REINHART KOSELLECK

A cura di Diego Fusaro

 

 

LA VITA

 

Reinhart Koselleck (Görlitz 23 aprile 1923 - Bad Oeynhausen 3 febbraio 2006), volontario nel 1941 nella Wehrmacht, rimase fino al 1945 prigioniero a Karaganda (nel Kazakistan centro-settentrionale). Successivamente, tra il 1947 e il 1953, studiò storia, filosofia, diritto e sociologia in Germania presso l’Università di Heidelberg e, in Inghilterra, presso l’Università di Bristol. Tra i suoi principali maestri figurano Martin Heidegger, Karl Löwith, Carl Schmitt, Hans-Georg Gadamer, Werner Conze. Conseguì la laurea nel 1954 con il suo lavoro (poi pubblicato nel 1959) Kritik und Krise. Pathogenese der Bürgerlichen Welt (tr. it. a cura di P. Schiera, Critica illuministica e crisi della società borghese, Il Mulino, Bologna 1972), in cui fu decisiva l’influenza di Schmitt e di Brunner. Dal 1954 al 1956, Koselleck fu assistente all’Università di Bristol, e successivamente divenne assistente al “seminario di storia” dell’Università di Heidelberg; città in cui prese parte, dal 1960 al 1965, al gruppo Arbeitskreis für Moderne Sozialgeschichte, di cui divenne in seguito presidente (1986). Ottenne l’abilitazione, nel 1965, con la ricerca Preußen zwischen Reform und Revolution, pubblicata poi nel 1967 (Preußen zwischen Reform und Revolution. Allgemeines Landrecht, Verwaltung und soziale Bewegung von 1791 bis 1848; tr. it. a cura di M. Cupellaro, La Prussia tra riforma e rivoluzione, 1791-1848, Il Mulino, Bologna 1988). Nel 1966 venne chiamato all’Università di Bochum come docente di “scienza della politica”. Dal 1968 divenne professore ordinario presso l’Università di Heidelberg, dove cominciò a insegnare “storia moderna”. Successivamente, a partire dal 1973, passò all’Università di Bielefeld, dove insegnò “teoria della storia” (Theorie der Geschichte) e nel 1988 venne nominato “professore emerito”. Prese attivamente parte al Zentrum für interdisziplinäre Forschung dell’Università di Bielefeld, di cui divenne direttore nel 1974. Fu visiting professor presso le università di Tokyo, di Parigi, di Chicago e di New York.

 

 

IL PENSIERO

 

Il nome di Reinhart Koselleck è legato soprattutto all’impresa della “storia dei concetti” (Begriffsgeschichte) e a opere come Futuro passato (Vergangene Zukunft, 1979), Strati del tempo (Zeitschichten, 2000), nonché il monumentale dizionario Concetti fondamentali della storia. Lessico storico della lingua politico-sociale in Germania (Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland). Quest’ultimo progetto, avviatosi a partire dal 1972 sotto la supervisione di Koselleck, Otto Brunner e Werner Conze, ha avuto un periodo di gestazione che si è esteso fino al 1997. Con i suoi nove volumi (sette di testi e due di indici), consta complessivamente di più di novemila pagine, segnando una vera e propria svolta paradigmatica nel modo di concepire e di praticare la Begriffsgeschichte: i “concetti storici fondamentali” presi in esame sono 212, spesso raggruppati per concetti semantici (come ad esempio Brüderlichkeit, Bruderschaft, Brüderschaft, Verbrüderung, Bruderliebe) e distribuiti in 119 articoli redatti da 109 autori (spesso con più autori per ciascun articolo), con particolare attenzione per i registri (che, redatti in diverse lingue, comprendono fonti di diritto, bibliche, autoriali e per nome). L’intento programmatico dell’opera è quello di scrutinare il lessico politico-sociale tedesco dal Settecento al Novecento, con particolare attenzione per quell’“epoca d’oro” per i concetti storici che fu – secondo gli autori dell’Historisches Lexikon – la Sattelzeit, l’“epoca-sella” (o “soglia epocale”) racchiusa tra i due estremi del 1750 e del 1850. In tale “soglia epocale” si sarebbe verificato un radicale riorientamento di tutta la galassia dei concetti storici fondamentali. E da tale riorientamento, secondo Koselleck, si potrebbe inferire la svolta moderna, ossia il diverso rapporto che con la dimensione della temporalità – come subito diremo – ha instaurato il mondo moderno. Nella Introduzione (Einleitung) scritta nel 1967 ai Geschichtliche Grundbegriffe Koselleck chiarisce i presupposti metodologici e filosofici dell’opera, tracciando un quadro complessivo delle acquisizioni generali della sua Begriffsgeschichte e ripercorrendone succintamente i risultati.

