Antonio Labriola

Del materialismo storico

Dilucidazione preliminare

Avvertenza alla seconda edizione

La prima edizione di questo lavoro, venuta in luce con la data del 10 marzo 1896, recava la seguente Avvertenza:

"Il lettore vedrà da sé, fin dalle prime linee di questo scritto, come io entri difilato in argomento, senza preamboli di sorta.

Mi pare già, che l’altro, ossia il primo saggio che questo precede, offra da solo un sufficiente istradamento elementare a chi ne abbia bisogno.

In verità, poi, non giova di molto mai all’intendimento schietto delle questioni scientifiche, quel fare da letterati, che usano alcuni, i quali, mettendosi quasi sopra alle cose, ne ragionano come dal di fuori. Addentrarsi direttamente nelle cose stesse, per quel modo di discussione, che è tutt’uno con la esposizione dottrinale; ecco ciò che precipuamente importa in questo genere di trattazioni. Solo per cotesta via ci è dato d’indurre nelle menti persuasione e convinzione. Per cotesto procedimento soltanto le difficoltà rimangono positivamente vinte; e le opinioni, che altri possa addurre in contrario, trovansi da ultimo eliminate in fatto.

Il titolo di dilucidazione preliminare, che adopero, non è espressione, né di cautela, né di modestia. Esso designa semplicemente l’indole di questo scritto, e ne segna i precisi confini".

In questa ristampa mi sono ristretto a correggere alcune parole e qualche giro di frase. E, in vero, a voler rispondere partitamente a tutte le critiche e a tutte le obiezioni, che negli ultimi anni furon mosse alle dottrine qui rappresentate che questo così semplice e scorrevole volumetto diventasse una ponderosa enciclopedia. E dove se n’andrebbe poi da ultimo il carattere della dilucidazione preliminare?

Per quei lettori che abbiano vaghezza di conoscere da vicino il tenore circa il materialismo storico, che son corse negli ultimi tempi, riproduco in fine, come in appendice, un mio articolo apparso nella "Rivista di Sociologia" del giugno 1899.

Roma, 20 maggio 1902

 

I.

In questo genere di considerazioni, come in tanti altri, ma in questo più che in ogni altro, è di non piccolo impedimento, anzi torna di fastidioso impaccio, quel vizio delle menti addottrinate coi soli mezzi letterarii della coltura, che di solito dicesi verbalismo. Si insinua e si espande in ogni campo di conoscenze cotesto mal vezzo; ma nelle trattazioni che si riferiscono al così detto mondo morale, e ossia al complesso storico-sociale, accade assai di sovente, che il culto e l’impero delle parole riescano a corrodervi e a spegnervi il senso vivo e reale delle cose.

Là dove la prolungata osservazione, il reiterato esperimento, il sicuro maneggio di raffinati istrumenti, l’applicazione totale o almeno parziale del calcolo, finiron per metter la mente in una metodica relazione con le cose e con le variazioni loro, come è il caso delle scienze naturali propriamente dette, ivi il mito ed il culto delle parole rimasero oramai superati e vinti, ed ivi le questioni terminologiche non hanno in fin delle fini se non il valore subordinato di una mera convenzione. Nello studio, invece, dei rapporti e delle vicende umane, le passioni, e gl’interessi, e i pregiudizii di scuola, di setta, di classe, di religione, e poi l’abuso letterario dei mezzi tradizionali della rappresentanza del pensiero, e poi la scolastica non mai vinta e anzi sempre rinascente, o fanno velo alle cose effettuali, o inavvertitamente le trasformano in termini, e parole, e modi di dire astratti e convenzionali.

Di tali difficoltà bisogna che innanzi tutto si renda conto chi mette fuori in pubblico la espressione, o formula, di concezione materialistica della storia. A molti è parso, pare e parrà sia ovvio e comodo di ritrarne il senso dalla semplice analisi delle parole che la compongono, anziché dal contesto di una esposizione, o dallo studio genetico del come la dottrina si è prodotta, o dalla polemica con la quale i sostenitori suoi ribattono le obiezioni degli avversarii. Il verbalismo tende sempre a rinchiudersi in definizioni puramente formali; porta le menti nell’errore, che sia cosa facile il ridurre in termini e in espressioni semplici e palpabili l’intricato e immane complesso della natura e della storia; e induce nella credenza, che sia cosa agevole il vedersi sott’occhi il multiforme e complicatissimo intreccio delle cause e degli effetti, come in ispettacolo da teatrino; o, a dirla in modo più spiccio, esso oblitera il senso dei problemi, perché non vede che denominazioni.

Se si dà poi il caso, che il verbalismo trovi sostegno in tali o tali altre supposizioni teoretiche, come sarebbe questa, che materia voglia dire un qualche cosa che sta di sotto o di contro ad un'altra cosa più alta o più nobile, che vien chiamata lo spirito; o se si dà il caso, che esso si confonda con l'abito letterario di contrapporre la parola materialismo, intesa in senso dispregiativo, a tutto ciò che compendiosamente chiamasi idealismo, cioè all'insieme d'ogni inclinazione e d'ogni atto anti-egoistico: e allora sì che siamo spacciati. Ed ecco che si sente dire: qui in questa dottrina si tenta di spiegare tutto l'uomo col solo calcolo degl'interessi materiali, negando qualsiasi valore ad ogni interesse ideale. A far nascere di tali confusioni non è valso poco la inesperienza, la incapacità e la frettolosità di certi propugnatori e propagatori di questa dottrina; i quali, per la premura di spiegare agli altri ciò che essi medesimi non intendevano a pieno, mentre la dottrina stessa non è se non agli inizii suoi, ed ha bisogno ancora di molto sviluppo, si son data l'aria di applicarla, pur che sia, al primo caso o fatto storico che loro capitasse fra mani, e l'han quasi ridotta in briciole, esponendola alla facile critica ed al dileggio degli orecchianti di novità scientifiche, e di altrettali sfaccendati.

 

Per quanto è lecito qui, in queste prime pagine, di respingere solo preliminarmente cotesti pregiudizii, e di redarguire le intenzioni e le tendenze che li sorreggono, occorre di ricordare: - che il senso di questa dottrina va innanzi tutto desunto dalla posizione, che essa assume ed occupa di fronte a quelle, contro le quali si è effettivamente levata, e segnatamente di fronte alle ideologie di ogni maniera; - che la riprova del suo valore consiste esclusivamente nella spiegazione più conveniente e congrua del succedersi delle vicende umane, che da essa stessa deriva; - che questa dottrina non implica una preferenza soggettiva ad una certa qualità e somma d'interessi umani, contrapposti ad altri interessi per elezione di arbitrio, ma enuncia soltanto la obiettiva coordinazione e subordinazione di tutti gli interessi nello sviluppo di ogni società, ed enuncia ciò per via di quel processo genetico, il quale consiste nell'andare dalle condizioni ai condizionati, dagli elementi della formazione alla cosa formata.

Almanacchino pure i verbalisti, a posta loro, sul valore della parola materia, in quanto è segno o ricordo di metafisica escogitazione, o in quanto è espressione dell'ultimo sostrato ipotetico della esperienza naturalistica. Qui noi non siamo nel campo della fisica, della chimica o della biologia; ma cerchiamo soltanto le condizioni esplicite del vivere umano, in quanto esso non è più semplicemente animale. Non si tratta già di indurre o di dedurre nulla dai dati della biologia; ma, anzi, di riconoscere innanzi ad ogni altra cosa le peculiarità del vivere umano, che si forma e sviluppa per il succedersi e perfezionarsi delle attività dell'uomo stesso, in date e variabili condizioni; e di trovare i rapporti di coordinazione e di subordinazione dei bisogni, che sono il sostrato del volere e dell'operare. Non è una intenzione che si cerchi di scovrire, non è una valutazione di pregio che si voglia enunciare; ma è la sola necessità di fatto che si vuol mettere in evidenza.

E come gli uomini, non per elezione ma perché non potrebbero altrimenti, soddisfano prima certi bisogni elementari, e poi da questi ne sviluppano degli altri, raffinandosi; e, a soddisfare i bisogni quali che siano, trovano ed usano certi mezzi ed istrumenti, e si consociano in certi determinati modi, il materialismo della interpretazione storica non è se non il tentativo di rifare nella mente, con metodo, la genesi e la complicazione del vivere umano sviluppatosi attraverso i secoli. La novità di tale dottrina non è difforme da quella di tutte le altre dottrine, che, dopo molte peripezie entro i campi della fantasia, son giunte da ultimo assai faticosamente ad afferrare la prosa della realtà, ed a fermarsi in essa.

 

II.

Di una certa affinità, per lo meno nelle apparenze, con cotesto vizio formale del verbalismo è un altro difetto, che derivasi nelle menti per diverse vie. Guardando in certi suoi effetti più comuni e popolari, lo dirò fraseologico; sebbene questa parola qui non esprima a pieno la cosa, e non ne dichiari l'origine.

Da molti secoli si va scrivendo, esponendo, illustrando la storia. I più svariati interessi, dagl'immediatamente pratici ai puramente estetici, spinsero i diversi scrittori ad ideare ed eseguire cotesto genere di composizioni; le quali, però, ebbero sempre nascimento nei diversi paesi un pezzo in qua dalle origini della civiltà, dallo sviluppo dello stato, e dal trapasso della primitiva società comunistica in questa, diremo in genere nostra, che si regge su le differenze e su le antitesi di classe. Gli storici, fossero pur essi ingenui quanto fu Erodoto, nacquero e si formarono sempre in una società punto ingenua, e anzi di molto complicata e complessa, e quando ditale complicazione e complessione le ragioni erano ignote, e le origini erano state obliate. Cotesta complessità, con tutti i contrasti che reca in sé, e che poi rivela e fa scoppiare nelle sue svariate vicende, si rizzava di fronte ai narratori come qualcosa di misterioso, che chieda spiegazione; e, per poco che lo storico volesse dare un qualche seguito ed un certo nesso alle cose narrate, dovea pur trovare dei complementi di vedute generali al semplice racconto. Dall'invidia degli dei del padre Erodoto all'ambiente del signor Taine, un infinito numero di concetti, intesi come mezzi di spiegazione e di complemento delle cose narrate, si sono imposti ai narratori per le vie naturali del pensiero immediato. Tendenze di classe, preconcetti religiosi, pregiudizii popolari, influssi o imitazioni di una filosofia corrente, ripieghi di fantasia, e suggestioni di artistico completamento dei fatti frammentariamente appresi; tutte coteste ed altrettali cause concorsero a formare il sostrato di quella teoria più o meno ingenua degli accadimenti, che, o sta implicitamente in fondo al racconto, o è usata se non altro a condirlo e ad adornano. O che si parli di caso o di fato, o che si rimandi alla direzione provvidenziale delle cose umane, o che si accentui il nome e il concetto della fortuna - la divinità che sola mezzo mezzo sopravviva ancora nella rigida e spesso crassa concezione di Machiavelli, - o che si parli, come si fa ora assai di frequente, della logica delle cose; tutte coteste escogitazioni furono e sono trovate e ripieghi di un pensiero ingenuo, di un pensiero immediato, di un pensiero che non può giustificare a se stesso il suo procedimento e i suoi prodotti, né per le vie della critica, né coi mezzi dell'esperimento. Colmare con dei soggetti convenzionali (p. e. la fortuna), o con una enunciazione di apparenza teoretica (p. e. il fatale andare delle cose, che alcune volte poi si confonde nelle menti con la nozione del progresso), le lacune della coscienza circa il modo come le cose siano effettivamente procedute di loro propria necessità, e fuori del nostro arbitrio e del nostro gradimento, ecco il motivo e la somma di cotesta filosofia popolare, latente od esplicita negli storici narratori, la quale per il suo carattere immediato si dilegua non appena sorge la critica della conoscenza.

In tutti cotesti concetti, e in tutte coteste ideazioni, che alla luce della critica paiono dei semplici mezzi provvisorii e dei ripieghi di un pensiero immaturo, ma che alla gente colta sembrano spesso il non plus ultra dell'intelletto, si rivela pure e si riflette una non piccola parte del processo umano; e per ciò non sono da considerare come gratuite invenzioni, nè come prodotti di momentanea illusione. Sono parte e momenti del divenire di ciò che chiamiamo spirito umano. Se si dà poi il caso, che tali concetti ed ideazioni si mescolino e confondano nella communis opinio delle persone colte, o di quelle che passano per tali, finiscono per costituire come una ingente massa di pregiudizii, e formano come l'impedimento che l'ignoranza contrappone alla visione chiara e piena delle cose effettuali. Cotesti pregiudizii ricorrono come derivati fraseologici per le bocche dei politicanti di mestiere, dei così detti pubblicisti e dei gazzettieri d'ogni sorta e maniera, ed offrono il fulcro della retorica alla così detta opinione pubblica.

Contrapporre, e poi sostituire, a tale miraggio di ideazioni non critiche, a tali idoli della immaginazione, a tali ripieghi dell'artificio letterario, a tali convenzionalismi, i soggetti reali, ossia le forze positivamente operanti, ossia gli uomini nelle varie e circostanziate situazioni sociali proprie di loro: - ecco l'assunto rivoluzionario e la meta scientifica della nuova dottrina, la quale obiettivizza e direi quasi naturalizza la spiegazione dei processi storici.

Questo tal popolo, ossia, non una qualunque massa d'individui, ma un plesso di uomini così o così organati, o per naturali rapporti di consanguineità, o per artificii e consuetudini di parentato e di affinità, o per ragioni di vicinato stabile; - questo tal popolo, su cotal territorio circoscritto e limitato, che è così o così ferace, ed è in tale o tale altra maniera produttivo, e fu in determinate forme acquisito al lavoro continuativo; - questo tal popolo cosi distribuito su tale territorio, e cosi in sé spartito ed articolato, per effetto di una determinata division del lavoro, la quale abbia, o iniziata appena, o già iniziata e maturata questa o tale altra divisione di classi, o delle classi ne abbia di già erose o trasformate parecchie; - questo popolo, che possiede i tali o tali altri istrumenti, dalla pietra focaia alla luce elettrica, e dall’arco e dalla freccia al fucile a ripetizione, e che produce in un certo modo, e conforme al modo del produrre conseguentemente spartisce i prodotti; - questo popolo, che per tutti cotesti rapporti è una società, nella quale, o per abiti di mutua accomodazione, o per esplicite convenzioni, o per violenze patite e subite, son nati già o stanno per nascere dei legami giuridico-politici, che poi metton capo nell’assetto dello stato; - questo popolo, nato che sia l’organamento dello stato, che è il tentativo di fissare, di difendere e di perpetuare le disuguaglianze, e che, per via delle nuove antitesi che vi reca dentro, rende di continuo instabile l’ordinamento sociale, si determinano i movimenti e le rivoluzioni politiche, e quindi le ragioni del progresso e del regresso: - ecco la somma di ciò che sta a fondamento di ogni storia. Ed ecco la vittoria della prosa realistica sopra ogni combinazione fantastica e ideologica.

