La negazione del tempo nel cuore

di Marienbad

 

(Un discorso su metafisica e cinema)

 

Di Paolo Landi

 

 

 

     Questo scritto concerne gli elementi metafisici che si possono rinvenire nel  film L’anno scorso a Marienbad (L’année dernière à Marienbad, A. Resnais,1961). L’indagine concerne un’accezione molto generale della dimensione metafisica, che viene articolata  in un modo peculiare attraverso l’analisi di alcuni risvolti del testo in questione. L’intento è quello di mettere in luce una singolare struttura testuale, entro la quale la dimensione del tempo viene assunta in una certa forma paradossale, e insieme viene trasposta e negata, per alludere liberamente ad una condizione che ad essa è sottratta. Ma il tessuto di questa dimensione metafisica, e la dinamica di questa soppressione del tempo, concernono la questione di una correlazione tra individui dotati di una coscienza, la quale è esposta al problema di una definizione del proprio io, nei termini di una consistenza autentica; al che, emerge il tema di un riconoscimento perennemente mancato, che restituisce la funzione dell’io ad un proprio regime di angoscia, marcato all’interno di quei fenomeni estetici, che solo il cinema è in grado di offrire.

 

 

1 – Il film, l’apertura e la chiusura

 

       Il film presenta una dimensione determinata, legata alla percezione di un mondo risolto con forza, e provvisto di una chiusura assoluta; ma nel contempo,   sul piano del legame con la logica del mondo reale, e con i contesti della nostra esperienza effettiva,  le linee che l’opera presenta, in un modo significativo, risultano prive di una certa definizione. Ma questo carattere duplice è legato a due livelli del testo: da un lato, il livello della sua proiezione nei confronti dell’ambito di referenza, che è dato  dalla nostra esperienza reale, e dai contesti che concernono il rapporto fra quest’ultima e la dimensione dell’ambiente;  da un altro lato, il  livello del suo mondo o del suo universo, considerato in se medesimo, in quanto contesto in qualche modo assoluto di una diegesi, che presenta una forte linea di separazione nei confronti di un carattere di referenza, il quale comunque sussiste, in rapporto a qualunque prodotto della finzione..

     Affrontiamo dunque innanzitutto il problema del nesso, che raccorda il testo al profilo del mondo reale. Da questo punto di vista, si evidenzia uno sfondo in parte riconoscibile ed in parte a carattere anonimo: nel luogo di una grande magione delineata secondo una composizione estetica improntata in un senso barocco, entro un contesto storico-sociale coevo al film, abbiamo un uomo che segue una donna e che asserisce di riconoscerla, rimandando al passato di un anno precedente, abbiamo la donna che viene presa di mira, e abbiamo un terzo individuo, il quale è legato a quest’ultima in un modo imprecisato. Questa circostanza, che si sviluppa poi con la richiesta pressante di una unione la quale dissoci o porti ad una separazione l’unione preesistente fra la donna e la terza figura, si svolge mediante una forma di dialogo, ed una serie di atti di inseguimento, formulati secondo i codici od i rituali di una specie di corte, alla quale la donna si sottrae, sino a che, alla fine, segue quello che è stato imposto. Ed oltre a questo, abbiamo i segnali riconoscibili di un ceto sociale variamente altolocato, che costella tutti gli individui che si trovano nella stesso luogo, ed investe della sua marca  esclusiva i personaggi in questione, ed il loro carattere peculiare. Ma oltre a questi elementi, che pure hanno una funzione di un certo rilievo, e forniscono alla diegesi  ritratta dal film una sua consistenza che la raccorda con un possibile referente – o con la proiezione ideale di quell’ambito di referenza, che funge in ogni opera della finzione estetica -, non abbiamo altri elementi di base che siano abbastanza significativi, al punto da orientare una messa in luce del senso reale, che potrebbe avvolgere la vicenda rappresentata. Così, ad esempio, non abbiamo una denominazione dei personaggi, ed il loro carattere anonimo favorisce con forza la messa in gioco di un contesto generale, che opera un grande distacco, od una singolare forma di cesura, nei confronti di un orizzonte di referenza, a sua volta diretto all’insieme del mondo reale.

     In questo modo, noi abbiamo il personaggio di X – ovvero il protagonista che insegue la donna -, A – ovvero quest’ultima -, ed M – ovvero il suo uomo, che alla fine si trova di fronte il destino compiuto di questa separazione, e di una precisa unione fra gli altri due personaggi.

       Ciò posto, la vicenda illustrata non fornisce elementi per accertare quella dimensione problematica, che si pone al suo centro: se X dichiara ad A di averla conosciuta, e questa asserisce di non riconoscerlo, e noi cogliamo delle immagini che si dovrebbero riferire alla occasione nella quale si è verificata questa conoscenza – o si è stabilito questo primo incontro -, non possiamo sapere quale condizione possa corrispondere a questo genere di indicazioni. Inoltre, nella condizione precedente alla quale si allude – e che può essere il prodotto di una finzione di X -, a tratti emerge lo stesso linguaggio, teso ad indicare un processo analogo, con il quale viene effettuata una richiesta di X volta al suo riconoscimento da parte di A; al che, da un lato abbiamo l’ipotesi che X alluda a tale condizione analoga, soltanto nello spettro di una sua finzione, e da un altro lato abbiamo l’ipotesi che invece tale passato abbia avuto una sua sussistenza, ed in esso si sia formulato un rimando ad un passato ulteriore, dove quest’ultimo, in linea di principio, potrebbe rappresentare vuoi una finzione – espressa in una  istanza  anteriore ad una relazione a carattere reale tra la fase di un presente e quella di un passato  -, vuoi una situazione nella quale X ha incontrato A la prima volta, vuoi una circostanza nella quale X ha riconosciuto A, analogamente a come accade nel presente, rimandando ancora indietro; e quest’ultima ipotesi, sempre in linea di principio, potrebbe contemplare un diverso numero di anelli, con una retrocessione di fasi secondo un indice numerico diverso, ed una serie  indefinita di variabili numerose quanto si voglia, che raffigurino una certa retrocessione in abisso – ma secondo un abisso che è limitato o imperfetto, e ad un certo punto si esaurisce in un luogo od un punto di origine -, oppure una retrocessione in abisso a carattere perfetto, o propriamente tale, secondo un profilo infinito.

