Pubblicati postumi nel 1779, i “Dialoghi sulla religione naturale” sono probabilmente tra i più brillanti scritti di Hume e forse uno delle più profonde riflessioni sulla religione in lingua inglese del ‘700.
Nei dialoghi vengono vagliate e messe alle strette le più celebri dimostrazioni dell’esistenza di Dio e i metodi, più condivisi dai contemporanei di Hume, di rapportarsi al mondo e alla totalità.
Hume sceglie a questo scopo la forma del dialogo, da una parte per materializzare il confronto dialettico tra le varie posizioni in modo organico e definito e dall’altro per poter celare la propria vera posizione tra quelle degli interlocutori al fine di sfuggire alle forti critiche e i rischi di censura cui uno scritto simile sicuramente andava incontro nell’Inghilterra presbiteriana del XVIII secolo.
Hume mette a confronto tre correnti di pensiero:
1. Il teismo newtoniano delle evidenze empiriche e il movimento a posteriori dell’empirismo lockiano incarnati nel personaggio di Cleante.
2. L’apriorismo dell’evidenza dimostrativa tipico della linea di pensiero Cartesio-Leibniz incarnati nel personaggio di Demea.
3. Lo scetticismo metodico e filosofico di cui lo stesso Hume è uno dei più grandi esempi nella storia della filosofia incornato nel personaggio di Filone.
Risulta chiaro dalla lettura dei Dialoghi che scopo primario di questi e mettere in luce l’incapacità delle prime due correnti di dare un qualsiasi tipo di certezza intorno alla natura e all’esistenza di Dio; il confronto tra gli interlocutori è serrato, non sempre si assiste allo scontro diretto tra una delle prime due correnti con lo scetticismo di Filone ma spesso Hume preferisce che sia le due a smentirsi a vicenda al fine di rendere ancora più quanto ogni teoria sia profondamente insoddisfacente, perfino agli occhi di un credente convinto.
L’opera si può dire che consista in un vero e proprio climax in cui Filone emerge sempre più per la propria acutezza e le proprie capacità dialettiche e in cui agli altri due partecipanti si trovano sempre più costretti a scavare sempre più a fondo tra la propria costruzione fino a intravederne la debolezza delle fondamenta.
Si cercherà qui di ricondurre l’opera a uno schema riassuntivo che mai potrà rendere la genialità e la forza dello scritto del filosofo inglese, ma darà comunque la possibilità di rendere abbastanza chiaro (o almeno se lo augura chi scrive) il pensiero di Hume.
1- LA PROVA DELLA SEQUENZA DI CAUSE
Una delle più accreditate dimostrazioni dell’esistenza di Dio fin dai tempi del celebre libro LAMBDA della Metafisica di Aristotele e quella cosiddetta della “causa prima”.
Seguendo il tipico metodo del ragionamento a posteriori questa dimostrazione, riassunta in breve, riprende dall’esperienza l’evidenza della necessità che ogni fatto e ogni ente abbia una causa e asserendo che ogni causa deve essere anch’essa un fatto o un ente mette in luce l’inevitabilità di un regresso all’infinito tra le cause e le cause delle cause. Essendo però l’infinto un assurdo inaccettabile come conclusione di un ragionamento filosofico si ha allora la necessità di una causa prima, incausata e avente in se tutte le perfezioni che le permettano di causare tutte le sequenze della realtà e di non avere bisogno di alcun motore se no di se stessa. Un tale ente, onnipotente e perfetto non può che essere Dio e Dio quindi è necessario a priori.
Questa teoria nei dialoghi è espressa da Demea che trova però subito una forte resistenza da parte sia di Cleante sia di Filone.
Il primo è parlare è proprio Cleante che mette in chiaro il fatto che già un’assurdità di per sé dimostrare una materia di fatto a priori; la non esistenza di una materia di fatto è sempre possibile e non conduca mai a contraddizione. L’unica cosa su cui possiamo esprimerci in termini di necessità è l’immagine che di Dio formiamo nella nostra mente se lo vogliamo concepire come prima causa, ma non possiamo certo pretendere di portare questa necessita da un livello logico a uno ontologico.
Già da questo possiamo subito ritrovare una degli argomenti più cari a Hume: l’assenza di ogni certezza riguardo le realtà di fatto; nulla è certo (eccetto l’evidenza matematica) ma tutto è probabile o improbabile e così pure l’esistenza di Dio.
La critica di Hume però non si ferma qui e questa prova dell’esistenza di Dio crolla definitivamente davanti ad una delle scoperti più grandi della filosofia humiana: la vera natura del nesso di causa.
Come è noto il nesso di causa, secondo Hume, ha una valenza solo nella mente umana che, guidata dall’abitudine, attribuisce cui che abitualmente precede un dato fatto il valore causa (da post hoc e propter hoc).
E così la dimostrazione avanzata da Demea perde ogni validità, non solo se la causa fosse una realtà non si potrebbe pretendere di utilizzarla per costruire i pioli di una scala che porta a Dio ma a fortiori, essendo questa solo il risultato di un abito della mente non si può in nessun modo affiancare un a valore di necessità di fatto all’esistenza di Dio.