Ci vuol certo della rassegnazione a veder le cose come esse sono, oltrepassando i fantasimi che per secoli ne impedirono la retta visione. Ma questa rivelazione di dottrina realistica non fu, né vuole essere, la ribellione dell’uomo materiale contro l’uomo ideale. E’ stata ed è invece il ritrovamento dei veri e propri principii e moventi di ogni sviluppo umano, compreso quello di tutto ciò che chiamiamo ideale, in determinate condizioni positive di fatto, le quali recano in sé le ragioni, e la legge, e il ritmo del loro proprio divenire.

 

 

 

III.

Se non che sarebbe affatto erroneo il credere, che gli storici narratori, espositori o illustratori abbiano di capo loro e di loro invenzione messo in essere quella massa non piccola di preconcetti, di ideazioni e di spiegazioni immature, che con la forza del pregiudizio fecero velo per secoli alla verità effettuale. Può darsi, e si dà veramente il caso, che alcuni di cotesti preconcetti siano il frutto ed il portato di personali escogitazioni, o delle correnti letterarie le quali si formano per entro all'angusta cerchia professionale delle università e delle accademie: - e di ciò il popolo non sa nulla. Ma il fatto importante è, che la storia cotesti veli se li è messi da sé; e, cioè dire, che gli attori ed operatori stessi delle vicende storiche, o fossero le grandi masse di popolo, o i ceti e le classi dirigenti, o i maneggiatori dello stato, o le sètte, o i partiti nel più ristretto senso della parola, fatta eccezione di qualche momento di lucido intervallo, fin quasi alla fine del secolo passato non ebbero coscienza dell'opera propria, se non per entro a qualche involucro ideologico, che impediva la visione delle cause reali. Già nei tempi oscuri, nei quali ebbe luogo il passaggio dalla barbarie alla civiltà; quando, cioè, coi primi trovati dell'agricoltura, col primo insediamento stabile di una popolazione sopra di un dato territorio, con la prima divisione del lavoro nella società, e con le prime alleanze di diverse genti, si stabilirono le condizioni in cui si svolge la proprietà e lo stato, o per lo meno la città; già nei tempi, in somma, delle primissime rivoluzioni sociali, gli uomini trasformarono l'opera loro in azioni miracolose d'immaginati iddii ed eroi. In guisa, che operando essi come potevano e come dovevano per dato, necessità e fatto del loro relativo sviluppo economico, idearono una spiegazione dell’opera propria, come se di loro stessi essa non fosse. Cotesto involucro ideologico delle opere umane ha più volte poi cambiato di forme, di apparenze, di combinazioni e di relazioni nel corso dei secoli, dalla produzione immediata dcgl'ingenui miti, fino ai complicati sistemi teologici e alla Città di Dio di sant'Agostino, dalla superstiziosa credulità nei miracoli, fino al mirabolante miracolo dei miracoli metafisici, ossia fino all'1dea, che presso i decadenti dell'hegelismo genera da sé in se stessa, per propria dirempsione, tutte le più disparate varietà del vivere umano nel corso della storia.

Ora, precisamente perché l'angolo visuale della interpretazione ideologica non fu definitivamente superato se non assai di recente, e solo ai giorni nostri l'insieme dei rapporti reali e realmente operanti fu con chiarezza distinto dai riflessi ingenui del mito, e dai più artificiosi della religione e della metafisica, la nostra dottrina include un nuovo problema, e reca in sé delle difficoltà non lievi, per chi voglia renderla atta a comprendere specificatamente la storia del passato.

 

Il problema consiste in questo: che la nostra dottrina dia occasione ad una nuova critica delle fonti storiche. Né intendo di dire esclusivamente della critica dei documenti, nel senso proprio ed ovvio della parola; perché, quanto a questa, possiamo nella più parte contentarci ce la somministrino bella e fatta i critici, gli eruditi e i filologi di professione. Ma anzi intendo di dire di quella fonte immediata, che sta più in là dai documenti propriamente detti, e che prima di esprimersi e di fissarsi in questi, consiste nell'animo e nella forma di consapevolezza, nella quale gli operatori resero conto a sé dei motivi dell'opera loro propria. Cotesto animo, ossia cotesta consapevolezza, è spesso incongrua alle cause che noi ora siamo in grado di scovrire e di fissare; in guisa che gli operatori ci appaiono come involti in un circolo di illusioni. Spogliare i fatti storici di tali involucri, che i fatti stessi investono mentre essi si svolgono, gli è fare una nuova critica delle fonti, nel senso realistico della parola, e non in quello formale del documento: gli è, insomma, far reagire sulla notizia delle condizioni passate la consapevolezza di cui noi ora siamo capaci, per poi ricostruire quelle nuovamente dal fondo.

 

Ma cotesta revisione delle fonti direttissime, mentre segna l'estremo limite di autocoscienza storica cui si possa mai giungere, può essere occasione a cadere in un grave errore. Perché, come noi ci collochiamo in un punto di vista, che sta di là dalle vedute ideologiche, per virtù delle quali gli attori della storia ebbero coscienza dell'opera loro, e nelle quali trovarono assai spesso e i moventi e la giustificazione all'operare, noi potremmo incorrere nella erronea opinione, che quelle vedute ideologiche fossero una pura parvenza, un semplice artifizio, una mera illusione, nel senso volgare di questa parola. Martino Lutero, per venire ad un esempio, come gli altri grandi riformatori suoi contemporanei, non seppe mai, come ora sappiamo noi, che il moto della Riforma fosse uno stadio del divenire del terzo stato, e una ribellione economica della nazionalità tedesca contro lo sfruttamento della corte papale. Egli fu quello che fu, come agitatore e come politico, perché fu tutt'uno con la credenza che gli facea apprendere il moto di classi, che dava impulso all'agitazione, quale ritorno al vero cristianesimo, e come una divina necessità nel corso volgare delle cose. Lo studio degli effetti a scadenza non breve, e cioè il corroborarsi della borghesia di città contro i signori feudali, e il crescere della signoria territoriale dei principii a spese del potere interterritoriale e sopraterritoriale dell'imperatore e del papa, la violenta repressione del movimento dei contadini e di quello più esplicitamente proletario degli Anabattisti, ci permettono ora di rifare la storia genuina delle cause economiche della Riforma; specie in quanto riuscì, il che è la riprova massima. Ma ciò non vuol dire, che a noi sia dato di distrarre il fatto accaduto dal modo del suo accadimento, e di discioglierne la integralità circonstanziale per via di una analisi postuma, che riesca affatto soggettiva e semplicistica. Le cause intime, o, come si direbbe ora, i motivi profani e prosaici della Riforma ci appariscono più chiari in Francia ove essa per l’appunto non riuscì vittoriosa; e chiari ancora nei Paesi Bassi, ove, oltre alle differenze di nazionalità, vengono in piena evidenza nella lotta con la Spagna i contrasti degli interessi economici; e chiarissime infine in Inghilterra, dove la rinnovazione religiosa, verificatasi per le vie della violenza politica, mette in piena luce il trapasso in quelle condizioni, che sono per la borghesia moderna i prodromi del capitalismo. Post factum, e a lunga scadenza di non premeditati effetti, la storia dei moventi effettivi, che furono le cause intime della Riforma, in gran parte insapute agli attori stessi, apparisce chiara. Ma che il fatto accadesse come precisamente accadde, che assumesse quelle determinate forme, che si vestisse di quella veste, che si colorisse di quel colore, che movesse quelle passioni, che si esplicasse in quel fanatismo: in ciò consiste la specificata circostanzialità sua, che nessuna presunzione di analisi può fare non fosse quale fu. Solo l'amore del paradosso, inseparabile sempre dallo zelo degli appassionati divulgatori di una dottrina nuova, può avere indotto alcuni nella credenza, che tanto a scriver la storia bastasse di mettere in evidenza il solo momento economico (spesso non accertato ancora, e spesso non accertabile affatto), per poi buttar giù tutto il resto come inutile fardello, di cui gli uomini si fossero caricati a capriccio; come accessorio, in somma, o come semplice bagattella o a dirittura come un non-ente.

Per tale avvertenza, che la storia, cioè, bisogna intenderla tutta integralmente, e che in essa nocciolo e scorza fanno uno, come Goethe diceva delle universe cose, tre illazioni ci si fanno palesi.

In primo luogo è chiaro, che nel campo del determinismo storico-sociale la mediazione dalle cause agli effetti, dalle condizioni ai condizionati, dai precedenti alle conseguenze, non è mai evidente alla prima, alla stessa guisa come tutti cotesti rapporti non son mai evidenti alla prima nel determinismo soggettivo della psicologia individuale. In questo secondo campo fu già da gran tempo cosa relativamente agevole per la filosofia astratta e formale di ritrovare, passando sopra a tutte le fole del fatalismo e del libero arbitrio, la evidenza del motivo in ogni volizione, perché, insomma, tanto è volere quanto è motivata determinazione. Ma più in giù dei motivi e del volere sta la genesi di quelli e di questo, e a rifare cotesta genesi ci occorre di uscire dal rinchiuso campo della coscienza per arrivare all'analisi dei semplici bisogni, i quali per un verso derivano dalle condizioni sociali, e per un altro si perdono nell'oscuro fondo delle disposizioni organiche, fino alla discendenza e all'atavismo. Non altrimenti accade nel determinismo storico; dove allo stesso modo si comincia appunto dai motivi, poniamo religiosi, politici, estetici, passionali e cosi via, ma poi occorre di tali motivi ritrovar le cause nelle condizioni di fatto sottostanti. Ora lo studio di queste condizioni deve esser tanto specificato, che rimanga da ultimo chiarito, non solo che esse son le cause, ma per qual mediazione arrivino a quella forma, per la quale si rivelano alla coscienza come motivi, la cui origine è spesso obliterata.

E per ciò torna evidente questa seconda illazione, che, cioè, nella nostra dottrina non si tratta già di ritradurre in categorie economiche tutte le complicate manifestazioni della storia, ma si tratta solo di spiegare in ultima istanza (Engels) ogni fatto storico per via della sottostante struttura economica (Marx): la qual cosa importa analisi e riduzione, e poi mediazione e composizione.

Resulta da ciò, in terzo luogo, che per procedere dalla sottostante struttura all'insieme configurativo di una determinata storia, occorre il sussidio di quel complesso di nozioni e di conoscenze, che può dirsi, in mancanza d'altro termine, psicologia sociale. Né intendo con ciò di alludere alla fantasticata esistenza di una psiche sociale, né alla escogitazione di un preteso spirito collettivo, che per proprie leggi, indipendenti dalla coscienza degl'individui e dai loro materiali ed assegnabili rapporti, si esplichi e manifesti nella vita sociale. Cotesto è misticismo schietto. Né intendo di riferirmi a quei tentativi di generalizzazione combinatoria, pei quali furono scritti dei trattati di psicologia sociale, la cui idea è questa: trasferire ed applicare ad un escogitato soggetto, che si chiama la coscienza sociale, le categorie e le forme accertate della psicologia individuale. E non voglio nemmeno alludere a quel coacervo di denominazioni semiorganiche e semipsicologiche, per cui l'ente società, alla maniera dello Schäffle, acquista, e cervello, e midollo spinale, e sensibilità, e sentimento, e coscienza, e volontà e così via. Ma intendo di parlar di cosa più modesta e prosaica; ossia di quelle concrete e precise forme di spirito, per cui ci appaiono così fatti com'erano i plebei di Roma di una determinata epoca, o gli artigiani di Firenze di quando scoppiò il moto dei Ciompi, o quei contadini di Francia, nei quali s'ingenerò, secondo l’espressione di Taine, l’anarchia spontanea dell’89, quei contadini, che divenuti poi liberi lavoratori e piccoli proprietarii, o aspiranti alla proprietà, da vincitori oltre i confini a breve andare si trasformarono in automatici istrumenti della reazione. Cotesta psicologia sociale, che nessuno può ridurre in astratti canoni, perché nella più parte dei casi è di sola descrittiva, è ciò che gli storici narratori, e gli oratori e gli artisti, e i romanzieri e gli ideologi di ogni maniera fino ad ora videro e conobbero come esclusivo oggetto di loro studio e delle loro invenzioni. A cotesta psicologia, che è la specificata coscienza degli uomini in date condizioni sociali, si riferiscono e si appellano gli agitatori, gli oratori, i diffonditori di idee. Noi sappiamo che essa è il portato, il derivato, l’effetto di determinate condizioni di fatto; - questa determinata classe, in questa determinata situazione per gli ufficii che adempie, per la soggezione in cui è tenuta, per la padronanza che esercita; - e poi classe, ed ufficii, e soggezione, e padronanza suppongono questa o quella determinata forma di produzione e di distribuzione dei mezzi immediati della vita, ossia una specifica struttura economica. Cotesta psicologia sociale, di sua natura sempre circostanziale, non è l’espressione del processo astratto e generico del così detto spirito umano. E’ sempre formazione specificata di specificate condizioni.

Per noi sta, cioè, indiscusso il principio, che non le forme della coscienza determinano l’essere dell’uomo, ma il modo d’essere appunto determina la coscienza (Marx). Ma queste forme della coscienza, come son determinate dalle condizioni di vita, sono anch’esse la storia. Questa non è la sola anatomia economica, ma tutto quello insiememente, che cotesta anatomia riveste e ricovre, fino ai riflessi multicolori della fantasia. O, a dirla altrimenti, non c’è fatto della storia che non ripeta la sua origine dalle condizioni della sottostante struttura economica; ma non c’è fatto della storia che non sia preceduto, accompagnato e seguito da determinate forme di coscienza, sia questa superstiziosa o sperimentata, ingenua o riflessa, matura o incongrua, impulsiva o ammaestrata, fantastica o ragionante.

 

 

IV.

Dicevo, qui poco innanzi, che la nostra dottrina obiettivizza, in un certo senso naturalizza la storia, invertendone la spiegazione dai dati alla prima evidenti delle volontà operanti a disegno, e delle ideazioni ausiliari all’opera, alle cause e ai moventi del volere e dell’operare, per trovar poi la coordinazione di tali cause e moventi nei processi elementari della produzione dei mezzi immediati della vita.

Ora in cotesto termine del naturalizzare si cela per molti una forte seduzione a confondere questo ordine di problemi con un altro ordine di problemi; e, cioè, ad estendere alla storia le leggi e i modi del pensiero, che parvero già appropriati e convenienti allo studio ed alla spiegazione del mondo naturale in genere e del mondo animale in ispecie. E perché il darwinismo è riuscito ad espugnare, col principio del trasformismo della specie, l'ultima cittadella della fissità metafisica delle cose, onde poi gli organismi diventan per noi le fasi ed i momenti di una vera e propria storia naturale, è parso a molti fosse ovvia e semplice impresa quella di assumere a spiegazione del divenire e del vivere umano storico i concetti, e i principii, e i modi di vedere cui venne subordinata la vita animale, che per le condizioni immediate della lotta per l'esistenza si svolge negli ambiti topografici della terra non modificati da opera di lavoro. Il darwinismo politico e sociale ha invaso, a guisa di epidemia, per non breve corso di anni, le menti di parecchi ricercatori, e assai più degli avvocati e dei declamatori della sociologia, ed è venuto a riflettersi, quale abito di moda e qual corrente fraseologica, perfino nel linguaggio cotidiano dei politicanti.

