di Emanuele Baiolini
Prima di entrare ‘nel vivo’ della faccenda vorrei fare una brevissima premessa, con lo scopo di fornire un chiarimento necessario alla comprensione.
Parlando di ‘aborto’, noi possiamo intenderne due ‘tipi’ diversi: l’aborto ‘naturale’ – dove l’interruzione della gravidanza avviene involontariamente – e l’aborto ‘procurato’ – che richiede l’intervento dell’uomo. Ora, il tipo che genera dei veri e propri problemi morali è, indubbiamente, il secondo. Il primo non ne crea alcuno: il fato – ma potremmo anche dire destino, sorte o forse solamente sfortuna – vuole che Laura, giovane donna di ventisei anni e felicemente incinta, abbia un aborto naturale. Esami clinici approfonditi accerteranno le cause. E tutto finisce (drammaticamente!) qui. Questo caso non solleva alcun dilemma morale.
Le cose non stanno così per l’aborto ‘procurato’: Francesca, giovane donna di trentadue anni e infelicemente incinta, decide di interrompere la sua gravidanza e si reca all’ospedale della città in cui vive. Crede di non saper essere una buona madre e non vuole assumersi questa grande responsabilità. Nella nostra società, in questo caso, nulla finisce qui.
I problemi morali sorgono dunque quando l’uomo decide di intervenire. È proprio ora che, finalmente, entriamo ‘nel vivo’ della questione.
Chi discute di aborto, favorevole o sfavorevole che sia, inizia col prendere in considerazione la questione dell’embrione. Dico ‘questione’ perché attorno ad esso girano interminabili discussioni sulla sua ‘entità’. Avendo questo articolo un suo preciso e specifico argomento, trovo più che coerente, nonché sensato, iniziare con quello che può essere considerato il punto di partenza del dibattito sui problemi morali legati all’aborto.
Chi combatte contro l’interruzione volontaria di gravidanza ritiene essere l’embrione il fulcro di ogni soluzione. È una specifica domanda, quella che si pone e la cui risposta decide l’essere o meno a favore dell’aborto stesso: l’embrione è un essere umano? [1]. Qualora la risposta fosse “sì”, l’aborto sarebbe un omicidio.
Un’osservazione interessante sarebbe che, nonostante l’apparente drammaticità della prospettiva omicida, dovremmo almeno ammettere la possibilità di alternative; giusto per non vedere tutto bianco o nero. Ammesso – ma non concesso – che l’aborto sia un omicidio, potrebbe nonostante tutto risultare lecito in particolari circostanze (ad esempio, in caso di pericolo di vita della donna). Mi limito a quest’unico esempio solo per rendere l’idea della non-necessità dell’impostazione data dal quesito sull’embrione. La parola omicidio ci fa orrore, ma questo non vuol dire che ci faccia così tanto orrore. Mettiamo che qualcuno stia attentando alla nostra vita: se fossimo armati (ma anche disarmati!) non cercheremmo di difenderci al meglio delle nostre capacità, accettando il rischio di uccidere chi vuole toglierci la vita? Le arrampicate sugli specchi che qualcuno cerca di intraprendere – ossia dare risposte che sottolineano la necessità della distinzione che si dovrebbe fare ‘fra omicidio e omicidio’, hanno una forza che è inversamente proporzionale all’ambiguità e debolezza che assume il concetto di ‘diversità’, applicato per distinguere omicidio e omicidio –. Dunque, in parole povere, lasciano il tempo che trovano. E questo perché va sottolineata una caratteristica importante: il divieto di omicidio è un divieto prima facie [2].
Il ‘punto di partenza’ appena trattato è anche il ‘punto di partenza’ della Chiesa Cattolica.
Fatta questa precisazione vorrei ora cercare di presentare l’argomentazione che porta ad affermare che l’aborto è illecito perché è un omicidio. Essa, che rispecchia un comune modo di pensare, può essere definita ‘scientifica’ per il fatto che è su un’affermazione della stessa scienza (la Biologia) che grava tutto il peso dell’argomentazione. Vediamola dunque nei particolari [3]:
i) L’omicidio è illecito
[l’omicidio è l’uccisione di un essere umano]
dunque
[l’uccisione di un essere umano è un’azione illecita];
ii) Dalla fecondazione l’embrione umano è un essere umano (tesi sostenuta dalla Biologia);
iii) L’aborto provoca la morte
di un embrione umano
[l’aborto provoca la morte di un essere umano];
iv) L’aborto è un omicidio
[l’aborto è illecito].
