A cura di Ernesto Riva
Caratteristiche generali del pensiero cinese
Con quella indiana e quella ebraica, la cultura cinese è fra le più antiche civiltà che si siano perpetuate senza interruzioni sino ad oggi. Essa ha mantenuto una serie di caratteri peculiari che ne hanno salvaguardato l'originalità. I differenti atteggiamenti mentali coinvolgono l'idea stessa di religione e di divinità, di bene e di male, di trascendenza e di spirito, e il rapporto individuo-società e individuo-universo. A differenza della storia europea in cui il ruolo della Chiesa è stato determinante, e così pure l'antagonismo tra Stato e Chiesa e le guerre di religione, in Cina la religione non soltanto è stata subordinata allo Stato, ma è stata funzionale più alla condizione sociale dell'uomo piuttosto che allo sviluppo di una dimensione individualistica. La storia cinese non ha in pratica conosciuto la contrapposizione fra un ordinamento politico ed uno soprannaturale che lo trascende e travalica (come nel caso della Chiesa) ed i rapporti fra Impero e Chiesa buddhista non sono paragonabili a quelli fra le Chiese cristiane e gli Stati europei. Del resto, se per religione intendiamo un fenomeno analogo a quello giudaico-cristiano, difficilmente potremmo rintracciarlo in Cina. Religioni istituzionali e religioni diffuse si equilibrano e si intersecano a differenti livelli, nel sincretismo della cosiddetta religione popolare come nell'interazione tra taoismo, buddhismo e confucianesimo. Il cinese può venerare più divinità di religioni diverse senza che questo gli crei dei problemi perché è fondamentale per lui la funzione pratica della religione, e non la sua identificazione. Esempi di religione istituzionale sono il buddhismo e il taoismo, in quanto posseggono una propria organizzazione ecclesiastica, propri culti e dottrine. La religione diffusa, invece, è costituita da culti come quello rivolto agli antenati o alle divinità celesti. In campo religioso non esiste una fede monoteistica, né l'idea di un Dio personale in diretta relazione con l'individuo. Ciò significa inoltre l'assenza dell'esclusivismo di un "Dio geloso", di un'assoluta opposizione fra una divinità identificata con il Bene e il demonio identificato con il Male. Significa anche assenza di un rapporto personale e individuale con la divinità, che in campo etico si traduce in un diverso concetto di responsabilità che deve fare i conti con i legami fra il soggetto e il suo gruppo sociale. Anche l'idea di retribuzione ne viene influenzata perché è spesso intesa come una conseguenza automatica di un certo comportamento umano, ed il ruolo degli spiriti e delle divinità popolari è ridotto ad una funzione contrattualistica e propiziatoria. La multifunzionalità dei templi contribuisce quindi al consolidamento dei legami familiari, alla protezione della comunità locale e del suo benessere, della salute individuale, dell'ordine morale, dello Stato e dell'ordinamento politico. Il pensiero cinese non ha neppure conosciuto il dualismo spirito-materia e l'opposizione fra anima e corpo - caratteristici della tradizione occidentale - e la conseguente distinzione fra il sensibile ed il razionale. Il termine xin indica la mente ma anche il cuore, vale a dire la sede del pensiero e allo stesso tempo delle emozioni e delle reazioni sensoriali. La funzione razionale non è intesa in Cina come la più alta nell'uomo, contrapposta alle passioni e agli istinti. La ragione non è neppure prerogativa dell'anima che, secondo la dottrina ad es. cristiana, avrebbe la capacità di discernere fra il bene e il male, e di compiere liberamente il bene o il male. In Cina si preferisce un universo in continua trasformazione, costituito da una sostanza fondamentale, la cui dinamicità (evoluzione ed involuzione, nascite e morti, contrazione ed espansione) è dovuta alla polarità di energie opposte ma complementari. In Cina è assente una concezione assoluta ed esclusiva degli opposti, intesi piuttosto come bipolarità complementari, come interazione e alternanza.
Confucio
In Cina la filosofia non è staccata dalla vita, e la sua pratica è considerata inseparabile dalla teoria. In Cina vi sono stati pochissimi filosofi di professione. Quasi tutti i grandi filosofi cinesi hanno ricoperto delle cariche amministrative nel governo, oppure sono stati artisti. In Cina, insomma, i filosofi vengono ritenuti tali soprattutto per le loro caratteristiche morali. Non è concepibile che un uomo cattivo possa essere un buon filosofo, o che un buon filosofo possa essere un uomo malvagio. La prova reale di una filosofia è la sua capacità di trasformare i suoi sostenitori in uomini più grandi.
