JÜRGEN HABERMAS


CONTRO POSITIVISMO ED ERMENEUTICA



Negli anni ’60, Habermas prende parte al noto dibattito tra “analitici” e “dialettici” circa il positivismo sociologico. Questa diatriba, passata alla storia come Positivismusstreit, fu avviata, nel 1961, da Adorno e da Popper in un congresso a Tubinga, e fu poi portata avanti dai rispettivi “allievi”, Habermas e Albert. Allo scritto Epistemologia analitica e dialettica (1963) di Habermas, Albert rispose con Il mito della ragione totale (1964). Habermas e Adorno definiscono “neopositivisti” Popper e Albert, che però rigettano tale etichetta e si autodefiniscono “razionalisti critici”; a loro volta, Popper e Alber qualificano come “hegeliani” e “dialettici” Adorno e Habermas, che non rifiutano tale qualifica, alla luce del fatto che uno dei nodi del dibattito è il concetto hegeliano di “totalità”, che Adorno e Habermas applicano alla società. Habermas si oppone alla separazione tra “conoscere” e “valutare” e sostiene che ogni conoscenza poggia su precisi interessi generati dal contesto sociale nella sua totalità. Alla luce di questo presupposto, Habermas rigetta fermamente l’oggettivismo conoscitivo fatto valere da Popper e Albert: da qui, il nostro autore prenderà le mosse per un’approfondita indagine sui rapporti che legano il sapere al suo contesto antropologico/sociale. In Conoscenza e interesse (1968), Habermas distingue tre tipi di conoscenza: a) quella delle scienze empirico-analitiche, che sono in cerca di leggi; b) quella delle scienze storico-ermeneutiche, che mirano a comprendere il senso; c) quella delle scienze critico-riflessive, che danno vita a teorie critiche dell’uomo e dalla società. Ciascuna di queste tre forme di conoscenze muove da un preciso interesse: l’interesse delle scienze empirico-analitiche è un interesse teorico; quello delle scienze storico-ermeneutiche è un interesse pratico; quello delle scienze critico-riflessive è un interesse emancipativo. Più nello specifico, le scienze empirico-analitiche hanno interessi teorici condizionati da interessi tecnici, ossia legati alla logica di quello che Habermas chiama “agire strumentale”; le scienze storico-ermeneutiche hanno un interesse pratico dettato dall’ideale di una possibile comunicazione tra i partners coinvolti nel dialogo interpersonale: le scienze critico-riflessive hanno come interesse l’auto-liberazione dell’uomo e la costruzione di una società senza il dominio.
Il rifiuto dello scientismo positivistico e della sua pretesa avalutatività sembra avvicinare Habermas all’ermeneutica di Hans Georg Gadamer: ma il nostro autore sottopone a critica anche l’ermeneutica gadameriana, in forza dei tratti idealistici e politicamente conservatori che la animano (si pensi all’importanza che Gadamer assegna alla tradizione). In opposizione all’ermeneutica, Habermas costruisce una meta-ermeneutica sotto forma di una marxiana “critica dell’ideologia” che smascheri le mistificazioni e le imposture fatte valere da una società in cui non si ha ancora una retta comunicazione tra gli uomini. Non diversamente dalla psicanalisi, la quale dai comportamenti disturbati dei nevrotici risale alle cause che li hanno indotti, Habermas, con la sua critica dell’ideologia, si propone di risalire dagli effetti della comunicazione distorta (vale a dire poggiante sulla menzogna e sul dispiegamento della violenza) alle cause che l’hanno generata:i rapporti di denaro e di potere.
A questa meta-ermeneutica anti-gadameriana, il nostro autore assegna il nome di “ermeneutica del profondo” (Tiefenhermeneutik), alludendo alla sua capacità di scendere nel torbido e nelle profondità di questa società in cui nascono le storture. Il compito primario dell’ermeneutica del profondo è lo smascheramento delle numerosissime ideologie che mistificano i rapporti umani: ma perché ciò possa avvenire, occorre presupporre un giusto modello di società da anteporre a quello falso che si critica e assumere un atteggiamento critico nei confronti dell’ermeneutica tradizionale.

INDIETRO