     Abbiamo dunque l’alternativa per la quale la congiuntura rappresentata, o accade una volta soltanto – presentando i caratteri di una finzione che X offre ad A, in modo da sviluppare la linea di un suo percorso, che si dovrà esaurire con l’esecuzione di quanto esso  mira a raggiungere -, o accade due volte – in modo che solo l’occasione anteriore si pone secondo la linea di una macchinazione messa in atto dal protagonista -, o accade una serie indefinita e variamente numerosa di volte, o accade infinite volte. E da queste alternative non è possibile uscire; così, se abbiamo una determinazione mancata per quanto riguarda ciò che si offre alla nostra investigazione od alla nostra mira di accertamento, secondo il carattere di referenza che ha il mondo presentato nel suo raccordo con la logica del mondo reale, nel contempo abbiamo una determinazione fortemente compiuta, per quanto riguarda la logica interna della diegesi che è stata messa in azione. Al che, si deve osservare come rispetto alla logica della finzione, ed alla libertà dell’immaginario che essa mette in azione, possiamo avere delle alternative che rimangono aperte, e che richiedono una loro chiusura, od una specie di funzione di scelta, soltanto entro il contesto del mondo reale. Ma, ancora, questo carattere di apertura è determinato: le alternative sono queste, ed hanno un loro preciso rigore; e, d’altra parte, la ricchezza che esse presentano, invece di introdurre una specie di regime aleatorio, il quale racchiuda un carattere ambiguo meramente suggestivo o soffuso, arricchisce od incrementa la determinazione logica del mondo che viene presentato, e la sua forza di costrizione. Così, in un modo paradossale, ma altrettanto evidente, se  alternative come quelle presentate, sul piano della nostra esperienza reale generano un movimento interrogativo di sospensione che rende una specie di condizione incerta e disposta verso delle possibili soluzioni, sul piano dell’universo relativo alla finzione tali alternative, in quanto non sono atte ad una loro risoluzione – ed in quanto hanno una connessione che corrisponde al disegno di un certo tipo di mondo –, presentano dei legami che sono determinati in un modo elevato – e lo sono con un rigore maggiore di quello  che inerisce al nesso fra la nostra esperienza reale ed il mondo al quale essa è coordinata, nelle circostanze nelle quali emerge la forma della certezza.

     E, d’altra parte, la seconda alternativa indicata presenta il carattere problematico e incongruo secondo il quale nella prima occasione dell’incontro sarebbe emerso il regime di una finzione da parte di X – in modo che solo in quel caso la sua dichiarazione del proprio incontro precedente non sarebbe vera -, ma questa complicazione non corrisponde a quel genere di equilibrio e a quel tipo di simmetria che il film persegue  a vari propositi; e inoltre, la terza alternativa, in quanto presenta una serie numerosa di occasioni, senza un principio che le definisca nella loro ampiezza, risulta alquanto arbitraria. Abbiamo allora che le alternative predominanti sono la prima o la terza. Così, sotto questo profilo, in maniera preponderante, si deve assumere che l’incontro in questione, od è avvenuto una volta soltanto, o si ripete per un numero infinito di volte, ogni volta rimandando alla precedente, senza alcuna fine possibile – ed assumendo come conclusione solo un atto finale, che è relativo ad ogni singolo ciclo che viene ripetuto, e ad esso soltanto.

     Ma a questo proposito, si deve ribadire che il film dispone di ognuna delle alternative indicate, e che esse non sono meramente l’indice problematico di una forma di dubbio o di sospensione che attenga ad una interpretazione, la quale non sia ancora pervenuta al volto autentico della diegesi, ma appartengono ad una forma di apertura logica del testo medesimo – laddove, come si è rilevato, tale apertura contiene quel genere di chiusura, che è dato dal tessuto delle alternative medesime, e dal gioco della loro connessione (il quale, ad un altro livello, contiene una propria delimitazione).

     Così, le alternative da assumere come preponderanti, attengono ad una scelta di rilevanza, che non elimina  le possibilità relegate nello sfondo; e d’altra parte, il principio di questa rilevanza riguarda le maggiori suggestioni di senso che il film  delinea, in base a dei principi compositivi  che attengono al suo carattere estetico, ed al modo con il quale tale carattere si profila o si impone nel corso del proprio sviluppo inerente alla diegesi. 

 

 

2 – Le repliche e il rimando all’infinito

 

     Sotto questo profilo, acquisisce dunque un grande rilievo che il film presenti od una condizione unica, la quale si proietta all’indietro, retrocedendo lungo delle fasi temporali che vengono semplicemente o meramente istanziate dall’opera di finzione del protagonista –  in quanto essa si proietta all’indietro con un gioco in abisso, al quale si accenna rimandando ad un precedente riconoscimento -, oppure presenti una serie infinita di repliche della medesima condizione, a loro volta aperte dal protagonista medesimo, sempre secondo la linea del discorso che viene mosso ad opera sua, ma secondo una linea che coglie nel segno, in base all’intenzione del vero.

     Sotto questo profilo, abbiamo dunque, vuoi il caso di un infinito al quale si allude, in quanto infinito di una finzione, che viene aperto da quest’ultima, esponendo una suggestione di base, con la quale si apre la replica virtuale di un atto di riconoscimento rivolto ad un riconoscimento precedente, ecc., vuoi il caso di un infinito che attiene ad un passato reale, che a sua volta si è dovuto replicare in una serie infinita di istanze – o, se vogliamo, si replica eternamente, ed in un modo altrettanto eterno viene ripreso in carica dal peso di una rievocazione che emerge nel seguito.

     Ma ancora, sempre secondo un certo principio di economia, il quale corrisponde ai caratteri di rigore dell’opera, la seconda di queste ipotesi è quella che ha una pregnanza maggiore, sia per il carattere plastico con il quale, in un certo modo, scolpisce o sbalza la serie di questi casi, ed il loro gioco in abisso,  sia in quanto la prima ipotesi racchiude la linea di questa fuga indefinita nel quadro di una mera finzione, che, in un modo complicato, con il suo carattere attenuato ed in qualche modo aleatorio, contrasta con la forza di una tale logica ricorsiva, e di una tale prorompenza, a sua volta  dovuta all’idea di un rimando all’infinito.