Biografia di Confucio
Il nome Confucio è dovuto ai missionari del secolo 17° che latinizzarono il nome del saggio cinese K'ung fu tzu (ovvero maestro Kung) in Confucius. Confucio nacque a Tsou, una borgata dello stato di Lu (odierna Chueh-li nello Shantung) nel 551 a.C (il 27 agosto o il 28 settembre). Suo padre era governatore di Tsou e di stirpe nobile. Confucio rimase orfano di padre a tre anni. La famiglia si trovò in condizioni disagiate e Confucio dovette fare molti sacrifici e lavori umili. Si sposò a 19 anni, ed ebbe due figli, un maschio e una femmina. Nello stesso periodo ricoprì modesti incarichi governativi. Ma la sua vocazione era l'insegnamento e nel 530 a.C. aprì una scuola in cui erano ammessi tutti quelli che dimostravano di avere intelligenza, buona volontà e dai quali si faceva pagare a seconda delle possibilità. La sua era una scuola di tipo tradizionale, in cui si insegnavano le sei arti: riti, musica, tiro con l'arco, guida dei carri, annali, calcolo. Quando, nel 528 a.C., gli morì la madre, Confucio si uniformò ai riti che prescrivevano al figlio in lutto di non esercitare alcuna carica pubblica per tre anni e allora egli si ritirò a vita privata. Dedicò questo periodo allo studio delle discipline a lui preferite: musica, riti e testi antichi. Questo studio profondo gli permise di tradurre in massime la saggezza degli antichi e di formulare poi norme che dovevano regolare il comportamento dell'uomo quale membro di una società. In seguito, per ampliare le sue conoscenze, nel 515 a.C. si recò a Loyang, la capitale del regno di Chou, dove la musica e i riti erano stati tramandati nella loro purezza originale. Pare che in questo periodo abbia incontrato Lao Tzu. Confucio ritornò poi a Lu e riprese l'insegnamento. Nel 514 il sovrano di Lu dovette fuggire per motivi politici e chiese ospitalità al duca di Ch'i. Confucio seguì il sovrano in esilio. Alla morte del sovrano il ducato di Lu passò nel 509 a.C. al duca Ting e Confucio ottenne finalmente, nel 501 a.C. (aveva ormai cinquant'anni), un incarico politico. Il duca Ting lo nominò governatore di Chung-Tu, capitale dello stato di Lu, permettendogli di attuare il sogno della sua vita: dimostrare sul piano pratico la fondatezza delle sue idee etiche e politiche. La sua amministrazione si rivelò talmente perfetta che poté essere paragonata al periodo aureo dei sovrani mitici ed inoltre le leggi penali non vennero più applicate perché non furono commessi più crimini.
I felici risultati ottenuti gli valsero però l'invidia e l'inimicizia della corte e Confucio fu costretto ad andarsene da Lu. Cominciò così le sue peregrinazioni, che durarono ben tredici anni, attraverso vari stati. Ritornò a Lu quando aveva ormai 69 anni. Il nuovo duca, Ngai, lo onorò, lo invitò a corte ma non gli affidò nessuna carica pubblica. Egli allora si dedicò, con i suoi discepoli, a raccogliere e a riordinare i testi antichi e scrisse una cronaca di Lu, intitolata Primavere e autunni. Si dice che, sette giorni prima di morire, un sogno l'avvertisse della prossima fine. Dopo aver recitato alcuni versi del Libro delle Odi ("Ecco come frana il monte T'ai/il grande albero viene abbattuto/e il saggio sfiorisce come un fiore) e avere ancora una volta espresso il suo rammarico per non essere riuscito a far accettare ai principi le sue idee, si ritirò nella sua stanza e morì. Era il 479 a.C.
L'insegnamento di Confucio
L'insegnamento del maestro cinese è stato esclusivamente orale. Egli era convinto che la verità si possa cogliere concretamente e in singole situazioni, mentre ogni tentativo di elaborare un quadro completo non fa che impoverirne o travisarne l'infinita ricchezza. Non c'è alcun tentativo di definire concetti o di elaborare principi e teorie come fanno invece i filosofi occidentali. Spesso Confucio si limita a ricorrere al modello analogico, associando un esempio antico ad un episodio presente, o limitandosi a brevi osservazioni concrete.
Tutto quello che ci è pervenuto del suo pensiero è raccolto nei cosiddetti Quattro Libri (Ssu Shu), che sono opera di discepoli. Essi sono I Dialoghi, Il Grande Studio, L'Invariabile Mezzo e il Libro di Mencio.
