KARL KORSCH

 

A cura di Diego Fusaro

 

 


Qual è il rapporto che intercorre tra il marxismo e la filosofia fintantoché questo complesso processo storico non ha ancora raggiunto il suo obiettivo finale, la soppressione della filosofia?” (Marxismo e filosofia)




K. KORSCH

 

 

 

 

VITA E OPERE

 

Nato da genitori borghesi nelle vicinanze di Lüneburg nel 1886, Karl Korsch si iscrive all’università e intraprende gli studi di giurisprudenza, di economia, di sociologia e di filosofia: tra il 1912 e il 1914, va in Inghilterra e là stringe rapporti con la Fabian Society. Finita la Prima Guerra Mondiale, Korsch milita nel Partito Socialdemocratico tedesco indipendente: ma ben presto se ne allontana per aderire, nel 1920, al Partito Comunista Tedesco. Tra il 1924 e il 1928, Korsch è deputato del Reichstag e assume un atteggiamento altamente critico nei confronti tanto del Partito Comunista Tedesco quanto del Comintern: di conseguenza è espulso dal Partito nel 1926 e “scomunicato” dall’Internazionale Comunista, che accusa di “revisionismo idealistico” la sua celebre opera Marxismo e filosofia. Emarginato dall’azione politica e impossibilitato a praticare un’opposizione al movimento comunista ufficiale, Korsch si ritaglia un piccolo spazio nel quale intrattiene rapporti con piccoli gruppi operai ultraradicali e con intellettuali marxisti (tra cui Bertolt Brecht). Abbandonata la Germania quando in questa si affermò il Nazismo, Korsch si trasferisce dapprima in Inghilterra e in Danimarca, successivamente negli USA, dove resta fino alla morte, avvenuta nel 1961. Tra gli scritti principali di Korsch, ricordiamo Marxismo e filosofia (1923), Il materialismo storico antiKautsky (1929), la riedizione di Marxismo e filosofia (1930), cui fa seguito una serratissima critica del leninismo; va poi ricordato Karl Marx (1938), uno dei tanti saggi che costellano la sua produzione tra il 1931 e il 1939, caratterizzata dall’audace tentativo di sottoporre il marxismo ad una revisione teorica tale da portarlo all’altezza del nuovo tempo, in cui proliferano incontrastati i totalitarismi, risorge il capitalismo, pare tramontata la possibilità di una rivoluzione operaia. Tra questi scritti, ricordiamo Crisi del marxismo (1931).  

 

 

IL PENSIERO

 

