"La Ragion Pura deve attenersi al sensibile,
la Ragion Pratica deve astenersene!"
La ragion pratica consiste nella capacità di determinare la volontà e l’azione morale senza l’ausilio della sensibilità. Lo scopo della "Critica della Ragion Pratica" è quello di criticare la ragion pratica che pretende di restare sempre legata solo all’esperienza. La ragion pratica empirica non può, da sola, determinare la volontà; vi è quindi il recupero della sfera "noumenica" inaccessibile teoreticamente, ma accessibile "praticamente". Quanto appena detto mostra la capacità della Ragione di farsi "pratica" per l’azione.
Tesi fondamentali
Fondamento dell’etica = |
c’è una legge morale con valore universale (tale affermazione è immediatamente evidente: è un "fatto della ragione") |
- Imperativo ipotetico = |
subordina il comando dell’azione da compiere al conseguimento di uno scopo (es.: "Se vuoi essere promosso devi studiare"). Tali imperativi sono oggettivi solo per tutti coloro che si propongono quel fine; da tali imperativi derivano l’edonismo e l’utilitarismo. |
- Imperativo categorico = |
comanda l’azione in se stessa (es.: "Devi perché devi"). La norma morale deve essere un imperativo categorico, cioè la tendenza ad un fine deve essere comandata da una legge morale. |
"La nostra moralità dipende non dalle cose che vogliamo, ma dal principio per cui le vogliamo"; principio della moralità non è il contenuto, ma la "forma": è questo il "formalismo"
kantiano.
I° postulato - Libertà |
è condizione della "legge morale" |
II° postulato - Esistenza di Dio |
la legge morale mi comanda di essere virtuoso, quindi sono "degno" di essere felice; si postula quindi l’esistenza di Dio che ha il compito di far corrispondere in un "altro" mondo quella felicità che compete al merito (non realizzabile in "questo" mondo) |
III° postulato - Immortalità dell’uomo |
è un processo continuo ed è richiesta, ma non è accessibile in questo mondo, per avvicinarsi sempre più alla "perfetta adeguatezza della volontà alla legge morale" (la santità è il raggiungimento di tale perfetta adeguazione) |
«La ragion pratica ha dunque "riempito" quelle esigenze della ragion pura dando loro "realtà morale"». Il "noumeno" è teoreticamente inconoscibile; può quindi avere solo realtà pratica. Kant, a questo punto, ha dunque riconosciuto due facoltà:
Fra il mondo fenomenico della "Critica della Ragion Pura" (realtà come appare allo spirito umano) e il mondo noumenico della "Critica della Ragion Pratica" (apparteniamo al mondo delle cose in sé solo come soggetti morali) c’è un "abisso immenso".
Con «sommo bene» Kant indica la coincidenza di virtù e felicità, quella coincidenza di cui in questo mondo non si fa affatto esperienza. Affinché il comando della ragione abbia senso bisogna dunque supporre una rimunerazione in un'altra vita da parte di chi sia il sommo bene sussistente: Dio. Ciò non significa affatto che la ragione pratica possa «dimostrare» l'esistenza di Dio, mentre ciò è impossibile a quella speculativa (sarebbe un controsenso): ma piuttosto che l'esistenza di Dio non la posso dimostrare (cioè conoscere speculativamente) ma la debbo supporre (cioè ammettere praticamente). Celeberrima la conclusione della Critica della ragione pratica (probabilmente ispirata al Salmo 19):__________________________________________________________