Il senso e la comprensione
intepretante
Primo studio sui paragrafi 31,
32, 33 di Essere e tempo
di Lorenzo Sieve
§1 Senso come a priori
La tesi che guida
l’analisi del presente articolo volge a considerare il senso come a priori
e come condizione di possibilità del circolo ermeneutico.
«Il
“circolo” del comprendere appartiene alla struttura del senso, e tale fenomeno
è radicato nella costituzione esistenziale dell’Esserci, nella comprensione
interpretante»[1].
La forma del processo ermeneutico è il circolo, il cerchio. «Questo è il segno
che ci muoviamo nell’ambito della filosofia. Ovunque un girare in cerchio»[2].
Tale figurazione simboleggia il movimento del ritorno a sé della circolarità
ermeneutica: dalla comprensione all’interpretazione, e da questa - intesa come
appropriazione del compreso - al «“rispetto a che” da cui si origina il senso»[3],
ovvero la direzione orientata all’interno dell’orizzonte[4].
«Questa reciproca implicazione è determinata dall’essenziale rimandatività che
investe le strutture del circolo. Ognuna di esse, infatti, può essere
progettata solo nel suo rapporto ad altro, a ciò che può determinare
l’orizzonte di comprensione»[5]. Tale
movimento potrebbe essere accusato di viziosità dal momento che «le regole più
elementari della logica ci insegnano che il circolo è circulus
vitiosus»[6].
È un’obiezione che non sussiste in quanto «il pensiero non deve prescindere da
questo “intreccio”, né tentare di rimuoverlo, ma invece imparare a collocarsi
in esso, a trovarvi il proprio luogo»[7]. «Il
circolo vizioso è in realtà costituito da un riferimento e da una
modalizzazione, da una comprensione e da una interpretazione»[8].
Il processo ermeneutico si colloca in una dimensione originaria che precede lo
sviluppo di qualsiasi ideale conoscitivo. Esso si configura come il processo
dei rapporti che l’esserci ha con tutto ciò che lo circonda. L’esserci - dal
momento in cui è e fintanto che è - comprende ed interpreta i significati
ereditati dalla tradizione del mondo in cui è gettato. Il movimento di
comprensione ed interpretazione coinvolge l’esserci sia nei confronti di sé
stesso, come autocomprensione, sia verso l’essere in generale, sia nei
confronti degli enti intramondani. Qui «Non si tratta di niente di meno che di
riappropriarsi di questa dimensione originaria dell’accadere nell’esistenza che
filosofa, per tornare soltanto allora a “vedere” tutte le cose in modo più
semplice, più forte e più tenace»[9]. Il
movimento di comprensione ed interpretazione non può quindi essere accusato di
viziosità nel suo procedere circolare; dal momento che questa circolarità è
connaturata all’esserci e lo caratterizza in modo essenziale. Questa
circolarità è il movimento del processo ermeneutico. Essa informa di sé la
successione caratterizzata dai meccanismi di prensione, articolazione, ed
orientamento; i quali vedremo essere le rispettive funzioni della comprensione
e dell’interpretazione. La circolarità ermeneutica trova il suo centro nel
senso, e gli appartiene, dal momento che esso rientra nella costituzione
esistenziale dell’esserci e «se la trattiamo in modo rigoroso, può diventare
una spirale che si avvolge verso l’interno»[10];
possiamo cioè determinarne le componenti fondamentali.
All’interno di questo movimento circolare decisivo è «il guardare nel centro in quanto tale, cosa che è possibile lungo il percorso circolare, ed è possibile in esso soltanto»[11]. Al centro si trova il senso. Attraverso esso, inteso come senso percettivo, è possibile essere “colpiti” dagli enti nel loro darsi all’esserci, entrare in contatto con loro e poterli così illuminare con la luce della comprensione. E anche possibile sviluppare un senso di sé inteso come autocomprensione che si tratteggi come coglimento del proprio essere e sviluppi, così, un’autointerpretazione che sia autentica o che invece si equivochi. Per quanto riguarda, invece, la problematica ontologica il senso si tratteggia come senso dell’essere; «per il solo fatto di chiedere: “Che cosa è l’essere?” ci manteniamo in una comprensione dell’ “è”»[12]. Qui il senso dell’essere è il ricercato della domanda intorno all’essere.
