Nel delineare la figura del Don Giovanni mozartiano Kierkegaard
conferisce all'estetica una purezza che ne rivaluta lo statuto non solo nei
riguardi dell'etica, ma anche nei riguardi della stessa estetica del
seduttore psichico, il confronto con il quale è rivelativo delle ragioni
d'una siffatta rivalutazione. Infatti è qui che viene smascherato il
responsabile dell'inquinamento dell'estetica e individuato in quel pensiero
riflesso che rompe l'immediatezza e la naturalezza dell'aisthesis,
il suo fluire spontaneo e inarrestabile, capovolgendone la leggerezza nel
pesante andamento della strategia e del calcolo, dell'interesse e del
ripensamento.
Il seduttore psichico (1) mette infatti in atto una seduzione mediata poiché
ha bisogno di «tempo» per predisporre i suoi piani, e anzi egli fa del tempo
stesso uno strumento di seduzione. Il suo obiettivo non è tanto quello di
possedere una donna fisicamente, quanto quello di possederla psichicamente.
Il suo godimento è frutto d'un egoismo raffinato e sottile in quanto
consiste non già nel far godere la donna ma, viceversa, nel condurla a uno
stato di soggiogamento totale, senza essere a sua volta soggiogato in
quest'opera di seduzione.
Per mettere in atto il proprio progetto egli si mostra alla sua preda ora
distaccato e assente, ora interessatissimo e presente, ora furioso come un
temporale d'autunno, ora dolcissimo come uno strumento musicale ricco di
armoniche (2). Il suo obiettivo è infatti di rendere la relazione
«interessante» (3), ed essa è tale quando, lungi dal rinchiudersi nel
vincolo delle decisioni e delle scelte, rimane sospesa sull'indeterminato,
sul regno dell'«infinita possibilità» (4). Perciò, quando una relazione è
compiuta e determinata, essa smette d'essere interessante e allora bisogna
trovare ogni mezzo per mollare la preda, giacché «introdursi in immagine
nell'intimo d'una fanciulla è un'arte, uscirne fuori in immagine è un
capolavoro» (5).
Tuttavia, lungi dal trovare libertà, in quest'opera di liberazione il
seduttore psichico rimane schiavo e vittima dei suoi stessi intrighi e dei
suoi conflitti. E infatti il gioco perverso cui egli mette capo rende la sua
esistenza costantemente inquieta, preda d'una «consapevole follia». E però
«la sua condanna ha un carattere puramente estetico» (6). Sicché Kierkegaard
sottomette l'estetica del seduttore psichico al giudizio negativo
pronunciato nei confronti del giovane estetico de L'equilibrio, con
la differenza, tuttavia, che, seppure si sia in entrambi i casi in presenza
d'una instabilità psicologica ed esistenziale, ne L'equilibrio tale
instabilità rimanda ipso facto all'etica poiché è denunciata come
perniciosa nei confronti dell'attuazione della «scelta di sé» e quindi della
formazione della «personalità» come «unità dell'universale e del singolo»
(7), laddove ne Il diario del seduttore essa resta come prigioniera
della sua stessa dimensione estetizzante, quasi che l'estetica trovi già in
se stessa la chiave per intendere il proprio fallimento, precisamente
nell'indebito esercizio della riflessione ancor prima che questa assuma le
sembianze e la consistenza della coscienza morale.
2.
La seduzione sensuale, emblematizzata da Don Giovanni, si presenta invece
come la chiave di volta che indica la possibilità di sottrarre l'estetica
tanto alla determinazione del pensiero quanto alla giurisdizione dell'etica
per restituirle una dignità che solo allora essa può legittimamente
ostentare.
Non a caso, a differenza del seduttore psichico, il seduttore sensuale è
presentato da Kierkegaard come colui che «non ha bisogno d'alcun
preparativo, d'alcun progetto, d'alcun tempo […]» (8). Egli infatti seduce
con l'immediatezza del proprio desiderare, sicché vedere, desiderare e amare
per lui non sono tre momenti distinti in successione logica e temporale,
bensì le tre facce d'uno stesso atto - la seduzione - compiuto
immediatamente (9).