Il Lexikon – spiega Koselleck – si propone di indagare in modo storico-genetico, secondo il metodo della Begriffsgeschichte, i “concetti-guida del movimento storico” (Leitbegriffe der geschichtlichen Bewegung) dall’antichità – l’epoca in cui tali concetti vennero originariamente formulati – fino al mondo moderno. Tali “concetti fondamentali della storia” (geschichtliche Grundbegriffe) sono quelli che hanno accompagnato la millenaria esperienza sociale e politica dell’Occidente (dal concetto di “democrazia” a quello di “libertà”, da quello di “crisi” a quello di “storia”). Essi devono essere intesi “nello stesso tempo come fattori e come indicatori del movimento storico” (zugleich als Faktoren und als Indikatoren geschichtlicher Bewegung), in quanto non si limitano a registrare e, per così dire, a “cristallizzare” in concetti riflessivi i mutamenti storici avvenuti, ma sono autonomamente dotati di una loro “forza” in grado di “muovere” la storia, generando il mutamento socio-politico. L’esperienza storica è, per Koselleck, sempre anche esperienza politica, secondo l’insegnamento di Carl Schmitt.

È questa tensione tra realtà storica e concetti il principale architrave che sorregge la riflessione koselleckiana sulla storia nelle sue molteplici determinazioni. Dopo aver ravvisato il compito fondamentale della Begriffsgeschichte posta in essere con il Lexikon nella ricostruzione del mutamento dei concetti fondamentali della storia biunivocamente connesso con il mutamento delle esperienze storiche, politiche e sociali che si sono succedute nella vicenda occidentale (e, nella fattispecie, tedesca), Koselleck spiega che, lungi dal configurarsi come una mera ricostruzione begriffsgeschichtlich, e dunque avulsa da ogni costellazione teorica e, più specificatamente, filosofica, la disamina concettuale condotta nel Lexikon risponde a un’esigenza più ambiziosa: la comprensione della “dissoluzione del mondo antico e l’origine di quello moderno nella storia della sua registrazione concettuale” (Auflösung der alten und die Entstehung der modernen Welt in der Geschichte ihrer begrifflichen Erfassung). Contrariamente alle apparenze, non si tratta allora di una mera ricostruzione storico-genetica dei concetti fine a se stessa: il Lexikon aspira a venire a capo del processo “sfaccettato e pluridimensionale” della modernità. L’esame che il Lexikon conduce dei concetti della politica e del loro riorientamento diventa allora la chiave d’accesso per comprendere la modernità in quanto tale attraverso lo scarto che la separa dalle epoche precedenti.

Secondo le aspirazioni di Koselleck, la “storia concettuale” acquista così lo statuto di metodo per indagare sull’origine e sul “progetto” della modernità, esplorata attraverso i “concetti fondamentali” in cui si sono condensate le sue esperienze socio-politiche, le sue aspettative e, non da ultimo, le sue promesse di emancipazione universale proiettate nell’avvenire. Posto in altri termini, il problema che anima il Lexikon e, più in generale, il “sistema” di pensiero koselleckiano si risolve nel suo tentativo di tematizzare “la registrazione linguistica del mondo moderno, il suo prendere e costruire la consapevolezza tramite i concetti” (die sprachliche Erfassung der modernen Welt, ihre Bewußtwerdung und Bewußtmachung durch Begriffe). Tramite la chiara esposizione di questo obiettivo storico-filosofico di comprensione della modernità tramite il linguaggio con cui essa si è espressa, Koselleck svela la sua vera identità non solo – né soprattutto – di Begriffshitoriker, ma anche di “filosofo della storia”, nel senso di “pensatore dell’intero”, in grado di mettere a punto un’interpretazione olistica che tratteggi il movimento generale della storia oltre la molteplicità prismatica dei suoi singoli eventi, nel tentativo di elaborare una lettura complessiva delle strutture del tempo storico, centrata sul periodo compreso tra il 1750 e il 1850 – da Koselleck battezzato Sattelzeit – e inteso come vera e propria “cerniera” tra il mondo premoderno e quello moderno in senso stretto.