Per quanto riguarda gli enti, l’essere affetti dalle “cose” è possibile in virtù del senso che sviluppa tali presenze in disponibilità comprensibili. Il senso si configura quindi come accesso e sviluppo in disponibilità degli enti. «Quando con l’essere dell’Esserci l’ente intramondano è scoperto, cioè compreso, diciamo che ha un senso»[13]. Scoprimento che equivale all’essere colpito nel senso, a livello percettivo, dell’esserci da parte dell’ente ed essere così scoperto e compreso dal momento in cui la comprensione ne ammanta la disponibilità. Viene connotato come utilizzabile, come mezzo-per, rientrando nella rimandativà funzionale dell’utilizzabilità. La comprensione, in virtù della funzione aprente del senso (percettivo), ne “esplode” i sensi possibili (le articolabilità), esibendo il carattere di possibilità dell’ente e disponendolo ad un articolabilità interpretativa che permetta il fissarsi in significato determinato. L’ente ha senso - inteso come disponibilità articolabile - significa che esso rientra nella nostra visione ambientale e può essere articolato in un significato possibile. Il senso dell’ente è ciò che viene articolato per cristallizzarsi in significato.
L’esserci scopre e comprende l’ente. A buon diritto si può dire che «senso e assenza di senso si danno solo per un’esistenza umana»[14], dunque «solo l’Esserci “ha” senso, e ciò perché l’apertura dell’essere-nel-mondo è “riempibile” attraverso l’ente in essa scoperto. Solo l’Esserci, quindi, può essere fornito di senso o sfornito di senso»[15]. L’esserci scopre e comprende in virtù del senso. Egli dischiude e fa emergere l’ente alla luce della comprensione. Il senso è «un esistenziale dell’Esserci»[16], lo caratterizza ontologicamente. Il senso non è una caratteristica degli enti, essi non ne sono provvisti autonomamente; l’ente di per sé non ha senso, viene considerato come disponibilità articolabile dopo che è stato scoperto e compreso in forza del senso. «Qualsiasi ente il cui essere sia difforme dall’Esserci dev’essere concepito come senza senso, come essenzialmente e integralmente estraneo al senso»[17].
Il senso si delinea come a priori del movimento ermeneutico. Scoprendo l’ente e portandolo alla luce della comprensione permette la prensione di esso e la sua connotazione come disponibilità articolabile. Tale movimento non sarebbe possibile se il senso non esplicasse la sua funzione. Si delineerebbe l’impossibilità di scoprimento dell’ente e conseguenzialmente l’inaccessibilità ad esso. Vi è un’indispensabilità del senso che si configura come condizione di possibilità del circolo ermeneutico. È il senso che permette il processo di accesso, prensione e articolazione. Questo processo viene svolto dalle due componenti fondamentali della circolarità ermeneutica: la comprensione e l’interpretazione. Per quanto riguarda la comprensione è ad essa che si deve la prensione degli enti scoperti dal senso e da esso resi accessibili. Tale comprensione sussume gli enti sotto la sua luce, esibendone i significati possibili e collocandoli nelle maglie della rimandatività del mezzo-per. Allo stesso modo la comprensione si esercita nei confronti dell’essere dell’esserci, in forza del senso di sé, delineandosi come autocomprensione, esibendo come l’esserci coglie se stesso e come si configura nei confronti della propria esistenza. Nei riguardi dell’essere in generale la comprensione permette quel rapporto, se pur vago, indispensabile con esso; in mancanza del quale nulla potrebbe venire incontro all’esserci, nella dimensione della più semplice sussistenza ontologica. Dal momento che «la comprensione dell’essere, propria dell’Esserci, concerne cooriginariamente la comprensione di qualcosa come il “mondo” e la comprensione dell’essere dell’ente accessibile nel mondo»[18]; dunque «il Dasein si trova al centro di quella totalità di rimandi che abbraccia, da un lato gli enti intramondani, e dall’altro la struttura dell’essere. Esso anzi è l’unico punto di raccordo tra queste due sfere, è l’ineliminabile condizione del loro disvelarsi»[19].
L’interpretazione, invece, è il movimento di articolazione che si sviluppa a partire dal materiale compreso, in quanto senso possibile dell’ente o dell’essere dell’esserci, determinando il significato specifico dell’ente o il modo in cui l’esserci effettivamente si comporta dipendentemente al modo in cui il suo essere è stato compreso. Tale messa in opera effettiva del significato, sviluppata dall’interpretazione, segue la direttrice del senso, inteso come orientamento, che permette una articolazione in una data direzione all’interno di un ben preciso orizzonte.
§2 Senso e comprensione: l’accesso e la
disponibilità compresa
Per chiarire i rapporti tra senso e comprensione occorre fare un passo indietro e - considerando i risultati precedentemente raggiunti - soffermarsi su che cosa effettivamente si intenda con comprensione e come stiano i rapporti tra essa e l’esserci, nello specifico tra progetto e comprensione; per poi delucidare che ruolo svolga in essa il senso.