     Sotto questo profilo, allora, il film, secondo un suo carattere di rilevanza ampiamente marcato – o secondo una forma di rilevanza o di pertinenza che ha un ruolo od una funzione centrale -, profila il gioco infinito di una ripetizione, ove si verifica  il processo di un riconoscimento, che rimanda o rinvia ad un riconoscimento avvenuto in una occasione precedente, la quale a sua volta lasciava emergere la medesima funzione, ecc; al che, abbiamo una sorta di riflessione infinita della funzione del riconoscimento di A da parte di X, e questo laddove il riconoscimento medesimo, a sua volta, sotto un certo profilo, ha un carattere di riflessione – dovuto ad una peculiare connessione fra due individui coscienti, che hanno un carattere analogo, dovuto alla coscienza medesima.

     Ma occorre precisare che questo elemento centrale del nostro discorso, è legato a delle tracce narrative, secondo le quali la foggia dell’abito indossato da X e da A, e, a tratti, l’illuminazione dell’ambiente nel quale l’uno e l’altra sono inseriti, nonché varie tonalità estetiche associate a questi elementi, lasciano valere il principio secondo cui X, dichiarando di riconoscere A, avanza  una richiesta di riconoscimento reciproco, anche nella occasione passata che da lui viene indicata; ed a tale proposito, si deve considerare come non vi siano comunque elementi certi che possano far decidere che si tratti  dell’occasione passata – sia essa inerente ad una finzione, o relativa ad un evento effettivo -, per cui tutte le alternative delle quali possiamo parlare,  valgono nei limiti di una tale specie di indecisione. Ma ancora, si deve sottolineare che tale indecisione non è dovuta ad una carenza di conoscenze da parte dell’interprete di questa diegesi, ma appartiene a delle ripieghe  del mondo che viene costruito od illuminato per mezzo del testo; e d’altra parte, questa indecisione, invece di eliminare od attenuare l’incidenza dei nostri rilievi – e in particolare dell’ipotesi centrale che abbiamo indicato –, in qualche modo corona tali elementi con la sua precisa funzione, immettendo questi ingredienti all’interno di una sorta di sfumatura, od una sorta di tratto aleatorio, a sua volta provvisto di un grado di determinazione, che si inserisce con rigore nel tessuto complessivo. Ed all’interno di questi limiti, l’alternativa di un rimando all’infinito di una funzione di riconoscimento che si è attuata, mantiene comunque una suggestiva funzione centrale.

 

 

  3 – La dimensione metafisica e l’eterno ritorno 

 

      A partire da questi rilievi, possiamo mettere in gioco la questione della dimensione metafisica, che viene messa in scena dal film. A questo proposito, ci riferiamo ad una tale dimensione, sia in rapporto al principio molto generale, secondo il quale essa oltrepassa l’ambito della nostra esperienza reale – e del suo coordinamento o della sua relazione con il mondo circostante -, sia in rapporto al carattere estetico che tale designazione ha racchiuso, in precisi contesti della storia dell’arte; per il che, è opportuno un rimando al senso che tale dimensione può avere nell’opera di R. Magritte, ma soprattutto – in rapporto a particolari tonalità che il film esibisce – in quella di G. De Chirico. Così, dobbiamo osservare come un carattere metafisico sia dato dal gioco all’interno del quale vengono inserite le componenti temporali, nonché dal raccordo di queste ultime con le componenti spaziali, e infine dal disegno dell’insieme diegetico, e della sua relazione con l’ambito di un possibile referente, che appartenga al dominio della esperienza reale.

     Ciò posto, un carattere metafisico predominante è dato dalla variabile della ripetizione, secondo la quale, per un verso si allude variamente alla replica di uno stesso incontro fra X ed A, e per un altro verso il film profila le circostanze di una ripetizione, che serpeggiano nei discorsi dei personaggi di contorno – i quali da alcuni accenni sembrano attraversare esperienze di incontro analoghe a  quelle dei protagonisti -; e ancora, tale aspetto metafisico della ripetizione emerge  nelle cadenze con le quali X riprende i suoi tentativi di avvicinamento ad A, nella replica delle stesse frasi o degli stessi enunciati che X profferisce sotto la forma di pensieri legati alla sua condizione – e in particolare all’ambiente nel quale è inserito -, ed in svariati altri elementi, che fungono soltanto sotto il profilo estetico e visivo, od anche in quanto accenni narrativi che hanno il carattere del frammento – e cadenzano un’azione in corso dal respiro molto breve, un modo di incedere, una congiuntura ricorrente nel rapporto fra vari personaggi di sfondo, ecc.

     Ma in particolare, l’istanza della ripetizione ha un carattere metafisico molto suggestivo, proprio in relazione al principio di una replica infinita, che è legata alla istanza di una medesima funzione di riconoscimento, la quale si verifica fra gli stessi individui. Ed a questo proposito, è opportuno indicare l’idea dell’eterno ritorno, per come viene delineata da F. Nietzsche; al che, ovviamente, se nell’autore tale idea non ha un carattere metafisico, nell’accezione della nozione di metafisica che Nietzsche medesimo adotta in un  proprio senso critico e distruttivo, possiamo parlare comunque di metafisica nell’accezione generale che si è indicata – e in particolare, sotto il profilo estetico legato ai canoni della storia dell’arte. Così, vuoi in Nietzsche che in questo film, emerge l’idea di una replica delle medesime condizioni, la quale concerna, non tanto la ripetizione ciclica di una stessa forma legale, o di una serie di elementi generali, quanto, proprio, la presenza  delle medesime condizioni singole, per un numero illimitato di volte. E se in Nietzsche questa idea suggestiva è una sorta di dimensione allusiva che ha il compito di illuminare e sospingere le condizioni di una volontà di potenza, la quale sappia procedere prendendo il suo slancio al di là del carattere irreversibile del nostro passato[1], in questo film la replica delle medesime condizioni ha invece il carattere della presa d’atto di una situazione fortemente determinata, rispetto alla quale l’individuo si trova in una circostanza passiva, che investe il suo essere di una sofferenza profonda, pervasiva e dal gioco molto sottile. Così, per Nietzsche il motto dell’eterno ritorno intende illuminare la condizione per la quale il pensiero di un passato che può essere ritrovato funge da esempio per un superamento dei limiti temporali, che  sua volta sospinga una espressione più forte della propria volontà di potenza, e in questo film, invece, il ritorno delle medesime condizioni esibisce una determinazione che si è compiuta da sempre, e rispetto alla quale si disvela il giro fatale di un certo adempimento o di una certa esecuzione. Al che, Nietzsche intende incitare alla messa in opera di una propria creazione, la quale oltrepassi con la massima forza le condizioni stabilite, mentre il film ci invita ad assistere allo spettacolo di una remissione del proprio volere, il quale è prigioniero di un gioco tanto infinito, quanto ineluttabile – e prigioniero di una condizione che non può essere oltrepassata, in proporzione del carattere incommensurabile dovuto ad un passato che richiama dal suo fondo riposto al di là del tempo, costringendo al giro di una replica inesausta, nonché priva di ogni termine possibile. Così, in questo caso, il ritorno del passato non è il simbolo o l’espediente allusivo per un richiamo ad un orizzonte che oltrepassi i limiti dovuti alle condizioni sedimentate dal tempo, ma è invece semplicemente un peso, il quale è ancora più forte di quello del passato reale – od a carattere non metafisico, o se vogliamo pre-metafisico -, in quanto, invece di additare alla possibilità di raggiungere una creazione che non si lasci condizionare dal tempo, indica una determinazione compiuta da parte di quest’ultimo – laddove, tale determinazione viene irradiata da quel fondo collocato al di là del tempo medesimo, che emerge mediante il paradosso in questione.

