Influenzato dalla distinzione di
Popper dei tre mondi (mondo degli oggetti fisici, mondo degli stati mentali,
mondo dei contenuti di pensiero), anche Habermas distingue tre diversi mondi:
1) il mondo oggettivo degli eventi; 2) il mondo sociale delle norme; 3) il
mondo soggettivo dei dialoganti. A ciascuno di questi tre mondi
corrisponderebbe una specifica modalità d’azione: al mondo oggettivo
corrisponde l’“agire teleologico” (che mira cioè a raggiungere certi scopi
prefissati), al quale corrisponde la verità proposizionale. Al mondo sociale
delle norme corrisponde l’agire regolato da norme, a cui a sua volta
corrisponde la giustezza normativa. Si ha poi l’agire drammaturgico quando si
ha un attore che si autorappresenta dinanzi agli altri come se fosse sulla
scena teatrale (ad esempio, il pugile o il poliziotto): a questa forma di agire
corrisponde la veridicità soggettiva.
La partizione habermasiana
riprende, in certa misura (in molti punti mutandola), quella compiuta a suo
tempo da Weber in Economia e società, opera in cui individuava anch’egli
quattro tipologie dell’agire (agire razionale rispetto allo scopo, agire
razionale rispetto al valore, agire affettivo, agire tradizionale). L’agire strategico (detto anche
“teleologico” o “strumentale”) di cui parla Habermas è, per molti aspetti, una
riproposizione dell’“agire razionale rispetto allo scopo” di Weber; alla base
di esso v’è il presupposto secondo cui noi agiamo in vista di scopi ben
determinati (perciò è anche detto “agire teleologico”), adottando una certa
strategia. Ciò significa che a dirigere tale agire sono il calcolo dell’utile e
dello scopo finale, un calcolo che è però chiamato a tener conto del fatto che
il soggetto agente non è solo e sotto una campana di vetro, ma si trova invece
ad agire in presenza di altri individui che agiscono come lui con razionalità
strumentale e che dunque, perseguendo scopi simili o addirittura uguali,
possono entrare in conflitto con lui. Significativamente Habermas dice che si
ha agire strategico “se prendiamo le mosse da almeno due soggetti agenti,
agenti in modo finalizzato, che realizzano i loro scopi mediante l’orientamento
e l’influenza sulle decisioni di altri attori”. Secondo questa definizione,
Robinson Crusue che, da solo sull’isola, agisce razionalmente rispetto allo
scopo, non sta agendo strategicamente, giacché è il solo attore; si potrà dire
che egli intraprende un agire strategico solo quando incontra Venerdì (e dunque
gli attori sono due), anche se il rapporto di interazione tra i due si risolve
rapidamente in quella che, per dirla con Hegel, potremmo definire come una
“dialettica servo/signore”.
Se le norme dell’agire
strategico sono – per dirla con Kant – “imperativi ipotetici” (se vuoi ottenere
il potere, allora devi ricorrere alla forza e alla frode), nell’agire regolato da norme le norme in questione
possono essere accostate all’“imperativo categorico” kantiano. Infatti, si
riconosce sì l’esistenza di una dimensione in cui vige la frode, ma si ritiene
anche che, accanto ad essa, ve ne sia un’altra, coincidente con il mondo
dell’agire morale e del dovere. Così – rileva Habermas – l’agire strategico fa
riferimento ad un solo mondo, ossia a quello degli stati di fatto e degli
eventi, al wittgensteiniano mondo del “tutto ciò che accade”; al contrario,
nell’agire regolato da norme, l’immaginario dell’attore si è sdoppiato e, oltre
al mondo reale configuratesi come un coacervo di fatti, riesce a vederne un altro,
il mondo dei fini e dei valori. Scrive Habermas: “il concetto di agire regolato
da norme presuppone relazioni tra un attore e due mondi: al mondo oggettivo
degli stati di fatto esistenti, si aggiunge il mondo sociale […] dell’agire
regolato da norme”. Scrive ancora Habermas: “come il senso del mondo oggettivo
può essere spiegato in riferimento all’esistenza di stati di fatto, così il
mondo sociale può essere spiegato in riferimento all’esistenza di norme”. Il
terzo tipo di agire individuato dal filosofo tedesco è l’agire drammaturgico: stando a questa terza
forma, gli individui agiscono ai fini di un’autorealizzazione simbolica, quasi
come se si mettessero in scena e recitassero con grande enfasi. Tale tipo di
agire è così connotato da Habermas: “dal punto di vista dell’agire
drammaturgico, intendiamo un’interazione sociale come un incontro nel quale i
partecipanti costituiscono gli uni per gli altri un pubblico visibile e si
rappresentano reciprocamente qualcosa”. È particolarmente importante la nozione
di pubblico, che pure era in certa misura presente sia nell’agire strategico
sia in quello regolato da norme. Nel caso dell’agire drammaturgico, il pubblico
acquisisce la fondamentale valenza di essere costitutivo di quell’agire stesso,
che si svolge fine a se stesso (si può parlare, in questa prospettiva, di
“agire per l’agire”); si tratta, evidentemente, di un agire espressivo in cui
rientra l’arte stessa. È la forma di agire in cui meglio sono racchiuse e
custodite le componenti sentimentali dell’azione umana (le passioni, le
volizioni, le pulsioni, ecc). Infine, il quarto tipo di agire – quello su cui
Habermas costruisce la propria opera – è l’agire comunicativo, prevalentemente rivolto all’intesa: si
tratta di un agire in cui entra in gioco la dimensione linguistica, rientrante
tra le caratteristiche che distinguono l’uomo dalle bestie: “si riferisce
all’interazione di almeno due soggetti capaci di linguaggio e di azione che
(con mezzi verbali o extraverbali) stabiliscono una relazione interpersonale”.