 

Qualcosa di immediatamente evidente e di intuitivamente plausibile pare, a prima vista, ci sia in cotesto modo di ragionare; il quale, poi, si contraddistingue principalmente per l'abuso dell'analogia, e per la fretta del conchiudere. L'uomo è senza dubbio un animale, ed è legato da rapporti di discendenza e di affinità ad altri animali. Non ha privilegio di origine, nè di struttura elementare, ed il suo organismo non è, se non un caso particolare della fisiologia generale. Il suo primo ed immediato terreno fu quello della semplice natura, non modificata da artificio di lavoro; e da ciò derivarono le condizioni imperiose ed inevitabili della lotta per l'esistenza, con le conseguenti forme di accomodazione. Di qui ebbero origine le razze, nel vero e genuino senso della parola, in quanto, cioè, sono determinazioni immediate di neri, di bianchi, di ulotrici, di lissotrici e cosi via, e non formazioni secondarie storico-sociali, ossia i popoli e le nazioni. Di qui i primitivi istinti di socialità, e, per entro al modo di vivere in promiscuità, i primi rudimenti della selezione sessuale.

Ma dell'uomo ferus primaevus, che possiamo ricostruirci in fantasia per combinazione di congetture, non è dato a noi di avere una empirica intuizione; come non ci è dato di determinare la genesi di quel hiatus, ossia di quella discontinuità, per la quale l'uman genere s'è trovato come distaccato dal vivere degli animali, e poi in seguito sempre superiore a questo. Tutti gli uomini, che ora vivono su la superficie della terra, e tutti quelli che vissutici in passato formarono oggetto di qualche apprezzabile osservazione, trovansi e trovavansi un buon tratto in qua dal momento in cui il vivere puramente naturale era cessato. Un qualche abito di convivenza, che sa di costume e d'istituzione, sia pur quello della forma più elementare a noi ora nota, ossia della tribù australiana, divisa in classi e col connubio di tutti gli uomini di una classe con tutte le donne di un'altra classe, distacca a grande intervallo il vivere umano dal vivere animale. A venire più in qua nella considerazione della gens materna, il cui tipo classico irocchese ha per opera del Morgan rivoluzionata la preistoria, dandoci al tempo stesso la chiave delle origini della storia propriamente detta, noi ci troviamo in una forma di società già di molto avanzata per complessità di rapporti. Ora nel grado di convivenza, che nel giro delle nostre conoscenze ci apparisce come elementarissimo, ossia nell'australiano, non solo la lingua assai complicata differenzia gli uomini da tutti gli altri animali (e lingua vuol dire condizione ed istrumento, causa ed effetto di socialità), ma la specificazione del vivere umano, oltre che per la scoverta del fuoco, è fissata nell'uso di molti altri mezzi artificiali per provvedere alla vita. Un ambito di terreno acquisito al girovagare di una tribù - un modo di cacciare - l'uso perfetto di certi istrumenti da difendersi, e da ferire, e il possesso di certi utensili da conservare le cose acquistate - e poi l'ornamento del corpo, e così via: - cioè, in fondo, quella vita poggia sopra un terreno artificiale, per quanto elementarissimo, sul quale gli uomini si provano di fissarsi e di adagiarsi, sopra un terreno che è alla fin fine la condizione di ogni ulteriore sviluppo. Secondo che questo terreno artificiale è più o meno formato, gli uomini che l'han prodotto e ci vivon su, si dicon più o meno selvaggi o barbari: e in quella prima formazione consiste ciò che di solito chiamiamo preistoria.

La storia, secondo l'uso letterario della parola, e cioè quella parte del processo umano che ha precisa consistenza di tradizione nella memoria, comincia quando il terreno artificiale è già un buon tratto formato. Ad esempio: la canalizzazione della Mesopotamia, ed eccoti l'antica Babilonide presemitica; - la derivazione del Nilo a scopo di coltura dei campi, ed eccoti l'antichissimo Egitto hamitico. Su cotesto terreno artificiale, che apparisce all'estremo orizzonte della storia ricordata, non vissero come non vivono ora, masse informi d'individui, ma consociazioni organate, che ripeteano come ripetono ora l'organamento loro da distribuzione di ufficii, ossia di lavoro, e da conseguenti ragioni e modi di coordinazione e di subordinazione. Tali relazioni, e vincoli, e modi di vita non resultarono, come non resultano, da ripetizione e fissazione di abiti sotto l'azione immediata della lotta animale per l'esistenza. Anzi suppongono il ritrovamento di certi istrumenti, e p. e. l'addomesticazione di certi animali, e la lavorazione dei minerali fino al ferro, l'introduzione della schiavitù, e così via, istrumenti e modi di economia, che prima differenziarono le comunanze le une dalle altre, e poi differenziarono nelle comunanze i componenti loro. In altre parole, le opere degli uomini, in quanto congregati, reagirono su gli uomini stessi. I loro trovati ed invenzioni, creando modi di vivere supernaturali, produssero non solo abiti e costumanze (vestimento, mangiare cucinato e simili) ma rapporti e vincoli di coesistenza, proporzionati e congrui al modo di produrre e di riprodurre i mezzi della vita immediata.

Quando la storia tramandata per memoria incomincia, l'economia è già nel suo funzionamento. Gli uomini lavorano per l'esistenza sopra di un campo, che fu in gran parte modificato dall'opera loro, e con istrumenti che sono del tutto opera loro. E da quel punto in poi hanno lottato per la posizione eminente degli uni su gli altri nell'uso di tali mezzi artificiali; e cioè, hanno lottato fra loro, in quanto servi e padroni, sudditi e signori, conquistati e conquistatori, sfruttati e sfruttatori; e dove han progredito, e dove han regredito, e dove si sono arrestati in una forma che non furon più capaci di superare, ma non son mai più ritornati al vivere animale, con la completa perdita del terreno artificiale.

Dunque la scienza storica ha per suo primo e principale oggetto la determinazione e la ricerca del terreno artificiale, e della sua origine e composizione, e del suo alterarsi e trasformarsi. Dire che tutto ciò non è se non parte e prolungamento della natura, è dir cosa, che per esser troppo astratta e generica, in fin delle fini conchiude poco.

Il genere umano vive soltanto nelle condizioni telluriche, e non è chi possa supporlo trapiantato altrove. In tali condizioni esso ha trovato, dalle primissime origini fino ai giorni nostri, i mezzi immediati allo sviluppo del lavoro, e cioè dire, così al progresso materiale, come alla sua formazione interiore. Tali condizioni naturali furono e son sempre indispensabili, così alla sporadica cultura dei nomadi, che coltivano qualche volta la terra per il solo pascolo degli animali, come ai raffinati prodotti della intensiva orticoltura moderna. Tali condizioni telluriche, come offersero le varie sorti di pietra atte alla lavorazione delle prime armi, così offrono ora nel carbon fossile l'alimento della grande industria; come offersero alle prime genti i giunchi ed i vimini da intessere, così offrono ora tutti i mezzi da cui derivasi la complicata tecnica della elettricità.

Non son però i mezzi naturali, essi stessi, che sian progrediti; anzi son gli uomini soltanto che progredirono, ritrovando via via nella natura le condizioni per produrre in nuove e sempre più complesse forme, per via del lavoro accumulato che è l'esperienza. Né questo progresso è quello solo che intendono i soggettivisti della psicologia, cioè una modificazione interiore, che sarebbe sviluppo proprio e diretto dell'intelletto, della ragione e del pensiero. Anzi è tale progresso interiore solo una linea secondaria e derivata, in quanto che c'è già progresso nel terreno artificiale, che è la somma dei rapporti sociali resultanti dalle forme e spartizioni del lavoro. Sarebbe per ciò vuota di senso l'affermazione, che tutto ciò non sia se non un semplice prolungamento della natura; se pure non si vuole usare cotesta parola nel senso tanto generico, da non indicare più nulla di preciso e di distinto, come è ciò che intendiamo per diverso dal fatto dell'uomo progressivamente operante.

La storia è il fatto dell’uomo, i quanto che l’uomo può creare e perfezionare i suoi istrumenti di lavoro, e con tali istrumenti può crearsi un ambiente artificiale, il quale poi reagisce nei suoi complicati effetti sopra di lui, e così com’è, e come via via si modifica, è l’occasione e la condizione del suo sviluppo. Mancano per ciò tutte le ragioni per ricondurre questo fatto dell’uomo, che è la storia, alla pura lotta per l’esistenza; la quale, se raffina ed altera gli organi degli animali, e in date circostanze e in dati modi occasiona il generarsi e lo svolgersi di organi nuovi, non produce però quel moto continuativo, perfezionativo e tradizionale che è il processo umano. Non c’è luogo qui, nella nostra dottrina, né a confondersi col darwinismo, né a rievocare la concezione di una qualunque forma, o mitica, o mistica, o metaforica di fatalismo. Perché, se è vero che la storia poggia innanzi tutto su lo svolgimento della tecnica; e, cioè dire, se è vero, che per effetto del successivo ritrovamento degli istrumenti si generarono le successive spartizioni del lavoro, e con queste poi le disuguaglianze, nel cui concorso più o meno stabile consiste il così detto organismo sociale, gli è altrettanto vero che il ritrovamento di tali istrumenti è causa ed effetto ad un tempo stesso di quelle condizioni e forme della vita interiore, che noi, isolandole nella astrazione psicologica, chiamiamo fantasia, intelletto, ragione, pensiero e cosi via. Producendo successivamente i vani ambienti sociali, ossia i successivi terreni artificiali, l'uomo ha prodotto in pari tempo le modificazioni di se stesso; e in ciò consiste il nocciolo serio, la ragione concreta, il fondamento positivo di ciò che, per varie combinazioni fantastiche e con varia architettura logica, dà luogo presso gli ideologisti alla nozione del progresso dello spirito umano.

Nondimeno l'espressione del naturalizzare la storia, che intesa in senso troppo lato e generico può dare occasione agl'indicati equivoci, quando venga invece usata con la debita cautela e in modo approssimativo, compendia in breve la critica di tutte le vedute ideologiche, le quali nella interpretazione della storia partono dal presupposto, che opera o attività umana sia la stessa cosa che arbitrio, elezione e disegno.

Ai teologi tornava facile e comodo di ricondurre il corso delle cose umane ad un piano o disegno, perché saltavano a piè pari dall'esperienza ad una mente presunta che regoli l'universo. I giuristi, che ebbero per primi occasione a ritrovare nelle istituzioni che formano oggetto dei loro studii un certo filo conduttore di forme che si succedono con una qualche evidenza, trasferirono, come trasferiscono tutt'ora senza grande imbarazzo, la ragion ragionante, che è il loro mestiere, alla spiegazione di tutta la vasta materia sociale, che è tanto complicata. I politici, i quali piglian naturalmente le mosse loro dall'esperienza di ciò che i direttori dello stato, o per l'acquiescenza delle masse soggette, o profittando delle antitesi degl'interessi dei vani gruppi sociali, possono volere ed eseguire a disegno, di proposito e con intenzione, sono inclinati a vedere nel succedersi delle cose umane soltanto il variare di tali disegni, propositi ed intenzioni. Ora la nostra concezione, rivoluzionando nei fondamenti le presupposizioni dei teologi, dei giuristi e dei politici, mette capo all’assunto, che opera ed attività umana in genere non è sempre una medesima cosa, nel corso della storia, con la volontà che operi a disegno, con piano preconcetti, e con la libera scelta dei mezzi; ossia non è una e medesima cosa con la ragion ragionante. Tutto ciò che è accaduto nella storia è opera dell’uomo; ma non fu né è, se non assai di rado, di elezione critica, e di arbitrio ragionante; ma anzi fu ed è di necessità, che, determinata dai bisogni e dalle occasioni esterne, genera esperienza e sviluppo di organi interni e d esterni. Tra questi organi sono anche l’intelletto e la ragione, resultati e conseguenze anch’essi di esperienza ripetuta ed accumulata. La formazione integrale dell'uomo, per entro allo sviluppo storico, non è oramai più un dato ipotetico, né una semplice congettura; ma è una verità intuitiva e palmare. Le condizioni del processo che genera progresso sono oramai riducibili in serie di spiegazioni; e noi, fino ad un certo punto, abbiamo come sott'occhi lo schema di tutti gli sviluppi storici morfologicamente intesi. Questa dottrina è la negazione recisa e definitiva di ogni ideologia, perché è la negazione esplicita d'ogni forma di razionalismo; intendendosi sotto cotal nome il preconcetto, che le cose nella loro esistenza ed esplicazione rispondano ad una norma, ad un ideale, ad una stregua, ad un fine in modo esplicito o implicito che siasi. Tutto il corso delle cose umane è una somma, anzi è tante serie di condizioni, che gli uomini si son fatte e poste da sé per la esperienza accumulata nella variabile convivenza sociale; ma non presenta, né l'approssimazione ad una presegnata meta, né la deviazione da un primo principio di perfezione e di felicità. Il progresso stesso non implica se non la nozione di cosa empirica e circostanziata, che presentemente piglia chiarezza e precisione nelle nostre menti, perché, per lo sviluppo finora avveratosi, noi siamo in grado di valutare il passato, e di prevedere, ossia d'intravedere in un certo senso e in una certa misura, l'avvenire.

 

 

 

V.

Per cotal modo un grave equivoco rimane chiarito, e il pericolo che ne deriva viene ad esser rimosso. Ragionevole e fondata è la tendenza di coloro i quali mirano a subordinare tutto l'insieme delle cose umane, considerate nel loro corso, alla rigorosa concezione del determinismo. Priva, all'incontro, d'ogni fondamento è la identificazione di tale determinismo derivato, riflesso e complesso, con quello della immediata lotta per l'esistenza, la quale si eserciti e si svolga sopra un campo non modificato da opera continuativa di lavoro. Legittima e fondata, in modo assoluto, è la spiegazione storica, la quale proceda invertendo dai presunti voleri a disegno, che avrebbero regolato di proposito le fasi varie della vita, ai moventi ed alle cause obiettive di ogni volere, che son da ritrovare nelle condizioni di ambiente, di terreno, di mezzi disponibili, di circostanzialità della esperienza. Ma è, invece, priva di qualsiasi fondamento quella opinione, la quale mira alla negazione di ogni volontà, per via di una veduta teoretica, che vorrebbe sostituito al volontarismo l'automatismo; anzi questa è al postutto una semplice e schietta fatuità.

