Ciò che colpì maggiormente i contemporanei di Strauss nella lettura di Diritto naturale e storia fu l’evidente preferenza dell’autore per la filosofia politica classica e la sua convinzione della superiorità del pensiero antico rispetto a quello moderno. Per coloro i quali erano fermamente convinti del maggior valore del pensiero moderno, Diritto naturale e storia rappresentò, a seconda dei casi, un motivo di indignazione o un nuovo ed illuminante punto di vista.
Dopo aver presentato la dottrina classica del diritto naturale, Strauss passa a considerare quella moderna: nella sua riflessione sono portate alla luce alcune importanti differenze tra le due teorie. In primo luogo, mentre nella visione classica le riflessioni morali e politiche sono svolte alla luce del perfezionamento dell’uomo e dei suoi fini, in quella moderna traggono spunto dall’origine dell’uomo, dallo stato di natura. In secondo luogo, dove per i classici l’uomo è un essere per natura socievole, un “animale politico”, per i moderni l’individuo viene prima della società. Il terzo punto riguarda il fine della vita politica: mentre per gli antichi l’attività politica è principalmente finalizzata a realizzare la virtù umana, per i moderni il suo scopo è quello di far uscire l’uomo dalla condizione di massima insicurezza dello stato di natura (bellum omnium contra omnes).
Una quarta differenza riguarda l’essenza stessa del fenomeno politico-sociale: secondo i classici, la sua essenza è il governo, inteso in senso lato come il modo di vivere di una società, incarnato in ciò a cui essa maggiormente tende e aspira o ciò da cui essa trae origine e fondamento. Per esempio, la democrazia ha il suo fondamento nell’uguaglianza e nella parità di diritti dei cittadini. I moderni, al contrario, minimizzano l’importanza del concetto di governo in favore di ciò che essi considerano l’istanza politico-morale per eccellenza: il diritto all’autoconservazione.
Altri due punti di disaccordo tra le due teorie hanno a che fare con la considerazione della responsabilità umana e con la valutazione della vita filosofica: per quanto riguarda la prima questione, i classici sostengono che la teoria politica ha l’intrinseca necessità di essere affiancata e guidata dalla saggezza pratica e dalla prudenza dell’uomo, mentre i moderni tendono a ridurre l’importanza della responsabilità umana in politica e ad enfatizzare quella delle istituzioni (in accordo col pensiero illuminista); riflettendo sul secondo concetto, Strauss nota come i classici esaltino e considerino per natura migliore la vita filosofica, laddove i moderni, avendo ormai abbandonato l’idea di “perfezione naturale”, non possono che pensare altrimenti.
Se si considerano anche brevemente questi contrasti, si capisce perché Strauss, in altro luogo, abbia definito gli scrittori classici come coloro i quali, per le loro proposte pratiche, verrebbero oggi chiamati conservatori. E se si considera la sua apparente preferenza per questi classici, si può comprendere perché una volta l’insegnamento di Strauss fu tacciato di conservatorismo. In realtà, leggendo Diritto naturale e storia, si è colpiti dall’insistenza dell’autore sul carattere essenzialmente moderato del pensiero politico classico: Strauss vede questa caratteristica nella “saggia flessibilità” del pensiero antico, nell’ammissione di necessarie imperfezioni della vita politica, nella visione della giustizia sociale, assimilabile, secondo Strauss, a ciò che noi oggi chiamiamo “diritto alle pari opportunità”. Strauss non nega, da un lato, l’importanza che nel pensiero classico riveste il concetto di virtù o di valore, ma, dall’altro, ci tiene a chiarire quanto lontano sia questo pensiero dal moralismo dogmatico o dal conservatorismo ideologico.
In Diritto naturale e storia, Strauss limita la sua riflessione sul moderno diritto naturale alla trattazione di Hobbes e Locke, aggiungendo qualche considerazione sulla “crisi” di questa teoria occupandosi di Rousseau e di Burke. Nel raccontarci di questi pensatori moderni, Strauss cerca sia di spiegare il più fedelmente possibile il loro insegnamento sia di portare alla luce la loro influenza culturale e storica. Secondo l’autore di Diritto naturale e storia, ognuno di questi filosofi radicalizza, più o meno consapevolmente, le riflessioni e le conclusioni dei propri predecessori.
Strauss elabora un’analisi della modernità secondo la quale Hobbes fu il primo pensatore che cercò di costruire un ordine politico tale che, in accordo con la più potente passione dell’uomo (la paura di una morte violenta), potesse essere considerato universalmente valido. Più avanti Locke, “sulla base della visione hobbesiana della legge naturale”, si oppose all’assolutismo di Hobbes, ma non alla sua teoria del diritto naturale. Per Strauss la “crisi del moderno diritto naturale” nacque proprio dalla reazione alle teorie Hobbes e Locke: Rousseau fu colui che iniziò questo processo di crisi. Per il filosofo francese, Hobbes avrebbe giustamente individuato le radici della giustizia nella naturale condizione presociale dell’uomo, ma non si sarebbe spinto abbastanza a fondo nella sua analisi. Nella visione di Rousseau, la condizione naturale dell’uomo non è solo presociale, ma anche prerazionale, pre-umana: Rousseau deve così elaborare un resoconto dell’evoluzione storica dell’umanità. Arriva così a dare un importante impulso alla nascita e allo sviluppo dello storicismo, uno sviluppo corroborato in seguito dagli elementi del pensiero di Burke.
Un secolo e mezzo più tardi, ricco dell’esperienza sia pratica che teorica dello storicismo, Diritto naturale e storia propone ai suoi lettori la seria necessità di un recupero del diritto naturale, pur senza mai minimizzare o negare la problematicità di una simile operazione.