Il principio del terzo escluso
Dimenticando che identità e opposizione sono opposte tra loro, il principio di opposizione viene preso anche per quello di identità nella forma del principio di contraddizione; così un concetto a cui non spetti nessuno (cfr. sopra) dei due caratteri tra loro contraddittori, oppure spettino entrambi, viene dichiarato logicamente falso, come per es. il concetto di circolo quadrato.[…] Invece di parlare secondo il principio del terzo escluso (principio dell'intelletto astratto), si dovrebbe dire piuttosto: tutto è opposto. In effetti né in cielo, né in terra, né nel mondo naturale, né in quello spirituale, c'è un'alternativa così astratta come l'afferma l'intelletto con il suo o - o. Tutto ciò che è, in qualche modo è un concreto, e quindi qualcosa in sé distinto ed apposto.[...] La contraddizione superata non è per l'identità astratta, perché questa è soltanto un lato dell'opposizione. Il risultato prossimo dell'opposizione posta come contraddizione è il fondamento che contiene in sé tanto l'identità quanto la distinzione come superate e deposte a puri momenti ideali (ideell).
La contraddizione
Ma è uno dei pregiudizi fondamentali della vecchia logica e dell'ordinaria rappresentazione, che la contraddizione non sia una determinazione altrettanto essenziale ed immanente quanto l'identità.[...]La contraddizione viene ordinariamente allontanata, in primo luogo, dalle cose, da ciò che è e dal vero in generale; si afferma, che non v'è nulla di contraddittorio. Essa vien poi anzi rigettata sulla riflessione soggettiva, che sola la porrebbe col suo riferire comparare. Ma propriamente non si troverebbe nemmeno in questa riflessione, perché il contraddittorio si dice non si può né rappresentare né pensare. La contraddizione vale in generale, sia nella realtà, sia nella riflessione pensante, come un'accidentalità, quasi un anomalia e un transitorio parossismo morboso.
L'antropologia
In sé, la materia non ha nell'anima alcuna verità: in quanto per sé, l'anima si separa dal suo essere immediato e se lo pone di fronte come corporalità, che non può fare alcuna resistenza al penetrare di lei.[...] L'anima reale, nell'abitudine del sentire e del suo sentimento concreto di sé, è in sé l'idealità, che è per sé, delle sue determinazioni; nella sua esteriorità si ricorda in sé ed è relazione infinita a sé. Questo essere per sé della universalità libera è il destarsi più alto dell'anima che si fa io, dell'universalità astratta, in quanto essa è per l'universalità astratta; la quale è così pensiero e soggetto per sé, e cioè, determinatamente, soggetto del giudizio, in cui il soggetto esclude da sé la totalità naturale delle sue determinazioni come un soggetto, un mondo che gli è esterno, e si riferisce soltanto a questo, in modo che in esso è immediatamente riflesso in sé. Tale è la coscienza.
L'Arte
La forma di questo sapere è, in quanto immediata (il momento della finità dell'arte), da una parte un dirompersi in un'opera di esistenza esterna e comune, nel soggetto che produce l'opera e in quello che la contempla e l'adora; dall'altra parte, essa è l'intuizione concreta e la rappresentazione dello spirito assoluto in sé come dell'ideale; della forma concreta, nata dallo spirito soggettivo, nella quale l'immediatezza naturale è soltanto segno dell'idea, per la cui espressione è così trasfigurata mediante lo spirito formatore, che la forma non mostra altro in lei fuori dall'idea. Tale è la forma della bellezza. § 559 Lo spirito assoluto non può essere esplicato in tale individualità di figurazione. Lo spirito dell'arte bella è perciò un limitato spirito di popolo; la cui universalità, che è in sé, quando si procede all'ulteriore determinazione della sua ricchezza, si fraziona in un indeterminato politeismo.[...]
I due approcci con il mito
La mitologia va considerata secondo due prospettive: la prima considera la mitologia come storie semplicemente esteriori, che sarebbe indegno confrontare con Dio. [...] La mitologia va quindi considerata solo storicamente. [...] Il secondo punto di vista invece non vuole accontentarsi del lato esterno delle figure e dei racconti mitologici, ma sostiene che in essi è implicito un senso generale più profondo che è compito della mitologia, come considerazione scientifica dei miti, conoscere dietro il velame. La mitologia dovrebbe quindi essere intesa simbolicamente.