Cos’è la comprensione? È un esistenziale fondamentale. «Il fatto che interpretiamo la comprensione come un esistenziale fondamentale sta a significare che questo fenomeno è concepito come modo fondamentale dell’essere dell’Esserci»[20]. Intendere la comprensione come modo fondamentale dell’essere dell’esserci porta tale fenomeno in una dimensione essenziale dell’esserci, la connatura alla sua essenza. Heidegger propone la via «per intendere la comprensione stessa non come l’esercizio di una facoltà tra le altre, ma come un modo di essere fondamentale dell’uomo, come una struttura dell’esistenza universale e costante, preliminare non solo rispetto ad ogni concreto esercizio interpretativo, ma anche a tutte le possibili forme di commercio col mondo»[21]. Tale comprensione è delineata come comprensione originaria la quale - definendosi come esistenziale fondamentale dell’essere dell’esserci - caratterizza l’esserci come quell’ente che può avere un certo rapporto col proprio essere. Essendo l’esserci caratterizzato dal fatto che «per questo ente, nel suo essere, ne va di questo essere stesso»[22] ne consegue che l’esserci, affinchè nel suo modo d’essere ne vada del suo essere medesimo, deve in un certo qual modo avere un rapporto con esso; questo rapporto tra l’esserci e il proprio essere è, per l’appunto, la comprensione originaria. Tale «comprensione dell’essere è essa stessa una determinazione d’essere dell’Esserci»[23]. Comprensione dell’essere che «non è soltanto come essere dell’uomo (esistenza). Risulta chiaro da ciò che segue. L’essere-nel-mondo include in sé il riferimento dell’esistenza all’essere nella sua totalità: comprensione d’essere»[24]. Ciò sviluppa l’ambito della comprensione originaria in una dimensionalità non semplicemente ontica, nel coinvolgimento dell’esserci con la propria esistenza, ma la innalza ad una dimensione ontologica, come comprensione dell’essere in generale. «Questa comprensione media e vaga dell’essere è un fatto»[25] in forza del quale l’esserci può porsi sul cammino che volge a chiarificare il significato dell’essere dal momento che «Non sappiamo che cosa significa “essere”»[26], ma ci manteniamo comunque «in una comprensione dell’ “è”, anche se non siamo in grado di stabilire concettualmente il significato di questo “è”»[27]. Ci manteniamo in un certo senso dell’essere il quale si offre come comprensione dell’essere che, seppur sia indeterminata e si delinei come «fluttuante ed evanescente»[28], costituisce la dimensione inaugurale che volge a svilupparsi come delucidazione del significato di essere. Infatti «la ricerca del senso dell’essere non potrà tuttavia fornire questa spiegazione all’inizio. L’interpretazione della comprensione media dell’essere entra in possesso del suo indispensabile filo conduttore solo con l’elaborazione del concetto dell’essere»[29]. Si delinea il percorso che deve delucidare il senso dell’essere. Tale percorso è circolare e si identifica con la circolarità ermeneutica. Dal momento che il cercato è l’essere - inteso «quale vero e proprio oggetto intenzionale della ricerca»[30] - ciò che, invece, in esso deve essere elaborato e delucidato è il senso dell’essere, il ricercato in quanto tale, «ciò che costituisce il termine finale della ricerca»[31]. Senso dell’essere che deve ricevere una esplicazione concettuale; dall’iniziale comprensione, vaga ed indeterminata, dell’essere alla sua elaborazione concettuale. Dal senso dell’essere al significato dell’essere.
La comprensione originaria si muove nella circolarità. «L’ “essere” è senz’altro “presupposto” da tutte le ontologie finora esistite: ma non come concetto disponibile, non come ciò di cui si va alla ricerca in quanto tale»[32]. L’essere è presupposto, è dato ed in forza di questa primigenia comprensione si delinea la possibilità della trattazione intorno all’essere intesa come sviluppo concettuale, per l’appunto dal senso al significato. Dal senso dell’essere al significato dell’essere, ci si muove in un circolo, che non è circulus vitiosus «bensì un singolare “stato di retro- o pre-riferimento”»[33] il quale si configura come possibilità di rimandare dell’indagine - a proposito del senso dell’essere - alla comprensione media che l’esserci ha e di permettere lo sviluppo dell’elaborazione del concetto di essere. L’elaborazione del concetto di essere è tutta interna alla circolarità ermeneutica: il darsi come comprensione media che volge all’elaborazione concettuale.
