"Un'immensa libertà è indispensabile per il progresso delle verità che servono per la salvezza del mondo".
Hugues-Felicitè Robert de Lamennais (1782 1854) fu un importante pensatore cattolico, oltreché leader della restaurazione Francese. Fu il primo sostenitore del cattolicesimo liberale e fautore del cattolicesimo sociale.
La sua difesa di una conciliazione tra cattolicesimo e liberalismo lo portò a una rottura con la Chiesa. Lamennais, figlio di un mercante benestante, nacque nel giugno 1782 a Saint malo in Bretagna. Personalità lunatica e solitaria, seguì il fratello nel sacerdozio nel 1816. Lamennais trovò nella religione un rimedio per l’anarchia e la tirannia causata dalla rivoluzione. Credeva che il caos sociale e la religione fossero entrambi radicati nel primato della ragione individuale e che la Chiesa ed il papato potessero riportare unità e ordine sociale. Nei primi anni venti dell’Ottocento, egli spezzò i legami con la monarchia della restaurazione e si dedicò alla promozione dell'indipendenza della Chiesa. Per Lamennais la promozione di valori quali la libertà generale divenne una necessità pratica. Con la libertà di diffusione del suo messaggio, Lamennais credeva che la Chiesa potesse diventare vittoriosa. Dal 1827 la prospettiva di Lamennais in materia di rivoluzione cambiò. Anche se ancora interessato all’anarchia, riesce a vedere positivamente l'intenzione fondamentale della rivoluzione. Iniziò a promuovere una nuova forma di ordine sociale basata sull’alleanza tra Chiesa e rivoluzione. Lamennais entusiasticamente abbracciò la rivoluzione di Luglio in Francia, ma rapidamente sentì la sua inadeguatezza e divenne un convinto repubblicano e democratico. Di conseguenza, appoggiò la rivoluzione in Belgio, dove le sue idee avevano guadagnato popolarità e dove una alleanza tra cattolici e liberali venne realmente effettuata, ed in Polonia. Il 16 ottobre 1830 con Lacordaire, Comte, e Charles de Montalembert ed altri fondò il giornale "L’avenir" per promuovere religione e libertà. Durante i 13 mesi dell’esistenza de "L'avenir", le teorie di Lamennais si fecero più radicali. Chiese ai cattolici di condurre il movimento in nome della democrazia politica e giustizia economica. La gerarchia francese, il governo francese e l'Austria facevano pressione sul papato affinché condannasse il giornale.
Papa Gregorio XVI, sebbene reazionario, avrebbe preferito non farne una questione ufficiale, ma la questione venne forzata dallo stesso Lamennais, che sospese il giornale domandando al papa stesso un verdetto sulla sua ortodossia. Lamennais comunque, non credendo più nella competenza del papa in materia politica, rifiutò di cambiare la sua posizione anche dopo che il papa condannò le idee de “L’avenir” nell’enciclica “Mirari Vos” del 1832.
Fu molto difficile per Lamennais rompere formalmente con la Chiesa: alla fine del 1833, ammalato, firmò una sottomissione all’autorità papale ma si pentì velocemente di questa concessione alla tirannia vista come traditrice della sua adorata gente. Anche se scrisse "Paroles d’un Croyant" nel 1833 non le pubblicò sino all’aprile del 1834. Lamennais non difendeva la rivoluzione, ma tuttavia il libro fu una chiamata rivoluzionaria contro la dominazione di uomini contro altri uomini. Lamennais ignorò una esplicita condanna del papa e dal 1836 rinunciò completamente al cattolicesimo. Continuò a scrivere fino alla sua morte, nel 1854, ma dopo la sua rottura con la Chiesa ebbe poco impatto. Promosse una nuova comunità social-democratica, radicata in una cristianità purificata. Nel 1841 venne incarcerato per un anno a causa dei suoi clamorosi attacchi verso le politiche della Monarchia di Luglio in un pamphlet: “Le pays et la gouvernement”. Uscì di prigione non pentito. Similmente rifiutò l'invito di alcuni liberali cattolici di riunirsi alla Chiesa dopo l'elezione dell’apparentemente liberale papa Pio IX.
