Assumendo la difesa della ragione
critica, Habermas non può non assumere anche la difesa della modernità e del
progetto emancipativi che l’ha animata. È in questo contesto che dev’essere
inserita la polemica che il nostro autore conduce contro
i teorici del postmoderno, che egli accusa di essere conservatori e di
aver indebitamente identificato la modernità con la razionalizzazione
capitalistica. A queste accuse, il filosofo postmoderno Gianni Vattimo ha
risposto accusando, a sua volta, Habermas di propugnare ancora l’ideale di una
ragione “forte” e metafisicamente connotata. Stando a Habermas, la modernità è un progetto non fallito o finito (come
credono i Postmoderni), bensì incompiuto. Sicché gli ideali che l’hanno animata
(la ragione critica, il progresso, l’emancipazione universale, ecc) non devono
essere buttati a mare, come credevano Adorno e Horkheimer: devono piuttosto
essere recuperati e tradotti in atto, affinché la modernità abbia il suo
compimento adeguato. Il nostro autore attacca i Postmoderni soprattutto nel
testo Il discorso filosofico della modernità (1985), al cui centro sta
una rinarrazione critica della modernità stessa. Per Habermas, modernità
significa Illuminismo nel senso kantiano di emancipazione dal principio di
autorità e dalla tradizione. Il più grande teorico della modernità è, agli
occhi di Habermas, Hegel stesso, al quale spetta il merito di aver notato con
acutezza come la modernità sia problematica nella misura in cui la soggettività
modernamente intesa assurge a principio unilaterale incapace di trovare
un’unificazione con la ragione e con le sue possibilità. Hegel, che pure ha
colto il problema della modernità, non ha saputo prospettare ad esso
un’adeguata soluzione; né ci sono riusciti gli hegeliani della Destra e della
Sinistra. Hegel, la Destra e la Sinistra hegeliane rappresentano allora un
triplice fallimento: un tentativo sui generis di risolvere il problema
della modernità è stato compiuto da Nietzsche, del quale i Postmoderni
(pensiamo soprattutto a Vattimo) hanno dato interpretazioni troppo personali, a
tal punto da fare di lui una “piattaforma girevole” a cui assegnare ogni
valore. Il grande, ma fallimentare tentativo di Nietzsche è per Habermas quello
di porre la critica della ragione al di là dell’orizzonte della ragione stessa.
Così, Nietzsche suggerisce, da una parte, di considerare artisticamente il
mondo con metodi scientifici ma in un atteggiamento antimetafisico che rinunci
all’idea stessa di verità e di filosofia: dall’altra parte, però, Nietzsche
ricade tanto nella verità quanto nella filosofia nella misura in cui fa di
Dioniso un filosofo e della volontà di potenza una verità. Proprio questo
atteggiamento ambiguo, col quale si cerca di fondare la ragione sull’altro
rispetto ad essa, per poi ricadere nella ragione stessa, è la fonte dei due
atteggiamenti del postmoderno: l’uso della ragione per attaccare la ragione
stessa (Bataille, Lacan, Foucault, Vattimo), o l’atteggiamento del filosofo
circonfuso da un’aura iniziatica (Heidegger, Derrida). La conclusione a cui
Habermas addiviene misurandosi coi Postmoderni è che, se non si vuole
precipitare di nuovo nell’oscurità, occorre salvare tanto la modernità quanto
la ragione.