria ha fine “[104].
In quest’ottica, Husserl è incline ad abbondare qualunque attività definitoria, al fine di “presentare i fenomeni concreti a partire dai quali o presso i quali avviene l’ astrazione dei concetto e offrire una chiara esposizione del processo astrattivo“[105].
Concetti come << qualità >>, << intensità >>, << luogo >>, << tempo >>, << uguaglianza, somiglianza >>, << molteplicità >> e << unità >> appartengono ai concetti (indefinibili) elementari.
Il concetto di numero cardinale è così strettamente connesso ai concetti di molteplicità e unità, che la sua non è una definizione in senso proprio.
Dinanzi ai concetti elementari ogni attività definitoria ha fine, si può solo offrire una chiara esposizione del processo astrattivo mediante il quale sorgono tali concetti.
Inoltre, Husserl dice il metodo di Frege permette di definire non i contenuti dei concetti, (…) ma la loro estensione, dove l’ estensione è intesa come l’ aggregato degli oggetti che cadono sotto il concetto.
In opposizione a Herbart, Husserl afferma che non è il numero a dire qualcosa del concetto di ciò che viene contato, bensì è questo concetto a dirci qualcosa del numero (con la conseguenza che se cambia il concetto cambia anche il numero): il numero non fa altro che contare l’estensione del concetto.
Husserl è interessato al contenuto e all’ origine del concetto di numero cardinale, non alla sua estensione (alla fine Husserl dice che il concetto di equivalenza è inefficace quando si definisce il concetto di numero cardinale).
Per Husserl le difficoltà maggiori risiedono “ nei fenomeni stessi, nella loro corretta descrizione, analisi e interpretazione “[106], solo in questo modo è possibile pervenire all’ essenza dei concetti.
L’aritmetica appare quindi come un somma di strumenti artificiali volti a superare le inefficienze essenziali del nostro intelletto.
In precedenza, avevamo distinto le rappresentazione proprie o immediate rispetto alle rappresentazioni simboliche: queste ultime ci servono o come rappresentazioni simboliche primarie o come surrogato permanente della rappresentazione effettiva.
Sia gli oggetti intuitivi, che i concetti astratti e generali possono essere simbolizzati.
È venuto il momento di soffermarci sulle rappresentare improprio per la formazione di rappresentazioni di molteplicità.
L’ insieme sensibile nell’ intuizione unitaria si presenta come un intero, le cui parti non sono contenute come delle proprietà, bensì come intuizioni parziali separate.
Come è possibile che entrando in una stanza vediamo alcuni oggetti e attraverso l’ apprensione e la riunione di qualche membro ci forniamo la rappresentazione “ collezione totale di oggetti “[107], senza che il processo di apprensione e riunione venga portato a compimento?
Detto in altri termini, se l’ insieme effettivo (la rappresentazione) è possibile solo se abbiamo tanti atti psichici quanti sono i contenuti (Atto1) e un atto di secondo ordine, in che modo parliamo propriamente d’ insieme, quando entrando in una stanza e senza aver compiuto l’ apprensione e la riunione di tutti i membri, parliamo lo stesso d’insieme?
Entro in una stanza S, in S vi sono n1,n2,n3,n4,n5,n6,n7 elementi, compio la mera apprensione di n1, n2 e n3, e parlo d’ insieme, senza aver completato l’apprensione e la riunione di tutti gli elementi.
Husserl avanza l’ ipotesi che già nell’ intuizione degli insieme sensibile debbano esserci dei segni indicativi immediatamente coglibili che ci permettono di garantire la validità del processo.
L’ ipotesi consiste nell’ ammettere che i complessi di relazioni che abbracciano l’ insieme nella sua globalità, fondandosi tra loro, formino delle unità stabili, capaci di conferire all’ intera apparizione dell’ insieme un carattere peculiare immediatamente percepibile (quasi – qualitativo).
Si conclude qui la nostra breve esposizione dell’ opera del 1891 e prende avvio l’analisi dei Prolegomena.