     Ed al di là di questo disegno di fondo, il film, come abbiamo accennato, introduce altri motivi che concernono il tema della ripetizione, e che ne pervadono in un modo grandioso, costante ed ossessivo, sia gli aspetti tematici particolari, che le soluzioni estetiche adottate.

     Questa ripetizione, infatti, non concerne solo X ed A, ma tutti i personaggi della magione barocca che viene illustrata dal film, entro un gioco nel quale tali personaggi ripetono, in generale, le stesse parole, le stesse movenze e le stesse cadenze di un comportamento che si presenta come sottratto all’indice comune di quegli scopi determinati, ed ogni volta diversi ed articolati tra loro, che a loro volta attengono alla nostra esperienza reale.  E, d’altra parte, in relazione con questo aspetto complessivo, le cadenze dei personaggi sono monotone o invarianti, e il loro modo di porsi o di condurre il movimento, e di assumere le varie posture, risulta rigido e privo di quei tratti peculiari, e di quel registro di variazioni, che si inflette nel corso del mondo reale – che a sua volta, in rispondenza con tali elementi, risulta collocato in un ambito rigidamente separato o distaccato rispetto all’universo del testo (e in confronto con la superficie, così nitida e definita, delle sue immagini e dei suoi contenuti visivi). Sotto questo profilo, allora, la ripetizione è coniugata ad una sostanza dell’azione – o delle componenti motorie, mimiche, gestuali e vocali -, che a sua volta possiede un carattere rigido, il quale, come possiamo dire, sembra atto ad essere meramente ripetuto – anche perché un prolungamento indefinito di casi improntati da un tale genere di rigore risulterebbe in qualche modo privo di senso, mentre la ripetizione introduce un senso che ne motiva l’importo, e che compone un quadro altamente suggestivo ed indicativo.

     Ed è allora da questo punto di vista che il carattere rigido delle movenze di X ed A – che vengono messi in scena o illuminati come dei cerei manichini statuari, la cui condizione emotiva è come imprigionata nel rigore e nel fulgore metallico di un’astrazione compiuta -, coniugato alla geometria di alcune composizioni dell’ambiente, nonché al carattere indeterminato del vuoto disegnato dall’immenso giardino della magione, disegna come il solco di quell’assenza o di quella mancanza quasi assoluta, che, sia pure con cadenze profondamente diverse, troviamo nella testimonianza metafisica, fornita dalla pittura di De Chirico.

     Ma questi aspetti metafisici – legati, in particolare, ad una composizione temporale che si sottrae al corso del tempo medesimo, e mediante l’espediente della ripetizione, annulla le proprie singolari emergenze, riflettendole nel disegno fornito da uno spazio con forti valenze geometriche -, hanno una sostanza profonda, la quale concerne il gioco della comunicazione, intessuto fra i personaggi in questione.

    

 

4 – Il trascendimento della memoria

 

     Prima di trattare quest’ultima e definitiva questione, occorre però cogliere alcuni aspetti particolari, che riguardano ancora il gioco temporale; il che implica un discorso sull’istanza della memoria – la quale viene assunta e insieme trascesa e come negata, o rinnegata, dal film -, ed un discorso relativo al nesso tra il presente ed il passato - ed allo scarto fra queste dimensioni, che comunque viene in qualche modo connotato ed introdotto -, nonché relativo al passaggio fra la condizione temporale elaborata in questa maniera, ed una dimensione che si sottrae all’istanza del tempo.

     Per quanto riguarda la memoria, si deve osservare come Resnais, reduce da un film nel quale era andato a fondo su questa tematica, e diretto a opere nelle quali essa verrà elaborata in modo ulteriore, in qualche modo la metta in luce nella sua incidenza profonda – il che non toglie la presenza di un punto di vista che a sua volta ne mette in questione l’importo, introducendo una sorta di trascendimento che ne modifica il tratto effettivo.

