LEUCIPPO DI MILETO
"Nulla avviene a caso, tutto secondo ragione e necessità".
Si può parlare di un "caso" Leucippo, dal momento che di questo filosofo si sono dati riferimenti, non solo di natura biografica, contrastanti tra loro. Aristotele, quando parla di Leucippo, lo pone sempre in coppia col suo "collega" Democrito, col quale sarebbe stato il fondatore dell’atomismo: da ciò sembra che Leucippo – già presso Aristotele – fosse figura dai contorni molto sfumati. Secondo quanto afferma Diogene Laerzio (Vite dei filosofi X 13), Epicuro mise in dubbio l’esistenza stessa di Leucippo, mentre Aristotele in più opere (Metaphysica, De generatione et corruptione, De caelo, De anima) e Teofrasto (370-287 a.C.), la cui dossografia è la fonte per lo stesso Diogene Laerzio in IX 30 sgg., attestano sia la dottrina che la storicità della figura di Leucippo. Hermann Diels in Die Fragmente der Vorsokratiker, II, 80, raccolse le opinioni divergenti degli autori antichi e spiegò tale problematicità verificativa con la formazione nel IV secolo a.C. del corpus democriteum, la raccolta dell’insieme degli scritti di Democrito, in cui furono incluse anche le opere di Leucippo, ingenerando da allora in poi una confusione fatale tra le dottrine rispettive di Leucippo e Democrito, confusione che mise in dubbio l’esistenza stessa di Leucippo. Riunificando i dati tratti da Diogene Laerzio, Aristotele e Simplicio (Physica), pare che Leucippo sia stato più giovane di Parmenide, scolaro di Zenone, maestro di Democrito e contemporaneo di Empedocle e Anassagora. Per ciò che concerne l’opera scritta di Leucippo, abbiamo il Papyrus Herculanensis (un papiro greco scoperto a Ercolano nel 1752 contenente testi filosofici epicurei) che, nell’edizione del 1768 (coll.alt. VIII 58-62) fr. 1, sostiene: "... scrivendo che... le stesse cose erano già state dette in precedenza nella Grande Cosmologia, che dicono essere opera di Leucippo. Ed è deplorato per essersi attribuito talmente le altrui dottrine, non solo ponendo nella Piccola Cosmologia le dottrine che si trovano anche nella Grande..."; e abbiamo Aezio, ed. Diels, I 25, 4 (Doxographi graeci 321), il quale dichiara: "Leucippo dice che tutto avviene secondo necessità e che questa corrisponde al fato. Dice infatti nel libro Dell’intelletto: Nulla si genera senza motivo, ma tutto con una ragione e secondo necessità". Dalla testimonianza di Aristotele e Teofrasto si evince che Leucippo sia stato il primo a formulare le teorie atomistiche che Democrito in seguito sviluppò, soprattutto tramite l’uso di certi termini, attribuiti dagli studiosi all’opera Grande Cosmologia mai citata da Aristotele, quali "atomi", ossia parti indivisibili
(atoma swmata), grande vuoto (mega kenon), corpi solidi (nastá), scissione (apotomé), misura (rysmós), contatto reciproco (diathighé), direzione (tropé), rimescolamento (peripalaxis), vortice (dinos). Riassumendo, Leucippo avrebbe considerato la natura legata alla matematica, l’essere come un composto molteplice e materiale di atomi infiniti, ma non infinitamente divisibili, e il non essere come il vuoto in cui vengono a muoversi gli atomi. La visione leucippea sarebbe quindi deterministica e meccanicistica, da qui la spiegazione dell’origine dei mondi attraverso il vortice, che determinerebbe la scissione degli atomi più pesanti dai più leggeri, e la formazione della Terra in seguito alla forza centripeta che raccoglierebbe questi atomi pesanti. Circa l’ordinamento degli astri, Diogene Laerzio (IX, 33) riepiloga così la teoria di Leucippo: "L’orbita del sole è la più esterna, quella della luna è la più vicina alla terra, mentre quelle degli altri astri sono in mezzo a queste due".I PRINCIPI DELL’ATOMISMO DEMOCRITEO E LEUCIPPEO
Anche gli atomisti, come già Anassagora, assumono come struttura della realtà invisibile ad occhio nudo un’infinità di principi, ancorché questi non siano infinitamente divisibili: se infatti tutto fosse divisibile all’infinito, allora il mondo avrebbe dovuto cessare di essere già da tempo. I principi primi della realtà come li intendono gli atomisti debbono essere pieni e privi di parti: tali sono quelli essi definiscono