L'Amore
Unificazione vera, amore vero e proprio, ha luogo solo fra viventi che sono uguali in potenza, e che quindi sono viventi l'uno per l'altro nel modo più completo, e per nessun lato luno è morto rispetto all'altro. L'amore esclude ogni opposizione; esso non è intelletto le cui relazioni lasciano sempre il molteplice come molteplice e la cui stessa unità sono le opposizioni; esso non è ragione che oppone assolutamente al determinato il suo determinare; non è nulla di limitante, nulla di limitato, nulla di finito. L'amore è un sentimento, ma non un sentimento singolo: dal sentimento singolo, poiché è solo vita parziale e non vita intera, la vita si spinge fino a sciogliersi e a disperdersi nella molteplicità dei sentimenti per trovare se stessa in questo tutto della molteplicità. Nell'amore questo tutto non è contenuto come somma di parti particolari, di molti separati; nell'amore si trova la vita stessa come una duplicazione di se stessa e come sua unità; partendo dall'unità non sviluppata, la vita ha percorso nella sua formazione il ciclo che conduce ad ununità completa. Di contro all'unità non sviluppata stavano la possibilità della separazione e il mondo; durante lo sviluppo la riflessione produceva sempre più opposizioni che venivano unificate nell'impulso soddisfatto, finché la riflessione oppone all'uomo il suo stesso tutto, l'amore infine, distruggendo completamente l'oggettività, toglie la riflessione, sottrae all'opposto ogni carattere di estraneità, e la vita trova se stessa senza ulteriore difetto. Nell'amore rimane ancora il separato, ma non più come separato bensì come unito; ed il vivente sente il vivente. Poiché l'amore è un sentimento del vivente, gli amanti possono distinguersi solo in quanto sono mortali, solo in quanto pensano questa possibilità di separazione, non in quanto siano realmente qualcosa di separato, non in quanto il possibile congiunto con un essere sia qualcosa di reale. Negli amanti non vi è materia, essi sono un tutto vivente. Che gli amanti abbiano autonomia e ciascuno abbia un principio suo proprio di vita significa solo che possono morire. Che la pianta abbia sale e parti di terra le quali recano in sé leggi proprie del loro operare, lo dice la riflessione di un estraneo, e significa solo che la pianta può decomporsi. Ma l'amore si sforza di togliere anche questa differenza, questa possibilità come mera possibilità, e di unificare quel che è mortale, di renderlo immortale. Il separabile, finché prima dell'unificazione completa è ancora qualcosa di proprio, crea difficoltà agli amanti: vi è una specie di contrasto fra la completa dedizione, l'unico annullamento possibile, l'annullamento dell'opposto nell'unificazione, e l'autonomia ancora sussistente: la prima si sente impedita dalla seconda. L'amore si sdegna di ciò che è ancora separato, di ciò che è una proprietà: e questo sdegnarsi dell'amore di fronte ad un'individualità è il pudore, il quale non è una reazione subitanea di ciò che è mortale, non è una manifestazione della libertà di conservarsi e di sussistere. In un'aggressione priva di amore, un animo pieno di amore viene offeso da questa ostilità, il suo pudore diviene ira che ora difende solo la proprietà, il diritto. Se il pudore non fosse un effetto dell'amore, che ha la forma dello sdegno solo perché vi è qualcosa di ostile, ma fosse qualcosa per sua natura ostile che volesse salvaguardare una proprietà attuabile, si dovrebbe dire che il massimo pudore ce l'hanno i tiranni, o le ragazze che non concedono senza denaro le loro grazie, oppure le donne vanitose che vogliono incatenare con i loro vezzi. Né gli uni né le altre amano: la loro difesa di ciò che è mortale è il contrario dello sdegno che si ha per esso: essi attribuiscono a quel che è mortale un valore in sé, sono cioè senza pudore. Un animo puro non si vergogna dell'amore, ma si vergogna che esso sia incompleto: l'amore si rimprovera che vi sia ancora una forza, un qualcosa di ostile che ne ostacola il compimento. Il pudore subentra solo con il ricordo del corpo, con la presenza personale, col sentire l'individualità: esso non è paura per ciò che è mortale, che è solo proprio, ma è paura del mortale, del proprio, paura che svanisce via via che il sensibile è ridotto sempre a meno dall'amore. L'amore infatti è più forte della paura, non ha paura della propria paura, ma accompagnato da essa toglie le separazioni, temendo solo di trovare un'opposizione che gli resista o che resti addirittura salda. Esso è un prendere e dare reciproco; nel timore che i suoi doni possano essere sdegnati, nel