IMMANUEL KANT

A cura di Anna Rita Murano

PER LA PACE PERPETUA

Nel settembre del 1795 Kant pubblica un breve trattato: Per la pace perpetua. Un progetto filosofico; nel 1796 segue una nuova edizione, corredata di un secondo supplemento. Questa è l’unica opera di Kant che assume come suo tema centrale il problema della pace e della guerra. L’intento è quello non di una analisi particolareggiata del testo kantiano, ma piuttosto una rapida sintesi delle tesi in esso contenute, evidenziando qua e là i problemi che esse suscitano. Il progetto consta di una serie di articoli, sei “preliminari” e tre “definitivi”, di due supplementi, di cui il primo esamina la garanzia della pace perpetua ed il secondo è costituito da un “articolo segreto”, ed inoltre un’appendice in due parti sulle relazioni intercorrenti tra morale e politica. Kant introduce il tema richiamando ironicamente l’immagine di un cimitero, accompagnata dalla scritta storica “Zum ewigen Frieden” (Per la pace perpetua), che un oste olandese avrebbe adottato come insegna. L’autore premette la rivendicazione che, come “politico teorico” e pertanto inoffensivo, egli rivolge al “politico pratico”, “l’uomo di Stato”, purché gli sia concessa la libertà di esporre le proprie opinioni. Si enunciano poi gli articoli “preliminari” per la pace perpetua, cioè le condizioni preventive della pace, volte a rimuovere le circostanze che favoriscono lo scoppio delle guerre, riprendendo alcune istanze della tradizione pacifista precedente. Il primo articolo è costituito da un principio fondamentale: le parti contraenti si devono impegnare innanzi tutto a non pendere per il futuro l’iniziativa di una nuova guerra. Il secondo vieta ad ogni Stato l’acquisto di un altro Stato tramite successione ordinaria, scambio, compera o donazione, poiché “ uno Stato non è (…) un possesso ma è una società di uomini”. Il terzo articolo vieta gli eserciti permanenti. Il quarto articolo condanna l’uso del debito pubblico per finanziare eserciti ed altre attività di interesse bellico. Il quinto proibisce le intromissioni negli affari interni di altri i paesi, in forza del principio di indipendenza ed autonomia di ogni Stato. Con il sesto articolo, infine, si vieta l’uso di mezzi subdoli, come spie e altre azioni a tradimento. La guerra ha certo, per Kant, una sua validità nello stato di natura, nel quale non esiste una legalità capace di dirimere le controversie. Se però il conflitto diventasse totale e si trasformasse in guerra di sterminio, lascerebbe come risultato “la pace perpetua unicamente nel grande cimitero del genere umano”. Kant introduce, con una digressione in nota, oltre alle leggi prescrittive e quelle proibitive, una terza categoria: la lex permissiva, che non impone una necessità, ma sospende temporaneamente un divieto. Nella seconda sezione Kant enuncia e discute gli “articoli definitivi” per la pace perpetua, in base ai quali edificarla secondo un modello teorico fondato su presupposti razionali. Kant riprende anche qui la tesi per cui lo stato di natura deve essere superato ovvero, come egli dice, “lo stato di pace (…) deve dunque essere istituito”. A questo scopo chiarisce, in un’importante nota esplicativa, che bisogna adempiere al postulato del diritto pubblico per il quale “ tutti gli uomini che possono reciprocamente agire gli uni sugli altri devono entrare a far parte di una qualche costituzione civile”, in un triplice ordine di rapporti giuridici: il diritto pubblico interno, il diritto internazionale ed il diritto cosmopolitico, “ in quanto uomini e Stati che stanno tra loro in un rapporto di influenza reciproca devono venire considerati cittadini di uno Stato umano universale”. A questi tre ambiti si riferiscono i tre articoli per la realizzazione definitiva della pace perpetua. Il primo articolo afferma che “la costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana”. Tale costituzione che sorge direttamente “dall’idea del contratto originario, su cui ogni legislazione giuridicamente valida di un popolo deve fondarsi” organizzata in base alla libertà esterna dei cittadini, intesa come “facoltà di non obbedire ad altre leggi esterne, se non a quelle cui io abbia potuto dare il mio assenso”, alla dipendenza di essi dalla legge ed alla loro eguaglianza esterna, costituisce per Kant il presupposto della pace perpetua. Infatti, poiché in essa i cittadini stessi decidono sulla guerra, solo dopo una meditata riflessione assumeranno su di sé gli elevati costi che questo comporta, mentre in un governo dispotico la guerra “è la cosa più facile del mondo, perché il sovrano (…) è il proprietario dello Stato”. Kant poi esamina le differenze tra repubblica e democrazia. Egli