ARNOLD GEULINCX
A cura di Alessandro Sangalli
Il Seicento è da sempre considerato il secolo del razionalismo, atteggiamento tipico della speculazione cartesiana: già nella prima metà del XVII secolo, la filosofia e le idee di Cartesio si diffusero rapidamente dapprima in Olanda – dove l’autore francese aveva pubblicato gran parte delle sue opere – e poi anche negli altri paesi d’Europa, suscitando ovunque lodi, riflessioni critiche, confutazioni o rettifiche. Una delle principali reazioni alla cartesianesimo fu l’occasionalismo, spesso ritenuto una sorta di “scolastica cartesiana”, cioè un utilizzo della filosofia e del linguaggio di Descartes per la difesa della fede religiosa: l’occasionalismo è così definito in analogia a quanto accadde per la scolastica medievale, che, per lo stesso scopo, utilizzava il linguaggio dei neoplatonici o quello di Aristotele. Per le idee espresse nei suoi scritti, Geulincx può senza ombra di dubbio essere considerato il vero iniziatore di questa fondamentale corrente di pensiero filosofica, che avrebbe poi trovato in Malebranche un suo strenuo difensore: sebbene idee simili fossero già state avanzate da Grauld de Cordemoy e da Louis de Ia Forge qualche tempo prima, il nostro autore fu il primo a dare loro una sistematizzazione solida e coerente. L’occasionalismo di Geulincx subì un ulteriore approfondimento nel senso della sopraccitata scolastica cartesiana per opera del succitato francese Nicolas Malebranche (1638-1715).
Arnold Geulincx nacque ad Anversa il 31 gennaio 1624. Studiò Filosofia e Medicina all’Università di Lovanio (Louvain), la stessa dove in futuro avrebbe ottenuto la cattedra di Filosofia. Nel 1653, pubblicò le Quaestiones quodlibeticae, opera in cui si trova una critica radicale al pensiero tradizionale, cioè la scolastica medievale di stampo aristotelico. Malvisto dagli ambienti cattolici a causa delle sue tendenze razionalistiche, venne rimosso dall'insegnamento nel 1658. Convertitosi al calvinismo, si trasferì a Leida, in Olanda, vivendo in condizioni di ristrettezza e povertà. Dopo che – grazie all’influenza di Abraham Heidanus, suo grande amico – ebbe ottenuto un posto di professore all’Università di Leida, tornò a dedicarsi alla stesura dei suoi scritti: pubblicò la Logica restituta (1662), il Methodus inveniendi argumenta (1663) e la prima parte della sua Ethica (1665). Molti dei suoi scritti rimasero però inediti: solo dopo la morte, avvenuta a Leida nel novembre del 1669, alcuni suoi allievi si occuparono di pubblicare le opere restanti, in particolare la seconda parte dell'Ethica (1675; pubblicata con lo pseudonimo di Philaretus), la Physica vera (1688), l’Annotata in Principia philosophiae R. Cartesii (1691) e la Metaphysica vera et ad mentem peripateticam (1691).
Nell’elaborare il suo pensiero, Geulincx prende spunto dalla non risolta separazione cartesiana tra anima (res cogitans) e corpo (res extensa) e dalla loro dipendenza da Dio. Il più grande problema aperto dal pensiero di Cartesio era, com’è noto, il seguente: se la sostanza spirituale e quella materiale sono eterogenee, com’è possibile che l’una intervenga sull’altra? In altri termini: com’è possibile che, quando la mia anima desidera alzare il braccio, il corpo risponda a tale desiderio? Una vexata quaestio a cui tutti i filosofi del Seicento cercheranno di dare una risposta. Geulincx ritiene Dio l’unica vera causa di tutto ciò che si verifica nell’una e nell’altra sostanza: la sostanza pensante (l’anima) è certamente in rapporto con quella estesa (il corpo); infatti le modificazioni del corpo diventano idee (sensazioni) e le idee dell’anima, mediante la volontà, producono i movimenti del corpo: penso di alzare il braccio e il braccio effettivamente si alza. Cartesio attribuiva questa corrispondenza all’azione esercitata dal corpo sull’anima o dall’anima sul corpo, senza però spiegare in che modo due sostanze in tutto e per tutto diverse potessero agire una sull’altra (la spiegazione della “ghiandola pineale”, addotta da Cartesio, era inefficace e creava piuù problemi di quanti non ne risolvesse). Essendo un’azione del genere pressoché inconcepibile, a Geulincx non resta che riconoscere che è Dio stesso la causa diretta ed immediata delle modificazioni corrispondenti che si verificano nell’anima e nel corpo: né i fatti esterni sono causa degli stati mentali interni, né stati psichici causano movimenti fisici.
Detto altrimenti, non è il corpo la causa delle sensazioni, né la volontà quella dei movimenti corporei, ma è Dio che produce nell’anima la sensazione in occasione di una modificazione corporea o il movimento in occasione di una volizione dell’anima. L’interazione tra corpo e anima (cioè tra le due res) è reso possibile dal continuo intervento di Dio, simile (l’immagine è di Leibniz) a un “grande orologiaio” che continuamente interviene per sincronizzare due orologi che, senza l’intervento divino, segnerebbe immancabilmente ore diverse. Detto altrimenti, ciò che accade nel corpo e nell’anima è solo un’occasione per l’intervento della causalità divina, che è l’unica vera causalità esistente. Di qui il nome di “occasionalismo” che fu dato alla corrente di pensiero inaugurata da Geulincx.
Nessun essere ha in sé la ragione della propria esistenza né può essere la causa di un altro essere: tutto ciò è dovuto unicamente a Dio, il cui intervento nel mondo è incessante. Egli è la causa e il fondamento ultimo di tutto ciò che è. I miei desideri, le mie volizioni e i miei pensieri sono perciò i desideri, le volizioni e i pensieri di Dio: noi pensiamo le cose in Dio, dirà Malebranche. Cartesio aveva lasciato irrisolto, o quasi, il problema della relazione tra il pensiero universale, la res cogitans, e le volizioni dell’individuo: Geulincx le interpreta come modi del pensiero divino, dando alla sua filosofia un marcato colore spinoziano. L’amore per la retta ragione è la suprema virtù, fonte dalla quale sgorgano le altre virtù cardinali, la diligenza, l’obbedienza, la giustizia e l’umiltà. La virtù cardine è l’umiltà: l’uomo nel mondo non è un attore, ma uno spettatore del meccanismo della causalità divina che si svolge dentro di lui. L’unico atteggiamento possibile è quindi l’umiltà e la sottomissione di fronte ai voleri di Dio. L’atteggiamento di Geulincx di fronte alla vita è senza dubbio quello di un rassegnato ottimismo: un ottimismo in fondo non molto diverso da quello degli antichi Stoici, placidamente rassegnati di fronte al necessario e immutabile occorrere degli eventi.