PER UNA FENOMENOLOGIA DELLA
PERCEZIONE
una schedatura parziale di “Fenomenologia della percezione visiva” di M. Massironi,
Il Mulino, Bologna, 1998.
di Toshiyuki Hosokawa
Percezione è l’elaborazione dell’informazione che il sistema percettivo umano compie per costruire l’esperienza, inevitabilmente l’inizio del percorso della conoscenza.
Alla luce degli sviluppi storici, le domande che oggi possono risultare feconde per un discorso sulla percezione non sono tanto quelle sull’affidabilità della stessa, quanto individuarne i meccanismi ed il funzionamento e dunque:
· la relazione tra fenomeno fisico e rendimento fenomenico dello stesso
· il rapporto tra il funzionamento neurologico e i risultati percettivi
· il rapporto tra l’esperienza passata e i risultati percettivi
· il rapporto tra il patrimonio genetico e i risultati percettivi
L’evento percettivo richiede tre fattori:
q OSSERVATORE ovvero un essere vivente anatomicamente e fisiologicamente attrezzato a
registrare la presenza di stimoli ad esso esterni
q OSSERVABILE ovvero ogni parte del mondo che possiede proprietà adatte a modificare gli
organi di senso di un osservatore
q OSSERVATO ovvero una porzione di osservabile che si trova a contatto con un osservatore
ed innesca i processi che danno luogo ad una percezione specifica
Nel pensiero occidentale a partire da Aristotele la percezione è stata intesa come una registrazione più o meno fedele, capace di fornire informazioni utili e conoscenze necessarie.La eventuale discrepanza tra fenomeno fisico e rendimento percettivo, ovvero tale registrazione, fondamentalmente non minava l’attendibilità dei sensi, messa in discussione organicamente solo da Cartesio.
Tra Aristotele e Cartesio sono due gli eventi che in qualche modo impongono una svolta agli studi percettologici e sono la PROSPETTIVA LINEARE cioè quella tecnica obbediente e controllabile che permette di ricostruire oggetti nello spazio ma soprattutto riprodurre oggetti inesistenti, e la fondamentale QUANTIFICAZIONE DEI FENOMENI FISICI, che se da un lato aprì una nuova e durevole stagione per la scienza, dall’altra mise in rilievo le imprecisioni della osservazione diretta.Si può affermare che con Cartesio e Galileo, passando per le innovazioni tecnico-artistiche rinascimentali lo statuto cognitivo della percezione diventi un problema.
La psicologia della percezione vuole essere un approccio sperimentale a tale problema, ovvero obbedisce al vincolo stringente di non accettare alcun contributo che non sia stato sottoposto a riscontri empirici; come ogni disciplina scientifica tuttavia non può fare a meno di muovere da assiomi, postulati, convinzioni, metaprincipi primitivi, che sono:
·
Realismo fisico
– il mondo è reale e indipendente dalla intenzionalità dei soggetti
·
Monismo psicobiologioco – i processi mentali,
tra cui la percezione, sono il risultato del
funzionamento del sistema nervoso di un soggetto
·
Dualismo metodologico – la ricerca sulla
percezione deve tenere conto non solo dei processi
neurofisiologici, ma anche della sfera fenomenica
·
Inaccessibilità dei processi interni – i
processi intercorrenti tra input e output percettivi
risultano opachi al percipiente
· Natura composita della mente – i processi mentali sono tra loro semi-indipendenti
· Indeterminatezza percettiva degli stimoli – un rendimento percettivo può essere dato da stimoli
differenti: il processo percettivo pare essere
processo attivo e non registrazione passiva.
Quest’ultimo assioma apre ad una basilare differenziazione (introdotta primariamente dalla psicologia della Gestalt ma tradotta poi all’intera cultura percettologica), ovvero la distinzione tra FISICO e FENOMENICO: il rendimento percettivo è indipendente dallo stimolo fisico nella misura in cui aggiunge, toglie, semplifica, distorce la caratteristiche dello stimolo fisico.Ciò significa che entrambi sono reali ed utili nell’esperienza umana, ma i dati fenomenici, descritti con l’imprecisione e l’ambiguità del linguaggio naturale che ne costituisce al contempo la plasticità, sembrano avere preminenza sui dati fisici, tradizionalmente descritti con un linguaggio matematico che sottolineando le quantità in primis, tende a neutralizzare l’intervento attivo della percezione.
Uno studio sperimentale del mondo fenomenico, invece, deve impegnarsi ad aggirare tale dicotomia, ad esempio quantificando i fenomeni percettivi o ricreando artificialmente le condizioni in cui tali fenomeni vengono a costituirsi.