distingue le forme dello Stato, secondo la “forma del dominio”, che può essere monarchica, aristocratica o democratica, e secondo la maniera dispotica o repubblicana, in cui la sovranità viene esercitata, intendendo per repubblicana la costituzione rappresentativa che attui la separazione dei poteri dello Stato. Per Kant la democrazia è il peggior tipo di organizzazione statale, perchè non è rappresentativa. Dobbiamo però ricordare che, quando Kant parla di “democrazia”, si riferisce però all’esperienza a lui più vicina che si sia fregiata di questo nome, cioè il giacobinismo. Per il secondo articolo “il diritto internazionale deve essere fondato su un federalismo di liberi Stati”. Kant è consapevole che questa proposta di una federazione di popoli non sarebbe accolta favorevolmente dai governi gelosi della propria sovranità. Non esitando nella realtà effettiva una giurisdizione comune per gli Stati, la guerra rimane l’unico metodo di risoluzione delle controversie internazionali. Tuttavia “la ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico ed eleva a dovere immediato lo stato di pace”. La soluzione ideale per eliminare la guerra sarebbe la costituzione di uno Stato di popoli ma, poiché le nazioni non tollerano l’imitazione della sovranità, bisogna sostituire “all’idea positiva di una Repubblica universale (…) il surrogato negativo di (…) lega permanente”, sempre con il rischio che gli istinti distruttivi prendano il sopravvento. Infine con il terzo articolo definitivo si prescrive che “il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni dell’universale ospitalità. Infatti ogni uomo ha il diritto di muoversi liberamente sulla superficie terrestre. Pertanto, l’attuazione del diritto cosmopolitico porta le relazioni internazionali a diventare col tempo pubblicamente giuridiche. Segue poi il primo supplemento, sulla “garanzia della pace perpetua”. Kant in queste pagine passa dal ragionamento politico ad una discussione di filosofia della storia. Infatti, per lui la pace perpetua non può essere realizzata dalle scelte degli uomini, anzi ribadisce il concetto già espresso altrove per cui è necessaria una cooperazione tra la volontà umana e le tendenze della natura. Nel primo supplemento Kant pone al centro la “Natura (…) dal cui corso meccanico (…) scaturisce la finalità di trarre dalle discordie degli uomini, anche contro la loro volontà, la concordia”. Kant usa a questo proposito anche il termine Provvidenza. Per dimostrare la sua tesi, Kant esamina la storia e, con una certa sorpresa, giunge a scoprire la fondamentale funzione attribuita dalla natura stessa alla guerra. Essa, che è “connaturata all’uomo come qualcosa di nobile cui egli si sente portato dall’impulso dell’onore, così che il coraggio guerresco è ritenuto di grande valore” e “alla guerra in se stessa viene ammessa una dignità intrinseca”, ha infatti stimolato la formazione delle società umane promuovendo tramite gli scontri tra i popoli la diffusione dell’umanità sull’intera superficie terrestre e la formazione dello Stato a difesa dell’aggressione. Segue infine l’appendice, divisa in due parti, in cui si determina a quali principi debba ispirarsi l’uomo di Stato. All’inizio della prima parte, in cui si discute la tesi della separazione tra le due sfere, Kant afferma che “non può esserci alcun conflitto della politica, come dottrina pratica del diritto, con la morale, intesa bensì come dottrina del diritto, ma teoretica (e quindi non vi è nessun conflitto tra pratica e teoria)”. Nella seconda parte dell’appendice Kant giunge ad individuare la forma della pubblicità, definita dal seguente principio: “tutte le massime che hanno bisogno della pubblicità concordano insieme con la politica e con il diritto”. Infatti “una massima, che io non posso confessare pubblicamente senza provocare la inevitabile resistenza di tutti non può produrre questa (…) reazione (…) altrimenti che a causa dell’ingiustizia di cui essa minaccia ognuno”. Al contrario “se possono raggiungere il loro scopo solo con la pubblicità allora quelle massime devono essere conformi al fine generale del pubblico (la felicità); e l’accordo con il pubblico è (…) il peculiare compito della politica”. Con queste parole Kant conclude il saggio: Se è un dovere e se nel contempo è una fondata speranza realizzare uno Stato di diritto pubblico, anche solo mediante un’approssimazione procedente all’infinito, allora la pace perpetua, che prenderà il posto di quelli che fino ad ora sono stati falsamente denominati trattati di pace, non è una vuota idea, bensì un compito, che, assolto per gradi, si avvicina sempre di più al proprio scopo.

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