Ora, soltanto la musica può, secondo Kierkegaard, esprimere adeguatamente
l'erotismo immediato, la «genialità sensuale», in quanto essa - nota
Kierkegaard con felice ossimoro - è il «medio dell'immediato» (10). La
genialità sensuale è infatti «l'idea più astratta che si può immaginare»
(11); e, dal momento che la musica è la meno storica fra tutte le arti,
un'idea come quella della genialità sensuale non può essere espressa
pienamente che attraverso la musica. Non a caso - come egli specifica più
con la forza dell'intuizione che con i passaggi dell'argomentazione - la
musica «ha [...] in sé un momento di tempo, e tuttavia non scorre nel tempo
se non in senso figurato» ,tant'è che essa non riesce ad esprimere la
successione temporale degli accadimenti, ovvero «ciò che nel tempo è
storico» (12).
Di qui l'irriducibilità della genialità sensuale a qualsiasi altra forma
d'arte. Per un verso, essa non può essere rappresentata né dalla scultura -
e ciò in quanto la genialità sensuale è «un tipo di determinazione in sé
dell'interiorità», è cioè qualcosa di troppo intimo per poter essere
espresso spazialmente o plasticamente -, né dalla pittura - «poiché [la
genialità sensuale] non è fissabile in contorni determinati» (13) -. Quel
che impedisce che la genialità sensuale possa essere scolpita o dipinta è,
in altri termini, il fatto che essa non risiede in un momento, bensì in una
successione frenetica di momenti che non possono essere fermati in
un'immagine scultorea o pittorica. Non a caso Kierkegaard la descrive come
qualcosa di assolutamente lirico: «una forza, un respiro, insofferenza,
passione, ecc.» (14).
Che l'eros istintivo e immediato della genialità sensuale sia esprimibile
pienamente soltanto dalla musica è ribadito da Kierkegaard attraverso il
paradosso per cui «Don Giovanni non dev'essere visto, ma ascoltato!» (15).
Vederlo presupporrebbe infatti una sua dimensione fisica e temporale. Ma ciò
significherebbe tradire l'essenza di Don Giovanni, che non si lascia ridurre
a nessuna determinazione spazio-temporale. E infatti Don Giovanni non seduce
per la sua bellezza o in virtù di un qualsiasi altro suo attributo fisico
(16).Egli seduce piuttosto in virtù del suo spirito, ossia in virtù
del suo stesso desiderare. Perciò chiedersi che aspetto abbia Don Giovanni è
come voler ridurre a un elemento esteriore una forza che è, invece, tutta
interiore. E anzi, proprio perché è una forma dell'interiorità, «una
determinazione verso l'interno [...]» (17), Don Giovanni non può
adeguatamente essere rappresentato nemmeno dalla danza, in cui, pure, le
movenze del corpo si fondono con la musica, ché proprio quelle movenze
esteriorizzerebbero e ridicolizzerebbero Don Giovanni (18).
Che la genialità sensuale sia qualcosa di assolutamente lirico non deve però
indurre a credere che essa possa essere espressa dall'«epica» e dalla
«poesia». Queste, infatti, si esprimono in parole, ossia ancora nella
mediazione e nella riflessione, laddove - come s'è detto - la genialità
sensuale si muove costantemente nell'immediatezza. E' per questo che né il
Don Giovanni di Byron né quello di Molière possono adeguatamente
rappresentare Don Giovanni: essi gli danno la parola e, dunque, gli
conferiscono una «personalità riflessa» che lo nega come «idealità» (19).
Sicché, nella misura in cui seduce con l'astuzia della mediazione razionale,
il Don Giovanni «in prosa» è da rapportarsi piuttosto ai modi del seduttore
psichico. Perciò soltanto il Don Giovanni musicale, di cui il Don
Giovanni mozartiano rappresenta per Kierkegaard la più emblematica
incarnazione, può esprimere adeguatamente l'essenza della genialità
sensuale.