Il mondo fenomenico si costituisce in seguito all’impatto tra organi di senso periferici e una porzione di mondo fisico, e catena psicofisica è detta la sequenza di passaggi e trasformazioni che costituisce il percetto a partire dallo stimolo esterno.
Trasmissione neurale
L’oggetto fisico sotto osservazione, emette o riflette radiazioni luminose di varia intensità; tali radiazioni sono captate dai reattori sensoriali ovvero in primo grado all’occhio; per quanto complesso se ne possono individuare due componenti principali:
1)la parte anteriore (sistema diottrico: cornea, pupilla, cristallino) è una sorta di macchina fotografica che capta il moto ondulatorio della luce;
2)la parte posteriore (retina, nervo ottico) è invece un trasduttore di energia elettromagnetica in energia elettrochimica, capace di proseguire verso l’interno del sistema nervoso;
In questo modo l’informazione visiva, trasformata in eccitazione nervosa e grossolanamente organizzata , si dirige verso la corteccia visiva dove l’informazione non rimane uguale a sé stessa ma viene arricchita e organizzata (elaborazioni complesse).Solo dopo questi numerosi passaggi si viene a costituire l’oggetto fenomenico, la cui descrizione, nonostante le numerose scoperte in merito, non è esauriente (si ricordo il postulato dell’irriducibilità tra attività neurologica e sfera fenomenica).
Ogni disciplina che studia la percezione deve postulare la primitività del fenomeno, ovvero considerarlo come arbitro finale di ogni disputa esplicativa.Ciò apre a diversi problemi, il primo dei quali, e forse il più greve, è: se le teorie devono render conto al rendimento fenomenico e solo a quello, come si può dare un valore ai risultati delle stesse?
Una risposta possibile, accetta qui acriticamente, può essere che le fenomenologia sperimentale fa riferimento solo a sé stessa.
Ma vediamo alcune celebri definizioni di fenomenologia e fenomenologia sperimentale:
“Descrizione dell’esperienza diretta il più possibile completa e non pervenuta”(K. Koffka)
“Accettare il dato immediato così come esso è, anche se appare illogico o inatteso; lasciar parlare le cose stesse”(Metzger, 1963)
“La fenomenologia sperimentale vuole essere scoperta e analisi di connessioni causali necessarie tra fenomeni visivi, l’individuazione delle condizioni che determinano, favoriscono o ostacolano la loro comparsa e il loro grado di evidenza.Tutto ciò senza uscire dal mondo fenomenico ovvero senza fare riferimento ai processi neurofisiologici che sottostanno al vedere”(G. Kanisza).
“Praticare fenomenologia sperimentale significa manipolare fenomeni: tenere conto delle variabili dipendenti dai fenomeni e non dagli stimoli che li producono”(G.B. Vicario)
“Fenomenologia sperimentale è fondata monasticamente sul postulato della sperimentazione su condizioni e caratteristiche direttamente percettive; teoria autonoma della percezione che parli degli oggetti di osservazione juxta propria principia.”(L. Burigana)
“I fenomeni percettivi, se misurati e sottoposti ad esperimenti rigirosi, fondano la più empirica delle scienze, non solo ma la più pura, vecchia, non-esistenziale scienza che descrive empiricamente e non riduce; una scienza che non si occupa degli oggetti esterni ma degli eventi mentali, dei modelli degli oggetti.”(W.R. Uttal)
“Il metodo fenomenologico è tornare alla cose stesse, cioè studiare le cose come esse appaiono, non inquinate da pregiudizi epistemologici; per fare ciò occorre la strategia dell’epochè, ovvero il mettere tra parentesi posizioni epistemologiche, teorie scientifiche, teorie ontologiche, introspezioni della coscienza non nei confronti del mondo ma nei confronti delle propensioni verso esso; solo così la fenomenologia può avere carattere positivo, limitandosi alle cose stesse.”(J.L.F. Trespalacios).
Generalissimamente la fenomenologia sperimentale dunque sembra essere quella scienza che studia i percetti, ovvero le elaborazioni delle stimolazioni sensoriali strutturate dalla catena psicofisica, unico tipo di informazioni di cui ogni tipo di attività umana (motoria, cognitiva, emotiva) può disporre.
Ma come funziona il sistema che registra dati difformi da oggetti e ambienti osservati e che offre un risultato percettivo aderente allo stimolo con un alto grado di affidabilità?