     Così, a tale proposito, abbiamo una certa separazione, che investe l’istanza del presente e quella del passato, e pertanto due circostanze delle quali si è detto – attinenti ad un incontro di X con A che può essere supposto come precedente, e ad un incontro fra i due individui che può essere supposto come successivo, e come presente -; e tale separazione, se per un verso è come attenuata dalla indecisione fra le due istanze, che ad alcuni propositi emerge – e che rende possibile come una determinazione mancata sul piano della distinzione e del nesso fra queste componenti temporali – [2], per un altro verso risulta espressa mediante alcune tonalità estetiche. Queste tonalità, poi, sono relative alla presenza primaria ed alla maggiore consistenza delle immagini proiettabili sul presente, e ad un carattere sopraggiunto e in questo senso secondario delle immagini proiettabili nel passato, nonché ad un chiarore o ad un biancore nitido o addirittura abbagliante di queste ultime – che si riflette anche sulle vesti dei personaggi, e si contrappone alle tonalità  maggiormente grigie od oscure del presente medesimo –; e inoltre, tali aspetti stilistici forniscono come l’alea o l’aura di uno scarto sottile ma non riducibile, il quale rende come leggero e distante quanto viene proiettato nei termini di quanto è accaduto, e come maggiormente consistente ed incombente quanto viene primariamente connotato nei termini di un presente. E in particolare, mediante tale scarto, addirittura avvertiamo come l’arco teso di un pensiero che si dirige con molta forza verso l’alea di una dimensione, la quale in qualche modo sfugge e non è posseduta, proprio perché risulta negata da quella funzione di lontananza, che è data dal passato medesimo; al che, anche se tale scarto evidenzia un carattere anonimo, e remoto rispetto al raggio delle emozioni strettamente o direttamente reali, e nonostante il carattere non decidibile che a tratti emerge, e concerne la distinzione tra le due fasi del tempo – messa in forse dagli stessi  elementi della ripetizione,  che contribuiscono, almeno in certi passaggi, a generare dei dubbi in tal senso –, abbiamo comunque una funzione temporale, legata ad una nostalgia stemperata, e resa come impassibile e universale, ma ben avvertibile nello svariare delle cadenze stilistiche. E questo è un esempio di come un testo che si regge sull’idea della ripetizione - e del carattere uniforme di una condizione la quale, con certi elementi di invarianza, risulta fortemente sottratta agli ingredienti della esperienza reale -, assuma comunque degli elementi di variazione, che rendono possibile il suo gioco espressivo, e le significazioni  da esso  veicolate – e, in particolare, lo stesso gioco che delinea delle condizioni uniformi, ed il venire meno degli scarti o delle differenze che ineriscono alla nostra esperienza reale.

     Un certo regime di differenze a questo proposito riguarda poi i particolari dei quali è tessuto il rapporto che si profila fra X ed A,  con le modalità delle  richieste pressanti rivolte dal primo alla seconda; al che, si deve notare come la ripetizione di questa specie di eterno ritorno – a sua volta rovesciato in relazione ai caratteri volontaristici e creazionistici delle indicazioni di Nietzsche  - non fruisca di una replica completamente identica delle stesse occorrenze – e ciò, ove tale replica avrebbe generato quel tipo di asfissia, che avrebbe impedito una debita variazione estetica ed espressiva della composizione di insieme, e della stessa articolazione del senso attinente al gioco della ripetizione.

     Si deve poi osservare come lo svariare del tono visivo ed estetico associato all’eventuale passato, entri in un  certo  contrasto con l’ipotesi di un’impostura ordita da X. E si deve anche considerare come anche nel caso dell’impostura e della finzione, lo scarto tonale del supposto passato nei confronti del supposto presente – o di un presente determinato secondo uno scarto rispetto a tale passato -, manterrebbe la sua funzione di alludere ad un certo gioco della memoria, ed agli adombramenti messi in atto da quest’ultima; infatti, in questo caso si dovrebbe trattare di una specie di memoria come-se, o di una memoria immessa nel gioco della finzione, e quindi fatta valere comunque nelle sue specifiche modalità, entro le immagini che tracciano il diagramma visivo dell’impostura.

     Ciò posto, l’ immissione di un orizzonte che oltrepassa il tempo, è legata  ai limiti che concernono tale messa in gioco della memoria, e, come possiamo dire, la sua peculiare simulazione – o la sua messa in ipotesi -; e infatti, nel film abbiamo l’istanza di una ripetizione la quale, oltre a inondare quello che secondo una certa ipotesi dovrebbe attenere allo scarto tra il presente e il passato, sottrae una parte essenziale dello stacco fra queste due dimensioni – laddove, tale parte è data dallo spessore peculiare delle singole emergenze legate ai casi della nostra esperienza, ed alle loro distinzioni a carattere radicale. Al che, le immagini relative al passato, attraverso la valenza inquietante e pervasiva dovuta al gioco della ripetizione, oltre a risultare come sospese negli attimi di un presente il quale ne elabora il gioco della rievocazione – o della apparenza legata ad una finzione menzognera e affabulata -, in qualche modo, a partire dalla riva non riducibile di una certa funzione di nostalgia, e di una certa sindrome dell’assenza, possono anche prospettarsi su quelle relative al presente, con una tendenza ad un gioco sinottico, o ad una sorta di riflesso diretto, il quale ne riduce il distacco, o lo rende privo di una propria determinazione. E così, oltre ad avere una specie di accenno alla proustiana resurrezione del tempo, abbiamo una sorta di pervertimento del distacco temporale, con una specie di funzione di convergenza, o con il moto di un temerario avvicinamento, dove uno sguardo speculativo sembra assistere, a tratti, ad un movimento di rinvio quasi perfettamente riflessivo e paritetico, che coinvolge i due fronti in questione. Ma in effetti una simmetria compiuta non viene mai raggiunta, e attraverso la funzione di questo pervertimento, si avverte piuttosto come un risalimento del passato, che è in un certo senso il traslato metafisico ed intemporale di una resurrezione del tempo, dovuta, a sua volta, al gioco di una memoria profonda[3]. E certamente, il gioco della ripetizione, nel suo tratto parossistico, favorisce questa specie di equivocazione – oltre a sollecitare quel genere di equivoco, che è dato dal versante della indecisione circa il fatto se, a tratti, si abbia o meno il passato, a sua volta inerente o meno all’istanza di una finzione -; e tutto questo converge verso la messa in atto di una condizione intemporale .

     Ma l’assenza del tempo - che preme con la sua inquietudine, generando il carattere metafisico più diffuso del film -, come abbiamo accennato, è legata in  modo profondo alla tematica della comunicazione fra X ed A. E questa tematica, a sua volta, è connessa a quella del loro destino, e del senso in qualche modo ultimo, relativo alla condizione della quale fruiscono, e nella quale risultano prigionieri. 

 

 

     5 – Il problema della comunicazione, l’assenza della memoria e la negazione del tempo

 

     Dobbiamo allora notare che la comunicazione fra X ed A  è interdetta, vuoi dal fatto che A non riconosce, o finge di non riconoscere X, od è meramente vittima di un suo inganno, vuoi da quello che X non ottiene tale riconoscimento, o non lo ottiene in una forma esplicita, o semplicemente tende ad ingannare A, senza che la sua mira sia rivolta ad una comunicazione autentica. Così, in ogni caso, i rapporti fra questi personaggi sono variamente mancati; e tuttavia, esiste un motivo più profondo di tale mancanza, legato alla struttura peculiare che attiene al raggio di queste ipotesi. Infatti, sotto un certo profilo, nel testo  non emerge tanto che X abbia conosciuto A, ed ora la riconosca, ma piuttosto che non è determinato se questo sia accaduto, per cui l’identità medesima di X, in quanto attante del suo rapporto con A, fruisce di una sorta di vuoto, dovuto a questa alternativa; e parimenti, per quanto riguarda A, di riflesso, non si tratta di un attante che, in un modo univoco e determinato, rimandi ad una precedente conoscenza di X, e ad un precedente incontro con lui, ma piuttosto di un polo che non ha questa determinazione, e che viene articolato parimenti secondo l’alternativa, per la quale, in una fase passata del tempo, ha avuto questa connessione con A, oppure non l’ ha avuta.