I Dialoghi sono il libro più antico. Esso consta di 11.705 caratteri ed è diviso in venti libri, ognuno dei quali è chiamato col nome dei due caratteri che lo iniziano. Gli insegnamenti sono fatti sotto forma di massime, aforismi o brevi dialoghi senza legame tra loro. Confucio era convinto di aver ricevuto dal Cielo (T'ien) una missione da compiere. I suoi discepoli credevano fermamente in lui e nel suo mandato. Confucio era legittimista: non vedeva altra possibilità per sanare i mali della società se non con la restaurazione degli antichi valori morali, degli usi rituali e delle istituzioni del passato; ristabilire insomma l'ordinamento feudale come era agli inizi della dinastia Chou. Per salvare la società egli insisteva che per prima cosa bisognava salvare l'uomo. Per riuscire in ciò, egli si rivolgeva in primo luogo a quelli che considerava i responsabili del disordine sociale: i principi. Essi dovevano essere consci delle loro responsabilità e dei loro doveri e dovevano prendere esempio dalle sagge istituzioni dei re santi dell'antichità che si erano preoccupati prima di tutto della felicità del loro popolo. "Vi è governo quando il principe (si comporta) da principe, il ministro da ministro, il padre da padre, il figlio da figlio"(Dialoghi, 12,11). Ognuno doveva quindi mantenere la posizione che gli competeva ed attenersi ai doveri che gli imponeva la propria qualifica e rango. Secondo Confucio, "governare è correggere. Se induci il popolo a correggersi, chi oserà non correggersi?" (Dialoghi, ibid.).
Per aiutare i principi ad attuare quanto era necessario al buon governo, egli intendeva preparare per essi dei consiglieri abili, onesti, saggi e fidati. Secondo l'ideale confuciano, essi avrebbero dovuto possedere le virtù morali del chun-tzu, ovvero l'uomo saggio, perfetto. Quest'uomo non era necessariamente un nobile per nascita bensì un uomo virtuoso. Se il consigliere tendeva alla perfezione, ne derivava anche un miglioramento dell'uomo comune, del suddito, che seguendo l'esempio di colui che lo governava, diventava un suddito docile e fedele. Nel Grande Studio è detto: "Dal Figlio del Cielo all'ultimo del popolo, per tutti la cosa principale è perfezionare la propria persona" (par. 6). Nel commento si fa rilevare che il perfezionamento si ottiene quando si riescono a dominare le passioni, non ci si crea delle illusioni e si riesce ad essere sinceri con se stessi; ciò permette al saggio di vedere com'è veramente il mondo e gli dà la possibilità di poterlo giudicare obiettivamente. Ciò che conferisce all'uomo i sentimenti di umanità, giustizia, altruismo ecc. viene chiamato da Confucio col termine jen: si tratta di una virtù unica e completa in se stessa, che riassume tutta la legge morale oggettiva. In più vi è il li (ordine, etichetta), che si riferiva ai riti e alle cerimonie, ma esprimeva anche le norme che dovevano regolare i rapporti umani ed era quindi un codice di comportamento morale e sociale in una società organizzata gerarchicamente. Questi due concetti costituiscono la base del confucianesimo.
Quando chiedevano a Confucio di spiegare che cosa fosse jen, egli dava parecchie definizioni. Jen è "amare gli uomini"; è "conoscere gli uomini" (Dialoghi, 12,22). Altrove dirà che per attuare lo jen è necessario "rispetto, magnanimità, sincerità, sollecitudine, benevolenza. Chi rispetta non offende, chi è magnanimo si guadagna le folle, chi è sincero ottiene la fiducia degli altri, chi è sollecito porta a compimento, chi è benevolo è adatto a comandare gli uomini" (Dialoghi, 17,6). Anche il modo di comportarsi è jen: "fuori di casa comportati come quando ricevi un ospite importante; nel comandare al popolo comportati come se offrissi il grande sacrificio; ciò che non vuoi sia fatto a te, non fare agli altri; non suscitare ostilità nello stato, non suscitare rancori nella famiglia" (Dialoghi, 12,2). Gli fu chiesto una volta che cosa ne pensasse del principio per cui bisogna rendere il bene per il male. Confucio disse: "Con che ripagheresti la clemenza(bene)? Un torto si ripaga con la giustizia e la clemenza con la clemenza" (Dialoghi, 14,36).