La rivoluzione del 1848 portò a Lamennais il suo ultimo ruolo pubblico. La sua nuova testata, "Le Peuple constituant", venne pubblicato dal 27 febbraio all’11 luglio. Vinse il trentaquattresimo ed ultimo posto nell'assemblea costituente di Parigi. Nell’assemblea Lamennais scelse di sedere all'estrema sinistra. A causa della sua reputazione, venne scelto per partecipare al comitato per l’elaborazione della nuova costituzione. Lamennais sostenne il suffragio universale, l'educazione libera ed universale, e la tassazione in rapporto all'estrazione sociale. Lottò per la fine del monopolio accademico e della separazione tra Stato e Chiesa. Si oppose fermamente al governo centralizzato e domandò maggiori libertà locali. Rimase deluso dalla rivoluzione. Non fu mai un grande oratore ed ebbe poca influenza sul comitato costituzionale dimettendosi da essa dopo appena due incontri. Anche se non difese mai la violenza, simpatizzò con le condizioni dei poveri e si oppose duramente alla repressione brutale del loro sollevamento di giugno; denunciò la legge sulla stampa di Cavaignac. La sua ultima edizione stampata l’11 luglio portò la denuncia di Lamennais a caratteri cubitali: "Le Peuple, iniziato con la repubblica ora, come essa, arriva al termine"; poi continuava: "È necessario oggi avere molto denaro per godere del diritto di parola […] Silenzio ai poveri".
Un'azione legale venne intrapresa contro Lamennais ed in ottobre il giornale venne condannato e multato. Lamennais si unì alle rappresentazioni della sinistra che supportavano la candidatura presidenziale per Alexandre -Auguste Ledru-Rollin, e scrisse ben 43 articoli per il giornale “La Reforme” nel 1849 prima che il giornale cessasse di essere pubblicato nel gennaio 1850. Lamennais condannò poi il colpo di Luigi Napoleone. Morì a Parigi il 27 febbraio 1854: sul letto di morte rifiutò di vedere qualsiasi prete, ma i suoi resti vennero accompagnati da una folla di poveri quando, come secondo sua richiesta, venne sepolto in una fossa comune.
Nel 1817 apparve il primo volume del "Saggio sull'indifferenza in materia di religione": dall'inizio alla fine, il libro è percorso da un vigoroso attacco all'indifferenza che appare 1) in coloro che vedono la religione come una mera istituzione politica percependola solo come una necessità per le masse; 2)in coloro che ammettono la necessità di una religione per tutti gli uomini ma rifiutano la rivelazione; 3) in coloro che riconoscono la necessità di una religione rivelata ma pensano di poter rifiutare tutte le verità che essa insegna ad eccezione di alcuni punti fondamentali. Pur aperto a delle critiche verso lo sviluppo di questa idea, il "saggio" portò ai cristiani apologetici una nuova forza e allo stesso tempo attirò l’opinione pubblica. Oltre ad un atteggiamento difensivo verso l'incredulità, esso attacca audacemente i nemici con i mezzi della retorica, della dialettica, dell’invettiva, dell’ironia e dell’eloquenza. Dal pulpito di Notre dame a Parigi, Frayssinuous acclamò Lamennais come il più grande pensatore dopo Malebranche. Nel contempo, edizioni del saggio raggiunsero rapidamente la stampa. Quarantamila copie furono vendute in poche settimane e vennero tradotte in molte lingue ed in alcuni posti riuscì persino ad attuare conversioni al cattolicesimo. Lamennais è ora percepito come una delle più illustri personalità tra il clero francese: visitatori si adunavano vederlo, la stampa lo sollecitava per delle collaborazioni. Promise la sua collaborazione a "Le conservateur", un giornale monarchico del partito dell'estrema destra, per il quale scrivevano Chateaubriandt e de Bonald. Lamennais comunque si interessava meno di politica che di religione e contribuì per “Le conservateur” solo in difesa di interessi cattolici. Per lui non era sufficiente discreditare la filosofia infedele: intendeva mettere qualcos'altro al suo posto. Credeva che il razionalismo cartesiano, il quale aveva recentemente attaccato le fondamenta della fede cristiana, potesse essere combattuto con un sistema che li ristabilisse entrambi. A questo soggetto dedicò il secondo volume del saggio pubblicato nel 1820. Il sistema filosofico presentato in questo volume era basato su una nuova teoria della certezza. A grandi linee, la sua teoria afferma che la certezza non può essere data da una ragione individuale. Appartiene solo alla ragione generale che è per l’universale beneplacito degli uomini il senso comune; esso deriva dalla testimonianza unanime della razza umana. La certezza però non è creata dall'evidenza