L’impostazione adottata nella PA (1891) – si legge nei Prolegomena – si è rivelata inefficace nel momento in cui si passava dal piano dei nessi psicologici del pensiero all’unità logica del contenuto del pensiero: le nuove esigenze teoretiche riguardanti il problema della teoria e della conoscenza in generale unite al mendace tentativo di costruire una fondazione << psicologia >> dell’ aritmetica, hanno portato Husserl a studiare analiticamente il rapporto tra la soggettività del conoscere e l’ oggettività del contenuto della conoscenza.
In questo modo le Logische Untersuchungen rappresentano “un’ opera di rottura, e quindi non un punto d’arrivo, ma un inizio“[108]: si tratta di realizzare un vero proprio Fundamentalarbeit che, pur sorgendo dalle macerie della fondazione psicologista prima adottata, sappia coniugare la dimensione soggettiva con quella oggettiva.
Se lo psicologismo é in sé da rifiutare, non per questo va cancellata la dimensione della soggettività, destinata quindi ad essere ripensata su base diversa.
Le LU sono procedute dai Prolegomena, un testo nato dalla rielaborazione di due serie complementari di lezioni tenute ad Halle nell’ estate e nell’ inverno del 1896.
In questo breve testo, Husserl argomenta in maniera sistematica l’ impossibilità di pervenire ad una fondazione psicologica per la logica e l’ aritmetica, ponendo così le premesse per lo sviluppo delle successive ricerche finalizzate alla costituzione di una vera e propria logica pura.
La logica pura – come si vedrà inseguito –, intesa come disciplina nomologica volta alla chiarificazione fenomenologica dei concetti primitivi che costituiscono l’ idea dell’ unità teoretica di ogni scienza, rappresenta, in maniera inequivocabile, quel Fundamentalarbeit di cui gli scienziati non hanno bisogno nel loro procedere, incuranti di “ penetrare negli ultimi fondamenti del loro fare “[109].
Al filosofo – scrive Husserl –, non interessa la mera operatività funzionale di una determinata teoria scientifica e i risultati a cui essa può approdare sul piano tecnico – pratico, egli, ha a cuore la chiarezza gnoseologica dei costituenti essenziali della teoria in generale, delle forme connettive attraverso le quali i concetti atomici si coordinano in un’ unità sistematica: si viene a delineare così una distinzione ineludibile tra la sfera della scienza ingenuamente positiva e la filosofia, il cui tèlos primario è la chiarificazione teoretica dell’ essenza dei concetti di cui la prima fa uso.
Egli inizia distinguendo i tre fondamentali indirizzi della logica del tempo (psicologista, formale e metafisico), affermando che quello psicologista, sotto l’ influsso di Stuart Mill, si può considerare, sia per il numero che per l’ importanza dei suoi adepti, l’ indirizzo prevalente.
Se in Sigwart lo psicologismo è una concezione fondamentale che tiranneggia in maniera assoluta, in Erdmann viene confusa l’ impossibilità logica come assurdità del contenuto giudicativo – ideale con l’ impossibilità psicologica, intesa come ineffettuabilità dell’ atto giudicativo.
Nella folta schiera dei logici psicologisti, al di là delle divergenze teoriche, Husserl annovera Stuart Mill, Bain, Wundt, Sigwart, Erdmann e Lipps.
Sia la teoria di Cornelius che il principio Mach – Avenarius, sono da ritenere forme più o meno esplicite di psicologismo, quest’ ultimo può solo risultare fecondo nel momento in cui viene assunto all’ interno della logica come tecnologia.
A differenza degli autori poc’anzi citati, Leibniz, Kant ed Herbart, al di là dei limiti teorici presenti nelle loro opere, hanno compiuto, seppur in maniere diverse, delle svolte nella trattazione di queste problematiche: se a Kant bisogna tributare il merito di aver distinto la logica pura dalla logica applicata (al di là della discutibilissima divisione tra intelletto e ragione), a Herbart, si deve la separazione, con tutte le riserve del caso, della psicologia dalla logica, infine a Leibniz, la tesi dell’ idealità della logica.
Dopo questa distinzione storico – teoretica, Husserl nota come proprio la confusione tra i campi, abbia ostacolato il progresso nella conoscenza logica.