“Il mondo potrebbe essere incausato, l’esistenza di Dio è solo nominale e la sua necessità un’impressione della mente.”
2-LA PROVA DEL “DISEGNO”
Buona parte dei Dialoghi viene dedicata da Hume proprio alla stesura e poi alla confutazione della cosiddetta prova del “disegno”.
Riassunta in poche parole anche questa prova parte e a posteriori dall’osservazione del mondo, notando in esso un ordine ed un’armonia che l’intelletto si rifiuta di concepire come sorti dal caso: risulta evidente dai più piccoli organismi che si trovano in natura fino alla perfezione delle orbite dei giganteschi pianeti la mano di un architetto, di un genio onnipotente che ha impartito un ordine ben preciso al mondo in base un piano palesemente razionale. La ragione portata alle estreme conseguenze, il più alto livello immaginabile di genialità stanno all’origine del tutto, e questi non possono essere che gli attributi di Dio.
Quest’argomentazione, all’apparenza più convincente della precedete, viene sostenuta con vigore da Cleante e affonda anch’essa le sue radici nell’antichità della razza umana attraverso il fertile terreno della storia del pensiero.
Anche questo volta però Hume non rinuncia al proprio spirito scettico e, attraverso le battute di Filone, inizia una dei discorsi più profondi di tutti i dialoghi, che non solo frantumi piano piano le argomentazioni di Cleante, ma mette in chiara luce la genialità indiscussa dell’autore in una prosa sempre più elegante ed incisiva.
Per cominciare Filone mette in chiaro che un’argomentazione così condotta non segue minimamente le regole base del ragionamento per analogia su cui pretende di fondarsi; infatti non si ha alcuna esperienza del nesso causa-effetto (prima condizione necessaria), l’unione di causa ed effetto pretesa è incostante e infine i due poli dell’analogia (casa/architetto e Mondo/Dio) non appartengono alla stessa classe. Un’analogia così costruita è debole, erronea e incerta.
La prima critica mossa da Filone porta ad esempio il ragionamento per analogia come era stato condotto da Galileo (per il quale Hume di mostra di provare profondissima stima): lo scienziato italiano nell’ipotizzare il movimento della Terra avevo primo visto altri mondi muoversi e avendo avuto esperienza di un altro mondo aveva, a ragione,trasferito i nessi di causa-effetto dalla luna alla Terra. Cleante però non aveva mai visto nessun altro mondo essere creato e non poteva certo portare esempi della stessa classe dell’Universo a sostegno indispensabile per la propria analogia.
Cleante per difendersi da questa critica cerca di portare a sostegno della propria tesi il senso comune e una sorta di percezione intuitiva che però non fanno altro che farlo precipitare nel misticismo che subito viene criticato con forza da Demea (“i mistici non sono altro che atei”) mentre Filone tace, stupido dall’assurdità del discorso di Cleante.
Dopo le severe critiche di Demea Filone ricomincia il suo discorso dando quasi l’impressione di voler rivalutare l’ipotesi di Celante ma anche questo discorso avrà come solo scopo quello di dimostrarne l’infondatezza. Per cominciare Filone osserva che se proprio si vuole fare un paragone allora il Mondo più che ad una casa o ad un telaio assomigli ad un animale o ad un vegetale, che è in grado di sopravvivere e di riprodursi, che è in continuo movimento allo scopo di rimanere sempre stabile e forte. Ma se questo si prendesse per vero e si vedesse questo mondo come il progetto compiuto di un’entità trascendente allora bisognerebbe come prima cosa notare quanti difetti ha questo mondo, quante cose potrebbero essere migliorate a ed ecco allora che Dio sarebbe ridotto al un genio-bambino alle prime armi che sperimenta col creato le proprie possibilità e dove sbaglia non corregge. Forse allora il nostro mondo sarebbe uno dei primi tentativi sbagliati e forse non solo una ma tante entità vi hanno partecipato senza trovare accordo. Poco importa in questa sede che Hume abbai sempre simpatizzato per il politeismo ma quello che conta è che un'altra volta le teoria di Cleante sono state messe in ridicolo e ridotte ad una manciata di assurdità.
Il discorso di Filone però non finisce qui, anzi, inizia proprio ora ad esplodere tutta la forza discorsiva di Filone-Hume che in alcune delle pagine più belle nella storia della filosofia decide di ipotizzare una propria controproposta alla teoria del bisogno: in poche parole si chiede Filone, ma se non vogliamo considerare Dio architetto del Tutto, come potrebbero essere possibili le realtà cui assistiamo tramite i nostri sensi?
Filone non si mette in gioco in questi termini ma, limitandosi alle delle osservazione puramente logica sull’esperienza della natura fornisce nei fatti due teorie la cui forza e genialità lasciano quasi interdetto il lettore e ridono al silenzio gli interlocutori.