Tutti i tasselli sembrano combaciare perfettamente. Ma non è così. Come sottolinea Maurizio Mori, i problemi iniziano già subito con (i). Nell’affermazione ‘L’omicidio è illecito’ è implicito il divieto di uccidere, il “Non uccidere!”, che non vieta però universalmente l’uccisione. Il “Non uccidere!” vale solo per gli esseri umani, in quanto nella nostra società permettiamo che vengano uccisi tranquillamente esseri viventi non-umani. Ora, a prescindere dal fatto che la maggioranza delle persone non si pone nemmeno il solo quesito sul perché della liceità dell’uccisione di certi esseri viventi e dell’illiceità dell’uccisione di certi altri, se vogliamo ravvisare una parvenza di giustificazione di questa presa di posizione potremmo dire che i difensori dell’argomento in questione fanno perno sulla «credenza diffusa secondo cui solo gli uomini hanno una speciale qualità che li distingue radicalmente dagli altri esseri viventi» [4]: oltre che disporre di un corpo, essi possiedono capacità culturali e spirituali che tutti gli altri esseri viventi non hanno.
Non voglio aprire alcuna parentesi su tale questione. Sicuramente, dal mio punto di vista, essere capaci di produrre cultura o avere fede in Dio non può costituire un argomento in grado di giustificare lo specismo.
Concediamo, tuttavia, uno spiraglio di luce a questa opzione. L’uomo dunque non attinge solo al mondo biologico, naturale – non attinge al solo universo della necessità materiale – ma anche al mondo culturale e spirituale. Insomma, l’uomo è studiato sia dalla scienza, per come è fatto il suo corpo e per come funziona indipendentemente dalla sua volontà, sia dalle scienze umane, per via di ciò che egli crea dal nulla grazie alla sua spontaneità, come le arti o le religioni. Mori, adagiandosi nella «comoda terminologia tradizionale» [5], si propone di chiamare ‘anima razionale’ questa qualità di cui solo l’uomo dispone.
Consideriamo a questo punto persona ogni essere vivente composto da un ‘corpo’ e da un’‘anima razionale’. Ora, il divieto di uccidere che abbiamo detto essere implicito in (i) prescrive di non uccidere, precisamente, una ‘persona’. È necessario quindi riformulare più correttamente il nostro primo punto:
i') L’omicidio è illecito
[l’omicidio è l’uccisione di una persona]
dunque
[l’uccisione di una persona è un’azione illecita];
Giunti a questo punto è d’obbligo un’altra precisazione. La Biologia – che è una scienza naturale – si occupa di studiare i meccanismi cellulari del nostro ‘corpo’, le reazioni chimiche che riguardano il nostro metabolismo, e altre cose di questo genere. Non è sua competenza, e nemmeno suo interesse, lo studio dell’‘anima razionale’. Semmai quest’ultima è studiata da una certa filosofia. Dobbiamo quindi riformulare meglio anche il punto (ii):
ii') Dalla fecondazione l’embrione umano è un essere umano (corpo) (tesi sostenuta dalla Biologia);
Viene da sé il terzo punto:
iii') L’aborto provoca la morte di un embrione umano
[l’aborto provoca la morte di un essere umano (corpo)];
Dopo queste correzioni sorge il problema fondamentale: non possiamo più concludere (iv'). Perché? Perché (ii') non ci fornisce più il termine medio. La rottura è dovuta ad un errore logico-concettuale: in (i') si parla di ‘persona’, mentre in (ii') solo di ‘corpo’.
L’argomento scientifico purtroppo non riesce (perché non può!) a uscire da questo vicolo cieco.
4. La posizione ufficiale della Chiesa
Cattolica e alcune riflessioni
Vorrei iniziare prendendo spunto direttamente dall’enciclica Evangelium Vitae [6].
Giovanni Paolo II afferma che «occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome» [7]: l’aborto è un «delitto abominevole […] è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita» [8]. Dunque è omicidio di un essere umano indifeso che si affaccia alla vita.
Giovanni Paolo II risponde anche a chi giustifica l’aborto sostenendo che, fino ad un certo numero di giorni, il frutto del concepimento non è ancora una «vita umana personale» [9]. Questo non può essere sostenuto perché «dal momento in cui l’ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre… la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme» [10]. È interessante questo passaggio, visto che si collega a quanto appena scritto riguardo all’argomento scientifico. Infatti le righe sotto recitano: «Essa [la scienza genetica] ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l’avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire» [11]. Come abbiamo visto in realtà la scienza genetica – proprio in quanto ‘scienza’ – non si pronuncia sull’anima razionale. Papa Giovanni Paolo II utilizza il termine ‘persona’, ma la genetica non si occupa di questo. La biologia mostra dal primo istante il programma di ciò che sarà un essere vivente dal punto di vista materiale, cioè in quanto ‘corpo’ e non in quanto ‘persona’.