L’esserci - il protagonista cercante dell’analisi intorno all’essere[34] - comprende anche se stesso; la comprensione esercitata in questo ambito si delinea come «l’essere esistenziale del poter-essere proprio dell’Esserci stesso, ed è siffatta che questo essere rivela a se stesso come stanno le cose a proposito dell’essere che gli è proprio»[35]. La comprensione è l’apertura, il ci, dell’esserci verso il suo essere e l’essere in generale, verso il mondo e verso i suoi in-vista-di-cui. Per quanto riguarda il rapporto che intercorre tra l’esserci e il proprio essere si è parlato precedentemente di un’autocomprensione che mette capo ad un certo senso di sé[36]. Occorre meglio spiegare i rapporti che intercorrono tra queste due componenti. «La comprensione è l’essere di un poter-essere»[37], il poter-essere è l’essere dell’esserci. La comprensione apre al rapporto col proprio essere. E dal momento che il proprio essere, ha il carattere dell’aver-da-essere - il quale si configura dinamicamente come quell’essere sempre avanti-a-sé che trascende continuamente le possibilità davanti alle quali l’esserci si trova ad essere (esserci come progetto) - l’autocomprensione potrà svilupparsi come comprensione autentica o equivoca dal momento che la comprensione «è secondo il modo di essere dell’Esserci in quanto esistenza»[38] si delinea cioè di volta in volta non assumendo mai il carattere della semplice-presenza, bensì è coinvolta nelle vicende dell’esserci; come questi è spinto in avanti dal suo sempre rinnovantesi aver-da-essere, l’autocomprensione si svilupperà continuamente come coglimento di sé autentico o deietto.
«L’esserci è in modo tale da aver o non aver sempre saputo essere in una certa determinata maniera. In quanto è questa comprensione, esso “sa” come stanno le cose a proposito di se stesso, cioè del suo poter-essere»[39]. Il sapere come stanno le cose a proposito di se stessi si configura come senso di sé. Tale senso di sé è appunto questo sapere che «appartiene all’essere del Ci, che è essenzialmente comprensione»[40]. Il senso di sé appartiene all’apertura (Ci) dove l’esserci si rapporta a stesso, al proprio essere, comprendendosi e determinando un certo senso di sé.
«L’apertura preliminare di ciò rispetto-a-cui avviene il rilascio di ciò che si incontra nel mondo è null’altro che il comprendere il mondo a cui l’Esserci, in quanto è, già da sempre si rapporta»[41]. L’apertura dell’esserci fonda i legami possibili con il mondo e porta con sé l’effettività (Faktizität) dell’esserci, il suo modo di essere-nel-mondo, dal momento che «nella comprensione del mondo è sempre con-compreso l’in-essere; la comprensione dell’esistenza come tale è sempre una comprensione del mondo»[42]. Ciò in forza del fatto che il ci dell’esserci - aprendo ad una autocomprensione di sé come in-essere e quindi come ente che è ed ha da essere - dischiude tale caratteristica essenziale dell’esserci all’interno del mondo in cui l’esserci è gettato sviluppando questo atteggiamento dell’esserci nel suo proprio contesto; infatti «la comprensione, in quanto apertura, riguarda sempre l’intera costituzione dell’essere-nel-mondo. In quanto poter-essere l’in-essere è ogni volta poter-essere-nel-mondo»[43]. Il mondo è così scoperto da un lato nella sua «significatività possibile»[44], ovvero come le articolazioni di senso possibili degli utilizzabili nella loro rimandatività funzionale considerate nel loro sviluppo all’interno dell’opera. E dall’altro lato «la stessa remissione dell’ente intramondano rimette questo ente alle sue possibilità»[45] ovvero alle sue possibilità d’azione, ai suoi significati, derivanti dal senso fornito all’ente da parte dell’esserci nel venire scoperto e compreso permettendo l’esibizione dei sensi possibili di tale ente considerato.
«La comprensione, per il suo carattere di progetto, costituisce esistenzialmente ciò che noi chiamiamo la visione dell’Esserci»[46]. Con visione si intende «quella diradatezza che è caratteristica dell’apertura del Ci»[47]; tale da illuminare, diradare gli enti in essa incontrati e renderli così disponibilità comprese. Operazione strettamente connessa «alla funzione svolta da ogni “senso” nell’ambito del proprio genuino campo percettivo»[48] come primo contatto con l’ente interessato. Il vedere di questa visione è il vedere comprensivo che «fa appello esclusivamente a quella caratteristica del vedere per cui esso lascia venire incontro come disvelato in se stesso l’ente in questione»[49]. Nella visione rientra propriamente ciò che viene scoperto e compreso sviluppandosi come visione ambientale preveggente (il prendersi cura). Tale visione apre lo spazio alle relazione con gli altri individui, intesa come rapporto con gli altri esserci; e si tratteggia come area interna all’orizzonte dove si collocano gli in-vista-di-cui dell’esserci. «La visione che si riferisce primariamente e integralmente all’esistenza la chiamiamo trasparenza»[50]. La trasparenza si rifà a quello che è stato definito precedentemente senso di sé, corrisponde alla “conoscenza di sé”, che si configura come l’ «afferramento comprensivo dell’intera apertura dell’essere-nel-mondo, attraverso i suoi movimenti costitutivi essenziali»[51]. Afferramento comprensivo, per l’appunto autocomprensione dell’apertura che si è visto essere la comprensione stessa; dell’essere-nel-mondo, l’esserci, nel suo riconoscersi poter-essere. infatti «esistendo, l’Esserci scorge “se stesso” solo se è divenuto cooriginariamente trasparente a se stesso nel suo essere-presso il mondo e nel suo con-essere con gli altri, quali momenti costitutivi della sua esistenza»[52]. Anche per quanto riguarda la trasparenza, che è il senso di sé, si può pervenire ad una comprensione fuorviante della propria esistenza, equivoca, definita intrasparenza. Ciò accade se l’esserci non comprende autenticamente se stesso, se la visione che ha di sé non è nitida, trasparente, bensì equivocata.