Dovunque i mezzi tecnici siano sviluppati fino ad un certo punto, dovunque il terreno artificiale abbia acquistata una certa consistenza e dovunque le differenziazioni sociali e le antitesi che ne conseguitano abbiano creato, e il bisogno, e la possibilità, e le condizioni di un organamento più o meno stabile od instabile, ivi sempre e necessariamente spuntan fuori i meditati disegni, i propositi politici, i piani di condotta, i sistemi di diritto, e poi le massime e i principii generali ed astratti. Nell’ambito di tali prodotti e di tali sviluppi derivati e complessi, e dirò di secondo grado, nascono anche le scienze, e le arti, e la filosofia, e la erudizione e la storia come genere letterario di produzione. Cotesto ambito è quello dei razionalisti ed ideologi, ignorandone i fondamenti reali, chiamarono e chiamano tuttora, in modo esclusivo, la civiltà. Perché, di fatti, si è dato e si dà il caso, che alcuni uomini, e soprattutto gli addottrinati di mestiere, fossero essi laici o preti, trovassero e trovino modo di vivere intellettualmente nella chiusa cerchia dei prodotti riflessi e secondarii della civiltà, e potessero e possano poi sottoporre tutto il resto alla veduta soggettiva, che essi in tale situazione si formano: e in ciò è la origine e la spiegazione di ogni ideologia. La nostra dottrina ha superato in modo definitivo l’angolo visuale di qualsiasi ideologia. I meditati disegni, i propositi politici, le scienze, i sistemi di diritto e così via, anzi che essere il mezzo e l’istrumento della spiegazione della storia, sono appunto la cosa che occorre di spiegare; perché derivano da determinate condizioni e situazioni. Ma ciò non vuol dire che siano mere apparenze, e bolle di sapone. L’esser quelle delle cose divenute e derivate da altre non implica che non sian cose effettuali: tanto è che son parse per secoli alla coscienza non scientifica, e alla coscienza scientifica ancora in via di formazione, le sole che veramente fossero.

Ma con ciò non è detto tutto.

Anche la nostra dottrina può dar luogo alla tentazione del fantasticare, e può offrire occasione ed argomento ad una nuova ideologia a rovescio. Essa è nata nel campo di battaglia del comunismo. Suppone l’apparizione del proletariato moderno su l’arena politica, e suppone quella orientazione, su le origini della società attuale, che ci ha permesso di rifare criticamente tutta la genesi della borghesia. E’ dottrina rivoluzionaria per due rispetti: perché ha trovato le ragioni e i modi di sviluppo della rivoluzione proletaria, che è in fieri; e perché, di ogni altra rivoluzione sociale avveratasi in passato, si argomenta di trovare le cause e le condizioni di svolgimento in quei contrasti di classe, i quali giunsero ad un certo punto critico per la contraddizione tra le forme della produzione e lo sviluppo delle forze produttive. E c’è poi dell’altro. Alla luce di questa dottrina l’essenziale della storia consiste per l’appunto in tali momenti critici, e ciò sta di mezzo tra l’uno e l’altro di cotesti momenti si fa conto, almeno per ora, di abbandonarlo alle erudite cure dei narratori ed espositori di mestiere. Come dottrina rivoluzionaria è essa innanzi tutto la coscienza intellettuale del moto proletario presente, nel quale secondo l'assunto nostro, si prepara di lunga mano l'avvento del comunismo: tanto è, che i decisi avversari del socialismo la respingono come opinione, che, sotto apparenze di scienza, non faccia che ripetere la ben nota utopia socialistica.

Per tale condizione di cose può darsi bene il caso, e di fatti s’è pur già dato in parte, che la fantasia degl'inesperti d'ogni arte di ricerca storica, e lo zelo dei fanatici, trovi stimolo ed occasione perfino nel materialismo storico a foggiare una nuova ideologia, e a trarre da esso una nuova filosofia della storia sistematica, cioè schematica, ossia a tendenza e a disegno. Né c'è cautela che basti. L'intelletto nostro raramente s'appaga della ricerca schiettamente critica, ed è sempre propenso a convertire in elemento di pedanteria ed in novella scolastica qualunque trovato del pensiero. A farla breve, anche la concezione materialistica può essere convertita in forma di argomentazione a tesi, e servire a rimettere in nuove fogge pregiudizii antichi; come era quello di una storia dimostrata, dimostrativa e dedotta.

Perché ciò non accada, e specie perché non riapparisca per vie indirette e per modi dissimulati una qualunque forma di finalità, su due punti bisogna essere in chiaro: e cioè dire, che le condizioni storiche a noi note son tutte circostanziate; e che il progresso fu fino ad ora circoscritto da molteplici impedimenti, e per ciò fu sempre parziale e limitato.

 

Una parte sola, e fino ai tempi recentissimi una parte non grande del genere umano ha per intero percorso gli stadii tutti del processo, per effetto del quale le nazioni più progredite son giunte alla società civile moderna, con le forme di avanzata tecnica fondate su le scoverte della scienza, e con tutte le conseguenze politiche, intellettuali, morali e così via, che a tale sviluppo sono rispettive e consentanee. Accanto agl'inglesi - tanto per accennare all'esempio più stridente - che, trasportando seco nella Nuova Olanda i mezzi europei, vi han creato un centro di produzione, che già tiene un posto notevole nella concorrenza del mercato mondiale, vivono tuttora come fossili della preistoria gl'indigeni australiani, capaci solo di estinguersi, ma incapaci di adattarsi alla civiltà, che fu non sopra di essi ma accanto ad essi importata. Nell'America, e specie in quella del Nord, la serie dei procedimenti che vi han dato luogo allo sviluppo della società moderna, cominciò con la importazione dall'Europa delle piante, degli animali e degl'istrumenti dell'agricoltura, il cui uso ab antico avea ingenerato la secolare civiltà del Mediterraneo: ma tal moto rimase tutto rinchiuso nella cerchia dei discendenti dei conquistatori e dei coloni, mentre gli indigeni, o si disperdono nella massa di nuova formazione, per le vie naturali della mistura di razza, o deperiscono e spariscono affatto. L'Asia anteriore e l'Egitto, che già in tempi antichissimi, come prima culla di tutta la nostra civiltà, dettero luogo alle grandi formazioni semipolitiche, le quali seguono le prime fasi della storia accertata e ricordata, ci appaiono da secoli come le cristallizzazioni di forme sociali incapaci di muoversi da sè per nuove fasi di sviluppo. Sta sopra di loro la secolare pressione del barbarico accampamento, che è la dominazione turca. In quella massa irrigidita, o s'incunea per dissimulate vie una amministrazione alquanto ammodernizzata, o in nome esplicito degl'interessi commerciali s'insinuano la ferrovia ed il telegrafo, avamposti coraggiosi della conquistatrice banca europea.

Tutta quella massa irrigidita non ha speranza di ripigliar vita, calore e movimento, se non per la rovina della dominazione turca, cui si vada surrogando, nei diversi possibili modi di conquista diretta o indiretta, la signoria o il protettorato della borghesia europea. Che un processo di trasformazione dei popoli arretrati, o arrestatisi nel loro cammino, possa avverarsi ed affrettarsi per esterni influssi, sta lì l'India a provarlo, che già vivace ancora di sua propria vita, sotto l'azione poi dell'Inghilterra rientra ora con vigore nella circolazione della operosità internazionale, per fino nei suoi prodotti intellettuali. Né sono questi i soli contrasti nella fisionomia storica dei contemporanei. Ecco, mentre lì nel Giappone, per un fenomeno acuto e spontaneo di imitazione, si sviluppa in men di trent'anni una certa relativa assimilazione della civiltà occidentale, che muove già normalmente le energie proprie del paese stesso, il diritto e l'imposizione della conquista russa trae nella cerchia della industria moderna, e anzi della grande industria, qualche punto notevole dei paesi oltre il Caspio. La mole gigantesca della Cina ci è apparsa fino a pochi anni fa quasi immobile nell'atavistico assetto delle sue istituzioni, tanto vi è lento ogni movimento: mentre, per ragioni etniche e geografiche, quasi tutta l'Africa rimaneva impermeabile, e, fino agli ultimi tentativi di conquista e di colonizzazione, pareva non dovesse offrire all'azione della civiltà, che il solo suo perimetro, come fossimo, non che ai tempi dei portoghesi, a quelli dei greci e dei cartaginesi.

Tali differenziazioni degli uomini, sul cammino della storia e della preistoria, ci paiono spiegabilissime, quando c'è modo di ricondurle alle condizioni naturali ed immediate, che impongano limiti allo sviluppo del lavoro. Questo è il caso dell'America, la quale, fino alla apparizione degli europei, non avea che una sola granaglia, il mais, e un solo animale addomesticabile ad uso di lavoro, il lama: e noi possiamo rallegrarci, che gli europei, importandovi con se stessi e coi loro istrumenti il bue, e l'asino, e il cavallo, e il frumento, e il cotone e la canna da zucchero e il caffè, e da ultimo la vite e l'arancio, v'abbiano creato un nuovo mondo della gloriosa società che produce le merci, la quale, con inaudita rapidità di moto, vi ha già percorso le due fasi della più nera schiavitù e del più democratico salariato. Ma là dove c'è stato un vero arresto, e anzi un documentato regresso, come nell’Asia anteriore, nell'Egitto, nella penisola dei Balcani e nell’Africa settentrionale, e tale arresto non può attribuirsi al differenziarsi delle condizioni naturali, ivi noi ci troviamo dinanzi ad un problema, che aspetta la soluzione sua dallo studio diretto ed esplicito della struttura sociale, guardata così nei modi interni del suo divenire, come negl’intrecci e nelle complicazioni dei varii popoli, su quel terreno che più ordinariamente dicesi arena delle lotte storiche.

Questa stessa Europa civile, che per continuità di tradizione presenta lo schema più completo di processo, tanto che su cotesto modello furono ideati e fino ad ora costruiti tutti i sistemi di filosofia storica; questa stessa Europa occidentale e mediana, che ha prodotto l'epoca dei borghesi, e tale forma di società ha cercato e cerca d'imporre a tutto il mondo, con vari modi di conquista diretta o indiretta, non è tutta uniforme in sé, nel grado di suo sviluppo, e le sue diverse conglomerazioni nazionali, regionali e politiche appaiono come distribuite sopra di una scala di molto graduata. Da tali differenze dipendono le condizioni di relativa superiorità od inferiorità di paese a paese, e le ragioni più o meno vantaggiose o svantaggiose dello scambio economico; e di qui per la più parte dipesero, come tuttora dipendono, e gli attriti, e le lotte, e i trattati e le guerre, e quanto altro mai, con maggiore o con minor precisione, seppero narrarci gli storici politici dalla Rinascenza in qua, e certo con cresciuta evidenza da Luigi XIV e da Colbert in poi.

Questa Europa stessa è assai variopinta. Ecco qui la fioritura massima della produzione industriale e capitalistica, cioè dire in Inghilterra; e in altri punti vive, o rigoglioso o rachitico, l'artigianato, come da Parigi a Napoli, tanto per cogliere il fatto nei suoi estremi. Qui la campagna è quasi per intero industrializzata, com'è di nuovo in Inghilterra; ed ecco che altrove vegeta, in molteplici forme tradizionali, l'idiotico contadiname, come in Italia ed in Austria, anzi in questo paese più che da noi. Mentre in un paese l'azienda politica dello stato - come si conviene alla prosaica coscienza di una borghesia, che sa il fatto suo, perché il posto che tiene se l'è veramente conquistato da sè - viene esercitata nei modi più sicuri e palesi di un esplicito dominio di classe (non è chi non intenda che parlo della Francia); altrove, e segnatamente in Germania, le vecchie abitudini feudali, l'ipocrisia protestante, e la viltà di una borghesia che sfrutta le favorevoli contingenze economiche senza portarci dentro, né spirito, né coraggio rivoluzionario, mantengono all’ente stato le mentite apparenze di una missione etica da compiere (- oh zucconi e parrucconi di professori tedeschi, in quante salse poco appetitose e digeribili avete voi cucinata cotesta etica dello stato, prussiano per giunta! -). Qua e là la produzione moderna capitalistica s'incunea nei paesi, che per altri rispetti non entrano nel nostro movimento, e specie in quello della politica, come è il caso della infelice Polonia; ovvero tal forma s'insinua solo per indiretto, come nella Slavia meridionale.

Ma ecco qui il contrasto più acuto, che pare destinato a metterci come in compendio sott'occhi tutte le fasi anzi gli estremi della nostra storia. La Russia non ha potuto avviarsi, come ora di fatto si avvia, alla grande industria, se non pompando dall'Europa occidentale, e specie dal grazioso sciovinismo francese, quel danaro, che essa invano si sarebbe provata a trarre da se stessa, ossia dalle condizioni della sua obesa massa territoriale, su la quale, con vecchie forme economiche, vegetano cinquanta milioni di contadini. Ora la Russia, per diventare una società economicamente moderna, il che probabilmente vi prepara le condizioni di una rispondente rivoluzione politica, fu tratta a distruggere gli ultimi avanzi del comunismo agrario, che in essa eransi fino a poco tempo fa conservati in forme tanto caratteristiche, e in tanta estensione: (né qui importa di decidere se quello fosse comunismo primitivo, o secondario, come alcuni ritengono). La Russia deve imborghesirsi e, per far ciò, deve innanzi tutto convertire la terra in merce, che sia capace di produrre merci, e al tempo stesso trasformare in proletarii e pezzenti gli ex-comunisti della campagna. Ed ecco che, invece, nell'Europa occidentale e centrale ci troviamo al punto opposto della serie di sviluppo, che nella Russia comincia appena. Qui da noi, dove la borghesia con varia fortuna, e vincendo impedimenti tanto diversi, ha percorso già tanti stadii del suo sviluppo, non la memoria del comunismo primitivo, che a mala pena rivive per erudite combinazioni nelle teste dei dotti, ma la stessa forma della produzione borghese genera nei proletarii la tendenza al socialismo, che si presenta nei suoi generali contorni come indizio di una nuova fase della storia, e, cioè, non come la ripetizione di ciò che fatalmente finisce nella Slavia sotto agli occhi nostri.

Chi è che non veda in cotesta esemplificazione, che io non ho cercata ad arte, e che anzi m'è venuta quasi a caso e disordinatamente fuori della penna, in cotesta esemplificazione, dico, che può essere indefinitamente prolungata in un libro di geografia economico-politica del mondo attuale, la prova evidente del come le condizioni storiche son tutte circostanziate nelle forme di loro sviluppi? Non solo le razze e i popoli, e le nazioni, e gli stati, ma le parti delle nazioni e le regioni varie degli stati, e poi i ceti e le classi si trovano come su tanti gradini di una assai lunga scala, o anzi su diversi punti di una curva a grande e complicato svolgimento. Il tempo storico non è corso uniforme per tutti gli uomini. Il semplice succedersi delle generazioni non fu mai l'indice della costanza e della intensità del processo. Il tempo come astratta misura di cronologia, e le generazioni succedentisi in termini approssimativi di anni, non dànno criterio né recano indicazione di legge o di processo. Gli sviluppi furono finora varii, perché varie furono le opere compiute in una e medesima unità di tempo. Fra tali forme varie di sviluppo c'è affinità, anzi c'è similarità di moventi, ossia c'è analogia di tipo, ossia c'è omologia: tanto che le forme avanzate possono, per semplice contatto, o con la violenza, accelerare lo svolgimento delle forme arretrate. Ma l'importante è d'intendere, che il progresso, la cui nozione è non solo empirica, ma sempre circostanziata e per ciò limitata, non istà sul corso delle cose umane come un destino od un fato, né qual comando di legge. E per ciò la nostra dottrina non può esser volta a rappresentare tutta la storia dell'uman genere in una veduta comunque prospettica o unitaria, la quale ripeta, mutatis mutandis, la filosofia storica a disegno come da sant'Agostino ad Hegel, o anzi, meglio, dal profeta Daniele al signor De Rougemont.