Se a questo punto si vuol formulare attraverso un'unica categoria la
differenza di fondo tra il seduttore psichico e il seduttore sensuale, essa
non può che essere ravvisata nella temporalità, nel senso che è pur
sempre in riferimento al «tempo» che le due forme di seduzione vengono
sbozzate. E però, se la prima è tutta calata nella temporalità del processo
seduttivo, sicché l'intero dramma della seduzione psichica è gestito
all'insegna della caducità, la seconda, viceversa, è un'autentica
trasfigurazione della temporalità, propriamente una divenienza senza tempo,
ché Don Giovanni «non ha [...] una sua sussistenza, ma urge in un eterno
sparire [...]» (20), e perciò la dialettica della seduzione sensuale mette
capo all'inesauribilità. Ne consegue che mentre su quella incombe
la morte, in questa trionfa la vita. Non a caso Don Giovanni è definito da
Kierkegaard come indefinibile e come incompibile: «un'immagine che [...] non
acquista mai contorni e consistenza, un individuo che è formato
costantemente, ma non viene mai compiuto», e perciò non già un «individuo
particolare, ma la potenza della natura, il demoniaco, che non [...]
smetterà di sedurre come il vento di soffiare impetuoso, il mare di
dondolarsi o una cascata di precipitarsi giù dal suo vertice» (21), come
quel 1003 «che dà l'impressione che la lista non sia affatto finita […]»
(22).
Certo, l'epifenomeno dell'inesauribilità di Don Giovanni è costituito
dall'inappagabilità e dall'insoddisfazione: nessuna donna soddisfa
pienamente Don Giovanni, com'è mostrato appunto dallo stesso numero
indeterminato delle sue conquiste. Ma sarebbe errato chiedersi se
Kierkegaard faccia dipendere tale insoddisfazione da un limite di
Don Giovanni o piuttosto da una sua esorbitanza d'essere, da una
sua strisciante impotenza o piuttosto da una sua irrefrenabile potenza. Ciò
infatti presupporrebbe ancora che Don Giovanni sia un individuo in carne ed
ossa, laddove, in quanto espressione esemplare dell'erotico musicale, egli è
«idealità»: non «persona o individuo, ma […] potenza» (23). Vero è che
Kierkegaard avverte che Don Giovanni incarna la costante «oscillazione tra
essere idea, vale a dire forza, vita, e essere individuo. Ma - come egli
subito precisa - quest'oscillazione è la vibrazione musicale» (24), tant'è
che appena Don Giovanni «diventa individuo, l'estetico avrà tutt'altre
categorie» (25), ripiomberà cioè nel flusso di quell'esistenza estetica che
inevitabilmente cade sotto il severo giudizio dell'etica.
3.
Don Giovanni incarna insomma quell'«amore sensuale» che, in quanto «somma
dei momenti» che costituiscono un solo unico «momento» che «si ripeterà
all'infinito» (26) e, dunque, in quanto è «sparizione nel tempo» e un
calarsi interamente nella «concrezione dell'immediatezza» (27), è sicuro di
sé e «assolutamente vincitore» (28). Di contro, l'«amore psichico» - proprio
in quanto si nutre della mediazione razionale - vive nel dubbio e
nell'inquietudine e anzi, poiché tale stato permane anche se «vedrà
soddisfatto il suo desiderio e sarà amato», esso «ha in sé il dubbio e
l'inquietudine […]» (29) non essendo che «sussistenza nel tempo» (30).