§3 Senso ed interpretazione: l’orientamento dell’articolazione
«Ogni interpretazione si fonda nella comprensione. Il senso è ciò che nell’interpretazione viene articolato come tale e che già nella comprensione si delinea come articolabile»[53]. Per quanto riguarda la comprensione si è visto che essa avviene contemporaneamente alla scoperta dell’ente a livello percettivo: la scoperta sensibile dell’ente è concomitante alla sua comprensione. Il senso occupa un ruolo necessario ed indispensabile affinchè la comprensione avvenga, dal momento che «il senso deve essere concepito come la struttura formale-esistenziale dell’apertura propria della comprensione»[54]. L’ente dev’essere disvelato perché rientri nella nostra visione. Tutto ciò si evince dal distinguo tra utilizzabilità (Zuhandenheit) e semplice-presenza (Vorhandenheit). L’utilizzabilità è la comprensione immediata che si ha degli enti, nel loro essere mezzo-per; comprensione avvenuta contemporaneamente con la loro scoperta sensibile. Si incontra per la prima volta un ente e lo si intende nel suo significato di essere mezzo-per; qui senso e comprensione sono concomitanti. Nello specifico della Vorhandenheit, invece, la considerazione che si ha della “cosa” è eminentemente teoretico-contemplativa, in questa dimensione l’ente è indagato scientificamente per determinarne i suoi aspetti. Qui l’ente scoperto sensibilmente è oggetto di considerazioni che vertono a tematizzarlo nel suo essere estraniato dalla rimandatività funzionale. L’ente è considerato nel suo essere semplicemente presente. È questa una considerazione alternativa dell’ente rispetto alla sua interpretabilità all’interno dell’opera. Innanzi tutto e per lo più l’ente ci è dato come utilizzabile, come oggetto pratico; ciononostante esso può essere tematizzato: ovvero colto isolatamente dai rimandi dell’utilizzabilità per diventare oggetto di giudizio. Il senso in questo scoprire l’ente assume una sua prima accezione, di accesso alle “cose”. Il suo ruolo non si limita a ciò. Dopo aver scoperto l’ente esso si configura come disponibilità. Ciò consiste nel comprendere l’ente e farne emergere i suoi sensi possibili, i significati che potrebbe assumere. Qui nell’ambito proprio della comprensione il senso si tratteggia già come articolabile, come determinabile. I sensi possibili sono le possibilità d’azione che l’ente assume venendo ammantato dalla luce della comprensione che dona senso. Il senso viene propriamente articolato nell’interpretazione che «si fonda esistenzialmente nella comprensione»[55] la quale dirada un orizzonte entro il quale si sviluppa la visione dove l’interpretazione si orienta verso gli in-vista-di-cui dell’esserci.
«La comprensione è un’apertura che si esplicita e si sviluppa sempre in un’ “interpretazione” (Auslegung) del senso d’essere dell’ente, senso che consiste - circolarmente - nella comprensibilità dell’ente stesso, e quindi a partire dall’essere dell’esserci»[56]. La comprensibilità dell’ente considerato è la disponibilità dell’ente intesa come esibizione di sensi possibili della “cosa”, fatta emergere dall’esserci. La comprensione ha una «possibilità di sviluppo sua propria»[57] tale processo prende il nome di interpretazione[58]. «L’interpretazione, non è la presa di conoscenza del compreso, ma la elaborazione delle possibilità progettate nella comprensione»[59]. L’interpretazione è un processo di articolazione dove la comprensione si «appropria di ciò che ha compreso»[60]. La comprensione si impossessa del compreso nel determinarsi di un senso possibile, in forza del movimento interpretativo. L’esibizione delle possibilità dell’ente si mantiene in un livello indifferenziato dal momento che «al livello della comprensione noi comprendiamo che tutto ha un significato, ma nessun significato specifico emerge»[61]. «Il senso viene pensato come l’unità di una totalità di significati, come l’unità che, mentre costituisce la totalità, la trascende, benché senza di essa cesserebbe»[62]. Si tratteggia così un orizzonte di senso il quale è sia la condizione di possibilità dell’emersione dei significati sia il loro indispensabile fondamento. La dimensione entro la quale sono esibite le possibilità dell’ente, esibite ma indifferenziate. Per l’appunto l’insieme che circoscrive ed abbraccia i significati. A partire da tale sfondo si determina, tramite il processo di interpretazione articolante, una possibilità concreta, una determinata possibilità d’azione. I sensi dell’ente, le sue possibilità esibite, vengono così articolate, e nell’elaborazione dell’interpretazione il senso diviene significato: lo sfondo di tutte le possibilità d’azione dell’ente è articolato verso la possibilità d’azione determinata.