La nostra dottrina non pretende di essere la visione intellettuale di un gran piano o disegno, ma è soltanto un metodo di ricerca e di concezione. Non a caso Marx parlava della sua scoverta come di un filo conduttore. E per tal ragione appunto è analoga al darwinismo, che anch'esso è un metodo, e non è, nè può essere, una ammodernata ripetizione della costruita e costruttiva Naturphilosophie, a uso Schelling e compagni.

 

A scorgere nella nozione del progresso la indicazione di qualcosa di circostanziato e di relativo fu primo il geniale Saint-Simon, che tal suo pensiero contrappose alla dottrina del secolo decimottavo, in buona parte culminante in Condorcet. A cotesta dottrina, che potrebbe dirsi unitaria, egalitaria, formale, perché è quella che considera l'uman genere come svolgentesi su di una linea processuale, Saint-Simon contrappose il concetto delle facoltà e delle attitudini, che si surrogano e si compensano; e per tal modo rimase ideologo.

A penetrare le ragioni effettive della relatività del progresso occorreva ben altro. Bisognava innanzi tutto rinunziare a quei pregiudizii, i quali sono impliciti nella credenza, che gl'impedimenti alla uniformità del divenire umano riposino esclusivamente sopra cause naturali ed immediate. Cotesti impedimenti naturali, o sono assai problematici, come è il caso delle razze, nessuna delle quali ha in sé l'ingenito privilegio della storia, o sono, come nel caso delle differenze geografiche, insufficienti a spiegare lo svolgersi di condizioni storico-sociali affatto difformi sopra uno e medesimo terreno topografico. E come il moto storico nasce per l'appunto quando gl'impedimenti naturali furono già in buona parte, o superati, o notevolmente circoscritti per mezzo della creazione di un terreno artefatto, sul quale fosse dato agli uomini di venirsi ulteriormente sviluppando, gli è chiaro perciò, che i consecutivi impedimenti alla uniformità del progresso siano da cercare nelle condizioni proprie ed intrinseche della struttura sociale stessa.

Questa struttura ha messo fino ad ora capo in forme di organamento politico, la cui somma è il tentativo di tenere in equilibrio le disuguaglianze economiche: il che fa, che cotesto organamento, come ho più volte detto, sia di continuo instabile. Da che ci è storia ricordata essa è storia della società che o tende a formare lo stato, o lo stato ha già portato a compimento. E lo stato è la lotta all'interno, o vivamente e in atto, o da poco vinta, o come che siasi per alcun tempo sopita e sedata. E lo stato è anche la lotta all'esterno, o per assoggettare altri popoli, o per colonizzare altri paesi, o per esportare i prodotti sopra altri mercati, o per scaricare la popolazione esuberante, e cosi via. E lo stato è tale lotta all'interno e all'esterno, perché è innanzi tutto l'organo e l'istrumento di una parte più o meno grande della società contro tutto il resto della società stessa, in quanto che questa essenzialmente poggia su la signoria economica degli uomini su gli uomini, in modi più o meno diretti ed espliciti, secondo che il vario grado di sviluppo della produzione e dei suoi mezzi naturali e dei suoi istrumenti artificiali esiga, o la schiavitù immediata, o la servitù della gleba, o il libero salariato. Questa società delle antitesi, che si regge a stato, è sempre, per quanto in varie forme e modi, la opposizione della città e della campagna, dell'artigiano e del contadino, del proletario e del padrone, del capitalista e del lavoratore, e così via da non finirla; e mette sempre capo, con varie complicazioni e modalità, in una gerarchia, o che ciò accada per quadro fisso di privilegio come nel Medioevo, o che, nelle dissimulate forme del diritto presuntivamente eguale per tutti, ciò si avveri per l'azione automatica della concorrenza economica, come è ora.

A cotesta gerarchia economica corrisponde in vario modo nei varii paesi, tempi e luoghi, starei per dire, una gerarchia degli animi, degl'intelletti, degli spiriti. Cioè dire la coltura, nella quale appunto gli idealisti ripongono la somma del progresso, fu ed è per necessità di fatto assai disugualmente distribuita. La maggior parte degli uomini, per la qualità delle cure e delle occupazioni cui attende si trova ad essere come di individui disintegrati, fatti in pezzi, resi incapaci di uno sviluppo completo e normale. Alla economica delle classi, ed alla gerarchia delle situazioni sociali, risponde la psicologia delle classi, La relatività del progresso è per noi, dunque, la conseguenza inevitabile delle antitesi di classe. In queste antitesi sono gl’impedimenti, pei quali rimane spiegata la possibilità del relativo regresso, fin giù giù alla degenerazione e allo sfacelo di una intera società. Le macchine, che segnano il trionfo della scienza, divengono, per le condizioni antitetiche della compagine sociale, gli istrumenti da proletarizzare milioni e milioni di già liberi artigiani e contadini. I progressi della tecnica, che arricchiscono di comodi le città, rendono più misera ed abietta la condizione dei contadini, e nelle città stesse più umile la condizione degli umili. I progressi tutti del sapere servirono fino ad ora a differenziare il ceto degli addottrinati, e a mettere sempre a maggior distanza dalla coltura le masse, che, intese all’incessante lavoro di tutti i giorni, di questo alimentano la società tutta intera.

Il progresso fu ed è fino ad ora parziale ed unilaterale. Le minoranze che vi partecipano dicono sia questo il progresso umano; e i burbanzosi evoluzionisti chiamano ciò natura umana che si svolge. Tutto cotesto progresso parziale, che si è fino ad ora svolto nella pressione degli uomini su gli uomini, ha suo fondamento nelle condizioni di opposizione, per cui le antitesi economiche han generato tutte le antitesi sociali, e dalla relativa libertà di alcuni è nata la servitù di moltissimi; e il diritto è stato l’auspice della ingiustizia. Il progresso visto così, ed appreso nella sua chiara nozione, ci appare come il compendio morale ed intellettuale di tutte le umane miserie, e di tutte le materiali disuguaglianze.

A scovrirvi la inevitabile relatività occorreva che il comunismo, sorto dapprima come moto istintivo nell’animo degli oppressi, diventasse scienza e politica. E occorreva poi, che la nostra dottrina desse la misura del valore di tutta la storia passata, scovrendo in ogni forma di organamento sociale, che fosse di origine e di assetto antitetico, come tutte furono fino ad ora, la ingenita incapacità a produrre le condizioni di un progresso umano universale ed uniforme; scovrendovi, cioè, gl’impedimenti i quali fanno sì che il benefizio si converta in malefizio.

 

 

 

 

 

 

VI.

A una domanda noi non possiamo sottrarci, ed è questa; donde ebbe origine la credenza nei fattori storici? Cotesta espressione ricorre assai di frequente per le menti e per gli scritti di molti eruditi, scienziati e filosofi, e di quegli espositori, i quali, o ragionando o combinando, si dilungano alquanto dalla mera narrazione, e di tale opinione si giovano, come di presupposto per orientarsi su la ingente massa dei fatti umani, che, a prima vista e nella immediata considerazione, appaiono tanto confusi e irriducibili. Cotesta credenza, cotesta opinione corrente è diventata presso gli storiografi ragionatori, o a dirittura razionalisti, una semidottrina, che di recente fu più volte addotta, quale argomento decisivo, contro la teoria unitaria della concezione materialistica. Gli è, anzi, tanto radicata la credenza, ed è tanto diffusa la opinione, che la storia non si possa intenderla, se non come incontro ed incidenza di diversi fattori, che molti di quelli i quali parlano di materialismo sociale, sia in favore o sia contro, credono di cavarsi d'ogni impaccio quando affermano, che tutta questa dottrina qui consista poi in ultimo nell'attribuire la prevalenza o l'azione decisiva al fattore economico.

Certo gli è che importa di rendersi conto del come cotesta credenza, o opinione, o semidottrina abbia avuto origine perché la verace ed effettiva critica consiste principalmente nel riconoscere e nell'intendere i motivi di ciò che dichiariamo errore. Non basta di respingere una opinione, col designarla spicciativamente per erronea. L'errore dottrinale è nato sempre da qualche lato male inteso di una esperienza incompleta, o da qualche imperfezione soggettiva. Non basta respingere l'errore; bisogna vincerlo, e superarlo, spiegando/o.

Ogni storico, che cominci a narrare, compie, per cosi dire, un atto di astrazione. Innanzi tutto eseguisce come un taglio in una serie continuativa di avvenimenti; e poi prescinde da molti e svariati presupposti e precedenti, e anzi spezza e scompone una intricata tela. Per cominciare bisogna pure che fissi un punto, una linea, un termine, di sua elezione, e dica p. e.: vogliamo raccontare come ebbe inizio la guerra tra greci e persiani; vediamo come Luigi XVI venne nella risoluzione di convocare gli Stati Generali. Il narratore si trova, insomma, dinanzi ad un complesso di fatti accaduti, e di fatti che stanno per accadere, i quali, nel tutt'insieme, appariscono come una configurazione. In tale suo atteggiamento ha origine il modo d'essere e lo stile di ogni racconto; perché, ad ordirlo, occorre pigliar le mosse da cose già divenute, per poi vedere come continuino nel divenire.

E pure in quel complesso bisogna introdurre un certo sentimento di analisi, risolvendolo in varii gruppi e in varii aspetti di fatti, od in elementi concorrenti, che appariscono poi ad un certo punto come delle categorie per sé stanti. Ecco: qui è lo stato in una certa forma e con certi poteri; e qui son le leggi, che determinano, per comando o per proibizione, certi rapporti; e qui son gli abiti e i costumi, che rivelano tendenze, bisogni, e modi di pensare, di credere, di fantasticare; e nell'insieme si vede una moltitudine d'uomini conviventi e collaboranti, con spartizione di ufficii e di occupazioni; e poi si notano i pensieri, le idee, le inclinazioni, le passioni, i desiderii, le aspirazioni, che da cotesto variopinto modo di coesistenza e dai suoi attriti in determinate maniere si sprigionano e sviluppano. Avviene una mutazione, e questa si rivela in uno dei lati od aspetti del complesso empirico, o in tutti essi in maggiore o in minore spazio di tempo: p. e. lo stato slarga i suoi confini esterni, o altera i suoi limiti interni verso la società, crescendo o diminuendo di poteri e di attribuzioni, o cambiando di forma nell'esercizio di quelli e di queste; ovvero il diritto muta le sue disposizioni, o s'esprime ed afferma in nuovi organi; ovvero, da ultimo, dietro al cambiamento delle abitudini esterne cotidiane, si rivela un cambiamento nei sentimenti, e nei pensieri, e nelle inclinazioni degli uomini variamente distribuiti nelle diverse classi sociali, le quali si rimescolano, si alterano, si spostano, si fondono o rinnovano. Ad intendere tutto ciò, in quanto e per il modo come apparisce alla prima e si disegna alla ordinaria attenzione, bastano le comuni doti della intelligenza normale, di quella, intendo dire, che non è sussidiata ancora, né corretta o completata dalla scienza propriamente detta. Chiudere in precisi confini un insieme di tali mutazioni, ecco l'oggetto vero e proprio della narrazione la quale riesce tanto più perspicua, efficace e plasmata, quanto è più monografica: p. e. Tucidide nella guerra del Peloponneso.

La società già in un certo modo divenuta, la società già arrivata ad un certo grado di sviluppo, la società giù tanto complicata da nascondere il sottostrato economico che il resto sorregge, non si è rivelata ai puri narratori, se non in quegli apici visibili, in quei resultati più appariscenti, in quei sintomi più significativi, che son le forme politiche, le disposizioni di legge e le passioni di parte. Il narratore, oltre che per la mancanza di una dottrina teoretica su le fonti vere del movimento storico, per l'atteggiamento stesso che egli assume di fronte alle cose che coglie nelle apparenze del loro divenire, non può ridurre questo ad unità, se non nell'aspetto della sola intuizione immediata; e, se è artista, cotesta intuizione gli si colorisce nell'animo, e vi si trasmuta in azione drammatica. Il suo ufficio è adempiuto, se egli riesce ad inquadrare un certo numero di fatti e di accadimenti entro termini e confini, su i quali lo sguardo possa muoversi come su chiara prospettiva; alla stessa guisa, che il geografo puramente descrittivo ha fatta per intero la parte sua, se racchiude in vivo e perspicuo disegno la concorrenza delle cause fisiche che determinano l'intuitivo aspetto, poniamo del golfo di Napoli, senza punto risalire alla genesi di esso.

In cotesto bisogno della configurazione narrativa è la occasione prima, intuitiva, palpabile, e direi quasi estetica ed artistica, di tutte quelle astrazioni e generalizzazioni, che da ultimo mettono capo nella semidottrina dei così detti fattori.

Qui sono due uomini insigni, i Gracchi, che vollero arrestare il processo di appropriazione dell'ager publicus, o impedire l'agglomerazione del latifondo, per cui diminuisce o cessa del tutto di esistere la classe dei piccoli proprietarii, ossia degli uomini liberi, che son fondamento e condizione della vita democratica della città antica. Quali furono le cause del loro insuccesso? Il loro disegno è chiaro: l'animo loro, la loro origine, il loro carattere, il loro eroismo lo illustrano. E stanno contro a loro altri uomini, con altri interessi e con altro animo. La contesa non si disegna dapprima alla mente se non come lotta di propositi e di passioni, la quale si svolge e riesce a termine con quei mezzi che consentono le forme politiche dello stato, e l'uso o l'abuso dei poteri pubblici. Ecco lì l'ambiente: la città dominatrice in diversi modi, sopra altre città, o sopra territori sforniti d'ogni carattere di autonomia; e dentro di quella città una avanzata differenziazione di ricchi e di poveri; e di fronte alla schiera non numerosa dei sopraffacitori e dei prepotenti, immensa la massa dei proletarii, che stan per perdere o han già perduta la coscienza e la forza politica d'una plebe di cittadini, la massa che si lascia per ciò ingannare e corrompere, e a breve andare finirà per imputridire, qual servile accessorio degli sfruttatori di maggior grado. Questa la materia del narratore, al quale non è dato di rendersi conto del fatto, se non nelle condizioni immediate del fatto stesso. L'unità intuitiva è la scena su la quale i casi si svolgono, e perché il racconto abbia rilievo, intreccio e prospettiva, occorrono dei punti di orientazione e dei mezzi di riduzione.

In ciò consiste la origine prima di quelle astrazioni, per cui i lati varii di un determinato complesso sociale vengono, poco per volta, distratti dalla loro qualità di semplici aspetti di un insieme, e via via generalizzati menano poi alla dottrina dei presunti fattori.

Questi, in altri termini, intendo dire dei fattori, si originano nella mente, per via della astrazione e della generalizzazione degli aspetti immediati del movimento apparente, e stanno alla pari con tutti gli altri concetti empirici, i quali, sorti che siano in ogni altro campo del sapere, vi si mantengono, finché, o non vengano ridotti ed eliminati per via di nuova esperienza, o non si trovino riassorbiti da una concezione più generale, che sia genetica, evolutiva, dialettica.