La Begriffsgeschichte deve essere intesa non come un esercizio storiografico fine a se stesso, ma piuttosto – in termini storico-filosofici – come via privilegiata per sondare concettualmente la modernità, per diagnosticarne l’essenza più intima, per misurarne i confini e per far emergere il nuovo rapporto da essa instaurato con le dimensioni del passato e dell’avvenire. È questa, a nostro avviso, la cifra autentica della riflessione koselleckiana, che assumeremo come stella polare per orientarci nella nostra indagine; tanto più che solo se si tiene fermo il presupposto dell’interpretazione generale della modernità come chiave di volta della riflessione koselleckiana diventa possibile comprendere, senza fraintendimenti, l’arcipelago di concetti e di teorie in cui si snoda, spesso in modo frammentario ed eterogeneo, l’analisi del nostro autore. Tutte le teorie e i concetti elaborati da Koselleck ruotano attorno a un’orbita al cui centro stanno il problema della modernità e, insieme, la modernità come problema.

È solo da questa prospettiva, esposta nel modo più chiaro nella Einleitung del Lexikon (ma poi anche nei saggi di Futuro passato), che diventa possibile prendere coscienza di come il ricco apparato concettuale e categorico sistematizzato da Koselleck “faccia presa” sulla realtà storica e delinei un quadro interpretativo originale, in cui storia e filosofia vengono sapientemente coniugate in un inedito equilibrio. Per questa via, le teorie e i concetti elaborati dall’autore, pur nella loro molteplicità irriducibile, trovano un’unitarietà esplicativa se riferiti a quel “fenomeno modernità” che, da angolature diverse e non sempre sovrapponibili, cercano di “sezionare” nel modo più efficace, più ricco e più pluridisciplinare: lasciando comunque irrisolti non pochi dei problemi che si proponevano di sciogliere, e aprendone talvolta di nuovi, su cui ci soffermeremo più diffusamente soprattutto nelle appendici del nostro lavoro. Il presupposto filosofico fondamentale dell’indagine koselleckiana sui “concetti fondamentali della storia” risiede, come si è detto, nel fare affiorare il significato della modernità attraverso la sua stessa espressività concettuale. Più in generale – e questo è il secondo presupposto storico-filosofico su cui si regge l’analisi del nostro autore – “l’anticipazione euristica” (heuristischer Vorgriff) del Lexikon sta nella “supposizione” (Vermutung) che nel già rievocato periodo a cavallo tra il 1750 e il 1850 si verifichi qualcosa di insospettato e di sorprendente: che, cioè, la galassia dei concetti fondamentali della storia sia andata, complessivamente, incontro a un epocale e “profondo mutamento di significato” (tiefgreifender Bedeutungswandel) che ne ha, in un certo senso, stravolto la struttura interna, rendendoli gravidi di nuove esperienze e, soprattutto, di nuove aspettative, sconosciute a tutte le epoche precedenti. A questo mutamento concettuale corrisponde – con una corrispondenza, in realtà, tutt’altro che univoca e, anzi, assai difficile da definire – un vero e proprio “mutamento di esperienza” (Erfahrungswandel). In altri termini, le decisive novità storiche susseguitesi con incredibile rapidità tra il 1750 e il 1850 hanno, da un lato, reso del tutto inadeguati i vecchi concetti fondamentali, ormai incapaci di dare voce a una realtà cambiata radicalmente nelle sue strutture più profonde, e, dall’altro, si sono rivestiti di nuovi significati e di nuove aspettative rivolte al futuro che erano del tutto impensabili prima di quel periodo. In questa risemantizzazione della costellazione concettuale è possibile individuare i segni di un mutamento epocale paradigmatico (l’atto di nascita del mondo moderno) e, insieme, diagnosticare l’essenza del nuovo mondo, la sua nuova relazione con la dimensione del futuro come orizzonte privilegiato. Alla luce di questo intenso processo di profonda trasformazione socio-politica, culminato nella Rivoluzione francese e nei suoi esiti, “concetti fondamentali della storia” come “repubblica”, “democrazia” e “crisi” si sono colorati di nuove sfumature semantiche, e le esperienze passate racchiuse in essi sono arretrate sullo sfondo, lasciando spazio a una folta schiera di aspettative orientate verso un futuro diverso e migliore. Con la grammatica di Futuro passato, lo “spazio dell’esperienza” (Erfahrungsraum) arretra sullo sfondo e diventa egemonico l’“orizzonte dell’aspettativa” (Erwartungshorizont), ossia quella tensione verso un futuro diverso e migliore che, per Koselleck, costituisce la spina dorsale del mondo moderno. Tra il 1750 e il 1850, l’avvenire irrompe nei concetti storici fondamentali. A emergere in primo piano è, improvvisamente, la tensione verso un avvenire nuovo e inaccostabile, nella sua novità dirompente, alle esperienze passate. Dato il nesso biunivoco tra concetti e realtà storica, secondo Koselleck da questo slittamento nell’ambito dei concetti è lecito inferire una svolta epocale sul piano storico: svolta che coincide con la nascita della modernità. Se dall’antichità alla prima metà del XVIII secolo “i concetti erano caratterizzati dalla capacità di ricapitolare in una sola espressione le esperienze accumulate fino a quel momento”, nella convinzione che esse potessero anticipare un futuro che, per quanto diverso, non si sarebbe mai potuto allontanare completamente dalle esperienze passate, con la svolta epocale del 1750 si verifica una svolta tale per cui “il rapporto del concetto con ciò che è concepito si inverte”, nella misura in cui i geschichtliche Grundbegriffe cessano di riferirsi a situazioni pregresse e alludono prospetticamente a progetti, a esperienze politiche nuove e non rintracciabili nel passato né interpretabili alla luce di esso.

