FRANCIS FUKUYAMA
A cura di Valerio Martone
Francis Fukuyama (nato
nel 1952 a Chicago, Illinois) è Senior Researcher alla Rand Corporation. Ha
raggiunto una vasta notorietà con il suo libro La fine della storia e
l'ultimo uomo (1992, tradotto in oltre 20 lingue) cui è seguito Trust:
The Social Virtues and the Creation of Prosperity (1995) e The Great
Disruption. Fukuyama insegna anche all'istituto di politica estera della
scuola per studi internazionali avanzati della John Hopkins University dove è
direttore del progetto sulle telecomunicazioni. Scienziato politico
specializzato sugli affari politico-militari del Medio Oriente e la politica
estera dell'ex-Unione sovietica, ha ricoperto vari incarichi negli ultimi 15
anni sia all'interno della Rand Corporation che al Dipartimento di Stato
americano. Si è occupato lungamente di questioni riguardanti la
democratizzazione e la politica internazionale e, negli ultimi anni, si è
concentrato sul ruolo della cultura e del capitale sociale nella vita economica
moderna. La fine
della storia e l'ultimo uomo (1992) ripropone fondamentalmente alcuni temi e concetti
significativi dello storicismo che, a detta dello stesso autore, erano stati
trascurati nella produzione filosofica degli ultimi anni. Tutta l'opera si basa
infatti sulla giustificazione della validità di una nuova
"storia universale", in polemica con una filosofia del '900
ritenuta eccessivamente pessimista e incapace di rivalutare la possibilità di
un percorso storico necessario e volto all'affermazione del migliore dei mondi
possibili. Questa nuova storia universale avrebbe poi (e ciò è sicuramente uno
dei punti più dibattuti) una vera e propria fine, delineata in un ben preciso
sistema sociale, politico ed economico, ossia la liberaldemocrazia e, in particolare,
la versione di essa oggi esistente negli Stati Uniti. Ma quali sono più
precisamente le giustificazioni di Fukuyama rispetto ad un'idea così radicale
come quella della fine della storia nel sistema
liberaldemocratico? Egli porta avanti parallelamente due tesi: da una
parte cerca di dimostrare come il progresso scientifico-tecnologico sia indice
di una storia progressiva e direzionale, dall'altra indica nel meccanismo del
riconoscimento hegeliano il motore del processo storico che porta
necessariamente ad un sistema politico liberaldemocratico. Entrando
maggiormente nello specifico, Fukuyama parte dalla considerazione che l'unica
attività umana, che può essere definita come costantemente cumulativa e
progressiva, sia lo sviluppo della scienza e della tecnica.
Tale attività diviene quindi, di riflesso, indice di uno sviluppo costante
nell'ambito della storia umana poiché impone, tramite il continuo aumento
qualitativo e quantitativo della produzione di beni, un continuo e parallelo
allargamento del sistema dei bisogni che si fanno sempre più raffinati e
complessi. D'altra parte, oltre allo sviluppo dei bisogni, vi è anche un
contemporaneo sviluppo nella capacità di soddisfarli, visto il costante aumento
della produzione facilitato, per esempio, dalla creazione di mezzi di
comunicazione sempre più veloci e precisi. Secondo Fukuyama lo sviluppo
tecnico-scientifico esprime al massimo le sue possibilità proprio nell'ambito
di un sistema produttivo capitalistico e, in particolare, nell'attuale sistema
neoliberista e globalizzato: tale convinzione gli deriva in particolare dalla
vittoria che il sistema capitalistico ha riportato sul sistema comunista
sovietico, capace quest'ultimo di creare quasi dal nulla un potente apparato
industriale, ma intrinsecamente incapace di reggere sul lungo periodo la
concorrenza del sistema capitalistico. Tuttavia, come nota lo stesso Fukuyama,
se il progresso scientifico è capace di giustificare una storia progressiva e
finalizzata al liberismo economico, non è altrettanto efficace nel giustificare
il passaggio necessario ad un sistema politico democratico. Vi sono infatti
numerosi paesi in cui si assiste a un impetuoso sviluppo delle capacità
produttive, non accompagnato però da un parallelo sviluppo verso istituzioni
politiche democratiche. Entra qui in gioco il secondo elemento ritenuto capace
di giustificare la fine della storia nel sistema liberaldemocratico