La prima riguarda la natura del nostro pianeta e Filone nota come non ci sia neanche bisogno di andare a cercare il disegno che ha reso animali e vegetali così come sono, infatti non potrebbero essere organizzati in modo diverso, infatti è la materia stessa che si pone davanti alle diverse situazione cercando di organizzarsi tramite impulsi e bisogni, dove non riesce prova nuove forme alla ricerca dell’equilibrio. La materia, e questo lo vediamo nell0esperinza quotidiana, si adatta al mondo che la circonda in maniera spontanea e usa le proprie stessa peculiarità per adattarsi alle proprie stesse impellenze.
Ecco che in poche parole Hume ho dimostrato la necessità dell’ordine del mondo senza ricorrere ad un ordinatore ed è facile notare come, ancora pochi passi, e sarebbe arrivato all’evoluzionismo di Darwin.
Ma non finisce qui il discorso di Filone che subito dopo ripropone lo stesso problema riguardo tutto l’universo e l’infinito numero di stelle e pianete che ancora più, se vogliamo, possono apparire come mosse direttamente di un intelletto divino.
La realtà, scrive Hume, è che quest’ordine è solo ciò che ogni uomo vuole vedere e non riesce a fare a meno di immagine, ma rinunciando a questa volontà si può arrivare a vedere l’Universo come il risultato di una forza cieca e non guidata, da cui la materia potrebbe avere avuto tutta l’energia che ancora oggi continua ad usare mantenendo, spontaneamente e per necessità, l’equilibrio tra utilizzo e produzione come accade nella natura che meglio conosciamo e come accade nella teoria di gravitazione universale.
Di nuovo Filone riesce a togliere Dio dall’equazione della necessità di ordine e sembra arrivare ad intravedere la teoria che viene ora accreditata coma la più probabile per la creazione dell’Universo: il big bang.
3-IL PROBLEMA DEL MALE
Ormai Filone sembra essere diventato l’eroe del dialogo (il sembra è d’obbligo in quanto Hume sosterrà, o meglio sarà costretto a sostenere, che è Cleante il vero eroe) e nella terza parte si assiste al suo trionfo.
La fine della religione si ha con il male nell’universo e su questo anche Cleante è d’accordo e così Filone comincia ad osservare la presenza del male nella società, nella neutra e via via fino ad arrivare al terrore della superstizione (celebre bersaglio critico di Hume) e alla paura della morte.
Ripercorrendo strade già battute fin dai tempi di Epicuro Hume si vede costretto a dire che Dio o non esiste, o è malvagio o nulla può contro il male e quale che sia la risposta il suo dibattito è vinto e negarlo risulta impossibile. Anche ammettendo un diretto rapporto di causa-effetto (sempre propugnato dai due) questo mondo fenomenico e la nostra esistenza mai potranno essere compatibili con un Dio onnipotente e benevolo.
Inoltre Dio non avrebbe motivo per comportarsi come un padrone in inflessibile dando ad ogni essere vivente solo lo stretto necessario per salvarsi dall’estinzione, e anche sotto quest’aspetto risulta molto più credibile e più valida dialetticamente e razionalmente la teoria che aveva proposto prima Filone.
A questo punto resta solo da interrogarsi su quale sia la vera natura della credenza religiosa. E qui Hume ricalca strade già battute da lui stesso e quindi di nuovo vede la credenza religiosa come una sorta di patologia dell’anima, come il risultato di un ragionamento basato più sull’istinto e sul bisogno che sulla ragione ma Filone sembra comprendere pienamente questa necessità dell’animo umano e riconosce il fatto che un uomo del senso comune non potrebbe in effetti fare a meno di accettare come necessario Dio.
4-CONCLUSIONE
Nelle fasi finali si abbondando definitivamente il problema astratto dell’esistenza di Dio ei si passa ad un ultimo confronto riguardo proprio la religione in quanto pratica che viene difesa da Cleante che la vede come finalizzata a condurre gli uomini verso una vita buona e giusta, serena e corretta.
Inutile dire che Filone-Hume non potrà mai essere d’accordo con affermazioni simili e subito risponde affermando che la realtà e che le religioni s’impossessano delle menti degli uomini corrompono prima la mente, poi la morale e poi la società. Le persone vengono private della propria libertà e perfino della propria identità, vengono invitate e perfino costrette a rinunciare alla loro identità per unirsi a quella di Dio, vengono coinvolte in pratiche superstiziose e ricattate o corrotte con l’argomento della vita ultraterrena. La moralità naturale lascia il posto ad una morale arbitraria dove ognuno è chiamato a rinunciare alla propria autonomia in tutti i significati del termine.
Filone trionfa perché non si piega davanti alla credenza superstizione, non si piega davanti al potere e fa un uso saggio e metodico del proprio scetticismo, Hume non potrà mai ammetterlo ma è Filone il vero eroe dei dialoghi ma ufficializzare questo ruolo in Cleante (rendendo ogni censura solo un’ammissione di torto) è solo l’ultima dimostrazione dell’astuzia e dell’ingegno di David Hume