«La comprensione dell’utilizzabile ha sempre luogo a partire da una totalità di appagatività»[63]. Con tale appagatività si intende la determinazione essenziale dell’utilizzabile nel suo essere strutturato come rimando a. L’ente «ha con sé presso qualcosa il suo appagamento. Il carattere d’essere dell’utilizzabilità è l’appagatività. L’appagatività implica l’appagamento con qualcosa presso qualcosa. Il rapporto espresso dal “con… presso…” deve essere indicato mediante il termine di rimando»[64]. Con una totalità di appagatività si intende la collocazione dell’utilizzabile, il quale è tale solo nel contesto della opera in cui è contenuto, ed è colto primariamente in essa[65].
La comprensione apre alla totalità dell’appagatività. Quest’ultima viene qui esibita; ovvero i rapporti di rimando degli enti vengono compresi e fatti emergere. Le “cose” e i loro possibili rimandi vengono così collocate su di un orizzonte di senso che ne esibisce la loro significatività. L’appagatività - gli enti scoperti e compresi nelle maglie della loro rimandatività - è ora connotata come significatività:
La comprensione […] mantiene i rapporti
indicati in uno stato-di-apertura preliminare. Mantenendosi in familiarità con
l’apertura dei rapporti, la comprensione si pro-pone i rapporti come ciò
in cui si muove il suo rimandare. La comprensione si lascia rimandare in questi
rapporti e da questi rapporti. Il carattere di rapporto di questi rapporti,
propri del rimandare, lo indichiamo col termine significare.[66]
La funzione di cogliere i collegamenti degli enti, si è visto precedentemente[67], è svolta dalla visione ambientale preveggente. Tale visione nell’evidenziare i possibili rimandi tra gli enti compie un’operazione che trova la sua condizione d’essere in quella visione generale, in quel colpo d’occhio che è la comprensione. Quest’ultima fornisce il terreno compreso (la totalità di appagatività) - dal momento che «l’utilizzabile accede esplicitamente alla visione comprendente»[68] - sul quale la visione ambientale preveggente opera. Nell’esibire i rimandi tra gli enti la visione ambientale «interpreta il “mondo” già compreso»[69]. «Ogni apprestare, ordinare, assestare, migliorare, completare, si realizza in modo tale che l’utilizzabile ambientale è esplicitato nel suo “per” e diventa oggetto del prendersi cura proprio in base a questa esplicitazione»[70]; la visione ambientale in queste operazioni articola i possibili rimandi, i “per” degli enti, combinandoli in vista del prendersi cura. L’esibizione della rimandatività, ovvero «ciò che nella visione ambientale preveggente viene esplicitato nel suo “per”, in quanto tale, ciò che è compreso esplicitamente, ha la struttura del qualcosa in quanto qualcosa»[71]. La forma della rimandatività è insita nel “qualcosa in quanto qualcosa”. «L’ “in quanto” forma la struttura esplicativa del compreso; come tale costituisce l’interpretazione»[72]. Questa formulazione esibisce il movimento ermeneutico in merito agli intramondani. Con “qualcosa” si intende l’utilizzabile compreso all’interno dell’appagatività, esibito nella sua significatività possibile sul suo orizzonte di senso. Da questo terreno la visione ambientale preveggente (l’interpretazione) muove ad articolare a e significare l’essere mezzo “per” dell’ente, determinando il suo significato (l’in quanto qualcosa) contestualmente al suo essere inserito all’interno dell’opera.
Quando la visione ambientale preveggente chiede che
cosa sia un determinato utilizzabile, la risposta conforme alla visione
ambientale preveggente è la seguente: “esso è per…” L’indicazione del
per-che-cosa non è semplicemente la denominazione di qualcosa; ciò che è
denominato viene compreso in quanto costituisce ciò che in quanto tale è
chiamato in questione.[73]
L’essere mezzo dell’ente, il suo essere utilizzabile è compreso ed interpretato nel venir colto come un qualcosa che nel configurarsi possibilità d’azione si determina costitutivamente. «Ciò che nella comprensione è aperto, il compreso, è già sempre accessibile alla comprensione in modo tale che in esso possa essere esplicitamente evidenziato il suo “in quanto”»[74]. L’ente compreso, dal momento che si ha avuto accesso ad esso, è così ammantato di disponibilità articolabile. Assume sensi possibili che sono i suoi “in quanto”, ovvero le sue possibilità d’azione.