“Tuttavia, ben più pericolosa è un’ altra deficienza nella delimitazione del campo, vale a dire la confusione tra i campi, la fusione di elementi eterogenei in modo tale da formare una presunta unità di campo, specialmente quando si fonda su un’ interpretazione del tutto erronea degli oggetti in questione che la scienza deve indagare.“[110]
Come si evincerà dal procedere successivo delle analisi, il rifiuto dello psicologismo da parte di Husserl, va valutato non solo in relazione alla cattiva fondazione a cui era approdato nell’ opera del 1891, ma da precise esigenze metodologico – teoretiche.
La psicologia, che vuole avere un ruolo fondazionale per la logica è fondata su leggi che, lungi dall’ essere esatte e autentiche, sono vaghe generalizzazioni dell’ esperienza: essa, è quindi una scienza basata sull’esperienza, i cui enuncianti non sono altro che regolarità approssimative della coesistenza o successione dei fenomeni psichici.
Le leggi psicologiche, in quanto leggi naturali, non hanno un’ evidenza apodittica ed, essendo fondate attraverso un processo induttivo, si stagliano in un orizzonte di mera probabilità. Lo psicologismo in questo senso racchiude in sé tutti quegli errori che possono scaturire dalla confusione tra i campi: non distingue la legge come membro della causazione dalla legge come regola della causazione, confonde le leggi naturali con le leggi logiche, i giudizi stessi con le leggi come contenuti giudicativi.
I logici psicologisti non distinguono il piano reale da quello ideale, la regolamentazione causale da quella normativa, la necessità reale dalla necessità logica, il fondamento reale dal fondamento logico.
Tutte queste coppie di concetti antitetici vanno riportate in seno all’ epistemologia in senso lato, facendo scaturire una fondamentale distinzione tra le scienze ideali e le scienze reali: le prime, totalmente a – priori, sono costituite da leggi generali ed ideali fondate con evidenza in concetti generali, le seconde invece, sono empiriche e, in quanto dotate di proposizioni fattuali, formulano leggi che hanno un’ universalità reale.
Si delinea così una netta separazione tra la dimensione reale e quella ideale, tra la sfera fattuale a cui inerisce la temporalità e la sfera della verità a – temporale, tale da rendere impossibile l’ utilizzo di una legge logica come legge della fattualità della vita psichica: mentre nella scienza dei fatti la legalità autentica è un semplice ideale, nella conoscenza puramente concettuale si trova realizzata.
Se gli errori dello psicologismo sono dovuti ad una prima e fondamentale confusione, quella tra psicologia e logica, una nuova fondazione deve nascere attraverso un processo di chiarificazione concettuale – linguistica; se la psicologia si occupa dei nessi psichici di coesistenza e successione dei fenomeni psichici, questi sono da distinguere dai rapporti oggettivi di premessa e conseguenza, oggetto della logica.
L’ importanza di queste argomentazioni, non deve essere valutata solo in un’ ottica critico – demolitoria, bensì anche da un punto di vista costruttivo: la par destruens nel suo procedere ha posto le basi per la par costruens vera e propria.
La logica pura di cui si parla nei Prolegomeni, avendo un ruolo fondazionale – teoretico di primo piano, si occupa delle condizioni evidenti della possibilità di una teoria in generale; tali condizioni sono sia soggettive che oggettive: soggettive (noetiche), in quanto condizioni ideali radicate nella soggettività e nel rapporto che questa nutre in relazione alla conoscenza; oggettive, nel momento in cui non concernono l’unità soggettiva della conoscenza, bensì l’ unità oggettiva di proposizioni o verità, l’ unità teoretica.
Una teoria sopprime se – stessa se contravviene nel suo contenuto alle leggi senza le quali una teoria non avrebbe alcuno senso: contravviene alle condizioni soggettive se e solo se, nega ogni preminenza al giudizio evidente rispetto a quello cieco.
Da questo punto di vista, le teorie possono essere assurde, false, logicamente o noeticamente assurde e scettiche: se lo scetticismo in senso assoluto è intrinsecamente assurdo, non lo è lo scetticismo metafisico.