     Così, questa disgiunzione alternativa, nel mentre che delimita la determinazione di questi attanti, o la consistenza del loro carattere di individui, si riflette in un modo preciso e rigoroso - e con una straordinaria forza espressiva - negli elementi estetici dell’immagine, secondo i quali viene illuminata la loro fisionomia, viene colto il trascolorare delle loro condizioni emotive e variamente interiori, e viene assunta la loro postura. E in particolare, per quanto riguarda A, il carattere di assenza costante che risulta impresso sul suo volto cereo e, insieme, inquieto e distaccato da ogni relazione precisa con il proprio contesto, mette in luce una mancanza di fondo, che si traduce in una forma di angoscia, il cui aspetto radicale ed estremo è proporzionato al tono con il quale il film delinea la propria peculiare astrazione dal tempo.

     E sotto questo profilo, dobbiamo tornare all’idea di quel ricorso all’infinito, o di quella sorta di eterno ritorno, che funge come elemento centrale, secondo il quale il film mette in luce un aspetto della massima rilevanza. Infatti, il ricorso all’infinito funge quale messa in forma di una sofferenza senza sbocco, la quale è legata, vuoi al carattere uniforme e privo di vita dovuto all’istanza della ripetizione, vuoi a quel genere di mancanza che ogni volta assume una certa replica, e che, come possiamo dire, nell’ambito di questa figurazione, dilata al massimo l’iperbole del proprio spettro di angoscia. E, d’altra parte, la sembianza o la simulazione di una sorta di oblio, al quale si accenna in un modo ripetuto nel corso del riconoscimento mancato – o comunque della messa in scena di tale ipotesi -, nel momento in cui indica come una ferita o addirittura una cicatrice eternamente sofferta e occludente, che risulta impressa nell’alveo della memoria, trasfigura la funzione propria o normale della memoria medesima, nella figura di una incapacità a stabilire un rapporto preciso e determinato con la funzione identica del proprio io. Così, se nel film non si trova un reperto che riguardi meramente la memoria, o concerna quest’ultima nel senso proprio e reale[4], troviamo comunque un’ assunzione della memoria in un contesto che ne traspone il principio su un piano ulteriore, dove la messa in scena dell’oblio allude addirittura alla mancanza di una coerenza interiore, che concerna la possibilità stessa di poggiare, di fatto, su un presupposto reale attinente al proprio essere. Ed in tal  modo il regista prosegue la sua esplorazione del tema della memoria, che attraversa in un modo più proprio ed esplicito sia il suo film precedente che le sue opere successive, e proprio in un’opera, come questa, che oltrepassa il reperto della memoria medesima, egli coglie una essenza radicale di quest’ultima, concepita in quanto figura che attiene alla coerenza del proprio io, ed alla dimensione della sua consistenza.

     E in un modo preciso, dobbiamo ribadire come il film non parli in un senso stretto e proprio della memoria; infatti, il passato che funge da sfondo ricorrente, ed emerge in un modo alternato, non è un contenuto del quale si possa essere certi, ma da un lato è solo come la forma di un gioco ipotetico, e dall’altro, in una significazione centrale del film, è atto ad essere sostituito da quel rimando all’infinito del gioco delle ripetizioni, che dilata iperbolicamente il tempo anteriore, sino a quel massimo ove esso perde, o disperde, il proprio carattere autentico. E ancora, secondo quanto precede, la questione del passato, nonché dell’eterno ritorno, è legata alla condizione di una presa d’atto dell’altro individuo, e di un legame fra un individuo che deve riconoscere, ed un individuo che deve essere riconosciuto; al che, il rimando infinito profila una condizione nella quale, mentre dal lato di X abbiamo la sembianza di riconoscere di riconoscere ecc., all’infinito, senza che possa delinearsi il nucleo di origine di questo processo, od una presa d’atto iniziale, dal lato di A abbiamo la sembianza di una reazione a tale forma di relazione, per la quale la donna, rispetto all’altro individuo, non riconosce di essere conosciuta, e non riconosce di essere riconosciuta, e infine non riconosce di essere riconosciuta di essere riconosciuta, ecc, all’infinito. E d’altra parte, secondo questa prospettiva, in ogni sezione del passato si presenta e si attua questo rimando all’infinito, legato al tema del riconoscimento messo in atto dagli individui, ed a quello di una corrispondenza mancata di questa funzione, che faccia eco secondo il processo di un riconoscimento, il quale abbia un carattere reciproco. E questa eterna mancanza di una possibilità di risalire, sia ad una conoscenza di base, che ad una variazione finale la quale faccia emergere  un riconoscimento autentico legato a tale conoscenza - o comunque, come possiamo dire, espresso in un flesso della serie delle  sue iterazioni -, è un elemento che limita la determinazione, secondo la quale gli individui in questione – e soprattutto A – possono avere la loro consistenza autentica. Infatti, come è stato asserito, questi due attanti hanno una sorte che li lega alla loro contingenza diegetica, ancora di più, o secondo un senso ulteriore, rispetto a quanto si verifica comunque  nei testi che presentano un nesso più forte nei confronti della nostra esperienza reale[5]; al che, se in generale la funzione della memoria e l’istanza dell’oblio gravano in un modo decisivo sulla consistenza dell’individuo,  e se, altrettanto in generale, la nostra consistenza di individui è connessa alla funzione del riconoscimento che viene apposto dagli altri individui, in questo caso, poiché abbiamo degli individui marcati in un modo elementare all’interno del mondo che è stato costruito, tali variabili incidono in una maniera ancora più forte. In altre parole, in un certo senso, abbiamo un individuo che è soltanto X, ed è soltanto l’abitatore di questa magione, e  sussiste in quanto il suo io si alimenta della sua connessione con gli individui che si trovano nello stesso luogo, e innanzitutto della sua connessione con A, e per A dobbiamo dire qualcosa di reciproco, per cui il venir meno della loro conoscenza, od una lacuna all’interno di questa relazione, e lo scacco al quale è sottoposta la funzione del loro riconoscimento, comportano una mancata determinazione, che influisce in un modo straordinario sulla loro consistenza di base.

