A cura di Studioantropologico.it
La teoria del "prelogismo"
dei "primitivi" elaborata da Lucien Lévy-Bruhl (1857 - 1939) si pone in totale
distacco rispetto alle teorizzazioni dell'evoluzionismo e si colloca, invece,
in una dimensione di consapevole e radicale relativismo culturale.
Per Lévy-Bruhl il contesto etnologico si configura come totalmente altro
rispetto all'Occidente. In base alla teoria del "prelogismo", i
primitivi sarebbero caratterizzati da una struttura psichica in cui non vige il
principio di non contraddizione, e in virtù della quale la loro mentalità, il
rapporto soggetto/mondo, il rapporto naturale/sovrannaturale, sono differenti
dai nostri. Per Lévy-Bruhl è dunque metodologicamente sbagliato utilizzare le
rappresentazioni collettive dell'uomo occidentale per interpretare sistemi
logico-culturali affatto diversi. Al contrario, rifiutando l'impostazione
eurocentrica, "l'attività mentale dei primitivi non sarà più interpretata
in partenza come una forma rudimentale della nostra, come infantile e quasi
patologica. Apparirà anzi come normale nelle condizioni in cui essa si
esercita, come complessa e, a suo modo, sviluppata.
La teoria del prelogismo costituisce il filo rosso che lega le maggiori opere
di Lévy-Bruhl, da Les fonctions mentales dans les sociétés inférieurs a La
mentalité primitive, fino a Le surnaturel et la nature dans la mentalité
primitive.
Le rappresentazioni collettive dei primitivi - a differenza di quelle dell'uomo
culto occidentale, dominate dal principio dell'identità personale rigorosamente
distinta dalle altre individualità e dal mondo fisico -, sono dominate dal
concetto di labilità, di fluidità, e hanno alla base quella che Lévy-Bruhl
definisce "legge di partecipazione". Secondo tale legge, lo stato
mentale dei primitivi è caratterizzato da un'estrema intensità emozionale che
induce ad una costante partecipazione mistica con l'universo. Il primitivo
"sente" ciò che lo circonda come attraversato da una forza numinosa
fluida, fisica e psichica. I confini che nel nostro mondo isolano nettamente
l'uomo dall'ambiente esterno, la natura dalle forze soprannaturali, lo stato di
veglia dallo stato di sogno, nel mondo primitivo sono estremamente labili o
inesistenti. Dunque la mentalità primitiva, più che rappresentare l'oggetto, lo
vive e ne è posseduta.
Parimenti la personalità è rappresentata come energia, qualitativamente
identica a quella che promana dagli animali, dalle piante e dalle cose, e i
suoi limiti, nella mentalità collettiva, sono labili, tanto che l'identità
personale non è incompatibile con la dualità o la pluralità delle persone.
Spesso le esperienze di compartecipazione mistica del primitivo, largamente
documentate da Lévy-Bruhl, si riflettono nei miti. Nelle rappresentazioni
collettive dei primitivi che fanno da sfondo all'esperienza reale, c'è fluidità
anche tra il piano sacro e il piano "profano". La sovrapposizione dei
due piani rappresenta la norma. Non solo: il piano sovrumano finisce per
calamitare interamente l'anima e la mente degli uomini. Le forze soprannaturali
cingono in un perenne stato d'assedio l'esistenza umana e ciò fa in modo che la
religiosità dei primitivi sia di stampo totalmente mistico, mentre le
operazioni magiche hanno lo scopo di mediare la sfera delle potenze occulte.
Di fatto, come osserva Marcello Massenzio, nella visione che Lucien Lévy-Bruhl
ha del mondo dei "primitivi", l'uomo come soggetto di cultura finisce
per sparire del tutto, poiché i margini di intervento culturale sulla natura
sono completamente annullati.
L'ambiente scientifico del tempo, caratterizzato da un'impostazione
razionalistica di tradizione illuministica, reagì molto negativamente alla
proposta teorica di Lévy-Bruhl. Émile Durkheim,
sostenitore dell'unità dello spirito umano e della sua omogeneità in tutte le
epoche, evidenziò come nella vita quotidiana i primitivi applicassero una
razionalità pratica del tutto simile a quella che governa le azioni di
tutti gli uomini della terra. La forza delle argomentazioni indusse col tempo
Lévy-Bruhl a recedere dalle sue posizioni più estreme, e a rivedere
completamente le sue precedenti teorie, come si constatò dopo la sua morte, in
una serie di quaderni che contenevano gli appunti dello studioso stesi
nell'ultimo periodo della sua vita, i Carnets, pubblicati postumi nel
1949.