Questa breve parentesi sullo scetticismo e il relativismo, serve a mostrare come lo psicologico in “ tutte le sue varianti, non è altro che relativismo, soltanto che non sempre lo si riconosce e lo si ammette apertamente “[111].
Tra le forme di relativismo, Husserl annovera anche quelle teorie che riconducono la logica alle modalità funzionali dell’ intelletto care agli aprioristi ( non Kant, ma coloro che pur rifacendosi a Kant trascurano le leggi logiche fondamentali ).
Alla luce dell’imperativo metodologico di non confondere i campi, Husserl afferma che, in un’ultima analisi, tutte le posizioni relativistiche, scettiche e psicologiste, si possono ricondurre a profonde equivocazioni all’ interno della sfera terminologica della logica.
Molti problemi nascano a causa dell’ambigua terminologia adottata che, in tal modo si può prestare ad una duplice interpretazione: il termine “ giudizio “ ad esempio, nella visione psicologia della logica come tecnologia, è un’ assunzione di verità, mentre nella logica pura è un’unità ideale di significato.
L’ insostenibilità dello psicologismo nel campo della logica, non spinge però Husserl verso posizioni rigide e radicali care a chi, come a Frege, aveva bollato la Philosophie der Arithmetik, come un’ opera tout court psicologista: “ Nella controversia sulla fondazione psicologica oppure oggettiva della logica, io assumo una posizione intermedia “[112].
Gli stessi antipsicologisti cadono in errore nella misura in cui radicalizzano la funzione regolativa della conoscenza, in quanto sussiste una profonda differenza tra lo statuto autonomo delle proposizioni della logica e la loro applicazione pratica: in principi logici fondamentali – sentenzia Husserl –, benché possano fungere da norme, non sono essi stessi norme.
Nella scienza, è necessario distinguere un piano metodologico, che costituisce l’ apparato funzionale per avere conoscenze, dal suo contenuto teoretico (idealiter), indipendente dalla dimensione soggettiva: in questo modo la logica pura rappresenta quel nucleo fondamentale in cui le leggi sono puramente ideali, mentre la logica metodologica, non è altro che l’ insieme degli apparati per ottenere conoscenze in un determinato campo di verità.
“La logica pura è il primo e più essenziale fondamento della logica metodologica. Ma naturalmente quest’ ultima ha fondamenti del tutto diversi da quelli che le offre la psicologia.“[113]
Gli esponenti dell’ antipsicologismo hanno attributo alla logica le leggi normali contrapposte alle leggi naturali di cui si occuperebbe la psicologia, quando invece l’ opposto della legge naturale è la legge ideale, la cui estensione è costituita da concetti puramente generali.
Da questo punto di vista, sia aritmetica che la logica pura, non dicono nulla sulla realtà, essendo scienze delle singolarità ideali di certi concetti generali.
Lo psicologismo, oltre a confondere il rapporto tra ideale e reale, misconosce la relazione essenziale che intercorre tra verità ed evidenza.
Al tal proposito, Husserl afferma che l’ evidenza non è altro che l’ accordo tra il senso dell’enunciato e lo stato di cose, mentre l’ idea di tale accordo é la verità.
“La psicologia vuole chiarire con evidenza come si formano le rappresentazioni del mondo: la scienza del mondo ( come concetto comprensivo della diverse scienze reali ) vuole conoscere ciò che è realiter come mondo vero ed effettivo; la teoria della conoscenza vuole invece comprendere con evidenza che cosa costituisca la possibilità di una conoscenza evidente del reale e la possibilità, dal punto di vista oggettivo ideale, di una scienza e di una conoscenza in generale.“[114]
Una volta dimostrata l’ inefficacia della fondazione psicologica per la logica, Husserl si domanda quale sia la caratteristica peculiare della scienza: non trattandosi del nesso psicologico – reale, si evince che la scienza sarà tale in base all’unità del nesso obbiettivo – ideale di fondazione.
Tale nesso è, al tempo stesso, nesso delle cose e nesso delle verità; tra i due piani sussiste un rapporto di coodipendenza a - priori, con la conseguenza che possono essere pensati in maniera indipendente solo da un punto di vista astratto. Se al nesso delle cose spetta l’ essere in sé, al nesso delle verità la verità in sé.