     Si deve allora osservare che il carattere metafisico del film, secondo una significazione centrale della quale esso è suscettibile - che prevede un rimando all’infinito della funzione di un riconoscimento, lungo la linea tormentosa e irrisolta di un eterno ritorno provvisto, soltanto, di una tonalità recettiva o passiva -, comporta quella lacuna nella consistenza degli individui che affiorano nella superficie del testo – od entro il mondo da esso istituito -, che a sua volta è legata al paradosso di una negazione del fluire temporale autentico. Abbiamo allora che il rimando all’infinito di una funzione del riconoscimento che viene continuamente interdetta nel suo carattere reciproco - e non trova un fondamento od una radice sulla quale poggiare, nei termini di una fase temporale nella quale sia possibile far emergere l’atto primario di una conoscenza effettiva -, si lega ad una negazione del tempo, che si profila mediante il carattere di una ripetizione, la quale sopprime quest’ultimo, nel mentre che elimina la varietà del fluire – e la costellazione di svariate emergenze singole, le quali sono come sostituite dalla  insistenza lungo la linea di una sola singola contingenza, che riceve delle variazioni marginali.

    

 

6 – L’idea di un destino

 

     Ciò posto, si deve notare che l’idea di un destino al quale X ed A siano legati, si connette alla presenza di M – o dell’uomo al quale A è legata. Quest’ultimo, infatti, da un lato presenta i modi affabili e impeccabili che riguardano tutti gli attanti di contorno, e dall’altro ha il tratto inquieto di un signore od un padrone, che per un verso replica un gioco da tavolo con gli ospiti della magione, vincendo sempre, e  per un altro sfida a questo gioco anche X, confermando su di esso un proprio potere. E ancora, lo sguardo inflessibile di M, segnato da un’astrazione ancora più forte di quello degli altri personaggi, nonché la sua comparsa finale, quando A si rassegna a seguire X, nonché la funzione centrale che il personaggio assume, in rapporto alla messa in atto di questo gioco, lasciano presagire che M in effetti abbia come manovrato le sorti di X ed A, condannandoli al destino di questa loro congiuntura. Ed è chiaro che se questa è, ancora una volta, solo una possibilità, tale possibilità emerge in un modo prepotente e come disteso nelle pieghe di varie immagini, e fornisce una base per inquadrare il mondo che è stato costruito, incentrandolo sulla volontà di un attante il quale, quasi figura dell’autore, ne governa le sorti. Così, sotto questo profilo, M è come il signore e il demone di una ripetizione infernale, e in un modo febbrile – che peraltro è leggibile nel suo sguardo impassibile ma estremamente acceso – determina, o magari ordina, o semplicemente amministra, la condanna di questa sorta di eterno ritorno; al che, egli è in qualche modo il responsabile del fatto che l’identità o la consistenza di X e di A sia condannata ad una mancanza o ad una lacuna essenziale, inscritta nel gioco di un riconoscimento mancato, che si dischiude in abisso, mediante un rimando all’infinito, distribuito in fasi, ognuna delle quali assume la conclusione di una sottomissione di A ad X.  Al che, la condizione per la quale A è una volta per sempre congiunta ad X, non concerne solo la fine di ogni ciclo, ma il fatto o l’evento stesso della ripetizione infinita - la cui linea è quella di un asservimento eterno, governato, o imposto, od ordinato, o amministrato, dall’eterno signore o padrone del gioco (o dal demone che circoscrive la magione o lo spazio, assegnati a questa elaborazione di un tempo infinito, e negato nella propria intima essenza).

     E in ogni caso, al di là del tenore ipotetico di questo significato centrale, è un fatto inoppugnabile che M tenga le sorti di un gioco, dal quale emerge con una vittoria che si ripete, senza una fine possibile.

     E tutto questo conferma quanto abbiamo assunto all’inizio: il film presenta delle lacune o delle mancanze nella propria determinazione, e nel contempo, presenta un mondo, il cui carattere necessario corrisponde alla serie delle ipotesi che si possono profilare – od all’insieme delle loro disgiunzioni. Così il testo presenta un insieme di disgiunzioni ipotetiche, ed alcune linee ipotetiche centrali, le quali rivestono il suo carattere complessivo, e da tale complesso emerge il rigore di un’astrazione, che delinea infine un carattere di fato, il quale avvolge in modo inesorabile quanto è stato rappresentato. E mediante il tratto rigorosamente logico e necessario che guida le implicazioni ipotetiche e la loro medesima disgiunzione, possiamo osservare una specie di chiusura, la quale pervade il tessuto ben definito e strettamente connesso delle alternative che emergono; laddove, il  carattere di rigore di queste alternative, e la dimensione del necessario che avvolge il loro impianto, lasciano trasparire con forza l’architettura dell’ipotesi centrale, a sua volta dominata dall’idea di un eterno ritorno, il quale dispiega  la propria dimensione altrettanto necessaria, mediante il principio di un destino che non può essere variato, allontanato o flettuto, secondo le misure di una vita a carattere autentico.

     Al che si deve aggiungere come A viva, nel modo più radicale, l’angoscia che è legata alla mancanza della propria determinazione, e come tale mancanza sia dovuta, in ultima analisi, alla forza con la quale, invece, quello che la sovrasta determina il suo destino – marcandolo in modo necessario, e secondo un eccesso disumano. Il che viene espresso secondo la forma metafisica di un paradosso vuoi temporale vuoi intemporale, e mediante una  sorta di evidenza diretta, che lascia trasparire una lettura altamente fenomenica e descrittiva dei segni che si incorporano nei contenuti messi in luce dalla percezione visiva; e con questa testimonianza, il cinema a sua volta mette in luce come il principio più generale di una metafisica possa distendersi nei fenomeni della nostra esperienza, senza perdere il proprio rigore, e senza obliterare i fenomeni stessi – ma rendendoli ad una loro originale figura

 

 

 

7 - Epilogo

 

 

     A questo punto, potrebbe iniziare un’altra lettura del film, o magari si potrebbe irradiare una serie di interpretazioni dirette a specifici elementi che appartengono comunque al suo disegno di fondo, e che sono stati lasciati in ombra. Da questa lunga ombra è dunque opportuno ricavare una precisa sembianza: quella di una unione amorosa piena e totale che dovrebbe vedere congiunti i corpi e le anime di X ed A, e quella della morte di A – alitata mediante il fantasma dell’omicidio.