Di qui la differenza da Faust (31) e il possibile accostamento di Faust al
seduttore psichico. Anzitutto «Faust […] è il dubbio personificato», e anzi
dubbio che «crebbe a dismisura» essendosi Faust abbandonato «nelle braccia
del diavolo» (32); «maestro del dubbio», e perciò «scettico» (33), Faust
quindi «nel sensuale non tanto cerca il godimento quanto una distrazione […]
dalla nullità del dubbio. La sua passione non ha perciò la
Heiterkeit che distingue un Don Giovanni. Il suo volto non è
sorridente, la sua fronte non è senza nubi, e la gioia non è sua compagna»
(34). Per di più Faust coltiva un dubbio che conduce alla disperazione
poiché non si tratta di un dubbio puramente intellettuale, ma d'un autentico
«dubbio della personalità» (35). Egli infatti «sta agli antipodi di cotesti
dubitanti scientifici che dubitano una volta al semestre sulla cattedra […]»
(36) e che - dimentichi dell'«interiorità» - rendono il de omnibus
dubitandum una mera «filastrocca» (37). Ne consegue che in Faust
«l'erotico è già riflesso, qualcosa a cui egli s'abbandona spinto dalla
disperazione» (38). Non a caso Faust - a dispetto della sua irrequietezza -
è seduttore statico e cerebrale: non solo seduce una sola donna, ma compie
la sua opera attraverso la sola forza del «discorso» e della «menzogna»
(39). Di contro, Don Giovanni è seduttore dinamico e istintivo: non solo
seduce tutte le donne, ma compie la sua opera attraverso la sola forza del
«desiderio sensuale» (40).
Da queste premesse si comprende in che senso Kierkegaard consideri
Faust espressione del demoniaco spirituale - che, come tale, è una
sorta di variazione del seduttore psichico del quale anzi ribadisce la
peculiarità -, laddove Don Giovanni è l'espressione del demoniaco
sensuale, «del demoniaco determinato come il sensuale» (41). Il che è
decisivo per introdurre il secondo essenziale elemento di discriminazione
nei confronti del seduttore psichico e in favore della purezza
dell'estetica: la coscienza morale.
4.
In proposito occorre soffermarsi sul paradosso cui ricorre
Kierkegaard per suffragare e sviluppare la tesi del rapporto privilegiato
tra eros e musica: la sensualità nel mondo è stata introdotta dal
cristianesimo proprio perché ve l'ha esclusa. Infatti, in nome dell'assunto
dialettico per il quale «ponendo una cosa, indirettamente si pone l'altra
che si esclude» (42), il cristianesimo avrebbe introdotto la sensualità
nell'atto stesso in cui l'ha negata e condannata attraverso lo spirito che
esso ha direttamente introdotto nel mondo.
Ma in tal modo il cristianesimo ha fatto della sensualità una
«forza» e un «principio» (43), e quindi una realtà positiva. Vero è che la
sensualità esisteva anche prima del cristianesimo, ma essa non era - e non
poteva essere - determinata spiritualmente, cioè per contrasto con lo
spirito, e dunque non era «principio», ma semplice armonia: come in Grecia,
dov'essa non era una «pericolosa nemica da soggiogare» (44), ma un elemento
armonicamente presente ovunque, tra gli uomini come tra gli dei. E però,
non esistendo come principio, non esisteva neppure una rappresentazione
simbolica di essa. Vero è che Eros, dio dell'amore, potrebbe essere
considerato un principio. Ma Eros, nel mondo pagano, è raffigurato non come
innamorato a sua volta, bensì come un fanciullo ignaro dell'amore (45), il
che «è più un'oggettivazione che una rappresentazione dell'amore» (46).
Soltanto col cristianesimo la sensualità può venire rappresentata in
un «unico individuo» (47). E' da qui che nasce Don Giovanni. Il grembo dal
quale egli viene alla luce è propriamente «il dissidio tra la carne e lo
spirito», sicché egli è «l'incarnazione della carne» (48) attuata grazie
allo spirito, per contrasto con esso. E però, dal momento che lo spirito è
il regno della riflessione e del peccato, la carne, in quanto è il suo
opposto - o, se si vuole, il principio che lo spirito pone nell'atto in cui
lo nega -, non può che essere di qua da quel regno. Perciò Don Giovanni vive
la seduzione nell'«indifferenza estetica»: egli è propriamente il
«primogenito» del «regno» del «Monte di Venere», dove non hanno diritto di
cittadinanza né la «ponderatezza del pensiero né il travagliato acquisire
della riflessione» e, di conseguenza, neppure il peccato: vi abitano
soltanto la «voce elementare della passione, il giuoco dei desideri [...]»