Nella Sattelzeit andrebbe allora identificata una soglia tra due epoche o, da un’altra angolatura, tra due diversi paradigmi interpretativi del tempo, tra due diversi modi di relazionare tra loro le dimensioni del passato e del futuro. Così scrive Koselleck in Strati del tempo:

 

“Un’ipotesi per il nostro lessico dei concetti storici fondamentali è che il linguaggio politico-sociale (die politisch-soziale Sprache), a partire dal XVIII secolo, si sia trasformato, nonostante l’uso comune delle stesse parole, e che da allora sia stata articolata una “nuova epoca” (neue Zeit). Coefficienti di mutamento e di accelerazione trasformano vecchi campi di significato e, con ciò stesso, l’esperienza politica e sociale”.

 

La risemantizzazione infuturante del mondo socio-politico intervenuta nel corso della “soglia epocale” costituisce, sotto questo profilo, il “grimaldello” fondamentale per accedere all’essenza del mondo moderno, al suo nuovo intreccio delle tre dimensioni temporali. Scrive Koselleck nel 1972:

 

L’anticipazione teoretica (der theoretische Vorgriff) della cosiddetta epoca-sella (Sattelzeit) tra il 1750 circa e il 1850 circa è dunque quella secondo cui in questo lasso di tempo ha avuto luogo una denaturalizzazione della precedente esperienza del tempo (Denaturalisierung der alten Zeiterfahrung). – La lenta perdita dei contenuti di significato aristotelici, che rimandano ancora a un tempo storico naturale, ripetibile e statico, è l’indicatore negativo di un movimento, che si lascia descrivere come cominciamento dell’età moderna (Beginn der Neuzeit). Antiche parole, come democrazia, libertà, Stato, a partire dal 1770 circa indicano un nuovo orizzonte futuro (Zukunfstshorizont), che circoscrive diversamente il contenuto del concetto; topoi tramandati guadagnano contenuti di aspettativa (Erwartungsgehalte), che in essi non erano prima presenti. Un comun denominatore del vocabolario politico-sociale consiste nel fatto che affiorano, in dimensioni crescenti, criteri di movimento (Bewegungskriterien). Come sia fruttuosa questa anticipazione euristica (heuristischer Vorgriff), si dimostra attraverso un gran numero di articoli, che tematizzano i concetti di movimento (Bewegungsbegriffe) stessi, come il progresso, la storia o lo sviluppo. Nonostante le vecchie parole, si ha a che fare con dei neologismi (Neologismen), che a partire dal 1770 circa guadagnano un coefficiente temporale di cambiamento (temporaler Veränderungskoeffizienten). Ciò fornisce un forte stimolo a leggere e a intendere d’ora in poi anche altri, vecchi concetti del linguaggio politico nel loro potenziale carattere di movimento (Bewegungscharakter). L’ipotesi di una denaturalizzazione dell’esperienza storica del tempo, che opera all’interno della semantica politico-sociale, viene avvalorata tramite il sorgere della moderna filosofia della storia, che si inserisce nel vocabolario”.


