ROBERTO HOLKOT

 

Il domenicano di Cambridge Roberto Holkot (morto nel 1349) segna uno snodo decisivo nell’elaborazione – di marca occamista – tra la fede e la ragione, tra la teologia e la filosofia: soprattutto il suo Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo è, sotto questo profilo, dirompente. A suo avviso, il mistero della Trinità non può essere conciliato con i dettami della ragione e della logica. Da ciò egli inferisce l’esistenza di una logica di altro tipo, propria della teologia e rimasta sconosciuta ai filosofi. Così, ad avviso di Roberto, Aristotele non è stato in grado di capire che la stessa cosa può essere contemporaneamente una e tre. Ciò non significa comunque che la teologia rinunci alla logica: “oportet ponere unam logicam fidei”, scrive Roberto. E tale “logica della fede” è in qualche modo razionale, ancorché siano differenti i suoi principi rispetto a quelli della logica abituale (“rationalis logica alia debet esse a logica naturali”). Sembra dunque che Roberto ammetta l’esistenza di una logica extra-aristotelica, valida su un piano di intelligibilità superiore rispetto a quello della “ragione filosofica”. È di grande importanza, a questo proposito, il fatto che Roberto recuperi il concetto di “potentia Dei absoluta”, ossia di potenza di Dio sciolta da ogni vincolo: la volontà e la causalità di Dio non hanno limiti, cosicché Egli non approva il peccato e non ne è l’autore, ma ciò non di meno Egli è la causa immediata della volizione che è il peccato. Ne deriva che, se Egli non ne è l’autore responsabile, ne è comunque la causa: “sequitur necessario quod Deus sit immediata causa peccati” (“ne segue di necessità che Dio è la causa immediata del peccato”). La conseguenza che Roberto ne trae è la seguente: Dio vuole l’esistenza del peccato “voluntate beneplaciti” ed Egli può pure “de potentia absoluta” imporre all’uomo di odiarLo. Per questa via, in modo forse ancora più radicale rispetto a Ockham, Roberto distrugge la “teologia naturale”.

 


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