(49).
Perciò, se eros qui sta per genialità sensuale, musica sta per ludicità, ed
entrambi - nella loro coessenzialità -stanno per trionfo del dionisiaco, del
demoniaco sulla serietà dell'etica e sulla sistematicità della logica (50).
E Kierkegaard ha talmente a cuore il concetto per cui Don Giovanni non «cade
affatto sotto determinazioni etiche» che egli si spinge a dichiarare la
difficoltà di chiamarlo «seduttore» o anche «impostore», epiteti che
implicano l'esercizio della riflessione e, di nuovo, della coscienza morale.
Don Giovanni andrebbe piuttosto qualificato come desideratore: a
Don Giovanni manca il tempo per essere un vero seduttore: «gli manca il
prima, in cui elaborare il suo piano, e il poi, in cui rendersi cosciente
della propria azione» (51). Egli insomma non seduce toutcourt, ma
anzitutto «desidera, ed è questo desiderio ad avere un effetto seducente». E
d'altra parte egli, certo, inganna, ma senza premeditazione, «senza
organizzare il suo inganno in precedenza» (52).
Ne discende coerentemente che neanche il pentimento in Don Giovanni ha
diritto di cittadinanza. Pur «affaticato» dagli stessi intrighi che
costituiscono l'ordito della sua vita erotica (53), Don Giovanni è
tutt'altro che pentito del proprio operato. Lo stesso banchetto che precede
l'entrata del Commendatore - entrata su cui Kierkegaard significativamente
sorvola - suona come un atto di sfida contro quella «coscienza» (54) che il
Commendatore incarna, la conferma che il credo di Don Giovanni non è mai la
meditatio mortis - ciò che piuttosto si potrebbe dire di Faust -,
ma, nonostante egli sia ora «stato spinto fino alla punta estrema della
vita» (55), una «"gaiezza esuberante di vita"» (56) di cui sono altrettanti
simboli «l'inebriante conforto dei cibi, il vino spumeggiante, le note
festose della musica sullo sfondo […]» (57). A dispetto di Freud, in Don
Giovanni il circolo eros-thanatos non si chiude: il
thanatos è e resta evento esterno all'eros in quanto sopraggiunge
come punizione d'una colpa di cui Don Giovanni non ha alcuna consapevolezza
ed è lungi dall' essere l'ombra cupa e minacciosa che inesorabilmente
incalzerebbe le imprese del seduttore immediato. Insomma, solo quando
«interviene la riflessione» il regno di Don Giovanni «si presenta come il
regno del peccato; ma allora Don Giovanni è stato ucciso, allora la musica
tace […]» (58). In tal senso si può ben dire che Don Giovanni è non solo il
discrimen tra l'immediatezza e la mediazione, ma anche l'estremo
baluardo dell'innocenza della natura (59), il topos ideale in cui
finisce la spontaneità dell'avventura sensuale e iniziano
l'exacerbatio dell'erotismo intellettuale e le vessazioni della
coscienza morale.
Don Giovanni è, sì, angosciato, ma quest'angoscia - precisa Kierkegaard -
non è mai «disperazione», bensì, ancora, la sostanza stessa del «demoniaco
desiderio di vivere» (60). Don Giovanni, insomma, è la stessa forza cosmica,
perciò naturale, della sensualità: in lui c'è piuttosto l'immediatezza della
natura che il peccato della coscienza e la coscienza del limite. Farne un
simbolo della solitudine e della caducità del finito rispetto all'infinito,
dell'uomo «crocifisso sulla contraddizione insopprimibile tra la sua natura
finita e l'infinito delle sue aspirazioni», farne insomma un «eroe della
privazione» e perciò negativo, piuttosto che un «eroe dell'incontinenza» e
perciò positivo, significa sposare il mito romantico di Don Giovanni (61),
farne l'incarnazione dello Streben e la controfigura di Faust, con
ciò tradendo la lettura musicale di Kierkegaard che ne fa, invece,
«l'incarnazione della carne» rappresentata come principio.