atoma swmata, ovvero – letteralmente - "corpi non ulteriormente tagliabili", costituenti la struttura profonda del reale. Questi "atomi", per potersi muovere e per consentire la generazione e la corruzione dei composti, devono avere uno spazio entro cui muoversi ed è per questa ragione che gli atomisti introducono come secondo principio il vuoto (to kenon), condizione imprescindibile del moto atomico. Gli stessi aggregati non sono che unioni di atomi e vuoto: il che è provato dal fatto che, consumandosi, i corpi cedono atomi e, perché ciò possa avvenire, dev’esserci il vuoto. Con terminologia eleatica, Democrito chiama gli atomi e il vuoto rispettivamente "essere" e "non essere"; egli asserisce poi – riprendendo l’antitesi sofistica - che la conoscenza intellettuale (avente come oggetto gli atomi e il vuoto) è kata fusin (secondo natura), mentre quella degli aggregati è kata nomon (secondo convenzione). Sicchè secondo natura conosciamo gli atomi e il vuoto, secondo convenzione il bianco, il profumato, ecc. Le cose che costantemente esperiamo non sono dunque la verità, ma mera parvenza. Essendo gli atomi infiniti, infiniti saranno anche i mondi che dalla loro aggregazione trarranno origine, cosicché gli atomisti possono relativizzare la vita che conduciamo sul nostro e possono inoltre evitare di far ricorso a cause extra-materiali. Incarnando in sé l’essere parmenideo (ed essendo dunque immutabili, eterni, incorruttibili), gli atomi come si distinguono fra loro? Per Empedocle e Anassagora, i principi si differenziano qualitativamente, il che tra l’altro spiega perché i corpi composti presentino qualità; per Democrito (e forse per Leucippo) invece – stando a quel che riferisce Aristotele – gli atomi si differenziano fra loro per caratteristiche quantitative. Per far luce su questo punto della dottrina atomistica, Aristotele esemplifica servendosi delle lettere dell’alfabeto, che egli chiama stoiceia: e stoiceia sono anche gli "elementi", con la conseguenza che gli atomi sono un po’ come le lettere dell’alfabeto e il mondo che ne risulta si presenta come una sorta di libro le cui lettere sono gli atomi. Per forma (rusmoV) gli atomi si distinguono fra loro come la A si distingue dalla N; per ordine (diaqigh) come AN da NA; per posizione (troph) come Z da N. Si tratta evidentemente di differenze puramente geometriche, con caratteristiche misurabili. Tuttavia gli atomisti si spingevano oltre: pare infatti che, poste queste tre differenze di base, essi asserissero che gli atomi sono dotati di un numero incalcolabile di differenze, a tal punto che essi finiscono col riconoscere – il che costerà loro la derisione da parte dei suoi avversari – l’esistenza di atomi di forma uncinata. Il problema cui l’atomismo è chiamato a rispondere è che, se gli atomi sono quantitativamente connotati, come si spiega che poi noi percepiamo qualitativamente i composti? Perché, se la rosa non è che un aggregato di quantità, noi la percepiamo rossa, profumata, ecc? Per render conto di ciò, l’atomismo spiega le qualità come epifenomeni delle quantità, cosicché il bianco deriverebbe da un assetto casuale dato dall’unione di atomi: la rosa non è che un aggregato di atomi quantitativamente connotati che però, colpendo i nostri organi di senso, generano impressioni qualitative (il profumo, il colore rosso, ecc). Un altro problema su cui l’atomismo deve affaticarsi riguarda la natura stessa degli atomi: se essi sono corpi invisibili e indivisibili, allora non avranno parti e saranno come enti geometrici; ma allora come è possibile ch’essi, privi di parti, si aggreghino e formino corpi divisibili costituiti da parti? Come possono muoversi? L’atomismo sostiene che gli atomi sono ab aeterno dotati di moto (il che implica il vuoto in eterno) e, più precisamente, si muovono in qualunque direzione senza tregua, con la conseguenza che possono casualmente incontrarsi e aggregarsi (ciò nel caso in cui le forme siano compatibili, come ad esempio quando si incontrano atomi ad uncino e atomi ad anello). A regolare il moto degli atomi non è una forza esterna o una divinità: l’unica legge (se in questo caso di legge si può parlare) regolante il loro movimento è il caso, non già nel senso ch’essi si muovano senza causa, bensì nel senso che il loro è un moto spontaneo, scevro di finalità e non extra-naturale: è un moto che tiene conto della legge per cui il simile attira il simile. Tutto risponde ad una ragione e ad una ferrea necessità. Oltre a negare la causa finale, l’atomismo nega quella efficiente – nota Aristotele -, giacchè essa non è se non una proprietà della materia. Per l’atomismo nulla avviene a caso, tutto avviene secondo una ragione. Questa osservazione può essere provata: a questo scopo non basta accontentarsi dell'osservazione della molteplicità dei fenomeni, ma occorre risalire mediante un procedimento intellettuale alla conoscenza di ciò che non è visibile. Gli oggetti che noi percepiamo ci appaiono caldi o freddi, amari o dolci, ma queste qualità appartengono alla sfera di quello che la cultura del v secolo a.C. raggruppava sotto la categoria del nomoV, ossia di ciò che è variabile, convenzionale, instabile, contrapposto al piano stabile e immutevole della natura.