Questa distinzione (astratta o metodologica) tra nesso delle cose e nesso delle verità interno alla scienza, permette a Husserl di procedere in quel cammino di chiarificazione metodologica che innerva i Prolegomeni.
Se ogni nesso esplicativo è un nesso deduttivo, non ogni nesso deduttivo è esplicativo; se tutti i fondamenti sono premesse, non tutte le premesse sono fondamenti; infine, c’è differenza tra una conclusione che segue da leggi e da una che segue secondo leggi.
Dopo aver realizzato lo status quaestionis, chiarito le differenze fondamentali tra la dimensione della logica e quella della psicologia, si tratta ora di sviluppare quell’ orizzonte puramente fondazionale che è la logica pura.
La logica pura deve chiarire e accertare scientificamente i concetti primitivi che costituiscono l’ idea dell’ unità teoretica della scienza in generale e che sono indipendenti rispetto alla particolarità di qualsiasi materia della conoscenza, le forme connettive elementari (ad esempio la connessione disgiuntiva), le categorie oggettuali pure (formali), le categorie pure del significato e infine le leggi di complicazione delle categorie pure secondo una legge. La logica pura non si esaurisce nel processo di chiarificazione, ma deve risalire all’ origine fenomenologica dei concetti primitivi stessi, operare quindi una “ presentificazione intuitiva dell’ essenza in un’ intuizione adeguata “[115].
Il secondo gruppo di problemi di cui si occupa la logica pura, concernono la validità obbiettiva delle forme costruttive risultanti dalle categorie di significato e dalla categorie oggettuali pure: le leggi che ineriscono a tali forme risultanti hanno una generalità logico – categoriale, essendo dirette ai significati e agli oggetti.
In questo modo la logica pura diviene la scienza delle condizioni di possibilità di una teoria in generale, il cui oggetto di studio sono i concetti fondamentali, le forme connettive elementari e le leggi di complicazione.
La logica pura non opera una spiegazione (Erklärung) dei costituenti atomici della teoria in generale, bensì una loro chiarificazione (Aufklärung): ciò significa che, a differenza delle discipline matematiche, la logica pura non costruisce un insieme di proposizioni che si sviluppano nella loro validità ingenuamente positiva.
Tra Erklärung e Aufklärung c’è lo scarto che compare tra il normale procedere degli scienziati che – come Husserl scriverà nella Krisis –, sono nel migliori dei casi geniali tecnici del metodo, e i filosofi che, rispetto a i primi, sono dotati di un’ autocoscienza teoretica e hanno di mira i fondamenti che rimangono latenti al di sotto della mera operatività funzionale della scienza.
Come si è detto in precedenza, la logica pura si fonda su due istanze: la prima, concerne la chiarificazione dei concetti atomici e delle leggi di complicazione, la seconda invece, riguarda la riconduzione fenomenologica di tali concetti. È quindi necessario, addentrarci all’ interno della seconda istanza, offrendo una delucidazione critica ai fini della nostra esposizione.
La fenomenologia, deve analizzare e dischiudere nella loro generalità essenziale i vissuti rappresentazionali giudicativi e conoscitivi e le fonti dalle quali scaturiscono i concetti fondamentali e leggi logiche della logica pura.
Al logico puro, non interessa il giudizio psicologico concreto, ma il giudizio logico, ossia l’enunciato identico, che è unico in rapporto ai molteplici vissuti di giudizio.
“Pertanto questo esser – dato delle idee logiche e delle leggi pure che si costituiscono insieme ad esse non può bastare. Sorge così il grande compito di portare le idee logiche, i concetti e leggi, alla chiarezza e distinzione dal punto di vista gnoseologico. E a questo punto interviene l’analisi fenomenologica“[116].
Anticipando le ricerche successive, Husserl scrive che i concetti logici hanno origine nell’ intuizione, sorgendo dall’ astrazione ideante sul fondamento di certi vissuti, e proprio per questo, “ debbono trovare nuova verifica ed essere ricompresi nella loro identità con se stessi ogni volta che questa astrazione è ripetuta “[117].