La tensione “infuturante” del mondo moderno verso un “domani” dai contorni incerti ma, in ogni caso, migliore – questa, in termini generalissimi, la cifra della Neuzeit secondo Koselleck – viene così a cristallizzarsi nei concetti con cui la modernità pensa se stessa. Tali concetti non sono soltanto il riflesso passivo di un mutato contesto storico-sociale: sono anche i “fattori”, gli elementi ideali che l’hanno reso possibile, dischiudendo – grazie alla loro tensione interna verso l’avvenire – un futuro aperto e ormai del tutto disgiunto dalla ricca gamma delle esperienze del passato. Esplorati tramite le lenti del Begriffshistoriker, tutti i concetti fondamentali della storia vanno incontro, durante quella Sattelzeit durata a malapena cent’anni, a un quadruplice processo di “democraticizzazione”, “temporalizzazione”, “ideologicizzazione” e “politicizzazione” che corrisponde pienamente al movimento generale – non solo concettuale – della modernità.

In forza di questi presupposti, si chiarisce ulteriormente il disegno koselleckiano di accertamento storico-filosofico della modernità che anima l’esperienza della “storia concettuale”: “tutti i concetti della storia testimoniano insieme un nuovo rapporto con le cose, un rapporto mutato nei confronti della natura e della storia, del mondo e del tempo, in breve: l’inizio della modernità”. Diventa così possibile studiare l’esperienza della Neuzeit attraverso il lessico storico, filosofico, politico e sociale con cui si è espressa, per scoprire che essa si è configurata e si è concepita, nel suo complesso, come “progresso lanciato verso la perfezione”, secondo l’espressione di Futuro passato: ossia come ambizioso tentativo di connettere il progresso tecnico e scientifico che si andava sviluppando con ritmi accelerati nel XVIII secolo con un generale progresso della società, della politica e, più in generale, della totalità olistica della storia.

Questa irresistibile spinta “futuro-centrica” che innerva l’esperienza moderna nelle sue diverse realizzazioni risulta lampante se solo si considera l’inaggirabile tensione verso l’avvenire di cui sono carichi concetti tipicamente moderni come quello di “rivoluzione” o quello di “democrazia”: la grande novità della modernità sta, sotto questo profilo, nell’aver sottratto questi concetti fondamentali della storia alle tradizionali esperienze passate su cui erano tradizionalmente fondati e nell’averli volti, con una torsione di centottanta gradi, verso l’avvenire, trasformandoli in altrettanti progetti politici e sociali da compiersi un futuro atteso con speranza. È esattamente in virtù dell’assunzione della Sattelzeit come momento “assiale” di trasformazione decisiva dei concetti e, con essi, della realtà storico-sociale moderna che si spiega l’insistenza del dizionario su questo snodo fondamentale della storia moderna e, più precisamente, “sulla concettualità moderna” (auf der “neutzeitlichen” Begrifflichkeit). Quest’ultima è intesa come il punto focale in cui il mutamento storico che segna la rottura con il mondo premoderno viene definitivamente registrato, tramite la sua concettualizzazione, e reso possibile, tramite l’apertura di un orizzonte futuro punteggiato da progetti da realizzare. Come vedremo, Koselleck lascia (consapevolmente) irrisolta la tensione tra “concetti” e “realtà” su cui è sospesa la sua riflessione. Così, da una parte, egli chiarisce come la tendenza “infuturante” dei principali concetti storici del mondo moderno dipenda, in larga parte, dal mutamento accelerato delle strutture provocato dalla catena di rivoluzionamenti tecnici e scientifici innescata dalla Rivoluzione industriale: mutamento che, compendiabile nella formula “sempre più progressi in sempre minor tempo”, ha contribuito a dischiudere nell’immaginario dell’uomo moderno un orizzonte aperto, un futuro diverso, migliore e progettualmente pianificabile. Dall’altra parte, tuttavia, Koselleck scongiura il rischio di una nuova forma di determinismo “materialistico” sostenendo apertamente che sono i concetti stessi ad agire biunivocamente sulla realtà, contribuendo – con la loro spinta in avanti verso il novum del futuro – a favorire l’accelerazione tecnica, scientifica, storica e del “tempo della vita” che contraddistingue il mondo moderno, sospeso in un incantesimo di “dromomania” e di ininterrotta “lotta contro il tempo”.