Nonostante tutto le argomentazioni fanno fortemente affidamento sulla scienza: «Anche se la presenza di un’anima spirituale non può essere rilevata dall’osservazione di nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull’embrione umano a fornire un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?» [12]. L’osservazione è la medesima di prima.
La posizione della Chiesa Cattolica promuove inoltre una strategia di prevenzione: «[…] sotto il profilo dell’obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l’embrione umano. Proprio per questo, al di là dei dibattiti scientifici e delle stesse affermazioni filosofiche nelle quali il magistero non si è espressamente impegnato, la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale» [13].
Dunque dal momento del concepimento sino alla morte la vita umana è sacra e inviolabile, e questa posizione sembra proprio che non potrà mai cambiare: «Di fronte a una simile unanimità nella tradizione dottrinale e disciplinare della Chiesa, Paolo VI ha potuto dichiarare che tale insegnamento non è mutato ed è immutabile. Pertanto, con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi – che a varie riprese hanno condannato l’aborto […] – dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente» [14].
Alcune riflessioni sono ora d’obbligo.
Come abbiamo visto la Chiesa condanna l’aborto procurato non per ragioni di fede, ma per ragioni scientifiche, in quanto condivide e segue le tesi che riguardano l’embrione umano. Questa tesi è sostenuta dallo stesso Giovanni Paolo II quando fa riferimento al De abortu procurato. Questa linea di pensiero può far credere che la Chiesa accetti l’argomento scientifico. Tuttavia le righe che seguono, sempre dell’enciclica del 1974, non sembrano confermare questa ipotesi in quanto viene precisato che non è compito delle scienze biologiche pronunciarsi definitivamente su questioni – come, per esempio, il momento in cui si costituisce la persona umana – che appartengono alla filosofia. L’argomento scientifico viene perciò respinto.
A questo punto, se ci mettiamo nei panni del difensore del pensiero cattolico, dobbiamo risolvere un problema: rendere compatibile l’importanza e l’autorità attribuita alla scienza genetica con la conseguente affermazione che, alla fine, non spetta ad essa di decidere su questioni che non le competono. L’unica via d’uscita è quella di affermare che, per la dottrina cattolica, i termini vita umana e persona umana hanno significati diversi [15].
Inoltre va detto che ad essere rifiutato non è solo l’argomento scientifico, ma anche la questione dell’embrione (vedi sopra). Giovanni Paolo II, come abbiamo visto, lo scrive nella sua enciclica, ma anche nel solito De abortu procurato si afferma che la Chiesa lascia «espressamente da parte la questione circa il momento dell’infusione dell’anima spirituale» (n. 19). Dunque non viene data alcuna risposta alla domanda: in quale momento si costituisce la persona? Ma allora l’inevitabile conclusione cui dobbiamo pervenire non può che essere questa:
* se la Chiesa Cattolica non chiarisce quando l’embrione diventa persona, allora non può neanche dire che l’aborto è un omicidio (dove ‘omicidio’ significa ‘uccisione di una ‘persona’).
È opportuno ricordare che il magistero ecclesiastico afferma solamente che «l’essere umano va rispettato come una persona fin dal suo concepimento» [16]. Qui va fatta una precisazione, che lo stesso cardinale Dionigi Tettamanzi fa in un passo di un suo libro: «La dottrina cristiana circa l’aborto si connette con la premessa fondamentale che il frutto del concepimento, sin dagli inizi, deve essere trattato come un essere umano. Si noti l’espressione volutamente scelta: “come” un essere umano! Non diciamo, quindi, necessariamente che il concepito, sin dagli inizi, “è” un essere umano. Per la soluzione del problema morale dell’aborto non è assolutamente necessario rispondere all’interrogativo: il concepito, sin dagli inizi, è un essere umano? In realtà basta la semplice probabilità di trovarci di fronte ad un essere umano per affermare come “certo” il dovere morale di trattare il frutto del concepimento, e sino dagli inizi, “come” un essere umano!» [17].