     Osserviamo allora che la congiunzione fra X ed A viene adombrata da una serie iterata di primi piani del volto di A, e da una successiva distensione di questo montaggio che inquadra il volto barocco della magione, insinuando l’accenno ad una penetrazione avallata dai lunghi androni di questo luogo; e tale congiunzione  emerge anche dal nesso fra i primi piani, il loro gioco frenetico, ed il contesto narrativo, pervaso dalla ideazione dell’Eros e dall’idea precedente di una violenza perpetrata da X. L’idea di un stupro e quella di una penetrazione amorosa si susseguono e si accavallano infatti nella mente di A, od in quella di X, o in entrambi – o, secondo una modalità alternativa, X riflette su una delle varianti, ed A sull’altra –[6], e questo accenno supremo racchiude l’immagine di quella congiunzione fra l’uno e l’altra che, invece, risulta esclusa per sempre. Così, la stessa idea di quella congiunzione o di quella comunicazione che risultano duramente escluse, viene espressa mediante un regime di alternative, il quale a sua volta rispecchia invece la logica di quella certezza mancata – e di quella determinazione mancata – che a vari propositi viene illuminata dal film, e si coniuga con il tema della separazione fra i due individui, e con quello della mancanza che attraversa e ferisce la consistenza del loro io.

     Per quanto riguarda poi l’idea dell’omicidio, la sua parvenza viene introdotta secondo il principio di un’azione perpetrata da M; ed in questo caso, il film, attraverso il dialogo fra X ed A, lascia presagire in un modo largamente preponderante che si tratti di un pensiero escogitato da A, piuttosto che da X; ma nel contempo, nel caso di questa escogitazione, è evidente che si tratta di un’immagine che viene partecipata da X, il quale penetra nel pensiero della donna[7]. E a tale proposito, occorre dire che il fantasma dell’omicidio è l’unico elemento che introduce nel film la precisa idea della morte: quella morte che viene secreta nel limbo di un pensiero, il quale si distrae o si allontana dal compito di perseguire il gioco che è stato prescritto.

     E infatti, tale perseguimento richiede di avere a disposizione una forma di vita a carattere eterno – nel cuore spietato di Marienbad. 

 



[1] Cfr.  Per un richiamo all’eterno ritorno in relazione alla dimensione dello slancio creativo, cfr. F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra, 1885, trad. it. Così parlò Zarathustra, Milano, Rizzoli 1985, pp. 248-253

[2] Cfr. quanto afferma A. Resnais a proposito di questo film: «Di una scena non si può dire se si svolge oggi, ieri o un anno fa» (cfr. Paolo Bertetto,  Alain Resnais Firenze, La Nuova Italia 1976, p. 14). Ovviamente, la dichiarazione del regista ha un carattere generale e approssimativo, tende il discorso al limite, e vale entro i precisi confini narrativi ed espressivi che il film esibisce. 

[3] E se è vero che in Proust la resurrezione del passato, entro l’intensità peculiare di una forma della memoria, conduce alla percezione di una sorta di oltrepassamento del tempo, è parimenti vero che nella Recherche tale passo non si verifica con un distacco il quale  abolisca  la pienezza di vita di tale dimensione, ma con una pienezza di vita ancora maggiore di quella del tempo ordinario (il che rappresenta l’esatto contrario di quanto si verifica nel film,  che a sua volta presenta una specie di effetto di svuotamento, il cui carattere di astrazione ha un senso metafisico più proprio e più radicale).

[4] Cfr. le seguenti affermazioni di Robbe-Grillet, che ha sceneggiato il film: «L’universo in cui si svolge il film è, tipicamente, quello di un presente costante che rende impossibile il ricorso alla memoria. Si tratta di un mondo senza passato, che è autosufficiente in ogni istante e che scompare un po’ alla volta» (cfr. Roberto nipoti,  Alain Robbe-Grillet, Firenze, La Nuova Italia 1978, p. 31). Ciò, d’altra parte, riguarda un senso essenziale del film, che tuttavia - come è ovviamente inscritto nella narrazione - si basa su di una istanza della memoria, la quale, per essere superata od eliminata attraverso un certo procedimento, in qualche maniera deve essere denotata e assunta; al che, abbiamo un gioco complesso che inerisce a questa soppressione, e che utilizza comunque delle suggestioni profonde, relative alla memoria medesima. 

 

[5]   Cfr. ancora quanto sostiene Robbe-Grillet: «Quest’uomo e questa donna cominciano ad esistere solamente quando appaiono sullo schermo per la prima volta; prima essi non sono niente; e, terminata la proiezione, essi non sono di nuovo più niente» (ibidem).

[6] Consideriamo ancora le parole di Resnais: «E’ un film che si pone interamente sul piano delle apparenze. Tutto è equivoco. Di una scena non si può dire che si svolge oggi, ieri o un anno fa: di un pensiero se appartiene a questo o a quel personaggio. Realtà e sentimenti, tutto è rimesso in questione, quello che è sognato e quello che non lo è» (cfr. Paolo Bertetto, cit., p. 14). Come abbiamo già accennato, parole di questo tipo non devono ovviamente essere prese alla lettera, assumendo che nel film non sono rintracciabili delle differenze le quali indichino un ordine secondo cui orientare questi elementi; infatti, in quanto precede si mette in evidenza come vi siano delle priorità, e come a certi propositi queste priorità siano così accentuate da essere quasi esclusive. Ma questo non toglie appunto che rimangano aperte varie alternative, e che il film racchiuda il carattere di una serie di disgiunzioni; laddove, il fatto è che alcune alternative hanno una forza maggiore, e abbiamo anche i casi di alternative singolarmente forti, e di alternative estremamente deboli.

[7] Data l’alternativa di cui sopra, questa è un’ alternativa subordinata che rasenta la certezza, ed è molto forte; laddove è particolarmente debole quella per la quale A, in una forma testualmente ellittica ignorata dal film, potrebbe avere parlato comunicando espressamente ad X le sue immagini mentali.


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