Non era forse necessario, che nell'analisi empirica e nello studio immediato delle cause e degli effetti di certi determinati fenomeni, p. e. dei calorifici, la mente si fermasse dapprima nella presunzione e nella persuasione di poterli e di doverli attribuire ad un subietto, che, se non parve mai a nessun fisico un vero ente sostanziale, parve di certo una forza determinata e specifica, che sarebbe il calore. Ed ecco che ad un certo punto, per nuova combinazione di esperienza, cotesto escogitato calore si risolve, a date condizioni, in una certa quantità di moto. E anzi, ora, il pensiero è su la via di risolvere tanti degli escogitati fattori fisici nel flusso di una universale Energhetica, nella quale la ipotesi degli atomi, per quanto essa è necessaria e utilizzabile, perde ogni residuo di sopravvissuta metafisica.

Non era forse inevitabile, come primo stadio della conoscenza rispetto al problema della vita, l'indugiarsi a lungo nello studio distinto degli organi, e il ridur questi in sistemi? Senza cotesta anatomia, che pare per fin troppo materiale e grossolana, nessun progresso di studi sarebbe stato possibile; e intanto, su la ignorata genesi e coordinazione di tale molteplicità analitica, s'aggiravano incerti e vaghi i concetti generici di vita, di anima e simili. In coteste creazioni mentali si cercò per ripiego di escogitazione, e per gran tempo, quella unità biologica, che ha da ultimo trovato il suo riscontro intuitivo nell'inizio certo della cellula, e nel suo processo di immanente moltiplicazione.

Più difficile fu certamente il cammino, che il pensiero dovette percorrere per ridurre ad evidenza di genesi i dati tutti della vita psichica, dai semplicissimi delle elementari sensazioni fino ai prodotti di molto derivati e complessi. Non solo per ragioni di difficoltà teoretiche, ma per altri pregiudizii popolari, l'unità e continuità incessante dei fenomeni psichici apparve fino ad Herbart come spartita e spezzata in tanti fattori, ossia nelle così dette facoltà dell’anima.

Per le medesime difficoltà è passata la interpretazione dei processi storico-sociali; ed anche essa s'è dovuta dapprima arrestare nella veduta provvisoria dei fattori. E, perciò, riesce ora a noi cosa agevole il rintracciare la occasione prima di tale opinione nel bisogno che hanno gli storici narratori di trovare, nell'atto che raccontano con più o meno di capacità artistica, e con vario intendimento di ammaestrare, dei punti di orientazione immediata, quali può offrirli lo studio del moto apparente delle cose umane.

Ma in quel movimento apparente son pure delle indicazioni, che rimandano ad altro.Quei fattori concorrenti, che l'astrazione escogita e poi si permette di isolare, non furon mai visti ad operare ciascuno per sé; perché, anzi, operano per un modo di efficacia, che dà luogo al concetto dell'azione reciproca. Inoltre, quei fattori son pur essi nati una volta, e son poi giunti a quella fisonomia, che rivelano nella particolare narrazione. Di quel tale stato si sapeva pure che fosse nato una volta. Di ogni diritto, o si serbava memoria, o si congetturava, che fosse entrato in vigore in tali o tali altre circostanze. Di tanti costumi si serbava il ricordo, che fossero stati una volta introdotti; e il più semplice confronto dei fatti accertati, per rispetto a diversi tempi e luoghi, facea vedere, come la società nel suo insieme, in quanto somma di diverse classi, avesse assunto, ed assumesse di continuo forme diverse.

Tanto l'azione reciproca dei diversi fattori, senza della quale nemmeno il più semplice racconto sarebbe mai possibile, quanto le notizie più o meno accertate circa le origini e le variazioni dei fattori stessi, sollecitavano alla ricerca ed al pensiero, assai più che non facesse la narrazione configurativa di quei grandi storici, che sono veri e propri artisti. E difatti, i problemi che resultano spontanei dai dati della storia, quando questi sian combinati con altri elementi teoretici, dettero luogo alle diverse discipline così dette pratiche, che, con varia rapidità di moto e con vario successo, si svilupparono dai tempi antichi a venire ai moderni, dall'Etica alla Filosofia del Diritto, dalla Politica alla Sociologia, dalla Giurisprudenza all'Economia.

Ed ecco che col nascere e col formarsi di tante discipline, per la stessa inevitabile division del lavoro, si moltiplicarono fuor di misura i punti di vista. Certo è, che alla prima ed immediata analisi dei multiformi aspetti empirici del complesso sociale, occorreva un lungo lavoro di parziale astrazione; il che reca sempre con sé l'inevitabile conseguenza del vedere unilaterale. Ciò si è verificato in modo più acuto e più appariscente, che non in altro campo, in quello della Giurisprudenza, e nelle sue varie generalizzazioni fino alla Filosofia del Diritto. Per via di cotali astrazioni, che sono inevitabili nell'analisi parziale ed empirica, e per effetto della divisione del lavoro, i diversi lati e le diverse manifestazioni del complesso sociale furono, di quando in quando, fissati ed immobilizzati in concetti generali ed in categorie. Le opere, gli effetti, le emanazioni, gli efflussi dell'attività umana - diritto, forme economiche, principii di condotta e così via - furono come tradotti e convertiti in leggi, in imperativi e in principii che stessero al di sopra dell'uomo stesso. E di quando in quando s'è poi dovuto di nuovo scovrire questa verità semplice; che il solo fatto permanente e sicuro, ossia il solo dato, da cui muova o a cui si riferisca ogni particolare disciplina pratica, è questo: gli uomini congregati in una determinata forma sociale, per via di determinati vincoli. Le varie discipline analitiche, che illustrano i fatti che si svolgono nella storia, han finito per occasionare da ultimo il bisogno di una comune e generale scienza sociale, che renda possibile la unificazione dei processi storici. E di tale unificazione la dottrina materialistica segna appunto l'ultimo termine, e anzi l'apice.

Ma non fu, come non sarà mai tempo perso quello che sia speso nell'analisi preliminare e laterale dei fatti complessi. Dobbiamo alla metodica division del lavoro la erudizione precisa, ossia la massa delle conoscenze dichiarate, cribrate, sistemate, senza delle quali ogni storia sociale vagherebbe sempre nel puramente astratto, nel formale e nel terminologico. Lo studio a parte dei presunti fattori storico-sociali ha giovato, come giova ogni altro studio empirico che si attenga al moto apparente delle cose, a raffinare gl'istrumenti della osservazione, e a dar modo di ritrovare nei fatti stessi, che furono artificiosamente distratti dall'insieme, gli addentellati che al complesso sociale li legano. Le diverse discipline, che son tenute isolate ed indipendenti per via del presupposto dei fattori concorrenti nella formazione storica, per il grado di sviluppo che han raggiunto, per il materiale che han raccolto, e pei metodi che han prodotti, sono ora per noi tutte indispensabili, quando si voglia ricostruire qualunque parte dei tempi passati. Che ne sarebbe della nostra scienza storica senza la unilateralità della Filologia, che è il sussidio istrumentale d'ogni ricerca; e dove si sarebbe mai trovato il bandolo di una storia delle istituzioni giuridiche, che poi a tante altre cose e combinazioni da se stessa rimanda, senza l'ostinata fede dei romanisti nella eccellenza universale del Diritto Romano, la quale ha generato, con la Giurisprudenza generalizzata e con la Filosofia del Diritto, tanti dei problemi in cui germoglia da ultimo la Sociologia?

Così che, al postutto, i fattori storici, che ricorrono per le menti e per gli scritti di tanti, indicano qualcosa che è molto meno della verità, ma che è molto di più del semplice errore, nel senso grossolano di abbaglio, di illusione e di inganno. Sono il prodotto necessario di una conoscenza, che è in via di sviluppo e di formazione. Nascono dal bisogno di orientarsi sopra lo spettacolo confuso, che le cose umane presentano a chi voglia narrarle; e servono poi, dirò così, di titolo, di categoria, di indice a quella inevitabile division del lavoro, per entro alla quale fu finora teoreticamente elaborata la materia storico-sociale. In questo campo di conoscenza, del pari che in quello delle scienze naturali, la unità di principio reale, e la unità di trattazione formale, non s'incontran mai di primo acchito, anzi si trovano solo a capo di lungo ed intricato cammino; cosicché, anche per cotesto rispetto, ci pare calzante l'analogia stabilita da Engels tra il ritrovamento del materialismo storico e quello della conservazione dell'energia.

La provvisoria orientazione, secondo l'ovvio schema di ciò che dicono fattori, può, in date circostanze, occorrere anche a noi, che professiamo un principio affatto unitario della interpretazione storica. Intendo dire, se vogliamo non semplicemente teorizzare, ma se vogliamo, con propria nostra ricerca, illustrare un determinato periodo di storia. Come in cotesto caso c'incombe l'obbligo della minuta e diretta ricerca, cosi ci è giuoco forza di attenerci dapprima ai gruppi difatti che paiono, o prominenti, o indipendenti, o staccati, negli aspetti della immediata esperienza. Perché non è veramente il caso di credere, che il principio unitario di massima evidenza e trasparenza, cui siam giunti nella concezione generale della storia, possa, a guisa di talismano, valer di continuo, e a prima vista, come di mezzo infallibile per risolvere in elementi semplici l'immane apparato e il complicato ingranaggio della società. La sottostante struttura economica, che determina tutto il resto, non è un semplice meccanismo, dal quale saltino fuori, a guisa d'immediati effetti automatici e macchinali, istituzioni, e leggi, e costumi, e pensieri, e sentimenti, e ideologie. Da quel sottostrato a tutto il resto, il processo di derivazione e di mediazione è assai complicato, spesso sottile e tortuoso, non sempre decifrabile.

L'organamento sociale è, come già sappiamo, di continuo instabile, sebbene ciò non appaia evidente a tutti, se non quando la instabilità entra in quel periodo acuto che chiamiamo rivoluzione. Cotesta instabilità, con le continue lotte nel seno della stessa società organata, esclude sì la possibilità che gli uomini entrino in una condizione di continuata acquiescenza od accomodazione, per cui potrebbe accadere che tornassero nel vivere animale. Nell'antitesi è la causa precipua del progresso (Marx). Ma è altrettanto vero, però, che in cotesto organamento instabile, nel quale è data la forma inevitabile del dominio e della soggezione, la intelligenza si è sempre sviluppata, non solo disugualmente, ma assai imperfettamente, incongruamente e parzialmente. Ci fu ed è ancora nella società come una gerarchia dell'intelletto, e poi dei sentimenti e delle ideazioni. Supporre che gli uomini, sempre e in tutti i casi, abbiano avuto una coscienza approssimativamente chiara della propria situazione, e di quello che convenisse loro più ragionevolmente di fare gli è supporre l'inverosimile, anzi l'insussistente.

Forme di diritto, e azioni politiche e tentativi di ordinamento sociale, furono, come sono tuttora, a volte cose indovinate, a volte cose sbagliate, cioè sproporzionate e incongrue al caso. La storia è piena di errori; il che vuoi dire, che se tutto vi fu necessario, data la intelligenza relativa di quelli che avessero a risolvere una difficoltà, o a trovare una soluzione a un dato problema e così via, se tutto v'ebbe la sua ragion sufficiente, non tutto vi fu ragionevole, secondo il senso che dànno a questa parola gli ottimisti che raziocinano. A lungo andare le cause determinanti alle mutazioni, e ossia le cambiate condizioni economiche, finirono e finiscono per far trovare, fosse pur per vie assai tortuose, le occorrenti forme di diritto, gli ordini politici adattati, e le maniere più o meno convenienti della accomodazione sociale. Ma non è però da credere, che la istintiva sapienza dell'animale ragionevole si manifestasse, o si manifesti, sic et simpliciter, nella piena e chiara intelligenza di ogni situazione; e che a noi non tocchi ora se non di rifare semplicisticamente il cammino deduttivo dalla situazione economica a tutto il resto. L'ignoranza - la quale alla sua volta può anch'essa essere spiegata - è cagione non piccola del modo come la storia è proceduta; e all'ignoranza bisogna aggiungere la bestialità non mai interamente vinta, e tutte le passioni e le nequizie, e le svariate forme di corruzione, che furono e sono il portato necessario di una società così organata che il dominio dell'uomo su l'uomo vi è inevitabile, e da tale dominio la bugia, l'ipocrisia, la prepotenza e la viltà furono e sono inseparabili. Noi possiamo, senza essere utopisti, ma solo in quanto siamo comunisti critici, prevedere, come di fatti prevediamo, l'avvento di una società, che svolgendosi dalla presente, e anzi dai suoi contrasti, per le leggi immanenti del divenire storico, metta capo in una associazione senza antitesi di classe: il che porta seco, che la regolata produzione eliminerebbe l'aleatorio dalla vita, che nella storia si rivela finora come multiforme intreccio di accidenti e d'incidenze. Ma ciò è l'avvenire, e non è, né il presente, né il passato. Se noi invece ci proponiamo di penetrare nelle vicende storiche svoltesi fino ad ora, assumendo, come assumiamo, a filo conduttore il variare delle forme della sottostante struttura economica, fino al dato più semplice del variare degl'istrumenti, noi dobbiamo aver piena coscienza della difficoltà del problema che ci proponiamo; perché qui non si tratta già di aprir gli occhi e di vedere, ma di uno sforzo massimo del pensiero, che è diretto a vincere il multiforme spettacolo della esperienza immediata, per ridurne gli elementi in una serie genetica. E per ciò, dicevo, che nella ricerca particolare tocca anche a noi di pigliar le mosse da quei gruppi di fatti apparentemente isolati, e da quel variopinto intreccio, dallo studio empirico, insomma, dal quale è nata la credenza nei fattori, che poi si è svolta in una semidottrina.

Né vale di contrapporre a queste difficoltà di fatto la presunzione alquanto metaforica, spesso equivoca, e al postutto di un valore puramente analogico, del così detto organismo sociale. Anche per cotesto supposito, diventato poi in così breve tempo una mera e volgare fraseologia, bisognava pure che il pensiero passasse. Perché esso adombra la comprensione del movimento storico, come nascente dalle leggi immanenti alla società stessa, ed esclude con ciò l'arbitrario, il trascendente e l'irrazionale. Ma più in là di così la metafora non regge; e la ricerca specificata, critica e circostanziata dei fatti storici è la sola fonte di quel sapere concreto e positivo, che occorre allo sviluppo completo del materialismo economico.

 

 

 

VII.

Le idee non cascano dal cielo; né noi riceviamo il ben di dio in sogno.

La mutazione nei modi del pensiero, che da ultimo ha prodotta la dottrina storica, della quale si fa qui l'esame e la esposizione preliminare, s'è venuta svolgendo, prima con lentezza e poscia con cresciuta rapidità, appunto in questo periodo del divenire umano, in cui s'avverarono le grandi rivoluzioni politico-economiche; ossia in questa epoca, che guardata nelle forme politiche dicesi liberale, ma che guardata nel suo fondo, per effetto del dominio del capitale su la massa proletaria, è l'epoca della produzione anarchica. La mutazione delle idee, fino alla creazione di nuovi metodi di concezione, è venuta passo passo riflettendo l'esperienza di una nuova vita. Come questa, nelle rivoluzioni degli ultimi due secoli, si è andata via via spogliando degl'involucri mitici, mistici e religiosi, a misura che è venuta acquistando la coscienza pratica e precisa delle sue condizioni immediate e dirette, così il pensiero, che questa vita riassume e teorizza, s'è alla sua volta spogliato dei presupposti teologici e metafisici, per racchiudersi, in fine, in questa prosaica esigenza: nella interpretazione della storia occorre restringersi alla coordinazione obiettiva delle condizioni determinanti e degli effetti determinati. La concezione materialistica segna il culmine di questo nuovo indirizzo nel ritrovamento delle leggi storico-sociali; in quanto non è un caso particolare di una generica sociologia, o di una generica filosofia dello stato, del diritto e della storia, ma è il risolvente di tutti i dubbi e di tutte le incertezze che accompagnano le altre forme di filosofare su le cose umane, ed è l'inizio della interpretazione integrale di queste.