occidentale: la lotta per il riconoscimento. Di
tale concetto, fondamentale nella filosofia hegeliana, Fukuyama accoglie, più
che la visione originale di Hegel, la rivisitazione datane da Kojève e la
"arricchisce" con una reinterpretazione della dottrina platonica: se
infatti è la parte concupiscibile dell'anima umana che porta ad un costante
sviluppo dei mezzi di produzione e della scienza, si deve invece alla parte
timocratica (caratterizzata dal thymòs) la spinta verso il sistema
democratico. Il riconoscimento reciproco ed eguale, che avviene tra due
autocoscienze nell'ambito di un sistema democratico, è quindi, secondo Fukuyama,
la migliore possibile soluzione di compromesso per tutti. Se infatti in
democrazia la "isotimia" garantita dal diritto formale non consente
lo sviluppo abnorme di singole "megalotimie", è anche vero che il
reciproco ed eguale riconoscimento di ognuno consente, proprio per la sua
universale diffusione, una soddisfazione ampia e per tutti. La fine della
storia sarebbe insomma, secondo Fukuyama, nell'attuale sistema
liberaldemocratico e, se in alcuni paesi (U.S.A., Europa Occidentale, etc.) si
assisterebbe già ad una fase "post-storica", in altre parti del mondo
saremmo ancora in una fase storica più o meno avanzata, ma comunque sempre
inquadrabile nell'ambito del percorso già compiuto dalle liberaldemocrazie
occidentali. Di fronte alla radicalità delle proprie tesi lo stesso Fukuyama
ammette la possibilità di critiche e, nell'ultima parte del suo libro, cerca di
immaginare una possibile critica da sinistra,
riconducendola al filone di pensiero marxista, e una critica da destra, facendola
risalire al filone nietzscheano. La questione di riferimento per tali critiche
è se la liberaldemocrazia possa essere un effettivo punto di arrivo della lotta
per il riconoscimento, ossia se in essa vi possa essere un effettivo
soddisfacimento del thymòs. Nell'ipotesi di critica
marxista il riconoscimento sarebbe imperfetto perché solo formale e non
accompagnato da un'effettiva uguaglianza di possibilità; nell'ipotesi di critica nietzscheana, invece, l'isotimia democratica
sarebbe frustrante, visto che l'uguaglianza del riconoscimento non sarebbe
specchio reale delle differenze tra uomo e uomo. Alla critica marxista Fukuyama
risponde che in verità il sistema capitalistico
garantisce uguaglianza di diritti e di possibilità di successo; a quella
nietzscheana (ritenuta maggiormente pertinente) che, se l'isotimia può essere
frustrante per i più dotati, è anche vero che il sistema liberaldemocratico
consente in campi quali lo sport e, soprattutto, la politica, la riproposizione
di sfide capaci di soddisfare la megalotimia nei termini di un riconoscimento
diseguale, pur nell'ambito più generale di garanzie dettate da una costituzione
democratica. In conclusione, il problema che pone Fukuyama nell'arco delle sue
pubblicazioni, oltre alla validità del "pensiero
unico" di cui si presenta come alfiere, è, più in generale, la
validità oggi di un sistema storicistico e di
categorie quali "storia universale" e "fine della storia",
questioni poste con forza da studiosi fra loro anche molto diversi (pensiamo,
tra gli altri, a Lo scontro delle civiltà di Huntington e a Impero
di Tony Negri), nell'ambito dell'acceso dibattito su La fine della storia e
l'ultimo uomo. D'altra parte, ripensando alle critiche immaginate da
Fukuyama nell'ultima parte del suo libro e partendo da quest'ultime, il rifiuto
di "dire cinesemente sempre sì di fronte alla potenza della storia"
espresso da Nietzsche, può, e forse deve procedere parallelamente, seppure in
un orizzonte teoretico ben diverso, con la necessità di "spazzolare la
storia contropelo" e di non "nuotare con la corrente" espressa
da Benjamin e da gran parte del marxismo del Novecento. Il problema è insomma,
partendo da Nietzsche o da Benjamin, sempre quello di riuscire ad immaginare un
rapporto soggetto-storia aperto e problematizzante, che non si risolva cioè in
una passiva accettazione del dato. Indicativo e incoraggiante in questo senso è
il fatto che, fino ad oggi, nonostante i numerosi tentativi teorici e pratici
in tal senso, piaccia o non piaccia a Fukuyama, la storia si è sempre rivelata
refrattaria ad ogni chiusura.