La questione è ben lungi dall’essere chiara. Affermare che l’embrione umano “va trattato come un essere umano” non significa affermare che lo si tratta come un essere umano perché è tale. Questo è spiegato dallo stesso Tettamanzi, ma le ragioni per le quali si riserva un simile trattamento sono tutt’altro che chiare. Di fatto, la Chiesa Cattolica condanna inesorabilmente qualsiasi aborto procurato.
D’altra parte dovremmo rilevare una significativa discrepanza. La Chiesa pone due divieti: 1) “Non uccidere!”; 2) “È vietato qualsiasi aborto procurato”. Come ho avuto modo di sottolineare, il primo è un divieto prima facie (ammette la legittima difesa). Ma allora questo stride con il divieto, della stessa Chiesa, di qualsiasi aborto ‘terapeutico’, in quanto quello che ha affermato papa Pio XII è per essa ancora valido: «[dopo aver tentato il possibile per salvare donna e feto] altro non resta all’uomo […] se non d’inchinarsi con rispetto dinanzi alle leggi della divina Provvidenza» [18]. Ovviamente si potrebbe controbattere dicendo che l’aborto terapeutico non è, per la donna in pericolo di vita, legittima difesa!
Detto questo, sembra che dovremmo concludere che il divieto di aborto prescritto dalla Chiesa Cattolica non abbia giustificazione. In realtà questo non è vero, anche se i problemi finora delineati rimangono. Siccome l’etica non prevede solo il “Non uccidere!”, il divieto di aborto potrebbe essere giustificato diversamente. Questo è quello che fa la Chiesa, per cui esso dipende in un certo qual modo dalla dottrina del ‘matrimonio’ [19]: «in conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche» [20].
Il matrimonio è un’istituzione che prescrive non solo che il marito si ponga al servizio della moglie e viceversa, ma anche che entrambi si pongano al servizio della vita. Porsi al servizio della vita significa porsi al servizio del ‘finalismo’ che è intrinseco e al processo vitale umano e a quello riproduttivo [21]. Questa posizione verte su un processo vitale che è interpretato come un cerchio per il quale, inevitabilmente, non è possibile individuare nessun punto di inizio. È per questo motivo dunque che la vita umana è da rispettare fin da quando ha inizio il processo di generazione.
Ovviamente, sebbene si possano formulare delle obiezioni alle formulazioni della dottrina cattolica, il dibattito è da considerarsi tutt’altro che concluso. Lo stare dalla parte degli abortisti o degli anti-abortisti dipende in ultima istanza da quale tipo di etica decidiamo di sostenere.
Oggi il dibattito vede schierata, da una parte, l’etica della sacralità della vita, quella ‘ufficiale’ della Chiesa Cattolica, dall’altra, l’etica della qualità della vita. Alla radice di questa generale distinzione non sta solo il dibattito che, in linee generali, ho voluto introdurre, ma tutti i più importanti problemi morali: dall’aborto alla fecondazione assistita, dalla clonazione al problema dei trapianti, dall’eutanasia ai problemi generali dei diritti umani.
Per quel che concerne l’aborto, vi sarebbero altri aspetti importanti su cui discutere. Anche su questi la Chiesa Cattolica si è pronunciata autorevolmente, e quindi il discorso potrebbe andare avanti. Tuttavia, un’eccessiva estensione andrebbe a stridere con l’economia richiesta – e voluta – di questo articolo.
[1] Cfr. M. Mori, Bioetica. 10 temi per capire e discutere, Mondatori, Milano, 2002, p. 34.
[2] Si dice che un divieto è prima facie quando si presenta come ‘assoluto’, ma ad una più attenta disamina e riflessione lascia spazio a qualche eccezione. In questi casi allora è assoluto solo ‘a prima vista’.
[3] Ivi, p. 35.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae. Lettere enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana, EDB, Bologna, 1995.
[7] Ivi, p. 60.
[8] Ibidem.
[9] Ivi, p. 62.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem, dal De abortu procurato (1974), n. 12-13: AAS 66, 738; EV 5/673s.
[12] Ibidem, dal Donum vitae (1988), I, 1: AAS 80, 78-79; EV 10/1177.
[13] Ibidem.
[14] Ivi, pp. 64-65.
[15] Cfr. Mori (2002), p. 37.
[16] Donum vitae, I, 1.
[17] Dionigi Tettamanzi, La comunità cristiana e l’aborto, Edizioni Paoline, Milano, 1973, p. 278.
[18] Mori 2002, p. 37.
[19] Ivi, p. 48.
[20] Paolo VI, Humanae Vitae, 1968, n. 14.
[21] Mori 2002, p. 48.