5.
In una prospettiva più ampia le considerazioni de Gli stadi
erotici contribuiscono a chiarire il senso del giudizio limitativo
sull'estetica formulato ne L'equilibrio. Tale giudizio non risulta
più meramente fondabile sull'affermazione per la quale l'estetica
rappresenta la dimensione per cui ciascuno «è immediatamente ciò che è»,
rispetto alla dimensione, propria dell'etica, in cui ciascuno «diventa ciò
che diventa» (62). E infatti proprio questa naturalità dell'estetica è
l'elemento vincente delle riflessioni su Don Giovanni. Quel giudizio è
piuttosto fondato sul fatto che tale naturalità è in ultima analisi vista
come fissità e cristallizzazione, e perciò assimilata alla «necessità» (63),
laddove in Don Giovanni essa è intesa come divenire incessante e
inesauribile, e perciò assimilata alla connotazione spontanea e istintiva
della libertà: purché - beninteso - si tenga presente che Don Giovanni è
un'idea musicale, un principio, un mito, e anzi, proprio per questo può
realizzare compiutamente la purezza della sfera estetica che invece è
destinata ad inquinarsi non appena si cala in un'esistenza temporale.
Questa osservazione può contribuire a sua volta a chiarire come sia
possibile che Kierkegaard inneggi all'estetismo demoniaco e naturalistico di
Don Giovanni e poi condanni - come fa ne L'equilibrio - l'intera
dimensione estetica dell'esistenza come velleitaria ed astratta, capricciosa
e discontinua, incoerente e dispersiva, volubile ed eccentrica. La risposta
va possibilmente ricercata nella diversa prospettiva dalla quale viene
pronunciato il giudizio rispettivamente su Don Giovanni e sul giovane esteta
de L'equilibrio. Quest'ultimo giudizio è pronunciato da una
prospettiva etica, che è quella in cui si trova il magistrato Wilhelm,
incarnazione stessa del matrimonio e dell'amore coniugale, della
responsabilità e del dovere, della continuità e della durata, della
centricità e della coerenza, insomma, d'una coscienza morale che non può che
condannare l'esistenza di chi, dei balli della vita, conosce soltanto il
«valzer dell'istante» e anzi rifugge da quell'atto gravoso e decisivo che è
la «scelta di sé» attraverso cui soltanto sarebbe possibile compiere il
salto nella sfera etica. Il giudizio su Don Giovanni è invece pronunciato da
una prospettiva a sua volta estetica e, dunque, nell'indifferenza etica.
Lungi dall'essere quello del Commendatore, il punto di vista di Kierkegaard
qui infatti è il medesimo di Don Giovanni, come dire del demoniaco, del
dionisiaco, del ludico, di quella forza cosmica della natura che - come tale
- è spontanea e immediata (64).
In tal senso si può ben dire che il Don Giovanni di Kierkegaard rappresenta
una sorta di deontologia della sfera estetica, ossia la sfera
estetica così come dovrebbe essere, vissuta pienamente e interamente sul
piano dell'aisthesis senz'alcuna interferenza della riflessione,
dello spirito, della coscienza, elementi che, mentre ne turbano la gioiosità
e la schiettezza, ne compromettono l'immediatezza poiché vi insinuano
l'angosciante senso del peccato.