Gli è dunque cosa facile, specie per il modo come ci si son messi alcuni volgari criticastri, l'andar ritrovando i precursori di Marx e di Engels, che questa dottrina hanno pei primi precisata nei fondamenti. E quando mai era saltato per il capo ad alcuno dei seguaci loro, fossero pur quelli della più stretta osservanza, di far passare quei due pensatori per facitori di miracoli? Anzi, se piace di andar cercando le premesse della creazione dottrinale di Marx e di Engels, non basterà di fermarsi a quelli che diconsi precursori del socialismo fino a Saint-Simon e più in là, né ai filosofi e segnatamente ad Hegel, né agli economisti, che avean dichiarata la anatomia della società che produce le merci: bisogna risalire a dirittura a tutta la formazione della società moderna, e poi da ultimo trionfalmente dichiarare, che la teoria è un plagio delle cose che spiega.

Perché, in verità, i precursori effettivi della nuova dottrina furono i fatti della storia moderna, che è diventata così perspicua e rivelatrice di se stessa, da che si operò in Inghilterra la grande rivoluzione industriale della fine del secolo scorso, e in Francia avvenne quella gran dilacerazione sociale che tutti sanno; le quali cose, mutatis mutandis, si son poi andate riproducendo, in varia combinazione e in forme più miti, in tutto il mondo civile. E che altro è, in fondo, il pensiero, se non il cosciente e sistematico completamento dell'esperienza; e che è questa, se non il riflesso e la elaborazione mentale delle cose e dei processi che nascono e si svolgono, o fuori della volontà nostra, o per opera della nostra attività; e che altro è il genio, se non la individuata e conseguente ed acuita forma di quel pensiero, che per suggestione della esperienza sorge in molti uomini della medesima epoca, ma nella più parte di loro rimane frammentario, incompleto, incerto oscillante e parziale?

 

Le idee non cascano dal cielo, e anzi, come ogni altro prodotto dell'attività umana, si formano in date circostanze, in tale precisa maturità di tempi, per l'azione di determinati bisogni, e pei reiterati tentativi di dare a questi soddisfazione, e col ritrovamento di tali o tali altri mezzi di prova, che sono come gl'istrumenti della produzione ed elaborazione loro. Anche le idee suppongono un terreno di condizioni sociali, ed hanno la loro tecnica: ed il pensiero è anch'esso una forma del lavoro. Spostare quelle e questo ossia, le idee ed il pensiero, dalle condizioni e dall'ambito di lor proprio nascimento e sviluppo, gli è svisarne la natura e il significato.

Mostrare come la concezione materialistica della storia fosse nata precisamente in date condizioni e cioè non come personale e discutibile opinione di due scrittori, ma come una nuova conquista del pensiero per la inevitabile suggestione di un nuovo mondo che si sta generando già, ossia la rivoluzione proletaria, questo fu l'assunto del mio primo saggio. Il che è quanto dire, che una nuova situazione storica si è completata del suo congruo istrumento mentale.

Ora immaginare, che cotesta produzione intellettuale potesse avverarsi in ogni tempo e luogo, gli è come assumere a regola delle proprie ricerche l'assurdo. Trasferire le idee a capriccio, dal terreno e dalle condizioni storiche in cui son nate, in qualunque altro terreno, ciò è come prendete a base del ragionamento il semplice irrazionale. E perché non si dovrebbe immaginare del pari, che la città antica, nella quale nacquero l'arte e la scienza greca e il diritto romano, rimanendo pur città antica di democrazia con gli schiavi, acquistasse medesimamente e sviluppasse tutte le condizioni della tecnica moderna? Perché non credere, che la corporazione artigiana medioevale, rimanendo qual essa era nel suo quadro fisso, s'avviasse alla conquista del mercato mondiale, senza le condizioni della concorrenza sconfinata, che cominciarono appunto dall'eroderla, e negarla? Perché non congetturare un feudo, che, pur rimanendo feudo, fosse officina da produrre esclusivamente merci? Perché Michele di Lando non avrebbe dovuto scrivere lui il Manifesto dei Comunisti? Perché non si avrebbe a pensate, che i trovati della scienza moderna potessero venir fuori dal cervello degli uomini di ogni altro luogo e tempo; cioè, prima che determinate condizioni facessero nascere determinati bisogni, e alla soddisfazione di questi si dovesse provvedere con una reiterata ed accumulata esperienza?

La nostra dottrina suppone lo sviluppo ampio, chiaro, cosciente ed incalzante della tecnica moderna; e con questa la società che produce le merci negli antagonismi della concorrenza, la società che suppone come sua condizione iniziale, e come mezzo indispensabile al suo perpetuarsi, l'accumulazione capitalistica nella forma della proprietà privata, la società che produce e riproduce di continuo i proletarii, e a reggersi ha bisogno di rivoluzionare incessantemente i suoi istrumenti, compreso lo stato e gl'ingranaggi giuridici di questo. Questa società, che, per le leggi stesse del suo movimento, ha messa a nudo la sua propria anatomia, produce di contraccolpo la concezione materialistica. Essa, come ha prodotto nel socialismo la sua negazione positiva, così ha generato nella nuova dottrina storica la sua negazione ideale. Se la storia è il prodotto, non arbitrario, ma necessario e normale, degli uomini in quanto si sviluppano, e si sviluppano in quanto socialmente esperimentano, ed esperimentano in quanto perfezionano e raffinano il lavoro, ed accumulano e serbano i prodotti e risultati di questo, la fase di sviluppo in cui noi ora viviamo non può esser l'ultima e definitiva, e i contrasti a questa intimi ed inerenti sono le forze produttive di nuove condizioni. Ed ecco come il periodo delle grandi rivoluzioni economiche e politiche di questi due ultimi secoli ha maturato nelle menti questi due concetti: l'immanenza e costanza del processo nei fatti storici, e la dottrina materialistica, che in fondo è la teoria obiettiva delle rivoluzioni sociali.

Non v'ha dubbio, che il risalire attraverso i secoli e il rifarsi studiatamente col pensiero su lo sviluppo delle idee sociali, per quanto ce n'è documento negli scrittori, è cosa che riesce tuttora assai istruttiva, e giova soprattutto ad accrescere in noi la consapevolezza critica, così dei nostri concetti come dei nostri procedimenti. Tale ritorno della mente su le sue premesse storiche, quando non ci porti a smarrirci nell'empirismo di una sconfinata erudizione, e non c'induca nella tentazione di stabilire frettolosamente delle vane analogie, giova senza dubbio a dare pieghevolezza ed efficacia di persuasione alle forme della nostra attività scientifica. Nell'insieme delle nostre scienze si deriva ora, in via di fatto e per approssimativa continuità di tradizione, l'ottimo di quanto fu mai ritrovato, escogitate e provato, non che nei tempi moderni, fin da quelli dell'antica Grecia, con la quale appunto comincia in modo definitivo per tutto l'uman genere, lo svolgimento ordinato del pensiero cosciente, riflesso e metodico. Non ci sarebbe dato di fare un solo passo nella ricerca scientifica senza l'uso dei mezzi da gran tempo trovati e pronti; come sarebbe a dire, tanto per addurre alcuni dei più generali, della logica e della matematica. Ad avere una opinione contraria occorrerebbe di voler dire, che ogni generazione debba ricominciar da capo, rimbamboleggiando.

Ma né agli antichi autori, nell'angusto ambito delle loro repubbliche di città, né agli scrittori della Rinascenza, incerti sempre tra un immaginato ritorno all'antico e il bisogno di afferrare intellettualmente il mondo nuovo, che era in gestazione, fu dato di giungere all'analisi precisa degli elementi ultimi dai quali resulta la società, che il genio insuperato di Aristotele non vide e non comprese di là dai confini in cui si spiega la vita dell'uomo cittadino.

La ricerca su la struttura sociale, considerata nei suoi modi di origine e di processo, si fece viva ed acuta ed assunse aspetti multiformi nei secoli decimosettimo e decimottavo, quando si formò la Economia, e insieme a questa, sotto ai varii nomi di Diritto di Natura, di saggi su lo Spirito delle Leggi e di Contratto Sociale, si fece strada il tentativo di risolvere in cause, in fattori, in dati logici e psicologici, il multiforme e non sempre chiaro spettacolo di una vita, in cui si preparava la più grande rivoluzione che si conosca. Coteste dottrine, quale che fosse l'intento subiettivo e l'animo degli autori - come è il caso antitetico del conservatore Hobbes e del proletario Rousseau - furon tutte rivoluzionarie nella sostanza e negli effetti. In fondo a tutte tu ritrovi sempre come stimolo e come motivo i bisogni materiali e morali dell'età nuova; che per le condizioni storiche erano quelli della borghesia: - e per ciò conveniva di combattere, in nome della libertà, la tradizione, la chiesa, il privilegio, le classi fisse, ossia gli ordini e i ceti, e per conseguenza lo stato che di questi era o pareva autore, e poi i privilegi del commercio, delle arti, del lavoro e della scienza. Onde si mirò all'uomo in astratto, ossia ai singoli individui emancipati e liberati, per virtù di astrazione logica, dai loro vincoli storici e di necessaria dipendenza sociale; e nella mente di molti il concetto della società si venne come a ridurre in atomi, e anzi parve, ai più, naturale il credere, che la società stessa non sia se non una somma d'individui. Le categorie astratte della psicologia individuale si trovarono come spinte sul davanti, o messe in cima, della spiegazione di tutti i fatti umani; ed ecco come in tutti cotesti sistemi ed escogitazioni non si parli che di paura, di amor proprio, di egoismo, di obbedienza volontaria, di tendenza alla felicità, di originaria bontà dell'uomo, di libertà di contrattare; e poi della coscienza morale, e dell'istinto o del senso morale, e di altrettali cose astratte e generiche, come quelle che fossero sufficienti a spiegare la concreta storia esistente, e a crearne di sana pianta una nuova.

Nell'atto che tutta la società entrava in una strepitosa crisi, l’orrore dell'antico, del vieto, del tradizionale, dell’organizzato da secoli, e il presentimento di una rinnovazione di tutta l'esistenza umana, ingenerarono da ultimo un oscuramento totale nelle idee di necessità storica e di necessità sociale; ossia in quelle idee, che, accennate appena dai filosofi antichi, e venute poi in tanto sviluppo nel secolo nostro, in quel periodo di razionalismo rivoluzionario non ebbero che rari rappresentanti, come Vico, Montesquieu, e in parte Quesnay. In questa situazione storica, che fa nascere una letteratura acuta, agile, sovvertitrice, penetrante e popolarissima, sta la ragione di ciò che Louis Blanc, con una certa enfasi, chiamò individualismo; con la qual parola altri dopo di lui han poi creduto di dare espressione ad un fatto permanente della natura umana, che possa soprattutto servire come di argomento decisivo contro il socialismo.

Singolare spettacolo; anzi singolare contrasto! Il capitale, formatosi come che si fosse, tendeva a vincere ogni altra precedente forma di produzione, rompendone i vincoli e gl'impedimenti, tendeva ad essere, cioè, il signore diretto od indiretto della società, come di fatti è divenuto nella più gran parte del mondo; dal che poi è proceduto, che, oltre a tutti i modi di moderna miseria e di nuova gerarchia in cui ora ci aggiriamo, si avverasse la più stridente antitesi di tutta la storia, ossia quella presente tra la anarchia della produzione nel complesso della società, e il ferreo dispotismo del modo del produrre nelle singole aziende, officine e fabbriche! Ebbene, i pensatori, e filosofi, ed economisti, e divulgatori d'idee del secolo decimottavo non vedeano che libertà ed eguaglianza! Tutti ragionavano allo stesso modo, tutti partivano dalle stesse premesse; o che arrivassero a conchiudere, doversi ottenere la libertà da un governo di pura amministrazione, o che fossero addirittura democratici, o per fino comunisti. Il regno prossimo della felicità stava innanzi agli occhi di tutti, come d'indubbio avvento; pur che fossero tolti i vincoli e gl'impedimenti, che all'uomo, di sua natura buono e perfettibile, aveano imposto la forzata ignoranza e il dispotismo della chiesa e dello stato. Cotesti impedimenti non pareano condizioni, e termini, nei quali gli uomini si fossero trovati per le leggi del loro sviluppo, e per gl'intrecci inevitabili del moto antagonistico, e per ciò incerto e flessuoso della storia, come paiono finalmente a noi per il prevalere dello storicismo obiettivo: ma, anzi, pareano dei semplici imbarazzi, dei quali l'uso retto della ragione dovesse liberarci. In cotesto idealismo, che raggiunse il suo apice in alcuni degli eroi della Grande Rivoluzione, germogliò una fede sconfinata nel sicuro progresso di tutto l'uman genere. Per la prima volta il concetto di umanità apparve in tutta la sua estensione, e senza mescolanza d'idee o di presupposti religiosi. I più risoluti fra cotesti idealisti furono appunto i materialisti estremi; come quelli, che, negando ogni obietto alla fantasia religiosa, assegnavano al bisogno della felicità questa terra qual sicuro dominio, pur che la ragione schiudesse la via.

Ma le idee furono così barbaramente maltrattate dalle prosaiche cose, come avvenne tra la fine del secolo passato e il principio di questo. Assai dura fu la lezione dei fatti, dalla quale procedettero le più tristi delusioni, e poi ne seguì un radicale rivolgimento negli spiriti. I fatti, in una parola, riuscirono contrarii ad ogni aspettazione; il che, se dapprima produsse stanchezza nei disillusi, non poté a meno di indurre desiderio e bisogno di nuova ricerca. È noto come Saint-Simon e Fourier, nei quali proprio in principio del secolo si avvera, nelle forme unilaterali della genialità prematura, la reazione contro i resultati immediati della grande rivoluzione politico-economica, si levassero risolutamente, il primo contro i giuristi, ed il secondo contro gli economisti.

Difatti, rimossi gl'impedimenti alla libertà, che furon proprii di altri tempi, dei nuovi e spesso più gravi e più dolorosi eran subentrati; e, come la felicità eguale per tutti non s'era avverata, così la società rimaneva nella sua forma politica, tal quale come prima, una organizzazione delle disuguaglianze. La società deve esser, dunque, un qualcosa di per sé stante, un certo che di naturale, un semovente complesso di rapporti e di condizioni, che sfida i tuoni propositi soggettivi dei singoli componenti suoi, e passa sopra alle illusioni ed ai disegni degli idealisti! Essa, dunque, segue un suo proprio andamento, dal quale sarà lecito di astrarre delle leggi di processo e di sviluppo, ma al quale non è dato d'imporne! Per cotal conversione delle menti, il secolo decimonono s'annunciò con la vocazione di dover essere il secolo della scienza storica e della sociologia.