Per Confucio il li pervade tutte le cose, in quanto è la vera base del governare. Il li rappresenta una completa dottrina sociale e morale, che si fonda sul principio dell'armonia nei rapporti umani fondamentali. Essi sono cinque (wu lun): tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra marito e moglie, tra fratello maggiore e fratello minore, tra amico e amico. Il governo vero e proprio non è opera degli impiegati statali, ma di ciascun cittadino che osserva i giusti rapporti con gli altri individui. Quando in una società esistono dei buoni rapporti tra tutti i cittadini, allora vuol dire che lo scopo del governo è stato raggiunto. In altre parole, quando tutti gli individui agiscono moralmente in tutti i loro rapporti con le altre persone, non vi sono più problemi sociali. Ecco perché Confucio può dire che per raggiungere la pace nel mondo è necessario e sufficiente rettificare i propri cuori o curare la propria vita personale e porre ordine nella propria vita familiare. Il li comprende anche un altro concetto molto importante, quello di hsiao, che comunemente è tradotto con pietà filiale. Essa è la virtù della venerazione. I genitori sono anzitutto venerati in quanto la vita stessa è generata da loro. Nel mostrare venerazione per i genitori, è importante proteggere il corpo dall'offesa, poiché il corpo viene da essi. Quindi proteggere il corpo è onorare i genitori. Ma non basta: hsiao non è solo prestare cure fisiche ai genitori, ma dare loro una ricchezza emotiva e spirituale. Ugualmente importante, dopo che i genitori sono morti, gli scopi e i propositi del figlio dovrebbero essere i propositi e gli scopi che essi non sono riusciti a raggiungere. Ma hsiao non è solo una virtù familiare: essa diviene una virtù sociale. Quando i figli apprendono il rispetto e la venerazione per i loro genitori, arrivano ad avere rispetto e amore per i loro fratelli e sorelle. E quando hanno fatto ciò, possono rispettare ed amare tutta l'umanità. Quando dunque tutte le loro azioni sono dirette dall'amore per l'umanità, essi agiscono in accordo con lo jen.
Se Confucio sognava un'umanità perfetta, frutto dell'amore, dell'educazione e dello studio, era però convinto che questa perfezione non si poteva ottenere se non con l'aiuto del Cielo (T'ien). Sul concetto di T'ien, le interpretazioni sono discordanti. Possiamo comunque dire che egli non si discostava da quelle che erano le idee fondamentali della tradizione antica, e credeva dunque in un Cielo personalizzato, in cui vedeva l'ordinatore divino della coscienza morale dell'uomo. Nonostante i decreti celesti siano infallibili e immutabili (ming), l'uomo rimane responsabile delle sue azioni, e queste non riescono comunque a contrastare il corso degli eventi quale è disposto dal Cielo, ma dipendono dalla malizia dei loro cuori, che cercano i guadagni piuttosto che la rettitudine. La teoria dell'interazione tra cielo e terra era anche alla base della teoria del "mandato celeste", già preesistente a Confucio (a cui poi Mencio diede una sistemazione organica) come fondamento di legittimazione del potere del sovrano. D'altronde il confucianesimo stesso, pur essendo sorto come filosofia e morale secolare, assunse progressivamente una serie di elementi religiosi, come quelli delle religioni diffuse, elaborando tutto un sistema di riti di riti ufficiali ed inglobando la cosmologia delle teorie dello yin e yang e dei cinque elementi (legno, fuoco, terra, metallo, acqua).
Egli parla pure del Tao, della legge morale cosmica, per seguire la quale l'uomo doveva praticare il li (cerimonie, riti). Egli quindi rendeva omaggio agli spiriti degli antenati e compiva i sacrifici come se essi fossero presenti, ma nello stesso tempo criticava l'abuso delle cerimonie e dei riti e il comportamento di coloro che compivano le cerimonie tradizionali, senza la debita reverenza o che, compiendole, peccavano contro il Cielo: "se si offende il Cielo, non serve pregare" (Dialoghi, 3,13).
Confucio non si atteggiò mai a superuomo o a profeta. Il suo era soprattutto un insegnamento pratico, guidato dalla consapevolezza delle difficoltà del compito che si era prefisso, del dovere e della responsabilità che si assumeva. Il suo insegnamento era quindi più esortazione che teoria. Egli credeva nella bontà dell'uomo e nell'azione benefica dello studio: "E' difficile che un uomo che abbia studiato per tre anni non sia diventato buono" (Dialoghi, 8,12). Ma ammoniva: "Studiare senza meditare è inutile, meditare senza studiare è pericoloso" (Dialoghi, 2,15). Confucio non si poneva mai al di sopra degli altri e non si sopravvalutava mai. Inoltre, modestamente, concludeva: "Io tramando, non creo" (Dialoghi, 7,1).