timore che un opposto possa non cedere al suo prendere, vuol vedere se la speranza non lo ha ingannato, se trova in ogni modo se stesso. Colui che prende non si trova con ciò più ricco dell'altro: si arricchisce, certo, ma altrettanto fa l'altro; parimenti quello che dà non diviene più povero: nel dare all'altro egli ha anzi altrettanto accresciuto i suoi propri tesori. Giulietta nel Romeo e Giulietta: Più ti do, tanto più io ho eccetera. L'amore acquista questa ricchezza di vita nello scambiare tutti i pensieri, tutte le molteplicità dell'anima, poiché cerca infinite differenze e trova infinite unificazioni, si indirizza all'intera molteplicità della natura per bere amore da ognuna delle sue vite. Quel che c'è di più proprio si unifica nel contatto e nelle carezze degli amanti, fino a perdere la coscienza, fino al toglimento di ogni differenza: quel che è mortale ha deposto il carattere della separabili, ed è spuntato un germe dell'immortalità, un germe di ciò che da sé eternamente si sviluppa e procrea, un vivente. L'unificato non si separa più, la divinità ha operato, ha creato. Ma questo unificato è solo un punto, un germe: gli amanti non gli possono partecipare nulla, sì che si ritrovi in lui un molteplice; infatti nell'unificazione non si è lavorato su un opposto, essa è pura da ogni separazione; tutto ciò per cui un molteplice può essere, può avere un'esistenza, il neo-generato deve averlo condotto a sé, opposto e unificato. Il germe si dà sempre più all'opposizione ed incomincia a svilupparsi; ogni grado del suo sviluppo è una separazione per riguadagnare l'intera ricchezza della vita. Così si danno ora: l'unico, i separati e il riunificato. Gli unificati si separano di nuovo, ma nel figlio l'unificazione stessa è divenuta inseparata. Questa unificazione dell'amore è sì completa, ma può esserlo unicamente in quanto il separato è opposto in tal modo che l'uno è l'amante e l'altro è l'amato e che quindi ogni separato è un organo del vivente. Ma oltre a ciò gli amanti sono ancora legati con molti elementi morti; a ciascuno appartengono molte cose, cioè ciascuno è in relazione con opposti che anche per colui che vi si rapporta sono ancora opposti, ancora oggetti; così gli amanti sono ancora capaci di una molteplice opposizione nel loro molteplice acquisto e possesso di proprietà e diritti. Ciò che è morto ed è in potere dell'uno è opposto ad entrambi e l'unificazione sembra poter aver luogo solo se quel che è morto cade sotto il dominio di entrambi. L'amante che vede l'altro in possesso di una proprietà non può non sentire nell'altro questa voluta particolarità; né egli può da sé togliere l'esclusivo dominio dell'altro, perché ciò sarebbe di nuovo un'opposizione contro la potenza dell'altro, non potendovi essere altra relazione all'oggetto all'infuori della padronanza di esso; egli contrapporrebbe al dominio dell'altro una padronanza e toglierebbe una relazione dell'altro, l'esclusione di tutti gli altri. Giacché il possesso e la proprietà costituiscono una parte così importante dell'uomo, delle sue cure e dei suoi pensieri, neanche gli amanti possono trattenersi dal riflettere su questo lato dei loro rapporti; ed anche se l'uso fosse comune, resterebbe tuttavia indeciso il diritto al possesso; il pensiero di questo diritto non sarebbe certo dimenticato, perché tutto ciò che gli uomini possiedono ha la forma giuridica della proprietà; e se pure il possessore pone l'altro nel suo stesso diritto di possesso, tuttavia la comunanza dei beni è solo il diritto di ognuno dei due alla cosa. (Hegel, Frammento sull'amore: L'amore, in Scritti teologici giovanili)
Lo Stato etico
§ 257 Lo stato è la realtà dell'idea etica, lo spirito etico, inteso come la volontà sostanziale, manifesta, evidente a sé stessa, che pensa a sé e che porta a compimento ciò che sa e in quanto lo sa. Nel costume lo stato ha la sua esistenza immediata, e nell'autocoscienza dell'individuo, nel sapere e nell'attività del medesimo, la sua coscienza mediata, così come l'autocoscienza attraverso la disposizione d'animo ha nello stato, come in sua essenza, in fine e prodotto della sua attività, la sua libertà sostanziale. § 258 Lo stato inteso come la realtà della volontà sostanziale, realtà ch'esso ha nell'autocoscienza particolare innalzata alla sua universalità, è il razionale in sé e per sé. Questa unità sostanziale è assoluto immobile fine a se stesso, nel quale la libertà perviene al suo supremo diritto, così come questo fine ultimo ha il supremo diritto di fronte agli individui, il cui supremo dovere è d'esser membri dello stato.