Certo, Don Giovanni realizza compiutamente la purezza della sfera estetica
in quanto egli è fondamentalmente un'idea musicale, un principio, un mito. E
anzi, volerne fare «un'idea storica» significherebbe assimilarlo di nuovo e
indebitamente a Faust (65). Ma, a ben vedere, è proprio il carattere mitico
di Don Giovanni che, lungi dal rinchiudere l'estetica dentro un alveo
incapace d'ogni crescita che non sia quella che passa attraverso il salto
nella sfera etica, conferisce all'estetica una interna teleologia di cui Don
Giovanni è il paradigma mai raggiungibile ma perciò stesso trainante, una
sorta di idea regolativa in grado, unatantum, di far compiere
all'estetica un'autentica ripresa, una Wiederholung laica
e, perciò stesso, ancora una volta, paradossale.
Il che trova conferma proprio nell'evento che sembrerebbe compromettere
quella natura di Don Giovanni che è «essenzialmente vita» (66), ossia nel
fatto che Don Giovanni è sí un eroe positivo, ma è un eroe che, per vivere
in eterno come un'idea musicale, deve morire. Ve ne è come un presentimento
nel rilievo per il quale, che egli sia «assolutamente vincitore […], è un
motivo d'indigenza» (67), dal momento che resta preda d'una
ripetizione all'infinto di cui il «catalogo» delle conquiste è
emblematica misura: se una donna vale l'altra, la seduzione è
sostanzialmente lo specchio su cui Don Giovanni riflette narcisisticamente,
e quindi in maniera sterile e inerte, la propria genialità (68). Don
Giovanni muore infatti per mano dell'etica, ma non ne è - data la sua
costitutiva immediatezza - consapevole, sicché - com'è stato prima
evidenziato - l'etica e la morte che essa porta con sé gli restano
sostanzialmente estranee: «perciò è […] stato saggiamente disposto» -
osserva Kierkegaard - che il Commendatore «stia al di fuori» dell'opera, di
cui egli costituisce «la premessa piena di forza e l'ardita conclusione tra
le quali sta il termine medio di Don Giovanni […]» (69). Insomma, la stessa
dialettica che pone in essere Don Giovanni nell'atto in cui l'esclude è, per
cogenza interna, costretta a ucciderlo per farlo vivere in eterno, ossia per
consacrarlo esemplarmente a quel piano mitico grazie a cui egli può operare
appunto una ripresa della sfera estetica.
Note
(1) Cfr. S. KIERKEGAARD, Il diario del seduttore, in
Enten-Eller, a cura di A. Cortese, III, Milano, Adelphi, 1978.
(2) Cfr. ivi, p. 22.
(3) Cfr. ivi, pp. 61 ss.
(4) Cfr. ivi, p. 89.
(5) Cfr. ivi, p. 84.
(6) Cfr. ivi, p. 21.
(7) Cfr. S. KIERKEGAARD, L'equilibrio tra l'estetico e l'etico
nell'elaborazione della personalità, in Enten-Eller, cit., V,
1989, p. 159.
(8) S. KIERKEGAARD, Gli stadi erotici immediati, ovvero il
musicale-erotico, in Enten-Eller, cit., I, 1976, p. 171.
(9) Cfr. ivi, pp. 163-64.
(10) Ivi, p. 135.
(11) Ivi, p. 118.
(12) Ivi, p. 119.
(13) Ivi, p. 118.
(14) Ibidem.
(15) Ivi, p. 173.
(16) Cfr. ivi, p. 172.
(17) Ivi, p. 178.
(18) Ivi, p. 177.
(19) Ivi, p. 178.
(20) Ivi, p. 172.
(21) Ivi, p. 161.
(22) Ivi, p. 162.
(23) Ivi, p. 178.
(24) Ivi, p. 161.
(25) Ivi, p. 166.
(26) Cfr. ivi, p. 164.
(27) Ibidem.
(28) Ivi, p. 163.
(29) Ibidem.
(30) Ivi, p. 164.
(31) Sul mito di Faust in Kierkegaard Cfr. S. SPERA, Il pensiero del
giovane Kierkegaard, Padova, CEDAM, 1977, pp. 11-47.
(32) S. KIERKEGAARD, Diario, Brescia, Morcelliana, 1980(3) ss. [12
voll.], vol. II, IA 72, pp. 32, 33.