 Al cuore di Marxismo e filosofia sta il recupero del pensiero di Hegel in una prospettiva strettamente marxiana e la ripresa del concetto di totalità. Tanto Hegel quanto Marx hanno voluto costruire (il primo nell’età della borghesia rivoluzionaria, il secondo ai tempi della borghesia conservatrice) una teoria della società borghese incentrata sul nesso dialettico di pensiero e realtà, di teoria e prassi sociale. Sia la teoria sia il suo oggetto (la società borghese) sono pertanto concepiti come concreta totalità dialettica, che non accetta di essere disarticolata nelle sue singole parti: e queste parti sono la prassi sociale (“l’aspro regno delle lotte reali”) e la sovrastruttura ideologica data soprattutto dalla filosofia. Così sia Hegel sia Marx (o, meglio, il marxismo, che è espressione teorica del movimento operaio) considerano la “rivoluzione nella forma del pensiero” come una componente reale dell’effettivo processo sociale rivoluzionario. E in termini hegeliano-marxisti il sorgere della teoria marxista è solo l’altra faccia del sorgere del reale movimento operaio, cosicché, solo se presi insieme, essi formano la totalità concreta del processo storico. Nasce di qui la grande e ineludibile problematica che dà il titolo all’opera di Korsch: qual è il rapporto tra marxismo e filosofia? Marx ed Engels, con la loro formulazione del materialismo storico, avevano sostenuto che, con la rivoluzione, la filosofia sarebbe scomparsa insieme a tutte le altre espressioni della società borghese (compreso lo Stato). Ma se si tiene presente che il processo storico rivoluzionario, dopo i clamorosi fallimenti del 1848, è apparso non imminente, ma anzi destinato a dover attendere ancora per molto tempo, allora non ci si può sottrarre alla domanda circa il rapporto tra marxismo e filosofia fintanto che il processo storico rivoluzionario non ha ancora spazzato via la filosofia. Finché la filosofia resta in piedi, quale deve essere il suo rapporto col marxismo? Questo problema capitale è stato ignorato dal marxismo “volgare” della seconda metà dell’Ottocento, che ha commesso il grande errore di pensare che tali questioni teoriche fossero irrilevanti per la prassi. Questa deleteria separazione tra prassi e teoria, tipica del marxismo ottocentesco, è sempre e di nuovo criticata da Korsch, il quale giunge a ridicolizzare i marxisti dell’Ottocento asserendo che essi, rivoluzionari nella prassi, potevano tranquillamente essere seguaci della teoria di Schopenhauer. E quando i marxisti dell’età della Seconda Internazionale si sono spinti nelle regioni della filosofia, l’hanno fatto in maniera altrettanto volgare, scegliendo come ancella del marxismo le filosofie borghesi di Kant o di Mach, riconfermando l’assurda tesi per cui il marxismo sarebbe privo di contenuto filosofico. Questa gravissima perdita del nesso prassi-teoria, realtà-coscienza, è avvenuto per una pletora di motivi: innanzitutto perché, dopo i disastri del 1848, erano crollate le prospettive rivoluzionarie; ma anche (e soprattutto) perché si era perso di vista il nucleo dialettico, di marca hegeliana, del materialismo storico elaborato da Marx. E, perso di vista tale nucleo, si era di conseguenza perso di vista anche il concetto di totalità, indebitamente sostituito dal prevalere delle interpretazioni economicistiche che hanno surrettiziamente ridotto l’azione della classe a mera trasformazione di strutture economiche. La conseguenza da ciò scaturita era la separazione di teoria e prassi, separazione giunta al culmine con la riflessione di Rudolf Hilferding nel Capitale finanziario secondo cui non si potrebbero identificare marxismo e socialismo perché si sarebbe potuto utilizzare il primo contro il secondo. Le stesse posizioni riformistiche, opponendosi al rapporto rivoluzionario tra Stato e marxismo delineato da Marx, erano scaturite tutte in forza di questa indebita separazione di teoria e prassi. A partire dal XX secolo tuttavia, in virtù del mutato contesto storico e dell’affermarsi di un movimento rivoluzionario destinato a trionfare in Russia, il problema del rapporto tra marxismo e filosofia esce dall’oblio e torna all’ordine del giorno, come è attestato dai dibattiti rivoluzionari di Lenin o della Luxemburg. Torna cioè ad affacciarsi l’istanza originaria fatta valere da Marx e da Engels secondo la quale la lotta alla società borghese necessita del momento della critica teorica in vista della soppressione anche delle manifestazioni ideologiche della società. Korsch, profondamente convinto della necessità di una storicizzazione del marxismo, si sofferma sull’analisi dei momenti in cui si è sviluppato l’atteggiamento di Marx e di Engels nei confronti del rapporto tra realtà sociale e forme di coscienza (o ideologie), a cominciare proprio dalla filosofia. La prima forma in cui si è sviluppato il marxismo è, secondo la puntuale analisi di Korsch, quella degli anni precedenti il ’48: di questa forma, il