Dal nuovo punto di vista sulla modernità acquisito tramite la Begriffsgeschichte derivano non poche conseguenze, con le quali ci misureremo nel corso della nostra indagine ma che è bene fin da ora porre in evidenza almeno per cenni. In primo luogo, ciascuno dei geschichtiliche Grundbegriffe viene a configurarsi come un “Giano” bifronte, il cui sguardo è rivolto retrospettivamente al passato e, insieme, prospetticamente in avanti, verso un futuro a venire. Concetti come “democrazia” o “repubblica”, fino alle soglie del XVIII secolo, erano tendenzialmente “concetti di esperienza” che si riferivano a un passato assunto in forma paradigmatica come campo semantico e d’azione: poi, una volta travolti dal movimento infuturante della Sattelzeit, tali concetti si sono riorientati “in avanti”, hanno preso a precorrere nella coscienza anticipante dell’Illuminismo esperienze future, destando il sospetto diffuso – che ha assunto poi in Marx non meno che in Condorcet la forma di un’ossessione – di vivere in un’epoca di transizione, puro passaggio in vista di una redenzione finale collocata nelle regioni dell’avvenire. Tutti i concetti della storia – questo il corollario decisivo dell’impostazione koselleckiana – sono composti da diversi “strati del tempo” (Zeitschichten), che sono andati depositandosi gradualmente, imprimendo sui singoli concetti diversi modi di rapportarsi al passato e al futuro. Così, per portare un solo esempio, il moderno concetto di “democrazia” non è composto soltanto dagli “strati” del tempo più recenti, subentrati con l’avvento del mondo moderno: in esso continuano a permanere, in profondità, gli “strati” più antichi, i significati che esso racchiudeva in passato.

 Ecco stagliarsi ancora una volta sullo sfondo il problema della modernità e della sua tutt’altro che lineare relazione con l’orizzonte del futuro: da questa irrisolta tensione in avanti intorno alla quale gravita il progetto della modernità, Koselleck ha preso le mosse per ridefinire, in modo originale (pur rivelando un’incancellabile impronta heideggeriana), il carattere storico del rapporto con la storia, assumendo le due categorie, dialetticamente connesse, dello “spazio dell’esperienza” (Erfahrungsraum) e dell’“orizzonte dell’aspettativa” (Erwartungshorizont) come categorie metastoriche che rendono possibile in ogni epoca il rapporto con la storia di quell’“essere storico” e strutturalmente “ontocronico” che è l’uomo. Se nel mondo premoderno era egemonico lo “spazio dell’esperienza”, in virtù del quale si poteva concepire la storia – con i suoi esempi paradigmatici e sempre validi – come magistra vitae, nel mondo moderno a dominare è l’orizzonte dell’aspettativa, ossia la dimensione del futuro: il fatto che per la modernità la verità risieda nel “domani” più che nell’“oggi” implica l’azzeramento delle esperienze pregresse, liquidate come grossolani errori ormai superati (secondo la maniera illuministica di leggere la storia passata) o, nella migliore delle ipotesi, come eventi passati e, dunque, del tutto trascurabili in riferimento al “futuro aperto” da cui sembra “calamitato” il mondo moderno. Con l’avvento della modernità, tutti i “concetti fondamentali della storia” – per tornare sul terreno proprio della Begriffsgeschichte – assistono al mutamento paradigmatico della propria struttura interna e, travolti essi stessi dall’accelerazione della storia in corso, si trasformano repentinamente in “concetti futurizzanti” (Zukunftsbegriffe), “concetti di aspettativa” (Erwartungsbegriffe) e “concetti dinamici” (Bewegungsbegriffe): è in questo processo – come vedremo – che deve essere rintracciata la genesi dei concetti “collettivi singolari” (Kollektivsingularen), trascendentali e riflessivi, come “storia” e “progresso”, che racchiudono in sé le molteplici “storie” e i molteplici “progressi” premoderni in un unico concetto unificato, “sincronizzato” con la freccia del tempo e, pertanto, incontenibilmente orientato in avanti. È così, del resto, che nascono nella Sattelzeit, a un sol parto, il concetto denaturalizzato di “storia in sé e per sé” e la “filosofia della storia” come riflessione trascendentale sulla concatenazione degli eventi assunta come processo teleologicamente orientato.

 

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