«L’interpretazione di qualcosa in quanto qualcosa è fondata essenzialmente mediante la pre-disponibilità, la pre-visione e la pre-cognizione»[75]. L’interpretazione muove secondo una pre-disponibilità dal momento che essa non fa altro che impossessarsi del compreso. L’ente scoperto e compreso è reso disponibile all’esplicitazione dei suoi “in quanto”; questa esplicitazione delle possibili articolazioni e rimandi dell’ente nell’orizzonte di senso costituisce la dimensione di pre-disponibilità dell’interpretazione. L’interpretazione muove, quindi, da questo terreno di possibilità esibite, rese disponibili; costituendo il materiale peculiare dell’articolazione. Difatti «l’interpretazione, in quanto appropriazione della comprensione, si muove sempre in un comprendente essere-per una totalità di appagatività già compresa»[76]. Tale totalità compresa, l’orizzonte di senso, è mostrato a livello indifferenziato dal momento che nessuna possibilità specifica è esibita in particolar modo. L’interpretazione come acquisizione del compreso «realizza sempre lo svelamento sotto la guida di una prospettiva che stabilisce la direzione in cui il compreso deve essere interpretato»[77]. La componente orientativa, la direzionalità del senso dell’interpretazione predilige una serie di articolazioni seguendo una traiettoria tracciata. Si ha quindi che «l’interpretazione si fonda sempre in una pre-visione che “scorcia” il pre-disponibile in una determinata interpretabilità»[78]. Da ultimo l’interpretazione opera una concettualizzazione, un determinarsi in significato concettuale specifico. Tale funzione prende il nome di pre-cognizione. «Il compreso, mantenuto nella predisponibilità e preso di mira nella “pre-visione”, è elaborato concettualmente mediante l’interpretazione»[79].
Ora riprendendo la tesi che ha guidato la presente analisi - che vede il senso come a priori e lo considera come condizione di possibilità della circolarità ermeneutica - si deve giungere ad una chiarificazione maggiore del problema. Heidegger scrive:
È necessario indagare se ciò che si presenta come la
struttura di “pre-” propria della comprensione e come la struttura di “in
quanto” propria dell’interpretazione non rappresenti già in se stessa un
fenomeno unitario di cui si fa uso costante nella problematica filosofica senza
mai decidersi a riconoscere a questo fenomeno universalmente impiegato il
diritto all’originarietà di una spiegazione ontologica.[80]
Tale fenomeno che porta in sé, la struttura di “pre-” e la struttura di “in quanto” è il senso. Le strutture sopracitate sono incluse nel concetto di senso. «Il senso è il rispetto-a-che del progetto in base a cui qualcosa diviene comprensibile in quanto qualcosa; tale rispetto-a-che è strutturato secondo la pre-disponibilità, la pre-visione e la pre-cognizione»[81]. Il senso è, quindi, la dimensione dalla quale il carattere di progetto prende le mosse; rendendo possibile la comprensibilità degli enti e la loro disponibilità articolabile indirizzata e guidata secondo pre-disponibilità, pre-visione e pre-cognizione.
[1] M. Heidegger, Sein und Zeit, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 200118; tr. it. di P. Chiodi, F. Volpi (a cura di), Essere e tempo, Milano, Longanesi & C., 2005, p. 189.
[2] Id., Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt - Endlichkeit - Einsamkeit, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann Verlag, 1983; tr. it. di P. Coriando, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine, Genova, Il melangolo, 1999, p. 235.
[3] G. Chiurazzi, Hegel, Heidegger e la grammatica dell’essere, Roma-Bari, Editori Laterza, 1996, p. 116.
[4] Tale circolarità ermeneutica è quella che caratterizza l’intento fondamentale di Essere e tempo la quale muove dalla comprensione dell’essere che, se pur vaga, l’esserci in un certo qual modo ha, all’analisi sulle sue strutture fondamentali, per chiarificare ciò che si intende con senso dell’essere. M. Heidegger, Essere e tempo, cfr., p. 17.
[5] A. Fabris, Logica ed ermeneutica. Interpretazione di Heidegger, Pisa, ETS, 1982, p. 65.
[6] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 188.
[7] L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Torino, Rosenberg & Sellier, 1993, p. 50.
[8] G. Chiurazzi, Hegel, Heidegger e la grammatica dell’essere, cit., p. 53.
[9] M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine, cit., p. 35.
[10] G. Steiner, Martin Heidegger. Eine
Einführung, München-Wien, Hanser, 1989; tr. it. di D. Zazzi, Heidegger,
Milano, Garzanti, 2002, p. 32.
[11] M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo - finitezza - solitudine, cit., p. 235.
[12] Id., Essere e tempo, cit., p. 17.
[13] Ivi, p. 187.
[14] K. Löwith, Heidegger Denker in dürftiger Zeit, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1960; tr. it. di C. Cases, A. Mazzone, Saggi su Heidegger, Torino, Einaudi, 1966, p. 17.