Manifesto del partito comunista è l’espressione migliore. Essa è caratterizzata dal rigetto della filosofia borghese e della filosofia in quanto tale, come recita l’undicesima delle Tesi su Feuerbach. Ma, nonostante il dichiarato rifiuto della filosofia, questa prima forma del marxismo è fortemente filosofica, e si pone come teoria dello sviluppo sociale visto come totalità vivente, o, più precisamente, della rivoluzione sociale intesa e applicata come totalità vivente. Dopo il 1848, si assiste ad una seconda forma del marxismo: dopo tale data, infatti, la teoria marxista ha necessariamente dovuto modificare la sua forma, anche in forza del periodo storico non rivoluzionario in cui si è trovata ad esistere: l’espressione più tipica di questa seconda fase è il Capitale, opera in cui il marxismo trapassa in socialismo scientifico, con l’importante conseguenza che i singoli elementi (economia, politica, ideologia, prassi sociale, ecc), da congiunti che erano, si sono disgiunti e autonomizzati gli uni rispetto agli altri. Insistendo nel differenziare gli elementi costitutivi della totalità, questa seconda forma del marxismo ha forse contribuito – nota Korsch – all’indebita operazione compiuta dai successivi marxisti dell’Ottocento, i quali hanno frantumato in disjecta membra la teoria unitaria della rivoluzione sociale. Ed è a questo punto che si sviluppa la risposta korschiana alla questione del rapporto tra marxismo e filosofia. Sopprimere la filosofia non significa certo, per Marx ed Engels, metterla da parte: infatti, come i due non si stancarono mai di ripetere, non si può sopprimere la filosofia senza realizzarla. Sicché anche per il Marx maturo, teorico del socialismo scientifico, resta vero che di quella totalità che è la società borghese fanno parte anche le ideologie più alte, quali l’arte, la religione e la filosofia: la conseguenza è che il processo rivoluzionario non potrà mai spazzarle via. Il saggio sul Il materialismo storico antiKautsky, si configura come una sferzante requisitoria (peraltro già sullo sfondo di Marxismo e filosofia) condotta contro il marxismo di Kautsky: a lui Korsch muove l’accusa di aver ridotto il marxismo a mera dottrina scientifica, sciolta dalla dialettica hegeliana e da ogni nesso immediato con la prassi sociale del proletariato. È sì vero che Marx ed Engels ravvisano nella storia della natura il necessario presupposto su cui poggia lo sviluppo della struttura economica della società: ma essi escludono tassativamente che tale sviluppo sia interpretabile secondo il modello dei processi naturali. L’altra accusa che Korsch muove a Kautsky è di aver fornito un’interpretazione idealistica dello Stato, intendendolo come la più alta realizzazione della storia. In ciò, Kautsky è rimasto prigioniero di una visione borghese e idealistica dello sviluppo storico, tale per cui l’apparizione dello Stato moderno segnerebbe il punto d’approdo della Modernità. Assunto nella sua attuale forma democratico-borghese come sub specie aeternitatis, lo Stato è da Kautsky inteso come l’autentica realizzazione del processo storico. L’intento di Korsch era quello di colpire con la sua critica anche il marxismo trionfante della Terza Internazionale e il pensiero di Lenin, di cui scorgeva la diretta prosecuzione nel Diamat e nell’incipiente fenomeno dello stalinismo. Non a caso, appena a un anno dalla pubblicazione del Il materialismo storico antiKautsky, Korsch fece uscire la riedizione di Marxismo e filosofia con l’aggiunta di un saggio significativamente intitolato Lo stato attuale del problema ‘marxismo e filosofia’ (Anticritica). In questo saggio, egli individua una totale convergenza tra le critiche mosse al suo libro tanto dalla Socialdemocrazia quanto dal marxismo-leninismo. Ma la Socialdemocrazia e il marxismo-leninismo non sono che metamorfosi del marxismo in vuota ideologia, giacché avanzano l’assurda pretesa di inserirsi dall’esterno nel movimento operaio, di pilotarne dall’alto la prassi: la Socialdemocrazia esaurisce la dimensione politica nella cornice dello Stato borghese, e il marxismo-leninismo instaura la dittatura del partito sulla classe, mettendo in luce una spiccata tendenza giacobina e autoritaria. È questa la premessa teorica che per Korsch ha permesso al leninismo e allo stalinismo di nascondere, dietro la vernice ideologica del socialismo, la realtà di un capitalismo di Stato oppressivo e iperburocratico. In particolare, Korsch sottopone a dura critica i principali nodi teorici della teoria di Lenin, accusata di non essere adeguata all’attuale fase di sviluppo: la teoria leniniana della conoscenza intesa come mero rispecchiamento e riproduzione passiva non è che una banale riproposizione di un realismo meccanicistico ed ingenuo prekantiano, che ignora la relazione dialettica tra essere e coscienza. Tale teoria del rispecchiamento è peraltro consona al giacobinismo politico di Lenin, giacché include il riconoscimento