Il pensiero ha di fatti invaso e penetrato ogni campo dell'attività umana, col principio dello sviluppo. In questo secolo fu ritrovata la grammatica storica, e fu rinvenuta la chiave per esplorare la genesi dei miti. In questo secolo furono rinvenute le tracce embriogenetiche della preistoria e furon per la prima volta messe in serie di processo le forme politiche e giuridiche. Il secolo decimonono si annunziò come il secolo della sociologia, nella persona del Saint-Simon; nel quale, come accade degli autodidatti e dei precursori geniali, si trovano confusi insieme i germi di tante tendenze contradittorie. Per questo rispetto la concezione materialistica è un resultato; ma è quel resultato, che è il compimento di tutto un processo di formazione; e come resultato e come compimento essa è anche la semplificazione di tutta la scienza storica e di tutta la sociologia, perché ci riporta dai derivati e dalle condizioni complesse alle funzioni elementari. E ciò è avvenuto per la diretta suggestione di una nuova e strepitosa esperienza.

Le leggi della economia, quali esse per sé sono e per sé si esplicano, avean trionfato di tutte le illusioni, e s'eran mostrate direttrici della vita sociale. La grande rivoluzione industriale, operatasi per primo in Inghilterra alla luce del giorno, anzi nel secolo dei lumi, facea intendere come le classi sociali, se non sono in natura, non son nemmeno una conseguenza del caso o dell'arbitrio; anzi nascono storicamente e socialmente entro ed attorno ad una determinata forma di produzione. E chi, in verità, non avea visto a sorgere, sotto i suoi occhi, i nuovi proletarii dalla rovina economica di tante classi di piccoli proprietarii, di piccoli contadini e di artigiani; e chi non era in grado di scorgere il metodo di tale novella creazione di nuovo stato sociale, in cui tanti uomini venivano ad esser ridotti e a trovarsi per forza? Chi non era in grado di scorgere, come il danaro diventato capitale fosse riuscito in breve corso d'anni a grandeggiare, per l'attrazione che esso esercita sul lavoro degli uomini liberi, nei quali la necessità di darsi liberamente a mercede era stata di lunga mano preparata con tanti accurati metodi di diritto, e per le vie di una violenta o indiretta espropriazione? Chi non avea visto a sorgere le nuove città intorno alle fabbriche, e cingersi al loro perimetro di desolante miseria, che non era più un caso di singolare disavventura ma la condizione e la fonte della ricchezza? E in quella miseria di novello stile apparivano numerose le donne ed i fanciulli, uscenti per la prima volta da una ignorata esistenza, per figurare sul palcoscenico della storia qual sinistra illustrazione della società degli eguali. E chi non sentiva - ci fosse o non ci fosse la sedicente teoria del reverendo Malthus - che il numero di conviventi, che cotesto modo di organizzazione economica può contenere, se a volte è insufficiente a chi per l'alea favorevole della produzione ha bisogno di braccia, altre volte è esuberante, e per ciò non occupabile e pauroso? Diveniva, inoltre, cosa evidente, che la rapida e violenta trasformazione economica avveratasi strepitosamente in Inghilterra, era ivi riuscita perché quel paese erasi potuto creare, di fronte alla rimanente Europa, un monopolio fino allora non mai visto, ed a reggere cotesto monopolio era occorsa una politica senza scrupoli, la quale permetteva una buona volta a tutti di tradurre in prosa il mito ideologico dello stato, che avrebbe ad essere tutore e pedagogo del popolo.

Nella visione immediata di tali conseguenze della nuova vita ebbe origine il pessimismo, più o meno romantico, dei laudatores temporis acti, da De Maistre a Carlyle. La satira del liberalismo invade le menti e la letteratura in principio di questo secolo. Comincia quella critica della società, nella quale è l'inizio di tutta la sociologia. Bisognava innanzi tutto vincere la ideologia, che erasi accumulata ed espressa nelle tante dottrine del Diritto di Natura e del Contratto Sociale. Bisognava rimettersi di fronte ai fatti, che le rapide vicende di un processo tanto intensivo imponevano all'attenzione in forme così nuove e paurose.

Eccoti Owen, l'impareggiabile sotto tutti i rispetti; ma per questo specialmente, che egli fu tanto chiaroveggente su le cause della nuova miseria, quanto fu ingenuo nel ricercare i modi di vincerle. Bisognava giungere alla critica oggettiva della Economia, che apparve la prima volta, in forme unilaterali e reazionarie, in Sismondi. In quel periodo di tempo, in cui si mutavano le condizioni di una nuova scienza storica, nascono e attirano sopra di sé l'attenzione tante diverse forme di socialismo utopico, unilaterale, o a dirittura stravagante, che non arrivarono mai fino ai proletarii, o perché questi non avean coscienza politica affatto, o, avendola, si moveano a salti, come nelle cospirazioni e sommosse francesi dal 1830-48, o si aggiravano sul terreno pratico delle riforme immediate, come è il caso dei Cartisti. E pure tutto cotesto socialismo, per quanto utopico, fantastico ed ideologico, era una critica immediata e spesso geniale dell'Economia; una critica unilaterale, insomma, cui occorreva il complemento scientifico di una generale concezione storica.

Tutte coteste forme di critica parziale, unilaterale ed incompleta misero effettivamente capo nel socialismo scientifico. Questo non è più la critica soggettiva applicata alle cose, ma è il ritrovamento dell'autocritica che è nelle cose stesse. La critica vera della società è la società stessa, che per le condizioni antitetiche dei contrasti su i quali poggia, genera da sé in se stessa la contraddizione, e questa poi vince per trapasso in una nuova forma. Il risolvente delle presenti antitesi è il proletariato; che lo sappiano o non lo sappiano i proletarii stessi.

Come in essi la miseria loro è diventata la condizione palese della società presente, così in essi e nella miseria loro è la ragion d'essere della nuova rivoluzione sociale. In questo trapasso dalla critica del pensiero soggettivo, che esamina dal di fuori le cose e immagina di poterle correggere per conto suo, alla intelligenza dell'autocritica che la società esercita sopra di se stessa nella immanenza del suo proprio processo; soltanto in ciò consiste la dialettica della storia, che Marx ed Engels, solo in quanto erano materialisti, trassero dall'idealismo di Hegel. E in fin delle fini poco importa se di tali riposte e complicate forme del pensiero non si sappian render conto, nè i letterati, che non conoscono altra significazione della parola dialettica se non quella dell'artificio sofistico, nè i dotti e gli eruditi, che non sono mai atti a sorpassare la conoscenza empiricamente disgregata dei semplici particolari.

 

Ma il grande rivolgimento economico, che ha offerto i materiali onde è composta la società moderna, nella quale è arrivato in fine al suo quasi completo sviluppo l'impero del capitalismo, non sarebbe riuscito di così rapido e suggestivo insegnamento, se non fosse stato luminosamente illustrato dal moto vertiginoso e catastrofico della Rivoluzione Francese. Mise essa in piena evidenza, come in tragica rappresentazione, tutte le forze antagonistiche della società moderna, perché questa vi si fece strada tra le rovine, e segnò in breve tratto di tempo precipitosamente le fasi del suo nascimento e del suo assetto.

Nacque la Rivoluzione dagl'impedimenti che la borghesia dovette vincere con la violenza, poi che apparve evidente come la transizione dalla vecchia alla nuova forma della produzione - o della proprietà, come dicono per necessità di gergo professionale i giuristi - non potesse avverarsi per le vie più tranquille delle successive e graduali riforme. E fu essa per ciò sollevazione, attrito e rimescolamento di tutte le vecchie classi dell'Ancien Régime, e rapida e vertiginosa formazione ad un tempo di nuove classi, nel brevissimo ma singolarmente intensivo periodo di soli dieci anni, che al paragone della ordinaria storia di altri paesi e tempi paiono secoli. In cotesta compressione di vicende da secoli in così breve giro di anni, si esemplificarono i momenti e gli aspetti più caratteristici della società nuova, o moderna, con tanto maggiore evidenza, in quanto che la pugnace borghesia avea già creato a se stessa tali mezzi ed organi intellettuali, da possedere nella teoria dell'opera propria la coscienza riflessa del suo movimento.

La violenta espropriazione di una parte non piccola della vecchia proprietà, di quella, cioè, che era immobilizzata nel feudo, nei regi e principeschi demani e nella manomorta, coi diritti reali e personali che ne derivavano per mille vie, mise a disposizione dello stato, divenuto per necessità di cose un terribile ed onnipotente governo di eccezione, una massa straordinaria di mezzi economici; e questi, per un verso dettero luogo alla singolare finanza degli assegnati, finiti poi nell'annullamento di se stessi, e per un altro verso dettero luogo alla formazione dei nuovi proprietarii, che andarono debitori alle chances dell'aggiotaggio, e alle contingenze dell'intrigo e della speculazione, della fortuna loro. E chi avrebbe mai più osato dappoi di giurare sul capo del sacro ed atavico istituto della proprietà, dacchè il titolo recente ed accertato di questa poggiava così palesemente su la notizia delle fortunate contingenze? Se mai era passato per il capo di tanti molesti filosofi, a cominciare dai Sofisti, che il diritto fosse una utile e comoda fattura dell'uomo; cotesta proposizione di malvisti eretici poteva sembrate oramai verità semplice ed intuitiva per fino agli ultimi straccioni dei sobborghi di Parigi. Non aveano essi, i proletarii, dato l'impulso, con tutto il resto del popolo minuto, alla rivoluzione in generale con le mosse anticipate dell'aprile dell'89; e non si trovaron poi come scacciati di nuovo dalla scena della storia dopo l'insuccesso della rivolta del Preriale del '95? Non aveano essi portato a spalle tutti i focosi oratori della libertà e della eguaglianza; non aveano essi tenuto in mano la Comune parigina, che fu per un pezzo l'organo impulsivo dell'Assemblea e di tutta la Francia; e non finivan poi da ultimo nell'amara delusione d'essersi creati con le proprie mani i novelli padroni? Nella coscienza fulminea di tal delusione è il movente psicologico, rapido ed immediato, della cospirazione di Babeuf; la quale, per ciò appunto, è un grande fatto della storia, ed ha in sé tutti gli elementi della tragedia oggettiva.

La terra, che il feudo e la manomorta aveano come legata ad un corpo, ad una famiglia, ad un titolo, liberata dai suoi vincoli era diventata merce, perché fosse base ed istrumento da produrre merci; ed era diventata d'un tratto merce così pieghevole, docile ed adattabile, da prestarsi a circolare nei simboli di tanti pezzi di carta. E intorno a questi simboli moltiplicati di tanto su le cose che doveano rappresentare, che da ultimo finiron nel nulla, sorse gigante l'affare, come sorse d'ogni parte, su le spalle della miseria dei più miseri, e fra tutti gli anfratti della precipitosa e sinuosa politica, e sfacciato soprattutto nel trar partito dalla guerra e dai suoi gloriosi successi. Per fino i rapidi progressi di una tecnica accelerata per le urgenti circostanze, dettero materia ed occasione al prosperar degli affari.

Le leggi dell'economia borghese, che son quelle della produzione individuale nel campo antagonistico della concorrenza, insorsero furiose, con tutti i mezzi della violenza e dell'insidia, contro l'arbitrio idealistico di un governo rivoluzionario; il quale, forte della certezza di salvare la patria, e forte ancora più della illusione di fondare in eterno la libertà degli eguali, credette fosse cosa possibile il sopprimere l'aggiotaggio con la ghigliottina, l'eliminare l'affarismo con la chiusura della borsa, e l'assicurare al popolo minuto la esistenza, col fissare il maximum dei prezzi dei generi di prima necessità. Le merci, e i prezzi, e gli affari rivendicarono con la violenza la libertà propria, contro quelli che volean leggere o imporre loro la morale.

Il Termidoro, quali che fossero le personali intenzioni dei Termidoriani, o vili, o paurosi, o illusi, fu, così nelle cause ascose come nei suoi effetti non remoti, il trionfo degli affari su l'idealismo democratico. La costituzione del '93, la quale segna l'estremo limite cui possa giungere il pensiero democratico, non era mai andata in esecuzione. La pressione grave delle circostanze, la minaccia dello straniero, le varie forme di ribellione all'interno, dalla girondina alla vandeana, avean reso necessario un governo di eccezione, che fu il Terrore nato dalla paura. A misura che i pericoli cessavano, cessò il bisogno del terrore; ma la democrazia s'infranse innanzi agli affari, nei quali nasceva la proprietà dei proprietarii nuovi. La costituzione dell'anno III consacrò il principio del moderantismo liberale, dal quale è proceduto tutto il costituzionalismo del continente europeo: ma innanzi tutto fu la via per giungere alla garanzia della proprietà nuova. Cambiare i proprietarii, salvando la proprietà, questo il motto, questa la parola d'ordine, questa l'insegna, che sfidò per anni dal 10 agosto '92, così le sommosse violente, come gli arditi disegni di coloro che tentarono di fondare la società su la virtù, su l'eguaglianza, su la spartana abnegazione. Il Direttorio fu il tramite attraverso del quale la rivoluzione giunse a negare se stessa come conato idealistico; e col Direttorio, che fu la corruzione confessata e professata, divenne realtà il motto: cambiati sì i proprietarii, ma la proprietà è salva! E da ultimo occorreva, a trarre da tante rovine uno stabile edifizio, la forza vera; e questa si trovò in un singolare avventuriere d'insuperata genialità, cui la fortuna avea romanamente arriso, ed il solo che possedesse la virtù di mettere la chiusa della conveniente morale a quella favola gigantesca, perché in lui non era nè ombra, nè traccia di scrupoli morali.

Tutto si vide in quella rapina di eventi. I cittadini armati alla difesa della patria, vittoriosi oltre i confini della circostante Europa, nella quale portano con la conquista la rivoluzione, divengono soldatesca da opprimere la libertà in patria. I contadini, che in un impeto d'imperiosa suggestione produssero per entro alle terre di feudo l'anarchia dell'89, diventati, o soldati, o piccoli proprietarii, o piccoli fittaiuoli, dopo d'essere stati per un quarto d'ora le sentinelle avanzate della rivoluzione, ricaddero nella silenziosa e balorda quiete della vita loro tradizionale, che, muta di casi e di movimenti, fa da sottostrato sicuro al così detto ordine sociale. I piccoli borghesi di città, e i già membri delle corporazioni, a breve andare s'accomodarono a diventare, nel campo della gara economica, i prestatori liberi dell'opera della mano. La libertà del commercio esigeva, che ogni prodotto diventasse liberamente commerciabile, e superava, quindi, l'ultimo impedimento, ottenendo che il lavoro diventasse anch'esso libera merce.

Tutto si mutò in quel tempo. Lo stato, che era parso per secoli a tanti milioni d'illusi una sacra istituzione, o un divino mandato, lasciando il capo del suo sovrano sotto la fredda azione di un istrumento tecnico, ne rimase sconsacrato e profanizzato. Diventava esso stesso, lo stato, un apparato tecnico, che alla gerarchia veniva sostituendo la burocrazia. E perché non v'era più presunzione di antichi titoli, che dessero ragione di privilegio da tenervi posto, questo novello stat