Si cominciano a delineare le peculiarità di questa fenomenologia interna alle Ricerche logiche: non è possibile accontentarsi di pure e semplici parole, bisogna ritornare alle cose stesse, ossia rendere evidente sulla base di intuizioni pienamente sviluppate che ciò che è stato dato nell’ astrazione effettuata corrisponde al significato delle parole: “ mantenere i significati nella loro invariabile identità (…), mediante un’ intuizione riproducibile “[118].
La fenomenologia oltre ad assumere una funzione distruttiva nei confronti dell’ equivocazione linguistica, esige un orientamento innaturale del pensiero e dell’intuizione, in quanto bisogna rendere oggetti questi stessi atti e il loro contenuto immanente, ma nel far ciò, ricade nel linguaggio che cerca di chiarire.
“Non è assolutamente possibile descrivere gli atti intenzionali senza ricorrere nell’ esposizione alle cose intenzionate“[119].
In questo arduo cammino di chiarificazione gnoseologica, il fenomenologo incontrerà difficoltà nel suo tentativo di pervenire a risultati evidenti, ma anche nell’esporli e trasmetterli ad altri.
Solo attraverso la fenomenologia pura, totalmente diversa dalla psicologia come scienza empirica delle proprietà e degli stati psicologici, è davvero possibile superare lo psicologismo.
Con le Ricerche logiche Husserl non intende offrire un sistema di logica, ma preparare il terreno a una logica filosofica, “ chiarificata a partire dalle fonti originarie della fenomenologia “[120].
La fenomenologia intensa come conditio sine qua non della logica pura, non è volta a spiegare, ma a “ chiarificare l’ idea della conoscenza nei suoi elementi costitutivi e nelle sue leggi “[121].
Husserl subito dopo, afferma che fenomenologia si caratterizza per un’ assenza totale di presupposti metafisici, scientifico – naturalistici e psicologici.
1.4 Considerazioni conclusive
L’analisi condotta fin qui è stata funzionale a mostrare come la querelle Frege – Husserl in materia di filosofia della matematica e di << psicologismo >>, lungi dall’essere una mera questione storiografica, è d’ importanza capitale non solo per una più profonda comprensione del pensiero dei due autori, ma poiché dischiude nello stesso tempo problemi teorici che godono di vita propria.
Come avevamo avuto modo di dire nel primo capitolo, ogni studio che voglia dirsi scientificamente rigoroso riguardo a queste tematiche, dovrebbe trovare il suo prius in un’ analisi in cui l’ interesse per quei fenomeni di << polisemia semantica >> che colpsicono i termini principali della filosofia, sia coniugato ad uso critico e ponderato della categoria di << psicologismo >>.
In questo modo, è possibile non solo illuminare in maniera più attenta le differenze cruciali che risiedevano sin dall’ inizio nel pensiero di Frege e Husserl, ma realizzare un vero e proprio lavoro pre – teoretico, funzionale in un’ ottica logico – filosofica tout court.
Se Husserl pur abbandonando le posizioni tenute nella PA a proposito dell’ indefinibilità dei concetti dell’aritmetica, avrebbe visto nella definizione logica – come ben si evince dal IV delle Logische Untersuchungen – un artificio logico – pratico, mediante il quale il significato della parola non viene analizzato e internamente delimitato, lo stesso Frege, all’ interno di uno scritto tardo come le Ricerche logiche, si sarebbe interrogato circa il problema della << definizione >>.
Inoltre, se in Frege la battaglia contro lo psicologimo è, insieme alla particolare attenzione rivolta al linguaggio, una delle costanti fondamentali del suo pensiero, Husserl pur rigettando le critiche che aveva mosso all’ autore di Sinn und Bedeutung nella PA, vedrà nella psicologia, se correttamente intesa, una forma prelimenare della fenomenologia.
Frege in una lettera a Husserl datata 30 ottobre 1906, scrive con una punta di amarezza che “si continua sempre a considerare come compito della logica lo studio di determinati processi mentali”[122]