dell’assoluta oggettività e necessità delle leggi che presiedono allo sviluppo sociale e che, sfuggendo alla coscienza immediata dei proletari, sono colte solo dal partito. Dal 1931 inizia un periodo particolarmente travagliato per la filosofia di Korsch, che prende le mosse dal riconoscimento della crisi che caratterizza il marxismo e dalla speranza di un recupero del movimento rivoluzionario. Nella monografia del 1938 su Karl Marx, Korsch apporta novità decisive al suo modo d’intendere sia il rapporto Hegel-Marx sia la teoria marxiana nel suo insieme. In quell’opera, Korsch rileva che l’eredità di Hegel in Marx va soprattutto ricercata nel contenuto delle analisi dedicate alla società civile, le cui contraddizioni erano state colte da Hegel. Marx si sarebbe però distaccato dal suo maestro ideale rifiutando la prospettiva di conciliazione fatta valere dall’Aufhebung hegeliano. Proprio grazie a tale rottura con l’hegelismo, Marx avrebbe potuto congedarsi dalla filosofia per approdare alla scienza e al socialismo scientifico. Diversamente da quel che aveva fatto in Marxismo e filosofia, in Karl Marx Korsch non distingue più tra il Marx “rivoluzionario” del Manifesto e il Marx “scienziato” del Capitale: tende invece a scorgere una continuità nell’operato del filosofo di Treviri. Prova ne è il fatto che quella che negli scritti filosofici era stata denominata (con un’espressione mutuata da Feuerbach) “autoestraniazione” dell’uomo, nel Capitale è chiamata “feticismo delle merci”, senza però che vari la sostanza. La vera novità introdotta dal Capitale sta piuttosto nell’aver adottato un metodo critico intorno al modo di produzione del capitalismo moderno: un metodo che, col suo rigore scientifico, intende rispettare la specificità delle forme proprie della società borghese. Connesso a questo principio di “specificazione” è il principio di “mutamento”, per cui la società borghese è concepita come una fase di passaggio verso qualcosa di più alto, e non come se le sue leggi fossero naturali e inviolabili. Sicché tale teoria della società capitalistica è necessariamente una teoria della rivoluzione proletaria. Questo è il vero cuore del marxismo, da distinguere dalle degenerazioni successive che – a partire da Engels stesso –  hanno voluto fare del marxismo una teoria generale di ogni società o, peggio ancora, una filosofia totalizzante e onnicomprensiva. Sicché, come Korsch rileva anche in Crisi del marxismo, è possibile individuare una vera e propria frattura all’interno del marxismo: dapprima esso è nato come fenomeno storico dalla lotta rivoluzionaria della prima metà del XIX secolo, e poi (dalla seconda metà del XIX secolo) si è tragicamente capovolto in ideologia rivoluzionaria al servizio di un movimento operaio che non era più rivoluzionario. Ma Korsch, fatta questa diagnosi poco lusinghiera, apre spiragli di speranza verso il futuro, sostenendo che la teoria della rivoluzione proletaria del futuro sarà una prosecuzione storica del marxismo e che si porrà come un recupero, nei limiti del possibile, dell’originaria teoria rivoluzionaria formulata da Marx ed Engels nella prima metà del XIX secolo. Ma in questo modo Korsch si trova dinanzi ad un’aporia difficilmente risolvibile: come può il marxismo rispecchiare concettualmente una rivoluzione che non è ancora avvenuta? Non si deve forse riconoscere che il marxismo potrà esistere nella sua forma compiuta soltanto quando la rivoluzione proletaria sarà stata ultimata? E che pertanto il marxismo di Marx è insospettatamente rispecchiamento della rivoluzione capitalistica e borghese? O, meglio, della rivoluzione proletaria quale emersa dalla rivoluzione borghese? Korsch è pienamente consapevole di questa aporia, e a tal proposito parla, nel saggio su Hegel e la rivoluzione (raccolto in Dialettica e scienza nel marxismo), di “trasferimento”, con l’idea che quella creata da Marx sia una “teoria della rivoluzione proletaria non come si è sviluppata sui suoi propri fondamenti, bensì come è emersa dalla rivoluzione borghese”. La conseguenza di tale “trasferimento” è che la teoria marxiana porta con sé i segni del giacobinismo originario della rivoluzione borghese: sicché il giacobinismo non è un carattere specifico del leninismo (come Korsch aveva sostenuto in precedenza), ma è un tratto peculiare della teoria marxiana dalla seconda metà del XIX secolo in avanti. Pur avendo riconosciuto la grave crisi in cui versa il marxismo, Korsch non se ne allontana mai: tutt’al più, ne è allontanato ad opera dei vari partiti che non accettano nuove forme di marxismo eterodosso. E negli scritti degli anni ’30 e ’40, ormai emarginato, Korsch continua a farsi depositario del marxismo come movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti, restituendo ad esso il suo statuto scientifico, antidogmatico e improntato alla prassi rivoluzionaria.                         


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