Il diritto internazionale e il suo fondamento
Il principio fondamentale del 'diritto internazionale', inteso come il 'diritto universale', che deve valere in sé e per sé tra gli stati, a differenza del contenuto particolare dei trattati positivi è che i trattati, come tali che su di essi si basano le obbligazioni degli stati l'uno verso l'altro, devono venir rispettati. Ma poiché il loro rapporto ha per principio la sovranità, ne deriva ch'essi sono in tal misura l'uno verso l'altro nella situazione dello status naturae, e i loro diritti hanno la loro realtà non in una volontà universale costituita a potere sopra di essi, bensì nella loro volontà particolare. Quella determinazione universale rimane perciò nel dover essere, e la situazione diviene un'alternanza del rapporto conforme ai trattati e della soppressione del medesimo.
Antigone
Come figlia, la donna deve veder disparire i genitori con commozione naturale e con calma etica; ché solo a costo di questa relazione essa giunge all'esser-per-sé, di cui è capace; intuisce dunque nei genitori il suo esser-per-sé, ma non in guisa positiva. Ma le relazioni di madre e di moglie hanno la singolarità, da una parte, come qualcosa di naturale appartenente al piacere, d'altra parte come qualcosa di negativo, che ivi scorge solo il suo dileguare; e d'altra parte ancora appunto per ciò quella singolarità è un alcunché di accidentale che può venire sostituito da un'altra. Poiché dunque a tale comportamento della moglie è mista la singolarità, l'eticità di esso non è pura; ma in quanto l'eticità è tale, singolarità è indifferente, e la moglie è priva del momento del riconoscersi come questo Sé nell'altro.
Erinnerung
§ 452 L'intelligenza [...]pone il contenuto del sentimento nella sua interiorità, nel suo spazio proprio e nel suo proprio tempo. Così il contenuto è l'immagine, liberata dalla sua prima immediatezza e dall'isolamento astratto di fronte ad altre immagini, ricevuta nell'universalità dell'io in genere. L'immagine non ha più la determinatezza completa, che ha l'intuizione; ed è arbitraria o accidentale, isolata in genere dal luogo esterno, dal tempo e dal complesso immediato in cui essa stava.
La sovranità popolare
La sovranità, dapprima soltanto concetto universa1e di quest'idealità, esiste soltanto come soggettività certa di se stessa e come autodeterminazione astratta - e, pertanto, priva di fondamento della volontà, nella quale si trova l'estremo della risoluzione. È questa l'individualità dello Stato in quanto tale; il quale, esso stesso, soltanto in ciò è uno. Però, la soggettività è nella sua verità, soltanto in quanto soggetto; la personalità è soltanto in quanto persona, e ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo aspetto separato per sé, reale, nella costituzione sviluppata a razionalità reale. Questo momento assolutamente decisivo della totalità non è, quindi, l'individualità in generale, ma un individuo, il monarca.
La filosofia della storia
Fine della storia del mondo è dunque che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso. L'essenziale è il fatto che questo fine è un prodotto. Lo spirito non è un essere di natura, come l'animale; il quale è come è, immediatamente. […] In questo processo sono dunque essenzialmente contenuti dei gradi, e la storia del mondo è la rappresentazione del processo divino, del corso graduale in cui lo spirito conosce se stesso e la sua verità e la realizza.
L'Arte del sublime
Bellezza dell'ideale e sublimità vanno accuratamente distinte. Infatti nell'ideale l'interno compenetra la realtà esterna di cui è interno, in questa guisa, che i due lati appaiono reciprocamente adeguati e reciprocamente perciò compenetrantisi. Nel sublime, invece, l'esistenza esterna, in cui la sostanza viene portata ad intuizione, è abbassata nei confronti della sostanza, in quanto questo atto e il valore strumentale dell'esistenza esterna sono l'unico modo perché possa essere reso intuibile dall'arte l'unico Dio, che per sé è senza forma e non può essere espresso nella sua essenza positiva da nulla di mondano e di finito. Il sublime presuppone il significato in una autonomia di fronte a cui l'esterno deve apparire solo come subordinato, nella misura in cui l'interno non vi appare ma va tanto oltre che a rappresentazione non viene appunto nient'altro che questo essere ed andare oltre.