ma dall'autorità degli uomini. Negli ultimi capitoli del libro, questo sistema filosofico supporta un intero nuovo metodo di apologetica. Esiste, dice Lamennais, una vera religione che è assolutamente necessaria alla salvezza e all'ordine sociale: solo un criterio ci consente di discernere la vera religione dalle false ed è l’autorità della testimonianza. Risultato di una rivelazione primitiva, l’unica vera religione – il cristianesimo - ha perfezionato se stessa nel corso dei secoli senza venir essenzialmente modificata; i cristiani ora credono in tutto ciò che la razza umana ha creduto e la razza umana ha sempre creduto in ciò che i cristiani credevano. L’ultimo volume del saggio (1823) fu dedicato a questa tesi. In questo, Lamennais cerca di provare, con l’aiuto della storia, che i dogmi della cristianità sono stati e sono tuttora, sotto vari aspetti, professati in tutto il mondo. Naturalmente quest'ultimo volume non riuscì ad assicuragli il successo riscosso col primo. Il sistema filosofico di Lamennais, come la sua apologetica, richiamò forti critiche. Era un dato di fatto che questa filosofia favoriva lo scetticismo rifiutando la validità della ragione individuale. Se questa non può fornire certezza, come potersi aspettare qualcosa da quella generale che è una sintesi della ragione individuale? Era anche una confusione dell'ordine del naturale e soprannaturale, di filosofia e teologia, un mettere sullo stesso piano l'autorità della testimonianza della razza umana e la fede religiosa. Queste ed altre critiche irritarono Lamennais senza convincerlo del suo errore: egli sottopose il suo libro a Roma e in risposta alle sue critiche scrisse "La difesa del saggio", nel 1821. Lamennais stesso visitò presto Leone XII, che lo ricevette molto cortesemente e a un certo punto pensò persino di nominarlo cardinale, malgrado il suo carattere animoso e le sue idee eccessive. Al suo ritorno in Francia, Lamennais dimostrò il perché della grande determinazione nella lotta contro il gallicanesimo e altri liberalismi religiosi. Nell'occasione di un'ordinanza ministeriale che prescriveva l’insegnamento della famosa dichiarazione del 1682, pubblicò "Religione considerata nei rapporti con l'ordine civile e politico" (1825), opera in cui denunciò le tendenze gallicane e liberali come la parte malata della religione ed altrettanto fatale per la società. Irritati da questi attacchi, la maggioranza dei vescovi gallicani, firmarono una protesta contro questi pamphlet che li accusavano di appoggiare lo scisma. Lamennais venne anche citato in giudizio per aver attaccato il governo del re e i quattro articoli del 1682. Difeso da un amico, il grande avvocato Berryer, venne assolto con una multa di 30 franchi. Da questo incidente, manifestò una vivace ostilità verso i Borboni, e fu ancora più invettivo nel mantenere le sue idee contro Frayssinuos ed altri rappresentanti dei principi moderati gallicani.
Ma dall'altro lato, fondò una società religiosa i cui doveri distintivi erano di difendere la Chiesa dallo studio della teologia ed altre scienze, dal propagasi di dottrine Romane, dall'insegnamento nei collegi e nei seminari, dall'indirizzare spiritualmente. La rivoluzione del 1830 mise comunque fine a questo progetto. La congregazione al tempo possedeva tre case ma sopravvisse solo per quattro anni. Obbligato a riconoscere il governo di Carlo X, dovette anche accettare la legge contro le congregazioni religiose che si accanì soprattutto contro i gesuiti. Lamennais, pur non nutrendo molta simpatia verso di loro, li difese in un libro pubblicato nel 1829 sotto il titolo "Progresso della rivoluzione e della guerra contro la Chiesa". Le sue sferzanti invettive non risparmiarono nè il re né i vescovi, a cui rimproverò il loro gallicanesimo e le loro concessioni ai nemici della religione. Qui per la prima volta Lamennais rompe apertamente con la monarchia riponendo le sue più alte speranze nella libertà politica e nell'uguaglianza dei diritti. Scrisse: "un'immensa libertà è indispensabile per il progresso delle verità che servono per la salvezza del mondo". Questo fu ciò che chiamò "cattolicizzazione del liberalismo": il progetto riscontrò un enorme successo. I vescovi stessi protestarono quasi unanimemente contro l’azione del governo. Non approvarono comunque il linguaggio violento di Lamennais; e l’arcivescovo di Parigi, in una predica, condannò l’opera e questo portò a due lettere aperte di Lamennais nei confronti dell'arcivescovo di Parigi dove le sue idee venivano criticate senza riserve di sorta.