GIOVANNI DE LA ROCHELLE
A cura di Diego Fusaro
Successore di Alessandro di Hales, dal 1238, all’Università di Parigi, Giovanni de la Rochelle morì il 15 agosto del 1245. Egli fu autore di numerosi scritti teologici (Summa de virtutibus, Summa de vitiis, Summa de articulis fidei, Summa de anima): mostrando uno spiccatissimo spirito filosofico, egli si oppose a quanti a quel tempo volevano limitare lo studio e l’esercizio della filosofia, e attribuì quell’ostilità verso il sapere filosofico all’intervento dello stesso Satana (che non vuole che i Cristiani siano dotti). Giovanni de la Rochelle introduce la distinzione tra tre facoltà, seguendo l’apocrifo agostiniano De spiritu et anima: l’intelletto conosce gli intelligibili creati (angeli, anime), l’intelligenza conosce il vero e il bene immutabile, vale a dire Dio. Ispirandosi anche all’insegnamento di Avicenna, egli cerca di mettere in relazione la dottrina dell’intelletto agente con la dottrina agostiniana dell’illuminazione divina sulla base di un aristotelismo alquanto eclettico. L’intelletto agente per Giovanni è come la luce intellegibile di Dio stesso, sempre in atto nell’anima umana. In tal modo ogni uomo possiede un intelletto agente, che è come l’impronta di Dio nel singolo uomo. Anche gli angeli e Dio sono concepiti come intelletti agenti, superiori agli intelletti agenti dell’anima di ciascun uomo, ma in stretta relazione con essi in quanto capaci di illuminarli alla conoscenza delle cose superiori e divine. Le sensazioni sono per Giovanni il risultato dell’azione esercitata dai corpi sugli organi, in virtù della mediazione dell’ambiente fisico che è per la vista il trasparente, per l’udito l’aria, per l’olfatto i vapori esalati dagli oggetti, per il gusto la saliva, per il tatto la carne. I dati di questi sensi particolari sono accentrati nel “senso comune”, che li conserva e li coniuga per formare i “sensibili comuni” (comuni a parecchi sensi), come grandezza, movimento, riposo, numero, ecc. Il senso comune – chiamato “sensus formalis” da Avicenna – è un senso interno. Per liberare da queste immagini specifiche o comuni le nozioni astratte, occorre l’intervento della “facoltà intellettiva” (virtus intellectiva), che non dipende da alcun organo particolare ma è tutta presente per intero nel corpo umano: “est in toto corpore tota”, dice Giovanni. L’astrazione non sta nel separare realmente gli elementi costitutivi dell’oggetto, ma nel considerarli separatamente, grazie a una “valutazione” (aestimatio) che li distingue gli uni dagli altri raggruppando le somiglianze e sopprimendo le differenze, ma senza disgiungerle del tutto dal sensibile. L’“illuminazione” agostiniana veniva per questa via compatibilizzata, in certa misura, con la dottrina arabo-aristotelica dell’“intelletto agente” (nous poietichòs): infatti, per Giovanni, l’intelletto si divide in intelletto in potenza rispetto agli intelligibili come una tavoletta sui cui non è ancora stato scritto nulla e in intelletto agente, che nella nostra anima è come la luce intelligibile di Dio stesso, sempre in atto. Ciascuna anima umana, individualmente considerata, ha un suo intelletto agente, che le è proprio e che è in essa il suggello di Dio sulla sua opera. Tale intelletto è la facoltà più alta dell’anima: “intellectus agens, id est vis animae suprema”, scrive Giovanni. Egli ammette la possibilità di più intelletti agenti separati, e lo fa per rendere compatibile con il Cristianesimo una dottrina originariamente non-cristiana: è un intelletto agente separato ogni sostanza spirituale distinta dall’anima, superiore ad essa e capace di agire su di essa per darle dall’esterno conoscenze che essa non potrebbe guadagnare con la luce naturale del suo intelletto agente. Gli angeli e Dio possono dunque essere intesi, per Giovanni, come tanti intelletti agenti: gli angeli istruiscono l’uomo su ciò che riguarda gli angeli, e Dio su ciò che ha a che fare con le verità sovrannaturali – come la Trinità –, riguardanti il solo Dio.