[15] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 187.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Ivi, pp. 25-26.
[19] A. Fabris, Logica ed ermeneutica. Interpretazione di Heidegger, cit., p. 59.
[20] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., pp. 176-177.
[21] F. Bianco, Introduzione all’ermeneutica, Milano, Editori Laterza, 20054, p. 119.
[22] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 24.
[23] Ibidem.
[24] Ibidem.
[25] Ivi, p. 17.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Ivi, p. 16.
[31] Ibidem.
[32] Ivi, p. 19.
[33] Ivi, p. 20.
[34]
Posizione guadagnata in forza del fatto che «volgere lo sguardo, comprendere,
afferrare concettualmente, scegliere, accedere a, sono comportamenti
costitutivi del cercare e perciò parimenti modi di essere di un determinato
ente, di quell’ente che noi stessi, i cercanti, sempre siamo. […] Questo
ente, che noi stessi sempre siamo e che fra l’altro ha quella possibilità
d’essere che consiste nel porre il problema, lo designiamo col termine
Esserci». Ibidem.
[35] Ivi, p. 178.
[36] Cfr. supra, p. 34.
[37] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 178.
[38] Ibidem.
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] Ivi, p. 111.
[42] Ivi, pp. 180-181.
[43] Ivi, pp. 178-179.
[44] Ibidem.
[45] Ibidem.
[46] Ivi, p. 181.
[47] Ibidem.
[48] Ibidem.
[49] Ibidem
[50] Ibidem.
[51] Ibidem.
[52] Ibidem.
[53] Ivi, pp. 189-190.
[54] Ivi, p. 187.
[55] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 183.
[56] C. Esposito, Il periodo di Marburgo (1923-28) ed “Essere e tempo”: dalla fenomenologia all’ontologia fondamentale, in Guida a Heidegger, a cura di F. Volpi, Roma-Bari, Editori Laterza, 20054, pp. 144-145.
[57] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 183.
[58] Mantengo la versione di P. Chiodi che traduce Auslegung con “interpretazione”. Contro V. Costa che preferisce tradurre Auslegung con “esplicitazione”. Il quale adduce questa motivazione nei confronti della traduzione che predilige il termine “interpretazione”: «Questa traduzione non è di per sé scorretta, e tuttavia può produrre confusione e non rendere il vero senso della problematica, accentuando un’inclinazione soggettivistica che manca nella nozione di esplicitazione. Il termine Auslegung non vuole infatti indicare un’attività tesa a mettere in forma o a conferire senso a un’esperienza attraverso un momento soggettivo, bensì l’esplicitazione attiva, la messa in rilievo di rimandi già predelineati sul terreno della ricettività. Auslegen non significa dunque ridurre al soggetto, ma fare emergere ciò che è già reso disponibile in un mondo accessibile alla comprensione. Aus-legung: mettere in risalto quello che è già implicitamente predelineato in una catena di rimandi». V. Costa, La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger, cit., p. 259. Rispondo sostenendo che il terimne interpretazione dà ad intedere l’effettiva ed attiva partecipazione dell’esserci nel processo ermeneutico nell’articolare i sensi possibili degli enti; ma non per questo il termine porta il discorso heideggeriano ad una deriva soggettivistica. Di contro si potrebbe obiettare a Costa che l’eccessiva premura di evitare una deriva soggettivistica può portare con sé una eventuale disattenzione ad un pericolo ben più grave: un atteggiamento oggettivistico. Dove il ruolo dell’esserci venga schiacciato e l’interpretazione si effettui, per così dire, da sola. È, invece, a mio avviso fondamentale il ruolo giocato dall’esserci. Questi è colui che effettivamente articola e torce i sensi possibili ovvero determina i significati e li porta alla luce nei suoi in-vista-di-cui e nel suo prendersi-cura.
[59] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 183.
[60] Ibidem.
[61] V. Costa, La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger, cit., p. 257.
[62] A. Masullo, Heidegger e la questione del «senso», cit., p. 52.
[63] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 185.
[64] Ivi, p. 108.
[65] «La totalità dell’appagatività, ciò che, ad esempio, in una officina costituisce l’utilizzabile nella sua utilizzabilità, è “anteriore” al singolo mezzo; lo stesso dicasi di una fattoria rispetto a tutti i suoi attrezzi e terreni». Ivi, p. 109.
[66] Ivi, p. 112.
[67] Cfr. infra, pp. 18-19.
[68] M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 184.
[69] Ivi, p. 183.
[70] Ivi, p. 184.
[71] Ibidem.
[72] Ibidem.
[73] Ibidem.
[74] Ibidem.
[75] Ivi, p. 185.
[76] Ibidem.
[77] Ibidem.
[78] Ibidem.
[79] Ibidem.
[80] Ivi, p. 186.
[81] Ivi, p. 187.