(33) S. KIERKEGAARD, Silhouettes, in Enten-Eller, cit.,
II, 1977, pp. 102, 103.
(34) Ivi, pp. 100-101.
(35) «Il dubbio è la disperazione del pensiero, la disperazione il dubbio
della personalità» (L'equilibrio tra l'estetico e l'etico, cit., p.
90).
(36) S. KIERKEGAARD, Timore e tremore, in Opere, a cura di
C.Fabro, Firenze, Sansoni, 1972, p. 94.
(37) S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica alle «Briciole
di filosofia», in Opere, cit., p. 403.
(38) Diario, cit., vol. II, IA 227, p. 71.
(39) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 169.
(40) Ivi, p. 170.
(41) Ivi, p. 158.
(42) Ivi, p. 124.
(43) Ibidem.
(44) Ivi, p. 125.
(45) Cfr. ivi, p. 126.
(46) L. PAREYSON, L'etica di Kierkegaard nella prima fase del suo
pensiero, Torino, Giappichelli, 1965, p. 5.
(47) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 127.
(48) Ivi, p. 156.
(49) Ivi, p. 158.
(50) Il tema dell'inconsistenza logica ed etica dell'eros è d'altra parte
motivo ricorrente di In vino veritas. Cfr. in proposito R.CANTONI, La
vita estetica nel pensiero di Kierkegaard, Saggio introduttivo a S.
KIERKEGAARD, Don Giovanni. La musica di Mozart e l'eros, Milano,
Mondadori, 1976, p. 27.
(51) Cfr. Gli stadi erotici immediati, cit., pp. 168-69.
(52) Ivi, p. 168.
(53) Ivi, p. 211.
(54) Ivi, p. 201.
(55) Ivi, p. 211.
(56) Ivi, p. 172.
(57) Ivi, p. 210.
(58) Ivi, p. 158.
(59) Naturalmente si tratta d'una innocenza - come ha opportunamente
precisato R.CANTONI (La coscienza inquieta. Sören Kierkegaard,
Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 39-40) - «da intendersi in senso relativo e
dialettico, ché l'uomo l'ha da tempo perduta».
(60) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 206.
(61) M. Mila, Lettura del Don Giovanni di Mozart, Torino, Einaudi,
1988, p. 8.
(62) Cfr. L'equilibrio tra l'estetico e l'etico, cit., p. 46.
(63) Cfr. ivi, p. 108. Sostenere che l'estetico è «immediatamente
quello che è» non significa - precisa Kierkegaard - che egli «non abbia uno
sviluppo; ma egli si sviluppa con necessità, non con libertà, con lui non ha
luogo nessuna metamorfosi, in lui non ha luogo nessun infinito movimento
grazie a cui giungere al punto partendo dal quale egli diventa quel che
diventa» (ibidem).
(64) Anche a voler condividere la lettura dialettica di E. PACI
(Kierkegaard e Thomas Mann, Milano, Bompiani, 1991, p. 16) in base
a cui Kierkegaard «ama l'estetico nel momento stesso nel quale vorrebbe
superarlo e vincerlo», resta che qui Kierkegaard «è un innamorato, un
innamorato del Don Giovanni di Mozart, ma, soprattutto, un innamorato
dell'immediatezza erotica, dell'infinità della passione, della sconfinata ed
irresistibile potenza dell'eros, del selvaggio ardore del desiderio»
(ivi, p. 20).
(65) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 119. In proposito Cfr.
J. COLETTE, Kierkegaard et la non-philosophie, Paris, Gallimard,
1994, p. 179. Del medesimo autore si veda anche Musique et
érotisme, in AA.VV., Kierkegaard et le Don Juan chrétien,
Monaco, Edition du Rocher, 1989, pp. 117-133.
(66) Gli stadi erotici immediati, cit., p. 193.
(67) Ivi, p. 164.
(68) Non a caso, anche presso la critica piů recente, č ricorrente il
rilievo per cui, in proposito, si č in presenza d'una cattiva infinità