La Dialettica
La dialettica viene usualmente considerata come un'arte estrinseca che arbitrariamente porta confusione in concetti determinati e produce una semplice apparenza di contraddizioni in essi, in modo che non queste determinazioni, ma quest'apparenza sarebbe un nulla e l'intellettivo invece sarebbe il vero. [...] La dialettica invece è questo immanente oltrepassare, in cui l'unilateralità e la limitatezza delle determinazioni dell'intelletto si espone per quello che è, cioè come la loro negazione. Ogni finito è il superare se stesso. La dialettica è quindi l'anima motrice del procedere scientifico ed è il principio mediante il quale soltanto il contenuto della scienza acquista un nesso immanente o una necessità, così come in esso in generale si trova la vera elevazione, non estrinseca, al di là del finito.
L'essere parmenideo
Parmenide teneva per fermo l'essere, ed era perfettamente conseguente, per ciò ch'egli diceva insieme al nulla, ch'esso non è affatto; soltanto l'essere è. L'essere, preso così assolutamente per sé, l'indeterminato, e però non ha alcuna relazione ad altro. Sembra quindi che da un cominciamento come questo non si possa andare innanzi, partendo cioè dal cominciamento stesso, che un progresso si possa avere solo in quanto all'essere si annodi dal di fuori qualcosa di estraneo. [...] L'essere non sarebbe affatto il cominciamento assoluto, quando avesse una determinatezza; in cotesto caso dipenderebbe da un altro, e non sarebbe immediato, non sarebbe il cominciamento. Se invece è indeterminato, e quindi vero cominciamento, non ha nulla, per cui possa trapassare ad un altro: è in pari tempo la fine. Nulla può scaturirne, come nulla può penetrarvi. Presso Parmenide, come presso Spinoza, non si dovrebbe avanzare dall'essere, o dalla sostanza assoluta, al negativo, al finito.
La proposizione speculativa
[...]Similmente anche nella proposizione filosofica l'identità di soggetto e predicato non deve annientare la loro differenza espressa nella forma della proposizione; anzi la loro unità deve risultare come armonia. La forma della proposizione è il riapparire del senso del determinato, cioè l'accento che ne distingue il contenuto; che pertanto il predicato esprima la sostanza, e che il soggetto s'immerga pur esso nell'universale, ecco l'unità in cui quell'accento si smorza.[...] Il pensare, anziché progredire nel passaggio dal soggetto al predicato, dato che il soggetto va perduto, si sente piuttosto frenato e risospinto al pensamento del soggetto, sentendone la mancanza; o, dacché il predicato fu espresso esso stesso come un soggetto, come l'essere, come l'essenza che esaurisce la natura del soggetto, il pensare trova il soggetto immediatamente anche nel predicato;[...]
L'oggetto della Logica
Ora, prima di tutto, è già fuor di proposito il dire che la logica astragga da ogni contenuto, che insegni soltanto le regole del pensare, senza entrare a considerare il pensato e senza poter tener conto della sua natura. Poiché, infatti, la logica deve aver per oggetto il pensare e le regole del pensare, ha anzi in cotesto il suo particolare contenuto; ha in cotesto anche quel secondo elemento della conoscenza, una materia, della cui natura si occupa. […] Il contenuto della scienza pura è appunto questo pensare oggettivo. […] La logica è perciò da intendere come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, come essa è in sé e per sé senza velo. Ci si può quindi esprimere così, che questo contenuto è la esposizione di Dio, com'egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito.
L'essere
§ 86 Il puro essere forma il cominciamento, perché esso è così pensiero puro come è, insieme, l'elemento immediato semplice indeterminato; e il primo cominciamento non può essere niente di mediato e di più particolarmente determinato
Moralità ed eticità
Secondo la gradazione dello sviluppo dell'idea di volontà, libera in sé e per sé, la volontà è:
A) immediata; il suo concetto è, quindi astratto, - la personalità -; e la sua esistenza è una cosa immediata, esterna: -la sfera del diritto astratto o formale;
B) la volontà riflessa in sé dall'esistenza esterna, in quanto individualità soggettiva, determinata di fronte all' universale - questo medesimo, in parte come interiorità, il bene, in parte come esteriorità, mondo esistente, e questi due lati dell'idea in quanto mediati soltanto l'un per mezzo dell'altro; l'idea, nella sua disunione o esistenza particolare, il diritto della volontà soggettiva, in rapporto al diritto del mondo e al diritto dell'idea, che, però, è soltanto in sé; - la cerchia della moralità.
(Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto)
Altri passi antologici