Gli orientamenti storici, per dividerli in grossi blocchi, sembrano essere sostanzialmente due:
1) PERCEZIONE INDIRETTA – la quantità di informazioni raccolta è sostanzialmente insufficiente sicchè i processi elaborativi superiori come pensiero e memoria intervengono ad integrare tali input (si pensi alla gnoseologia humeana o empirista in generale).
2) PERCEZIONE DIRETTA – gli organi sensoriali raccolgono abbastanza informazioni per produrre un percetto ricco e informativo senza l’intervento di ulteriori attività cognitive:
a. Processi inferenziali assenti
b. Percezione come facoltà innata
c. Percezione diretta come veloce e immediata
d. Percezione diretta come inevitabile
e. Percezione come strutturata in un tutto
Non sembra esistere un modo decisivo per decidere quale tra le due posizioni sia giusta; Kanisza ritiene che la seconda posizione sia , nel suo essere problematica, più feconda perché non permette di “spiegare via” date dinamiche in nome di esperienze e apprendimenti alieni al risultato fenomenico.
In un discorso sulla fenomenologia sperimentale non si può non trascurare l’apporto fondamentale della psicologia della gestalt, che segue la percezione diretta, un metodo sperimentale e un approccio fenomenologico; Max Wertheimer individua delle regole che guidano il costituirsi del mondo fenomenico:ciò che guardiamo si struttura in oggetti relazionati tra loro, a cui non necessariamente corrispondono oggetti fisici ma che sottostanno a determinate condizioni di stimolazione. Occorre dunque indagare le regole per cui alcune parti del campo visivo si uniscono per costituire l’oggetto e a contemporaneamente si separano da altre parti del campo visivo, che si costituisce così come sfondo.
Sulla scia degli studi di Rubin, Wertheimer individua delle precise leggi di unificazione, secondo cui viene a formarsi l’oggetto fenomenico:
§ Vicinanza - in una figura composta, gli elementi che concorrono a costituire la figura, rimanendo immutati grandezza, forma, colore, saranno quelli tra loro più vicini (fig. 1)
§
Somiglianza – in una figura composta, gli
elementi che tendono ad unificarsi in una figura sono quelli che possiedono
qualche somiglianza (fig.2)
§
Continuità di direzione – il sistema
visivo sembra prediligere internamente ad una figura, quei movimenti che non
cambiano direzione repentinamente; ad esempio, all’intersecazione tra due
segmenti, si unifica il segmento che continua nella medesima direzione (fig.3)
§
Chiusura – è quel principio secondo cui
le figure si completano in una figura chiusa, nonostante le condiziono fisiche
non diano alcuna indicazione a riguardo (fig.4)
§
Pregnanza o “buona gestalt” – è quel
principio secondo cui il campo visivo si segmenta in modo che ne risultino
oggetti percettivi quanto più equilibrati, armonici, intuitivi.(fig.5)
§
Articolazione senza resti – il risultato
percettivo tende ad utilizzare tutti gli stimoli a disposizione (fig.6)
§
Esperienza passata – questo è l’unico
principio “storico” che Wertheimer individua tra le leggi strettamente inerenti
al sistema percettivo (che ricordiamo essere innato); la emersione di una
figura potrebbe essere, a pari condizioni, legata a esperienze passate.Esistono
tuttavia numeroso casi che dimostrano la debole ingerenza di questo principio
rispetto agli altri enumerati.(fig.7)
Le problematiche emergono quando tali fattori configgono tra loro invece che cooperare. L’atteggiamento più elegante ed efficace, ancorché sbrigativa e in un certo senso sterile ai fini delle ricerche fenomenologiche, è quello di sostenere che il fattore preponderante che concorre al risultato percettivo, sia il principio di parsimonia.Tuttavia la percezione non agisce in maniera generalizzabile e pacifica, ma fornisce controesempi continui; alla luce della sua ridondanza di risorse, più numerose e variegate di ogni altra attività intellettivo-mnemonica, la percezione può sprecare e trascurare dati, limarne degli aspetti, arricchirne altri e proprio tale costante attività di ridimensionamento e spreco le permette di essere veloce e precisa, ultima istanza o principio primo dell’agire nel mondo esterno dei soggetti.
FIGURA 1: o o o o o o o o o o o o o o o o o o
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FIGURA 2:
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FIGURA 3:
FIGURA 4:
FIGURA 5:
FIGURA 6:
= + e non +
FIGURA 7:
M. MASSIRONI, Fenomenologia della percezione visiva, il Mulino, Bologna 1998;
G. KANISZA, Grammatica del vedere. Saggi su percezione e gestalt, il Mulino, Bologna 1980
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